Tuesday, December 29, 2020

Balthasar metaphysics

Hans Urs von Balthasar writes somewhere that "the Christian is called to be the guardian of metaphysics in our time."


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Saturday, December 05, 2020

Finality

Finality also illuminates the difference between humans and other animals, all of which lack intellection: while not all engineers build the same bridges or painters the same portrait, various animal species do the same thing. You will encounter no rebellious, avante garde bee who decides instead of hives and honey to build nests or dig in the ground for acorns. Moreover, we as humans uniquely perceive the finality in the fact that even small children incessantly ask "why," precisely because they presuppose there is reason and intelligence behind all things.


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Saturday, November 28, 2020

Come orfani in cerca di un padre di JEAN-LUC MARION*

 Come orfani in cerca di un padre


di JEAN-LUC MARION*


Ad alcune settimane dalla sua pubblicazione, come si possono valutare l’accoglienza e l’impatto dell’enciclica Fra t e l l i tutti?

Il successo dell’enciclica Fratelli tutti dipende dalla forza e dalla correttezza della sua analisi politica. Riprendendo numerose analisi precedenti che aveva sviluppato come vescovo di Buenos Aires, Papa Francesco esplicita in dettaglio una

costatazione di Papa Benedetto XVI: «La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli». E aggiunge: «L’avanzare di questo globalismo favorisce normalmente l’identità dei più forti che proteggono sé stessi, ma

cerca di dissolvere le identità delle regioni più deboli e povere» (n. 12). Le argomentazioni

su questo «ritorno all’indietro» (n. 11) sono molto precise:

le nuove «ideologie» (n. 13), l’interpretazione degli uomini che «non servono ancora» o «non servono più» (n. 18), come scarti (n. 19) infra-umani, la «povertà» (n. 21) sistemica, l’inuguaglianza sociale ed economica dei sessi (n. 23) e persino la «schiavitù» (n. 24); ne conseguono «l’aborto», «il commercio di organi» (n. 24) e la «terza guerra mondiale a

pezzi» (n. 25). A essere in discussione non è altro che «...una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto» (n. 24). La speranza, forse ingenua, che la scomparsa dei

totalitarismi esplicitamente ideologici ci liberi dalle ideologie è venuta meno: l’idolatria

del mercato (n. 168), della globalizzazione (fino a quella delle pandemie), della trasformazione del pensiero in informazioni e data, tutto ciò comporta quantomeno il rischio di un nuovo totalitarismo, questa volta anonimo e veramente

universale, quello della «concupiscenza» (n. 166). Non c’è bisogno di molta filosofia per riconoscere qui la volontà di

potenza elevata al livello della volontà di volontà. Come si può far fronte a questa situazione, descritta senza mezzi termini? Papa Francesco si basa su una costatazione incontrovertibile: «nessuno si salva da solo, ...ci si può salvare unicamente insieme» (n. 32). Vale a dire che la sfida “salva te stesso” lanciata in faccia a Cristo sulla croce identifica la salvezza che il mondo vuole e che Dio al cont ra r i o scredita. Bisogna invece non salvare sé stessi, perché la salvezza ci giunge da l’a l t ro v e .

Da quale altrove? In un primo tempo, questa salvezza presuppone che si costituisca e che si tenti di costituire una comunità: «abbiamo bisogno di costituirci in un “noi”»; e l’enciclica ritrova qui quello che la filosofia moderna (da Husserl a Lévinas) ha identificato come un fine, che essa non ha veramente raggiunto; un “noi” dove comunicano e si comunicano gli ego. Poiché non si tratta soltanto, né prima di tutto, di un “noi” «contrapposto al mondo intero» (n. 89), di fronte ad altri diventati semplicemente «quelli» (n. 27, come per C. Schmitt). Poiché non ci sono «gli altri», ma piuttosto un “noi” (n. 17; vedi nn. 43, 78 e 152). Da qui la reiterata invocazione dell’«amicizia sociale»

(nn. 94, 99, 198-202, etc.), o meglio della «carità sociale» (n. 176 e seg., 182), e persino dell’«amore sociale» (n. 183). In effetti questa tesi non è affatto banale, perché vuole reintrodurre la carità nel concreto

della politica effettiva. Ma anche perché non è scontato che la «fraternità universale» (nn. 110 e 176), pur supponendo che possiamo raggiungerla, produca automaticamente e di per sé la pace, la comunità e l’intesa.

Essa può anche e spesso provocare la rivalità mimetica, dunque la violenza, e condurre all’omicidio: Romolo e Remo,

ma prima Caino e Abele (R. Girard seguendo Hegel). Oggi non solo non siamo di fatto tutti fratelli, ma ci scopriamo

anche, in materia di possibile fraternità, come fratelli senza padre, in altre parole orfani.

Senza padre, senza origine vivente della nostra fraternità putativa, ci uccidiamo a vicenda ancora più liberamente per

catturare l’eredità senza erede legittimo. Non è questione di sapere se siamo, possiamo o dobbiamo considerarci reciprocamente fratelli, ma di sapere di quale fraternità si tratta, in altre parole, di quale paternità, da quale Padre questa fraternità può giungerci. Il motto francese, nella sua rigorosa laicità, «Libertà, Uguaglianza e Fraternità», già problematica nei suoi due primi termini, resta illusorio, per non dire menzognero, nell’ultimo.

Perché la fraternità, ipotetica nel supposto “umanesimo” del mondo, non conduca alla guerra di tutti contro tutti, occorre addirittura riconoscere «la fraternità che il Padre comune ci propone» (n. 46). Occorre addirittura riconoscere

«... l’Altissimo, il Padre celeste» (n. 60) come il solo (Mt 23, 9). Anzi, l’enciclica dice letteralmente: «In realtà, la fede colma di motivazioni inaudite il riconoscimento dell’a l t ro , perché chi crede può arrivare a

riconoscere che Dio ama ogni essere umano con un amore infinito e che “gli conferisce con ciò una dignità infinita”... E se andiamo alla fonte ultima, che è la vita intima di Dio, ci incontriamo con una comunità di tre Persone, origine e modello perfetto di ogni vita in comune» (n. 85). Solo lo Spirito del Padre in Gesù Cristo ci consente di farlo (Rm 8, 15-17; Gal 4, 6); ed è per questo che l’enciclica si chiude con una preghiera allo Spirito: «Vieni, Spirito Santo!» (n. 287). Ma allora va da sé che l’eventuale desiderio di ogni essere umano di «amicizia sociale» acconsenta a questa

apertura trinitaria della fraternità in Cristo? Va da sé che «le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura» ritengano che ogni essere umano sia chiamato a «essere figlio o figlia di Dio»?

Le d i f f e re n t i religioni non differiscono forse proprio perché, eccetto il cristianesimo, non osano chiamare tutte le donne e gli uomini «figli di Dio», per adozione, in senso stretto? Oppure solo l’a l t ro v e , affidato certo ai

cristiani per tutti, lo rende pensabile e possibile in Gesù Cristo? Si è detto: «Solo un dio può salvarci». Resta da dire e da mostrare quale. L’enciclica può dunque dare l’impressione che l’i n t e r ro g a t i vo mondano sulla fraternità riceverebbe indistintamente una risposta dall’«amore sociale» e anche dalla carità trinitaria che lo Spirito riversa nei nostri cuori (cfr. Rm 5, 5). Che susciti riserve dipende dal fatto che lascia teologicamente implicita — proprio perché i destinatari, cristiani e soprattutto non cristiani, non l’ammettono, anzi la rifiutano — la ragione della fraternità dei cristiani: riconoscere un solo Padre, che è nei cieli.

Si tratta di una contraddizione? La preoccupazione pastorale di rivolgersi a tutti gli «uomini di buona volontà»

(da qui il voluto mantenimento del controsenso per una formula che va intesa, lo sappiamo, come «gli uomini a cui

Dio vuole bene, che Egli ama») porta ad attenuare lo scarto tra ciò che pensa, se pensa veramente, la vulgata globalizzata del mondo e ciò che Dio rivela in Gesù Cristo? Certamente no. Dopotutto, come mostra l’esegesi recente a proposito del discorso di Paolo sull’areopago (At 17), si può pensare che l’apostolato vada il più lontano possibile per avvicinare i punti di vista e costruire un passaggio, provvisorio e persino volontariamente ambiguo, che avvicini per esempio

gli “dei sconosciuti” e il Dio unico, al di là di ogni nome.

Dopo tutto la Rerum novarum e la Gaudium et spes ci hanno provato, non senza successo. Ma, come per Paolo, alla fine il discorso del cristiano deve ammettere come normale e inevitabile la contraddizione: ci sarà sempre chi si allontanerà dalla Risurrezione e chi, come Denys, l’accetterà. La contraddizione non sta nell’annuncio, ma nell’effetto dell’annuncio. Non designa una tensione nell’annuncio, ma il luogo in cui l’annuncio affronta la libertà di

ascoltare o meno. Ogni parola cristiana deve sapere non solo sopportare questa contraddizione con il mondo, ma anche

provocarla: perché è soltanto in essa che l’annuncio può sortire il suo effetto, provocare la fede o il rifiuto.


*Dell’Académie Française


Da “cristiani anonimi” a “Fratelli tutti” | Aldo Maria Valli

Da "cristiani anonimi" a "Fratelli tutti" | Aldo Maria Valli

Da "cristiani anonimi" a "Fratelli tutti"

Cari amici di Duc in altum, sono lieto di proporvi un contributo di padre Serafino Maria Lanzetta che collega la nozione di "cristiani anonimi" al centro della riflessione di Karl Rahner all'ultima enciclica di Francesco, Fratelli tutti, nella quale, scrive Lanzetta, manca Cristo, il Figlio di Dio, che ci rende figli del Padre e "c'è solo l'uomo che si affratella naturalmente agli altri uomini sulla mera base di istanze sociali o di un amore umano non ben precisato".
L'autore ha dedicato a questo tema anche una catechesi che si può ascoltare sul suo canale YouTube. E, sempre sul tema della Fratelli tutti, ha scritto un editoriale per il numero in uscita di Fides Catholica.
A.M.V.
***

C'è un'affinità di non poco rilievo tra i cosiddetti "cristiani anonimi" di K. Rahner (1904-1984) e l'ultima enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti. Ma anche un superamento considerevole della teoria teologica del gesuita tedesco nel discorso di Francesco sulla fratellanza universale. Vediamo perché partendo da un punto focale in entrambi che è l'uomo. Chi è costui?

«L'uomo – al dire di K. Rahner – è l'evento dell'auto-comunicazione assoluta di Dio». Questa è una delle espressioni più originarie del teologo tedesco che si trova nel suo Corso fondamentale sulla fede (or. 1974) e anche una delle più problematiche. Una sintesi della sua visione dell'uomo al centro della Rivelazione, non solo come colui che riceve, ma soprattutto come momento necessario di saldatura di Dio con il tempo e la storia. Per Rahner né si da un Dio che non si auto-comunichi né un uomo che non sia sempre uditore, luogo ed evento della Parola. Di conseguenza, Dio non ci sarebbe senza l'uomo e perciò l'uomo non potrebbe non essere in comunione con Dio. Per questo Dio è già in ogni uomo, che lo sappia o meno, che si ponga il problema o no. Importante è che sia sé stesso, che rimanga evento di Dio nel mondo.

Cosa intende Rahner per "evento"? Che Dio è presente nell'uomo come «termine della trascendenza», intesa quest'ultima come auto-trascendenza dell'uomo, cioè capacità di andare oltre sé stesso e di aprirsi alla totalità dell'essere e quindi a Dio. Ciò significa che noi conosciamo Dio come conosciamo noi stessi, nell'intima esperienza della libertà di scelta. Il termine (la nostra trascendenza) e l'oggetto (l'essere divino) coincidono. Quindi conoscenza, apertura dell'uomo a Dio e Dio stesso in fondo sono la medesima cosa.

Ciò che Rahner intende superare è un falso concetto teologico secondo cui il dono che Dio fa di sé stesso è o un evento storico o un'esperienza trascendentale. No, a suo giudizio il dono è entrambe le cose. Il Vangelo storico ci sollecita a rispondere, mentre la nostra risposta ci consente di trascendere quello che eravamo prima. Nella nostra esperienza intesa come auto-riflessione, auto-conoscenza e auto-trascendenza, riconosciamo Dio come colui che ci chiama, ci assiste e ci viene incontro.

Dio non lo riconosciamo più nella sua Rivelazione storica attraverso signa et verba (segni e parole divini), come vuole un sano approccio teologico al mistero. La Rivelazione diventa invece un'auto-comunicazione storica di Dio all'uomo attraverso la coscienza che l'uomo ha di sé in quanto aperto alla trascendenza; ciò in virtù dell'approccio trascendentale di Kant alla conoscenza, con il suo a-priori nelle dodici categorie conoscitive della ragion pura. Il tomismo rahneriano chiaramente non è quello di San Tommaso ma quello trascendentale del gesuita belga J. Marechal (1878-1944), a cui Rahner si ispira così da cucire insieme l'apriorismo conoscitivo di Kant e l'esistenzialismo di Heiddeger. L'uomo è aperto a tutto l'essere che poi è ciò che si dà come esistente, nel mondo, ma lo coglie in modo a-priori, prima ancora di conoscere le singole cose. Questo essere a cui l'uomo è aperto sarebbe già Dio, colto comunque in modo trascendentale e non ancora categoriale.

L'uomo perciò è aperto alla trascendenza in modo trascendentale, cioè in modo necessario e a-priori in virtù del primato del soggetto nella conoscenza. Tale apertura a Dio è resa possibile dal fatto che essa è sì insita nella conoscenza ma allo stesso tempo è anche una grazia, o meglio, più che grazia, è già presenza di Dio nell'uomo.

Questo legame indissolubile tra la presenza di Dio nell'uomo e l'apertura dell'uomo a Dio è dato dal cosiddetto "esistenziale soprannaturale": una geniale invenzione di Rahner ma difatti un tertium quid, un'aggiunta superflua. Esso è esistenziale perché è offerto a tutti: ogni persona è ordinata alla comunione con Dio. Ma è anche soprannaturale, perché la comunione con Dio sarebbe impossibile se Dio non ci avesse già dato la capacità di raggiungerla. Addirittura l'esistenziale soprannaturale viene definito da Rahner quale vero essere della persona umana ordinata alla comunione con Dio. L'uomo può protestare contro questa auto-comunicazione divina ma l'offerta e il dono è per tutti e accade quale esistente.

Salta chiaramente il concetto di potenza obbedienziale della natura, cioè la capacità della natura di obbedire a Dio quando la libertà dell'uomo si apre al dono della grazia in virtù della grazia stessa che muove la libertà. E salta anche il concetto di grazia quale partecipazione alla natura divina. Non c'è partecipazione ma auto-comunicazione. Salta la distinzione tra natura e grazia e tra grazia sufficiente e grazia efficace. La grazia, cioè Dio nell'uomo, non può che essere sempre efficace e quindi la salvezza è già in tutti. L'uomo è già in comunione con Dio in modo irriflesso o atematico. Se lo sarà in modo categoriale è bene e più santo certamente, ma non pregiudica il fatto stesso di esserlo. Quindi ciò non toglie che ogni uomo sia già in comunione con Dio.

Di più, l'auto-comunicazione di Dio non è solo un dono gratuito e una grazia. Ma è anche «una condizione necessaria che rende possibile l'accettazione del dono». Con il dono di Sé stesso, Dio renderebbe partecipe l'uomo anche del dono di ricevere il dono medesimo. Il dono e colui che dona sono la medesima persona dice il teologo tedesco. Per cui l'uomo in qualche modo è "obbligato" da Dio in modo libero ad accettare il dono di Sé. Dov'è pertanto la libertà di rifiutare la grazia o la libertà di scegliere un'azione cattiva? Infatti, per Rahner, l'uomo che sceglie in modo trascendentale è sempre rivolto a Dio e quindi fa il bene; in modo categoriale potrebbe invece scostarvisi e scegliere qualcosa di inferiore, che sarà tuttavia un bene "pre-morale". L'uomo in virtù di una "libertà fondamentale" o "opzione fondamentale", di cui Rahner è il capostipite, non può che scegliere Dio. De facto il peccato non esiste più e non va più attribuito alle singole azioni morali. Il vero peccato è l'opzione contro Dio, che comunque sarebbe impossibile in virtù dell'apertura trascendentale-esistenziale a Lui. Se sono tutti anonimamente santi e tutti cristiani che ne sarà del peccato? Sarà qualificato come una scelta sbagliata o una reminiscenza del passato e basta, ma non un'offesa (aversio) a Dio. Ci dice qualcosa questo oggi?

Riflettiamo ancora e guardiamo a questo discorso in modo prospettico. Se l'uomo è lui stesso il mezzo necessario dell'auto-comunicazione di Dio, non potrebbe succedere che un domani si dimentichi di Dio, di essere la sua auto-comunicazione e diventi invece solo auto-comunicazione di sé a sé stesso? Se cioè stanco di Dio o dell'essere solo in funzione dell'auto-comunicazione di Dio inizi a interessarsi solo di sé stesso o in ambito cattolico si inizi perfino a giustificare l'ateismo come un'opzione possibile perché umana? Rahner potrebbe essere preso talmente sul serio da superare anche la capacità trascendentale dell'uomo di essere aperto a Dio, finendo in una mera apertura dell'uomo all'uomo. Il rischio però è che l'uomo si accontenti di essere fratello di tutti anche senza saperlo o senza esserlo. E così arriviamo ai nostri giorni.

C'è senza dubbio una continuità ma anche una discontinuità tra Rahner e la Fratelli tutti. La continuità consiste nel fatto che l'uomo è al centro e Dio è un postulato della conoscenza dell'uomo; si dà come termine della trascendenza della conoscenza umana. Cioè un Dio in vista dell'uomo e non l'uomo in vista di Dio. Questo è il cuore della svolta antropologica rahneriana e della Chiesa dei nostri giorni.

La discontinuità consiste invece nel fatto che Rahner ha a cuore il problema dell'ateismo occidentale e vuole trovare una soluzione perché l'uomo sia in qualche modo orientato a Dio. Per il gesuita tedesco il Cristianesimo primeggia tra le religioni perché è accesso a Dio, è poter vedere Dio che rimane invisibile. Per la Fratelli tutti invece Dio non c'è e sembra che non ce ne sia bisogno. Manca vistosamente Cristo, il Figlio di Dio, che ci rende figli del Padre. C'è solo l'uomo che si affratella naturalmente agli altri uomini sulla mera base di istanze sociali o di un amore umano non ben precisato. Amore eros, filos, filantropico, agape: non è dato di sapere. Ciò che si sa è che non si tratta di un amore-caritas, l'amore che Dio ha riversato su di noi nel Figlio e che ci muove. Tutto è volto nell'enciclica di papa Francesco a superare la religione e a trovare un accordo tra gli uomini più duraturo, ma a-religioso o forse super-religioso. Tutti dovrebbero reputarsi fratelli, anche se non lo sanno.

La Fratelli tutti fa a meno di Dio e di Cristo, in un passaggio-chiave quando si spiega la parabola del Buon Samaritano: «In quelli che passano a distanza c'è un particolare che non possiamo ignorare: erano persone religiose. Di più, si dedicavano a dare culto a Dio: un sacerdote e un levita. Questo è degno di speciale nota: indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace. Una persona di fede può non essere fedele a tutto ciò [che] la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio e ritenersi più degna degli altri. Ci sono invece dei modi di vivere la fede che favoriscono l'apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di un'autentica apertura a Dio» (n. 74).

Sembra che si dica che adorare Dio e non adorarlo sia dopotutto la stessa cosa. Per di più, se l'adorazione porta alla chiusura del cuore è meglio tralasciarla per soccorrere con le nostre forze quell'uomo incappato tra i briganti. In realtà, la vera adorazione, quella che si dà al Padre in Cristo suo Figlio per mezzo dello Spirito Santo, non conduce mai ad ignorare il prossimo, anzi ne è la ragion d'essere e il nutrimento necessario. L'uomo di oggi fa a meno di Dio, ma la soluzione non sta nel dare Dio a tutti indifferentemente. Altrimenti rischiamo di renderlo superfluo e di iniziare a pensare con il mondo, che fa tutto come se Egli non esistesse.

Padre Serafino Maria Lanzetta

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Un libro da non perdere.

Nell'ora della prova (Chorabooks) di Carlo Maria Viganò, a cura di Aldo Maria Valli.

Per conoscere meglio monsignor Viganò, capire le sue ragioni, valutare la portata dei suoi interventi. Un libro che gli storici della Chiesa dovranno prendere seriamente in considerazione quando studieranno il pontificato di Bergoglio e ricostruiranno i drammatici passaggi che stanno caratterizzando questi nostri anni.

Nell'ora della prova può essere ordinato qui in formato cartaceo e qui in formato Kindle

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Vi ricordo poi il mio saggio Virus e Leviatano (Liberilibri, 108 pagine, 11 euro). Una riflessione sull'uso politico e sociale della pandemia. Ovvero, ecco a voi il dispotismo statalista, condiviso e terapeutico che minaccia democrazia e libertà.

Arrivato alla terza ristampa, lo si può acquistare qui, qui e qui oltre che su tutte le altre piattaforme per la vendita di libri e, ovviamente, nelle librerie.



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Friday, November 20, 2020

The catholic thing

The Catholic thing – the concrete historical reality of Catholicism – is the richest cultural tradition in the world. It was born from Judaism and, through that spiritual parentage, even reaches back into the great ancient civilizations of Egypt and Mesopotamia. In its early days, it confronted, absorbed, and redirected what was then the most sophisticated society in existence, Greco-Roman culture. When that culture fell, Catholicism preserved what it could and rebuilt the rest over centuries, incorporating new influences from Northern Europe and, during the great age of exploration, from the entire globe. Today, it numbers over a billion souls on every continent. Despite its all-too-human imperfections, there is simply nothing like it.


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Tuesday, November 10, 2020

Aforisma

motto della tradizione rabbinica che afferma "il sapiente sa quel che dice, lo stupido dice quel che sa"


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Saturday, October 31, 2020

TENEREZZA PER GLI “ULTIMI UOMINI”


TENEREZZA PER GLI "ULTIMI UOMINI"

di Pietro De Marco
Le tenerezze di una Chiesa che oscura la divina rivelazione servono davvero all'uomo che le riceve?
Dopo che papa Jorge Mario Bergoglio ha invocato la "copertura legale" delle coppie dello stesso sesso, un amico mi mette sotto gli occhi un testo, poi molto citato: "A coloro che [...] vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall'approvazione o dalla legalizzazione del male. In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell'equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest'ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva".
È un passaggio delle "Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra le persone omosessuali" pubblicate dalla Congregazione per la dottrina della fede il 3 giugno 2003, giorno della memoria dei santi ugandesi Carlo Lwanga e compagni, martiri – mi dice il dotto amico – perché avevano resistito alle pretese sodomitiche del loro re. Ma oggi a chi e a che cosa dovremmo opporci se – come scrive un teologo con cui, nell'amicizia, sempre dissento – "col papa il campo non viene più diviso in due parti contrapposte, verità e libertà, dovere e diritto"? Crede davvero l'opinione colta cristiana, antiagostiniana e antipaolina, che l'uomo stia galleggiando in una tiepida piscina curativa, dove non sono più né dramma né rischio per la coscienza e per la decisione?
Verità e libertà, dovere e diritto sarebbero pacificati solo in un uomo alienato da sé, in un formicaio virtuoso quale Dio creatore non ha voluto fosse l'umanità. Non è questo sogno, in nessun modo, il cristianesimo, non quello della Chiesa cattolica o delle Chiese ortodosse. Libertà e verità saranno sempre in conflitto nella nostra finitezza, e a niente serve, di fronte al fatto, la tentata distruzione della metafisica. Anzi, soltanto una Chiesa "katéchon" (2 Tessalonicesi 2, 6-7) potrà impedire che questa caduta dell'umano nella a-patía avvenga.
Questo "katéchon", nonostante la speranza di p. Antonio Spadaro su "La Civiltà Cattolica" del 4 gennaio 2020, non può essere costituito dalla Chiesa della visione di papa Francesco se – come proclama il gesuita – questa visione fa coincidere la "conversione" spirituale e pastorale con quella "strutturale". La lotta contro la "fine della storia" ha meno a che fare con strutture economiche e sociali che con i mondi ideologici e morali che penetrano e alienano le esistenze.
In questa luce appare tanto più erroneo, dopo decenni, il lavoro teologico rivolto a dimostrare che la fede e la Chiesa devono, per "rinnovarsi" (una tesi che si autodistrugge, poiché non può esservi novità in senso proprio nella temporalità di una Tradizione) accogliere anch'esse quel non senso, ovvero divenire la debolezza dell'"oltre il credere", come si esprime qualche autore. Una linea che accelera la fine senza che vi siano rigenerazioni.
Discutendo un po' vivamente con un'amica postmoderna tutta femminismo, libertà e diritti individuali, tutta "qui e ora", finitezza del vivere e eutanasia per tutti, mi capitò di sentirle fare l'elogio di Bergoglio, "questo papa che tanto mi piace". Sappiamo che l'apparire pubblico e l'irrefrenabile discorrere del papa – di cui è buon esempio la recente sconnessa sortita su omosessuali e unioni civili – funzionano come un lenimento sul diffuso nichilismo contemporaneo, come una sorta di giustificazione, non bastando al "vivere per la morte" dell'uomo postcristiano la falsa coscienza di essersi emancipato dalla verità. Ricordo spesso, di fronte alle soggettività sicure e smarrite nell'autosufficienza postmoderna, la previsione dell'"ultimo uomo" riformulata nel dopoguerra da Alexandre Kojève: ci avviamo ad essere – scriveva il filosofo – uomini protetti e sani che così si lasciano vivere, pura animalità felice senza storia e senza anima. Certo, ci sarà difficile proteggere allora la vita se cominceremo a pesare sulla nostra cerchia sociale, ma a quel punto, ci dicono, avremo vissuto abbastanza; cani e gatti, così "umani", vivranno più di noi. Papa Bergoglio sembra accorgersi di questa deriva del mondo occidentale, diagnosticata di nuovo da Fukuyama oltre trent'anni fa, ma la risolve nella manierata deprecazione dell'individualismo liberale, che riconduce poi all'egoismo degli interessi economici. La realtà è tutt'altra e la mancata diagnosi antropologica colpisce al cuore la strategia pastorale e politica del papa.
I difensori ed apologeti di Francesco, anche i più lucidi, non riescono ad usare altro argomento che il "metodo della dolcezza" e la "lode della fraternità", come forme nuove della verità cattolica e della funzione petrina. "Il papa riporta l'amore alla dimensione evangelica", leggo, a proposito delle sue esternazioni sul dramma omosessuale. Chi lo crede non ha mai letto i Vangeli: la "dimensione evangelica" dell'amore – e quale? eros, philia, agape? – implica il mio assenso ora alle nozze tra divorziati, ora alla coppia omosessuale e figure annesse? E domani a cosa altro ancora? All'incesto, al sesso infantile? E se le leggi che depenalizzano, quindi incentivano, questa o quella condotta portano il sigillo, il profilo di Cesare, non vi è forse la somiglianza di ogni uomo con Dio da proclamare? L'uomo-creatura, l'uomo essenziale che la Chiesa dichiara e protegge, è in questa somiglianza. Il "mistero grande" della coppia uomo-donna è in questo ordine primo e ultimo, che è poi quello trinitario (Hans Urs von Balthasar).
Qualcuno sostiene ancora una diagnosi molto diffusa già nel post-concilio, ovvero che cresce "il numero di quanti, per poter dare forma alla propria fede, devono mettersi se non fuori almeno ai margini della Chiesa"; ovvero che la Chiesa non è ancora un posto per credenti veri, al massimo lo è "per affezionati alle pratiche religiose". Ma la realtà diffusa è tutt'altra: gli "affezionati alle pratiche" sono una minoranza maltrattata dal parroco medio, l'ideologia pastorale e le pratiche parrocchiali sono da anni alla rincorsa di coloro che vogliono "dare forma" personalizzata alla fede. Perciò il papa si occuperebbe giustamente, secondo Giuliano Zanchi teologo e saggista di fama, del "credere di tutti", perché, indipendentemente dalla forma che la fede assume in ciascuno, "tutti possano credere".
È una considerazione anche acuta, questa, e forse condivisa dal pontefice, ma smentita da una lunga serie di riduzioni "universalistiche" della fede, anzi delle fedi, ad un minimo comune destinato ad essere la fede di tutti: utopismi sociali cristiani, esperimenti di religiosità liberale alla maniera di Lamennais, congressi mondiali delle religioni in stagione pre-modernistica, il vero e proprio modernismo cattolico, la stessa "religione" dei proletariati rivoluzionari e, dopo una pausa, la ripresa di visioni ecumeniche delle religioni ovvero delle "etiche" alla Hans Küng, hanno tutti preceduto questo disegno – o questa istintiva prassi? – di papa Francesco. Ma dopo oltre due secoli di scenari illusori, nessuna "religione perché tutti possano credere" ha preso corpo, neppure sul polo delle mistiche o su quello opposto delle etiche civiche. Una "vera religione", infatti, è esigente, fortifica e vincola, vuole amore a Dio, formazione e oblazione, chiede tutta la vita; non è l'emozione per una parola d'ordine condivisa messa a sbandierare al balcone.
Il coro attuale sulla novità di Bergoglio, che si arma di ennesime accuse di inadeguatezza alla Chiesa – ancora una "Chiesa dei no" nonostante la produzione di "sì" del pontificato – finge d'ignorare quanto la tradizione cristiana abbia assimilato le Sacre Scritture per trovare risposte alla continua oscurità della storia umana: che è storia redenta o appunto priva di risposte, come attesta la tragedia antica. La cura delle anime ha sempre ricondotto l'amore al Vangelo, ma restando libera dall'incantamento dell'"amour passion" o "amor concupiscentiae" di cui ogni umano ha esperienza ma che non può essere analogato all'amore a Dio e al prossimo che i Vangeli vedono incarnato in Cristo. Tra l'altro vi è qualcosa di paradossale nel pretendere di legittimare cristianamente l'"amour passion", i "fatti d'amore" romanticamente assunti come assoluti e abitati da Dio. Si può difenderne la libertà di fronte alla legge, estendendo la categoria di "fratellanza" dell'ultima enciclica anche alla relazione sessuale, come vuole il teologo Andrea Grillo? Amore filadelfico, dunque, o (più probabilmente) metafora oratoria senza corrispondenza nelle cose?
Torniamo al papa. Chiunque sia minimamente consapevole, entro e fuori la cultura cattolica, capisce che lenire l'ultimo uomo, quello della verbosa esibizione della propria sufficienza – cosa mai avvenuta nelle culture umane ovunque aperte all'oltre, al sacro – è l'opposto del messaggio cristiano e del doveri di verità che vi corrispondono sempre. Di fronte alla mezza-cultura della finitezza senza trascendenza, alla predicazione della felice immoralità del sé, di un niente ridicolo quanto ipersensibile, l'invito alla fraternità e alla socialità non può da solo guidare le anime a un recupero di senso e di profondità. Sono esortazioni che non intaccano l'arroganza triste dell'ultimo uomo, non oltre un'emozione. Le grandi idealità dei poveri, della fraternità mondiale, del Dio amore, occuperanno, nell'io contemporaneo desiderante gratificazioni a propria modesta misura, il posto e l'orario che si dedica alle parole: ritagli di dopolavoro.
Valorizzare contemporaneamente la "fede di tutti" per ottenere dalla confusione uno slancio universale verso la fraternità sarà, svanita l'emozione, aver svalutato la fede di ogni forte credente. Una fede religiosa è altra cosa. Pensarla nei termini di un comune denominatore antropocentrico – di fatto umanistico – non ha mai prodotto né produrrà alcuna nuova plausibilità del credere in coloro che non credono. L'Occidente cristiano è stato immerso per lunghi secoli nel percorso (nel nuovo tempo) di Cristo risorto e glorioso, nella storia universale, nel senso pieno e soprannaturale dell'esistere. Mai in un Dio "intimo" e ad un tempo assente, se non in minoranze. Quest'ultimo sembra invece essere il Dio che il papa raccomanda in "Fratelli tutti" (nn. 277- 280): un'utile credenza umana in un inerte legislatore del tutto, come nella cultura deistica. A cosa servirà?
È vero: non possiamo certo consentire con l'"essere per la morte" di uomini polemogeni, sprezzanti dell'uomo comune o "borghese", o di altra razza, pronti ad eliminare gli scarti dell'umanità o a farne – con lo stesso esito – un altro essere o un popolo nuovo. Ma neppure possiamo autorizzare con la misericordia l'"essere per la morte" di uomini che, accanto a noi, coltivano il non senso per prepararsi la buona morte chimica. Credo che la predicazione di papa Francesco finirà col confermare i mondi postcristiani nel non senso cui essi si condannano. E lenire il non senso non è neppure allestire il troppo famoso "ospedale da campo", è consentire all'ideologia della fuga in massa dal fronte della vita dotata di senso, dalla verità e pena della lotta che occupa il quotidiano di ognuno.
Non è assolutamente casuale, è anzi strutturale, che nei mondi postcristiani la "fraternità" – apprezzata a parole – cessi di fronte alla maternità non gradita, al malato terminale, all'anziano fuori di testa, domani all'adolescente con handicap grave. Un costume "monstrum" in cui si combina, senza contraddizione, la fraternità dei sentimenti e la complementare azione omicidaria dei comportamenti e delle leggi, cui quelle stesse persone "fraterne" contribuiscono come elettori.
Ora, questa umanità che corre sul piano inclinato della "vita buona" come metro di dignità, ovvero di legittimità a vivere, è solo lenita praticando il "come se Cristo non esistesse" della "Fratelli tutti". Non vi è salvezza nel "samaritanus bonus" del papa, ma palliativi esistenziali, personali e politici, che non si addicono alla Chiesa: la "sponsa Christi" non deve accompagnare le anime verso la loro morte ma deve affermare la verità di Cristo perché vivano. Un'evidenza che mostra quanto sia erronea la comoda "laicità" della separazione tra verità "religiosa" e prospettiva giuridica e politica, accolta da decenni dal cattolicesimo democratico e liberale. La Chiesa ha da sempre responsabilità e competenza sui dati antropologici ultimi – nascita, maschile e femminile, matrimonio, morte – poiché di essi ha quell'integra visione che è l'antropologia biblica. Non vi è nulla dell'uomo – la realtà creata per eccellenza – che, con l'oblio di questi capisaldi della concezione cristiana, non tenda a pervertirsi.
Ci si metta bene in mente: quando i cattolici, e settori del mondo riformato, combattono contro le innovazioni normative prodotte dalla vittoria dell'io desiderante sui compiti ordinanti ed elevanti del "Nomos", essi combattono per l'uomo, non "per la religione". In Italia si è combattuto a suo tempo anche contro l'elevazione a diritto delle "unioni di fatto", poiché era il nostro dovere. E la diversa posizione di Jorge Mario Bergoglio non può valere più di una opinione. Di certo non servirà all'uomo che la Chiesa falsamente umanizzi la verità di Cristo.
Invece di occuparsi di "unioni civili", per di più disseminando opinioni incoerenti, papa Francesco dovrebbe occuparsi di elevare la sua voce, in maniera formale e argomentata, contro la rottura in corso di ogni freno etico e legislativo nella liquidazione eutanasica di esseri umani. Questa immonda deriva riguarda il futuro dell'uomo in radice, e non vi è timore di contrasto con le autorità civili, olandesi o no, che tenga. "Hic Rhodus!", è qui il punto decisivo, non in una mitica battaglia del "popolo" contro la modernità economica e i delicati equilibri internazionali. Il cristianesimo ha sempre accompagnato le anime nella storia alla luce delle virtù teologali, invece di illuderle su un "altro mondo possibile". L'altro mondo è nella visione di Dio, qui è nella vita soprannaturale. Una "tenerezza" che si affermi senza orizzonte di fini e senza il Dio della rivelazione in Cristo non farà dell'uomo contemporaneo un generatore di umanità fraterna, ma un patetico disertore della storia in cui il Dio creatore lo ha posto. Verso la "fine della storia".
Chi si lamenta delle molte riserve e critiche nei confronti del papa deve rendersi conto che Sua Santità è attualmente allo scoperto, in una forma inedita e sotto ogni aspetto controproducente per Roma e per la Chiesa, per una somma di responsabilità e debolezze: la continua confusione di privato e di pubblico, la forma improvvisata e confusa degli enunciati nell'eloquio quotidiano come nelle sedi magisteriali, la palese ignoranza dell'insegnamento cattolico di cui dovrebbe essere custode. E tutto ciò, secondo molti, per dare corpo ai suoi progetti e ad una visione dell'ufficio petrino che appare strumentale ad essi. Bisogna pur dirlo, perché la scala a un tempo individuale e mondiale sulla quale Bergoglio intende sperimentare un nuovo volto della Chiesa – come luogo universale per "nuovi credenti", qualcuno azzarda – rischia già l'alterazione inconsulta della verità della Chiesa e della fede.
Certo il papa non vede che gli intelligenti che lo lodano utilizzano la "storicità" della Chiesa e dei Vangeli come argomento per liquidificare ogni paradigma cattolico – persino quello cauto del promemoria del cardinale Gerhard L. Müller del 23 ottobre, che Andrea Grillo considera "fondamentalista" – e assumersi nei confronti della divina rivelazione quella libertà che nella storia cristiana ha sempre condotto all'errore.
So di non osservare affatto quella "condescendance" nei confronti dei superiori che il misericordioso san Francesco di Sales – anche grande strumento di Dio nella conversione degli ugonotti – raccomandava negli "Entretiens". Ma il disordine di questo pontificato e il consenso deforme, innaturale, che si leva attorno al pontefice, sono tali da gridare al cospetto di Dio.


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Wednesday, October 07, 2020

Lev Tolstoy

"In order to get power and retain it, it is necessary to love power; but love of power is not connected with goodness but with qualities that are the opposite of goodness, such as pride, cunning and cruelty."


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Sunday, September 20, 2020

numquam nega, raro adfirma, distingue frequenter.



numquam nega, raro adfirma, distingue frequenter.


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St. Francis de Sales wrote that, in the spiritual life, we ought to be seeking the God of consolations, not the consolations of God.


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Saturday, September 05, 2020

Humanism and Christianity

Christopher Dawson, who challenged the notion that "for humanism to emerge, Christianity had to recede"


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Wednesday, August 26, 2020

トマス・アクイナス、『対異教徒大全』第1巻第二章11番(私訳)に次のように書かれている。




トマス・アクイナス、『対異教徒大全』第1巻第二章11番(私訳)に次のように書かれている。

"Secondo, perché alcuni di essi, quali i Maomettani e i pagani, non accettano come noi l'autorità della Scrittura, mediante la quale è possibile invece disputare con gli Ebrei, ricorrendo all'Antico Testamento. Quelli invece non accettano né l'uno né l'altro. Perciò è necessario ricorrere alla ragione naturale, con cui tutti sono costretti a piegarsi. Questa però nelle cose di Dio non è sufficiente.

「第二に、彼らのある者、例えばマホメット教徒や多神教の信者ら(pagani)は、彼らが従う ところの何かある聖典の権威では、我らと共通するものがない。例えば、我らは、ユダヤ 教徒に対しては旧約聖書に依拠して、異端者とは新約聖書に依拠して、論争することが出 来るのであるが、マホメット教徒や多神教の信者らは両聖書のどちらをも容認しない。こ れゆえに、すべての人が賛同を余儀なくされるところの、自然的理性の立場に戻ることが必要となる。しかしながら、この自然的理性は(ratio naturalis)、神的事柄においては不充分なものである。」

私はみている限り、多分あなたは博士論文で上記のようなことをやろうとしている。それとしては、結構なことだと思います。が、いくつかの問題点があると思います。以下は、その問題点を指摘してみたいと思います。これは、デフェンスに備えるコーチングとして役立つかもしれない。けれども、私の偏見と先入観に基づいたもので、役に立たなければ無視してください。

1)アクイナスと違って、あなたの出発点は、以下のようなものである


Per cui, rivolgersi ad essi parlando subito del Dio trinitario significherebbe negare il dio dei giapponesi, il che provocherebbe magari qualche piccolo conflitto fra di loro.

異教徒に三位一体を語ることは無意味であると。パウロはアテネ人にキリストの復活を語った際に無関心を買ったが、それはギリシア文化の否定でもなかったし、むしろギリシア文化との対話であったと言える。理解する人は少なったにしろ、それは無意味ではない。パウロは、プラトンやアリストテレス の哲学について語ることはできたが、そうしなかったことに深い意味があると思われる。当時のアテネ人よりも現代の日本人の中で、真の神に憧れる人は多いと私は確信しています。日本人にキリスト教のことに興味がないという見方は、私にしてみれば偏見に基づいたものです。残念ながら、パウロのように失敗を恐れないで適切に語れる人は少ない。

2)教義を語る前に「準備」が必要である。伝統的にPreambula fideiというのがある。しかし、これは自然神学や神学基礎論の分野に入るもので、教義神学のヘーディングの下で提出する博士論文には適切かどうかは、疑問を持つ先生方はおられると思います。

3) 「人間は万物の尺度である」。これは、古代ギリシアの哲学者プロタゴラスの名言である。ある意味ではすごく現代的である。現代人は神についてよりも人間について聞きたい。その気持ちは分からないでもないが、神学者の中でもそれに流されている傾向はみられる。K、ラーナーのAnthropologische Wendeは有名である。神を主題とするはずの学問である神学は、神について語るために人間を尺度にしなければとなると、これは神学のお手上げになりはしないか。


La teologia è antropologia
Feuerbach ammette con Hegel l'unità dell'infinito col finito. Ma questa unità a suo avviso, non si realizza in Dio o nell'Idea assoluta, ma nell'uomo, in un uomo che la filosofia non può ridurre a puro pensiero ma che deve considerare nella sua interezza .
E nella storia dell'uomo concreto la religione ha avuto sempre un ruolo fondamentale.
La filosofia non ha il compito di negare o ridicolizzare questo grande fatto umano che è la religione. Deve capirlo. E lo si capisce, afferma Feuerbach, allorché ci si rende conto che "la coscienza che l'uomo ha di Dio è la coscienza che l'uomo ha di sé". In altri termini, l'uomo pone le sue qualità, le sue aspirazioni, i suoi desideri al di fuori di sé, si estranea, si aliena e costruisce la sua Divinità.
La religione, dunque, è la proiezione dell'essenza dell'uomo: la religione, per Feuerbach, è un fatto umano, totalmente umano.
E' questo il senso della tesi di Feuerbach, secondo cui "il nucleo segreto della teologia è l'antropologia". L'uomo sposta il suo essere fuori di sé prima di ritrovarlo in sé. E questo ritrovamento, "questa aperta confessione o ammissione che la coscienza di Dio non è altro che la coscienza della specie", Feuerbach la vede come "una svolta della storia". Finalmente, nella storia, "homo homini deus est".

私見ですが、パネンベルクはヘーゲルの流域を充分に出ていないと思います。そして、日本のインテリでは、このフォイイェルバッハの誤解を信じているのは多い。



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Thursday, June 25, 2020

Bergoglio sul desiderio, Osservatore Romano


È appena uscito in Italia il libro «Cambiamo!» che raccoglie scritti degli anni Ottanta di Jorge Mario Bergo- glio. Pubblichiamo stralci tratti dalla seconda parte, intitolata «Uomini di desideri» e dalla sesta, dedicata al te- ma «I gesuiti».

Quando, nelle Costituzioni della Compagnia, sant'Ignazio par- la delle residenze e si dedica a descrivere «in quali modi si possano in questi luoghi aiutare le anime», indica i desideri: «Così pure, si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore». Questo riferimento al valore del desiderio non è casuale nella consuetudine spirituale di sant'Ignazio. Nella nostra spiritualità il desiderio ha un
luogo specifico, e alcune riflessioni su questo punto possono aiutare il progresso interiore nel contesto delle nostre preoccupazioni apostoliche. Sant'Ignazio dice che si può aiutare il prossimo desiderando davanti a Dio nostro Signore. Infatti i desideri, oltre che aspirazioni verso ciò che non abbiamo, sono presentimenti di ciò che avremo. I nostri desideri possono risultare illusioni, ma anche rivelazioni. Rivelazioni su quanto Dio vuole che gli chiediamo perché ce l'ha già concesso. Allora il contenuto dei nostri desideri si trasforma in simboli. I nostri desideri forgiano simboli, perché i simboli, così come i desideri, celano realtà mentre al tempo stesso le promettono.
Alcune opere apostoliche hanno la caratteristica di farci avvertire in un modo particolare l'insondabile vastità e profondità entro cui il piano di Dio ci colloca, e l'insufficienza di tutti i nostri orientamenti e sforzi per esserne all'altezza. La possibilità di desiderare nasce proprio là dove sentiamo di non farcela e di essere ai limiti delle nostre forze. È come se, mentre percepiamo i limiti della nostra azione, tentassimo di andare un poco oltre, proprio fin dove non siamo riusciti ad arrivare, con la buona volontà dei nostri desideri. Sant'Ignazio spiega questa possibilità agli studenti di Coimbra, ma ap- plicandola al caso dei limiti che la vita degli studi impone all'apostolato: «Il quarto modo di aiutare i prossimi, e il cui campo è immenso, consiste nei santi desideri e nella preghiera. E sebbene lo studio non vi lasci tempo per fare lunghe orazioni, pure si può compensare con i desideri».
Tuttavia i buoni desideri non sono soltanto un modo per spingerci oltre i nostri limiti, dove «non ce la facciamo»: essi possono anche precedere il nostro sforzo e, in questo senso, ne costituiscono uno dei fondamenti: «Sarà compito del rettore, dopo quello di sostenere tutto il collegio con le orazioni e i santi desideri [...]».

Desiderare e, a tal fine, sapere che cosa si debba desiderare, costituisce il punto di partenza della nostra collaborazione con il regno di Dio. In questo modo il desiderio si pone all'origine della nostra preghiera, del nostro aiuto al prossimo e della no- stra stessa vita di gesuiti. Della nostra preghiera, rispetto alla quale nostro Padre insiste sul fatto di andare a chiedere quello che voglio, sicché consiglia determinati cambiamenti «quando la persona che si esercita non trova ancora quello che desidera» (ES 89); delle nostre attività apostoliche, circa le quali il primo modo di manifestarsi consiste, come abbiamo detto, nella preghiera e nei santi desideri o, secondo una sintetica formula ignaziana, «in desiderose preghiere»; infine, il desiderio affonda le sue radici nell'origine stessa della nostra vita gesuitica: è bene ricordare quella domanda che Ignazio introduce nell'Esame affinché s'interroghi il candidato riguardo alla sua decisione a vestire la stessa veste e divisa di Cristo, subire ingiurie, false testimonianze, affronti, essere ritenuto pazzo: «Pertanto si dovrà domandare a ciascuno se prova simili desideri così salutari e fecondi per la perfezione della sua anima». Si può ben dire che la nostra vocazione alla Compagnia sia nata nel preciso momento in cui questo desiderio ci è sorto in cuore. Tant'è vero che sant'Ignazio riprende e continua quanto appena detto senza concedere tregua: «Chi, a causa della nostra debolezza umana e della propria miseria, non possedesse tali desideri così infiammati nel Signor nostro, deve essere interrogato se desidera in qualche modo di possederli». E siamo giunti ai «desideri di desideri».
Il desiderio appare dunque definitivamente radicato nell'origine più
intima del nostro essere e operare. Se si è compreso il desiderio di «totalità verso il fine» che caratterizza sant'Ignazio — e una versione di essa è la sua devozione per il magis —, ciò non stupirà. La direzione dei nostri desideri esprime l'orientamento profondo del nostro essere. Chi riesce ad addentrarsi nell'intimità dei desideri di un uomo potrà sviscerare ciò che quell'uomo vuole ed è nella vita, cioè la chiave segreta del suo destino. Il desiderio umano, soprat- tutto quanto più è intimo e profondo, racchiude la chiave segreta di ogni esistenza. E dunque in esso risiede il tesoro del cuore. Perciò Ignazio, in definitiva, mira a trasformare «fino ai nostri più intimi desideri», poiché nella misura in cui essi arriveranno ad ambire soltanto ciò che è di Dio, allora l'uomo sarà, con certezza, anch'egli di Dio. Solo in quel momento sarà possibile sperimentare come l'amore che ci muove e ci induce a scegliere discenda dall'alto, dall'amore di Dio (cfr. ES 184). Per lo stesso motivo sant'Ignazio, per ricavare da un uomo un autentico gesuita, un compagno di Gesù, non si accontenta della promessa che questi accetterà le umiliazioni che l'assimilano a Gesù quando esse verranno, bensì pretende da lui che le desideri, o, almeno, che «desideri desiderarle», come misura preventiva per collocarlo nel punto iniziale di quel movimento profondo del cuore che conosce una sola direzione e su cui non è possibile tergiversare.
Sebbene sia vero che il desiderio caratterizza e contrassegna l'intimità dell'uomo, non è soltanto questa la ragione per cui sant'Ignazio lo colloca al fondamento e all'origine stessa della nostra vita. Lo fa perché è Dio stesso a concedere i desideri originali e fecondi: «Dalla sua divina maestà, da cui procede ciò che desidera». Ciò significa che nello stesso desiderio che ci caratterizza in quanto uomini già è contenuto il segno indelebile dell'amore divino e della sua chiamata. Chi è capace di desiderare umiliazioni per assomigliare a Gesù, così come chi è capace di desiderare qualsiasi bene per il suo prossimo, è stato toccato dal Signore, perché è stato il Signore stesso a concedergli quel desiderio. Ecco che cosa dice sant'Ignazio a suor Teresa Rejadell nel suo tipico stile scarno: «Se riflette, potrà capir bene che quel desiderio di servire Cristo nostro Signore non proviene da lei, ma è donato dal Signore. Dicendo quindi: "Il Signore mi dà crescente desiderio di servirlo", lei lo loda, perché proclama il suo dono, gloriandosi in lui,
non in se stessa, perché non attribuisce a se stessa quella grazia».
***
Sant'Ignazio è un uomo che, entrando in contatto con il divino, riscrive la propria vita e quella dei suoi compagni secondo norme che egli credeva volute da Dio. Nei trentacinque anni che fanno seguito alla sua conversione c'è una coerenza interna che si mantiene sempre: è la coerenza del suo progetto. Il suo progetto non è una pianificazione di funzioni, non è un assortimento di possibilità. Il suo progetto consiste nel rendere esplicito e concreto ciò che egli aveva vissuto nella sua esperienza interiore.
Per questo è notevole leggere, nelle Costituzioni e nelle lettere che egli scrive, il continuo riferimento a «tempi, luoghi e persone». Ciò significa, da una parte, che la sua visione interiore è nitida, ha lineamenti definiti e ha raggiunto la densità di una configurazione capace di esplicitarsi. E, d'altra parte, significa che quella visione interiore non si imporrà sulle circostanze storiche cercando di riordinare la storia sulla base delle proprie coordinate. Se così fosse stato, essa si sarebbe cristallizzata in un «situazionismo» riduzionista, riconducendo tutto alle forme di quella situazione. La visione interiore di sant'Ignazio non si impone alla storia; dialoga con la storia degli uomini, che è storia di grazia e di peccato; cerca di riscattare la volontà di Dio dall'ambiguità della vita: realizzare la volontà di Dio è, per Ignazio, cercare la maggior gloria di quel Dio che si è fatto uomo e si inserisce nella storia degli uomini.
La storia di sant'Ignazio e dei gesuiti è una storia tragica nel senso etimologico della parola. Lo sanno tutti: gesuita nel dizionario è sinonimo di ipocrita. Problemi ce ne sono stati, e gravi; ci sono stati successi, e notevoli; ci sono stati persecuzioni e fallimenti. E non sono mancate leggende che hanno creato attorno a sant'Ignazio e alla Compagnia di Gesù un'aura carica di tutte le sfumature immaginabili. Addentrarci nella storia della Compagnia ci porterebbe a riflessioni che trascendono il contesto di queste pagine. Pertanto ho preferito concentrarmi fondamentalmente sul dialogo che sant'Ignazio e la primitiva Compagnia ebbero con la cultura e con i problemi del loro tempo: sono le loro origini e, inoltre, è un dialogo che risulta esemplare, tipologico, per tempi suc- cessivi.
Il Papa Paolo VI, rivolgendosi nel 1974 ai gesuiti, in uno dei discorsi più belli che un Pontefice abbia rivolto alla Compagnia, diceva: «Il pensiero va a quel complesso secolo XVI, nel quale si ponevano le fondazioni della civiltà e della cultura moderna, e la Chiesa, minacciata dalla scissione, dava inizio a una nuova era di rinnovamento religioso e sociale, fondato sulla preghiera e sull'amore di Dio e dei fratelli, cioè sulla ricerca della più genuina santità. Era un momento affascinato da una nuova concezione dell'uomo e del mondo, che spesso — anche se non è stato questo l'umanesimo più genuino — stava per relegare Dio al di fuori dell'orizzonte della vita e della storia; era un mondo che prendeva dimensioni nuove dalle recenti scoperte geografiche; e perciò, per tanti aspetti — sconvolgimenti, riflessioni, analisi, ricostruzioni, slanci, aspirazioni ecc. — non poco simile al nostro». Nella cornice di quell'epoca così ricca, la Chiesa affrontava il fenomeno della Riforma. Molte volte sant'Ignazio è stato definito il bastione della Controriforma. In questo c'è qualcosa di vero, ma l'affermazione non è così pacifica come potrebbe sembrare a prima vista. D'altra parte, quel fenomeno culturale religioso (la Riforma) incentivò la fedeltà del servizio di sant'Ignazio e lo condusse a lottare per l'unità cattolica.

Il gesuita guarda sempre l'orizzonte
Uno strumento che, alla luce della formazione ignaziana di Jorge Mario Bergoglio, aiuta a comprendere più profondamente l'intero pontificato di Francesco e a chiarire il forte appello al cambiamento interiore e di stili di vita da lui lanciato in questo tempo di pandemia da covid-19. È il libro Cambiamo! (Milano, Solferino, 2020, pagine 352, euro 17) nel quale viene per la prima volta tradotto integralmente in italiano un volume pubblicato nel 1987 con il titolo Reflexiones espirituales sobre la vida apostólica. Come spiega il gesuita Antonio Spadaro nell'ampia prefazione che apre questa nuova edizione, il volume accoglie articoli scritti da Bergoglio nel corso della propria attività di rettore del Colegio Máximo e delle sue Facoltà di filosofia e teologia tra il 1980 e il 1986, anno in cui fu inviato in Germania per proseguire gli studi teologici, dopo i quali cominciò il servizio di confessore a Córdoba. Fu questo, scrive il direttore di «La Civiltà cattolica», un periodo «di prova e di purificazione» e questi scritti sono «espressione di un tempo di passaggio» nel quale Bergoglio «ha maturato capacità di discernimento e di scelta. Seguendo il ritmo delle pagine si entra nello sguardo del Pontefice e si comprende meglio il suo modo di giudicare e di agire».
Il volume si apre con delle meditazioni sulla prima settimana degli Esercizi spirituali e, soprattutto, con alcune considerazioni sull'importanza di «aprirsi a un desiderio di Dio che allarga il cuore». Perché «bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre. Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita».
Reflexiones, chiarisce Spadaro, «è un invito alla ricerca, al cammino, al vivere un'inquietudine che ci libera dalle "reti e catene" — come scrive sant'Ignazio — dell'ipocrisia e del peccato. La conversione non è questione di "buona educazione" o di "bei modi": l'amore, dice Bergoglio, non è la cortesia, la pace non è la tranquillità. Convertirsi è l'impresa ardua di scoprire il tesoro della nostra vita». In un cammino, dove compagna fedele è la misericordia.
Il direttore della rivista dei gesuiti italiani sottolinea come nella lettura di queste pagine si trovi la chiave per comprendere che cosa abbia significato per il Pontefice essere membro della Compagnia di Gesù: la sua visione del discepolo di Ignazio «in estrema sintesi, è quella di un uomo "svuotato" di sé, che mette al centro Cristo e la sua missione; animato da grandi desideri, da una inquietudine generativa e da un pensiero incompleto aperto, guarda sempre l'orizzonte, il Dio che è sempre più grande della nostra capacità di pensarlo e immaginarlo». Confrontandosi con il santo di Loyola, Bergoglio fa propria la fondamentale importanza di un progetto di vita che sia coerente. Il progetto, spiega Spadaro rileggendo le Reflexiones, deve
«rendere esplicito e concreto» ciò che si vive nella «esperienza interiore», esso è «un'esperienza spirituale vissuta, che prende forma per gradi e che si traduce in termini concreti, azione», «dialoga con la realtà», «si inserisce nella storia degli uomini». Il Papa, prosegue, «avanza sulla base di un'esperienza spirituale e di preghiera che condivide nel dialogo e nella consultazione. Vive la stessa esperienza di Ignazio, che illumina il modo di procedere di Bergoglio come Pontefice». E questo modo di procedere «si chiama "discernimento"».
Infatti — si legge ancora nella Prefazione — «le azioni e le decisioni vanno radicate nel profondo e devono essere accompagnate da una lettura attenta, meditativa, orante, dei segni dei tempi. Per Bergoglio, il mondo è sempre in movimento: la prospettiva ordinaria, con i suoi metri di giudizio per classificare ciò che è importante e ciò che non lo è, non funziona. La vita dello spirito ha altri criteri».


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Thursday, June 04, 2020

De Lubac

from De Lubac. He once wrote that "I do not have to win the world, even for Christ: I have to save my soul. That is what I must always remember, against the temptation of success in the apostolate. And so I will guard myself against impure means. It is not our mission to make truth triumph, but to testify for it."


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Sunday, May 17, 2020

I. Bertoletti, Cattolicesimi italiani | Attualità | Il Regno

http://www.ilregno.it/attualita/2020/8/i-bertoletti-cattolicesimi-italiani-domenico-segna


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J. Milibank, Theology and social theory.

J. Milibank, Theology and social theory.



P. 13

I sought to show why, for reasons quite exceeding the political, a Catholic Christian account of reality might be entertained as the most finally persuasive one. But then, for both theological and historico-philosophical reasons, I sought also to argue that only a new embracing of such an account could free us from our contemporary historical deadlock.

P. 35

The pathos of modern theology is its false humility. For theology, this must be a fatal disease, because once theology surrenders its claim to be a meta- discourse, it cannot any longer articulate the word of the creator God, but is bound to turn into the oracular voice of some finite idol, such as historical scholarship, humanist psychology, or transcendental philosophy. If theology no longer seeks to position, qualify or criticize other discourses, then it is inevitable that these discourses will position theology: for the necessity of an ultimate organizing logic (as I shall argue in Part Four) cannot be wished away. A theology 'positioned' by secular reason suffers two characteristic forms of confinement. Either it idolatrously connects knowledge of God with some particular immanent field of knowledge – 'ultimate' cosmological causes, or 'ultimate' psychological and subjective needs. Or else it is confined to intimations of a sublimity beyond representation, so functioning to confirm negatively the questionable idea of an autonomous secular realm, completely transparent to rational understanding.

P. 140

Wittgenstein put it very well: 'in so far as people think they can see ''the limits of human understanding'', they believe of course that they can see beyond these' . 7

7 Ludwig Wittgenstein, Culture and Value, 15e. Immanuel Kant, Critique of Pure Reason, trans. Norman Kemp Smith (London: Macmillan, 1978) pp. 517–18.


Sociology's 'policing of the sublime' exactly coincides with the actual operations of secular society which excludes religion from its modes of discipline and control, while protecting it as a 'private' value, and sometimes invoking it at the public level to overcome the antimony of a purely instru- mental and goalless rationality, which is yet made to bear the burden of ultimate political purpose.

P. 241 (207)

Against many interpretations, and sometimes the protestations of these thinkers themselves, I shall contend that there is a drastic difference between the two versions of integralism: a difference that can be crudely indicated and misleadingly summarized by saying that whereas the French version 'supernaturalizes the natural', the German version 'naturalizes the supernatural'. The thrust of the latter version is in the direction of a mediating theology, a universal humanism, a rapprochement with the Enlightenment and an autonomous secular order. While these themes are not entirely absent from the French version, its main tendencies are in entirely different directions: for the nouvelle the ́ologie, towards a recovery of a pre-modern sense of the Christianized person as the fully real person; for Blondel, towards a similar reinstatement, but in terms which stress action, not contemplation, as the mode of ingress for the concrete, supernatural life.

P.295 (261)


Yet the obvious implication of 'many truths', or rather 'many incommensurable truths', is that every truth is arbitrary, every truth is the will-to-power.


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Friday, March 20, 2020

Filosofia comparata

Filosofia comparata



L'idea di una filosofia comparata presuppone diverse cose che non sono affatto evidenti. In effetti, l'idea della filosofia comparata sembra implicare che si potrebbe tracciare una linea di demarcazione relativamente chiara tra le varie tradizioni di pensiero che si propone di confrontare. È questo possibile? In effetti, l'aggettivo "occidentale" nell'espressione "filosofia occidentale", o l'aggettivo "giapponese" nell'espressione "filosofia giapponese" sono problematici in quanto sembrano suggerire che avremmo a che fare con blocchi di pensiero monolitici, relativamente stabili nel tempo ed esterni l'uno all'altro. Un tale approccio rischia di portare al suo interno un certo essenzialismo nella misura in cui si può essere tentati di identificare irriducibilmente aspetti giapponesi o occidentali nell'una e nell'altra tradizione al fine di poterli successivamente confrontare. Tuttavia, affermare che si possono confrontare queste tradizioni filosofiche implica che questi pensieri possono comunque essere tradotti, senza perdita di significato, da un linguaggio teorico all'altro. Ciò presuppone quindi una certa commensurabilità tra i pensieri confrontati e solleva interrogativi sulla loro alterità che a volte viene posta come radicale. La possibilità della filosofia comparata ha come questione principale la questione dell'universalità della filosofia. Se esiste una pluralità di filosofie incommensurabili l'una rispetto all'altra, ognuna essendo solo espressione di questa o quella cultura particolare, non c'è il rischio di ridurre la filosofia a un semplice fatto culturale contingente? Non dovremmo piuttosto concepire la filosofia come un progetto universale a cui i filosofi di ogni ceto sociale arriverebbero a contribuire?

Mia traduzione da:


https://www.academia.edu/keypass/YmMxYXlOa1VOOGRiaE0wYnlzem1RQ2ZDeXpkSVpiRllwZWtXNlNVd05QWT0tLVJ3bm4wbGdxVytYRFRkMUdNMmJaM1E9PQ==--c4c2a6b1ae4c439414d5858640d21a4f2a61d0ce/t/bkr5s-NJji3m9-87qtc/resource/work/39218415/Des_enjeux_dune_philosophie_comparée_Samuel_Marie._Université_Jean-Moulin_Lyon_3_?email_work_card=title


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Friday, March 06, 2020

Fwd: 感謝



---------- 転送メッセージ ---------
From: shinoda <k1211f0719shinoda@hera.eonet.ne.jp>
日付: 2020年3月6日(金) 0:12
件名: 感謝
To: ボナツィ神父様 <bonazziandrea@gmail.com>


ボナツィ神父様

 

先日頂戴しました黙想会報告概要を早速メール配信しましたところ、皆さまから感謝の辞が届いていますので、失礼ながらご紹介させて頂き改めてお礼を申し上げます。

(皆さんからいただいた感謝の辞)

・こんなに素晴らしいお話をして頂いていたのかと凄いものです。特に第一部のお話は凄いと感じます、これまで、ここまで深く突っ込んだおはなしを聞いたことはなかったです。

・聖書講座でもこのような構成のお話は聞いたことがありませんでした。

・難しく、所々しか理解できなかったのですが、篠田様の概要を読ませていただき、神父様のお話の内容が少しわかったような気がいたします。

・自分自身も悩み、考え神様のことをより身近に思い四旬節を過ごさせていただけそうに思います。

・充実した黙想会だったと感謝しております。ありがとうございました。心より御礼申し上げます。

 

感謝のうちに四旬節を過ごすことが出来ますように。

唐崎教会 篠田

Sunday, February 16, 2020

As Teilhard said: 'Our duty, as men and women, is to proceed as if limits to our ability did not exist. We are collaborators in creation.'


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Saturday, February 08, 2020

Monday, January 27, 2020

カール・グスタヴ・ユングのインタービュー

カール・グスタヴ・ユングのインタービュー

YouTube
人間のプシケ(魂、心、心理)は時空を無視する傾向がある。夢の中で、壁の後ろを見たり、空を飛んだりします。時空と関係なしに生きていけるような要素を持っている。歳をとった患者は、死は近いので意識したりするが、それが終わりだということを無視する。何百年も生きられるかのような態度を取る。それが健全だとユングはいう。我々はなぜ塩分が身体に必要なのかを意識せずに食べる、料理に使うと美味しく感じる。人間の心は無限に生きるかのように作られている、それはなぜなのかを知らないが、そのように生きるのは最も人間らしく生きることにつながる。


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La missione Saveriana in Giappone terzo periodo (1985-1999)

La missione Saveriana in Giappone terzo periodo (1985-1999)

1. 南部バプテスト連盟(Southern Baptist ConventionPlantatio eccl. Unapologetic Christianity. Reagan e Nakasone. A "special relationship".
2. 須磨、愛徳カルメル修道会、愛徳学園。神戸海星、マリアの宣教者フランシスコ修道会
3. 大阪市立大学 (京都大学の系列) 研究生 大学院生 佐藤全弘指導教授
4. 『春秋左氏傳』700250 a. C. 文藝春秋、春秋社など参照。碁。『天主実義』。「雖知、天主之寡其寡之益尚勝於知他事之多」() "Quamvis parum sit quod de Deo percipimus, tamen illud modicum est magis omni cognitionem quam de aliis habemus" (SCG I, 5). ACCOMODATIO.
5. 倖田露伴著、『評釈・猿蓑』、岩波文庫、1937年。リクエスト復刊、1991年。「はつしぐれ さるもこみのを ほしげなり」(芭蕉)。元禄(1688-1704)文化 L'età d'oro della cultura giapponese cfr. Kabuki, jooruri, ukiyoe, haiku, ecc.
6. カント、『判断力批判』(Kritik der Urteilskraft)。カント神社。
7. 『カントの理性信仰と比較宗教哲学 : 諸宗教間の対話への哲学的基礎付け』 著者Bonazzi, Andrea [著] 出版年月日1994請求記号UT51-94-V234書誌ID(国立国会図書館オンラインへのリンク)。Su Amazon 5 usati da 2100 a 16000 yen.
8. 和歌山信愛女子短期大学
9. 英知大学。キリスト教学、神学基礎論、宗教現象学、宗教史学、夏季神学講座、カトリック研究講座 チャプレン 
10. 神戸海星大学
11. 野の百合会 (百合学園) Sr 成弘 没2015 受洗者220
12. 1987年に「福音宣教推進全国会議(NICE: National Incentive Convention for Evangelization)」を開催。そして、199310月に、第2回福音宣教推進全国会議(NICE2)が「家庭の現実から福音宣教のあり方を探る――神のみ旨に基づく家庭を育てるために」を課題として長崎で開催されました。



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Thursday, January 23, 2020

創世記と漢字

創世記と漢字


漢字は5、6千年古い、人類の一番古い記憶を書きとどめている。

造 言葉と運動 告げると辶(しんにゅう)
福 ゴッド 一人に語って(口)庭に置いた
園 土を取って口でふいて口の下に左は人 右はアダムから取った女 周りは庭
禁 示 命の木と善悪の認識の木
悪魔 鬼 庭があって上に動きがある 誰かが来た ル ム 密かに 林に来た カバー 誘惑
婪 ラン Evaは欲しがる greed
困 バウンダリーの中の木 誘惑の難しさ
罪 四つの非(うそ)蛇とEva
裸 衣と果物
アダムは隠れる、身を躱す [みをかわす (miwokawasu)]

愧じる [はじる (hajiru)] 悪魔心に入った
アベルとカイン 兄は兇(キョウ)となった 人類最初の兇漢
カインのマークは凶 殺人者
船 八 人
バベルの塔 人は一言語=合 草と土
乱 乱れる 舌と右足
分散 八世代 ナイフ
遷 移住 大と已(分ける)西から東(中国)へ
犠 犧 レビ記 牛と羊 秀(完全)でなければならない 弋 槍でイケニエにして




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Wednesday, January 22, 2020

Such “niceness” is in no way a part of Christian morality.  It is…


Such "niceness" is in no way a part of Christian morality.  It is a distortion of the virtues of meekness (which is simply moderation in anger – as opposed to too much or too little anger), and friendliness (which is a matter of exhibiting the right degree of affability necessary for decent social order – as opposed to too little affability or too much). 


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Saturday, January 18, 2020

Preghiere nuovo messale

The traditional Missal has 1,183 orations. However, in the new book 760 of those prayers were obliterated. Of the survivors, half were edited. Only 17 per cent of prayers from the traditional Missal made it into the Novus Ordo unscathed. The edited prayers and new compositions systematically eliminated or avoided concepts such as guilt, sin, judgment and propitiation.


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