Tuesday, September 25, 2007

Messa in latino

La nuova legittimazione erga omnes della intatta validità (ma legittimità e legittimazione non vanno di pari passo) del Missale romanum tridentino o di Pio V (nelle revisioni posteriori, fino a quella pio-giovannea del 1962), e la sanzione positiva della sua scelta alternativa libera, decise da Benedetto XVI, vanno oltre le pratiche di pacificazione, quanto a intentio magisteriale. Esse dichiarano che la ritualità cattolica e il dogma eucaristico, come intesi prima Concilio Vaticano II, restano vitale orizzonte della nostra vita liturgica. Inoltre, nel permettere che due diverse sensibilità si affianchino liberamente e con pari dignità, Benedetto riconduce la forma cattolica alla sua essenziale natura di complexio (espressione che preferisco di gran lunga a “diversità” o “pluralismo”: complexio è diversità necessariamente articolata in unità secondo il senso).

R. – La ricchezza tradizionale intera del culto cristiano è, per Benedetto, il canone cui attingere nuovamente. È criterio strettamente connesso all’essenza stessa dell’analogia fidei. L’obiettivo della “riconciliazione interna nel seno della Chiesa” diviene parte di un più ampio intervento per l’intera comunità credente, indipendentemente da storiche tensioni con le minoranze tradizionaliste.

La libera opzione del Missale romanum del 1962, che potremmo chiamare tridentino-giovanneo, agirà come paradigma stabilizzatore delle fluttuanti liturgie in lingua corrente.

D. – I rilievi critici sul rito antico non hanno peso? Scarsa presenza della Parola e del popolo, ritualismo e tentazione “magica”, infine ”una liturgia che dimentica la bellezza del simbolo per diventare pedantemente allegorica”...

R. – Si tratta, anzitutto, di una caratterizzazione deteriore quanto corrente del rito antico, che chi lo ha praticano e interiorizzato nella sua formazione cristiana contesta fermamente. Il rito antico porta con sé, ed esprime in gesti e parole, ricchezze insostituibili. Ricordo che i maestri della primissima fase della riforma liturgica, da Martimort a Jungmann al nostro Righetti, al grande liturgista Odo Casel (meno prossimo al Concilio: era morto nel 1948) e tanti altri, conoscevano la magnificenza simbolica, non “allegorica”, del rito cristiano entro e a partire dalla liturgia gregoriano-tridentina, che non hanno mai pensato di sconvolgere.
Opere di filosofia liturgica – se posso esprimermi così – che hanno nutrito tante generazioni, quelle di Guardini e di Hildebrand, nascono entro lo stesso ordo e la stessa esperienza. Così "Il senso teologico della liturgia" di Cipriano Vagaggini. Una frattura vi fu. Infatti, che hanno a che fare Casel o Jungmann o il magnifico “saggio di liturgia teologica generale” di padre Cipriano (la quarta edizione è del 1965), o la stessa costituzione liturgica del Concilio, con gli indirizzi della “riforma” diffusa e dello stesso Consilium ad exequendam?

In questa frattura prende corpo, oserei dire, ufficiosamente nella Chiesa lo stereotipo evocato nella domanda. Le critiche protestanti e modernistiche al ritualismo e al magismo della messa avevano sempre ricevuto la loro adeguata risposta. Ma il “riformatore”, questa volta il riformatore cattolico, ha bisogno di un contromodello, di un paradigma negativo, e non va per il sottile.
Certo, la riforma forse non guidata ma disciplinata, ed era difficilissimo, da Paolo VI ha introdotto nell’actio liturgica più Scrittura, più memoriale e più popolo. Roma riuscì allora con difficoltà (per qualcuno non vi riuscì del tutto) ad evitare la deriva “protestante”. Deriva temibile, perché lex orandi e lex credendi sono legate tra loro e perché, comunque, nella Tradizione tutto è fortemente connesso. Sequenze intere di elementi fondamentali simul stant, simul cadunt. Non nascondiamoci che molte élites teologiche cattoliche, specialmente nelle cerchie europee ecumenizzanti, lo sapevano e lo speravano.
Non si tratta, dunque, di smarrire quello che della vita liturgica attuale apprezziamo; né è ragionevole pensare che il motu proprio abbia non solo l’intentio – che non ha – ma la forza obiettiva di produrre effetti indesiderati del genere e su larga scala. Ma dobbiamo saper prendere atto che Parola e popolo sarebbero da soli poca cosa (e davvero un po’ magico-teurgica) senza la realtà del Corpo mistico e del "mirabile mysterium praesentiae realis Domini sub speciebus eucharisticis": realtà che precede, fonda e trascende la comunità orante.


Testo completo delle risposte raccolte da Roberto Beretta, giornalista di "Avvenire" per l'edizione on line di "Toscana Oggi" e per il mensile "Il Timone"
di Pietro De Marco http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/169449

Wednesday, September 05, 2007

Si puo' omettere il lavabo?

The washing of hands at the end of the offertory rites may never be omitted at any Mass. It is a significant rite and expresses the priest's need for purification before embarking on the great Eucharistic Prayer.

The omission of the rite may stem from a theory of its origin, popular a few years ago, that the rite was originally practical and was required because dust from the loaves handled during the offertory during the ancient celebration needed to be removed from the celebrant's hands. Only later was a spiritual meaning given to the rite.

Thus, some argued, the advent of pre-prepared hosts had rendered the rite obsolete. This theory, while coherent, has the disadvantage of being wrong.

Further research into the ancient rites has shown that the rite of washing of hands (dating from the fourth century) is older than the procession of gifts, and even after this practice was introduced the celebrant often washed his hands before, not after, receiving them.
Thus the rite has always had the sense of spiritual purification and validly retains this meaning today.
http://www.zenit.org/article-9481?l=english

Cristianesimo di massa

La chiesa di massa come:

un nucleo di battezzati che vivono interamente la loro fede, con ciò delineandosi una situazione nella quale coesistono in maniera feconda “l’integra fede di pochi” e la “fede parziale di molti” (Eliot).

Monday, September 03, 2007

Esigenza di una Rivelazione in Platone (Fedone XXXV)

Mi sembra, Socrate, e forse sarai anche tu del mio parere, che essere così sicuri su certe questioni, sia una cosa impossibile o, per lo meno, molto difficile, almeno in questa vita; d'altronde, io penso che il non esaminare da un punto di vista critico le cose che si son dette, il lasciar perdere il problema, prima di averlo indagato sotto ogni aspetto, sia proprio dell'uomo dappoco; quindi, in casi simili, non c'è altro da fare: o imparare da altri, come stanno le cose, o trovare da sé, oppure, se questo è impossibile, accettare l'opinione degli uomini, la migliore s'intende, e la meno confutabile e con essa, come su di una zattera, varcare a proprio rischio il gran mare dell'esistenza, a meno che uno non abbia la possibilità di far la traversata con più sicurezza e con minor rischio su una barca più solida, cioè con l'aiuto di una rivelazione divina.


Phaedo [85c] “I will tell you my difficulty, and then Cebes in turn will say why he does not agree to all you have said. I think, Socrates, as perhaps you do yourself, that it is either impossible or very difficult to acquire clear knowledge about these matters in this life. And yet he is a weakling who does not test in every way what is said about them and persevere until he is worn out by studying them on every side. For he must do one of two things; either he must learn or discover the truth about these matters, or if that is impossible, he must take whatever human doctrine is best [85d] and hardest to disprove and, embarking upon it as upon a raft, sail upon it through life in the midst of dangers, unless he can sail upon some stronger vessel, some divine revelation, and make his voyage more safely and securely.

「もっとも論駁しがたい言説を自らに受け取って、あたかも筏に身をゆだねるように、この言説に自らをたくして、つねに危険を冒しながら、この生を渡りきらねばならない」(『パイドン』85c)

Saturday, September 01, 2007

Ferrariensis

Eadem solis calefactio liquefacit ceram et lutum indurat


Ad cap. 48

Il senso della vita 究極的意味

Un cane si strofinerebbe dietro un macchina senza afferrarne il significato, vale a dire il valore d'uso, lo scopo; cosi un uomo potrebbe anche giocare con un macchina senza averne il possesso. Ma non ne avrebbe la capacita' di possesso, se non in quanto ne avesse afferrato il significato. Senza che venga afferrato il significato una cosa resta estranea a noi. L'uomo e' come irrigidito, non e' capace di comprendere e non e' capace di utilizzare.

Lo smarrimento del significato porta una depressione della personalita'.

Un bambino che giocherellase con una macchina fotografica avrebbe come criterio del suo rapporto con qull'oggetto la pura reattivita'; (...) e' attirato dall'enigma di cio che e' dentro la scatola, ci mette dentro le mani, spaccando, tira fuori i pezzetti.

Non diversamente l'uomo, laddove il siognificato del suo vivere fosse smarrito, troppo drammatica e ultimamente tragica la vita....

Giussani, Il sednso religioso, p. 109-110