Monday, December 22, 2008

うわさが真実と矛盾している場合、「人はうわさを基に意思決定を行う」との研究

Gossip as an alternative for direct observation in games of indirect reciprocityRalf D. Sommerfeld*,†, Hans-Jürgen Krambeck*, Dirk Semmann‡, and Manfred Milinski*

*Department of Evolutionary Ecology, Max-Planck-Institute for Evolutionary Biology, 24306 Plön, Germany; and ‡Faculty of Mathematics, University of Vienna, A-1090 Vienna, Austria Edited by Vernon L. Smith, George Mason University, Fairfax, VA, and approved August 21, 2007 (received for review May 16, 2007)

Abstract

Communication about social topics is abundant in human societies, and many functions have been attributed to such gossiping. One of these proposed functions is the management of reputations. Reputation by itself has been shown to have a strong influence on cooperation dynamics in games of indirect reciprocity, and this notion helps to explain the observed high level of cooperation in humans. Here we designed a game to test a widespread assumption that gossip functions as a vector for the transmission of social information. This empirical study (with 14 groups of nine students each) focuses on the composition of gossip, information transfer by gossip, and the behavior based on gossip information. We show that gossip has a strong influence on the resulting behavior even when participants have access to the original information (i.e., direct observation) as well as gossip about the same information. Thus, it is evident that gossip has a strong manipulative potential. Furthermore, gossip about cooperative individuals is more positive than gossip about uncooperative individuals, gossip comments transmit social information successfully, and cooperation levels are higher when people encounter positive compared with negative gossip.

うわさが真実と矛盾している場合、「人はうわさを基に意思決定を行う」との研究 結果が、15日発行の米科学アカデミー紀要(Proceedings of the National Academy of Sciences、PNAS)に発表された。
 研究を行ったのは、マックスプランク進化生物学研究所(Max-Planck Institute for Evolutionary Biology)の生物学者、ラルフ・ゾンマーフェルト(Ralf Sommerfeld)氏 率いる研究チーム。同チームは、ある人の評判に関するうわさが、その人に対する 態度にどのように影響するかを調査した。  調査の一環として、研究チームはある実験を行った。実験では、126人の大学生に それぞれ10ユーロ(約1700円)を与える。コンピューターゲームを用いて、各学生は ほかのメンバーに対し、決められた額(1.25ユーロ、約210円)の寄付金を渡すか 渡さないかと選ぶ。  次のラウンドでは各学生に対し、前ラウンドでの相手の行動、特に寄付の有無を 示したメモが渡される。相手が前ラウンドで寄付したとのメモを受け取った学生は、 自らも寄付する傾向にあったという。  さらに別の実験が行われた。学生に直近のラウンドでの相手の行動を示す リストを渡すと同時に、そのリストに書かれた事実に反するうわさを流した。 すると驚いたことに、学生は確固たる事実であるリストではなく、うわさに 導かれて意思決定を行う傾向が見られた。
 「人はうわさに左右されやすい。自分の目で見たものと反していても、うわさの ほうを信じる」とゾンマーフェルト氏は語る。うわさは有益な情報収集手段として 発展してきた経緯があるため、人はうわさにある程度の信用を置くというのだ。  実験結果から、ゾンマーフェルト氏は「人がうわさなどの口コミ情報を基に意思 決定を行ってきたことがわかる」とし、「特に他人について、直接的な情報よりも 間接的な情報が多く得られるような環境では、そうした意思決定プロセスが 多く見られるはずだ」と指摘している。  その場合、人はさまざまな情報源から得られるうわさを、間接的な情報として できるだけ多く収集しようとする。「そうすることで、他人について収集できる わずかばかりの直接的な情報から導かれる人物像よりも、いっそう鮮明な 人物像を描けるようになる」と研究チームはまとめている。
ソース AFP http://www.afpbb.com/article/environment-science-it/science-technology/2298836/2248510

E' piu' facile credere a una bugia che alla verita'

Pettegole sono le lingue dalla notte dei tempi, che si sparli dei compagni della tribù o si chiacchieri sulla star del momento: il gossip è parte di noi e, forse, è uno dei motoriche hanno hanno fatto evolvere il cervello. Se i maschi hanno sempre potuto contare sui muscoli, le femmine hanno risposto con i primi gruppi sociali, basati sulla cooperazionee, soprattutto, su forme di comunicazione molto intense. Il linguaggio - sostiene Nicole Hess della University of California at Santa Barbara - è nato come forma di difesa intelligente contro la forza bruta, come il gossip, appunto: è stata l’arma per creare o distruggere lo status degli individui, forgiando forme di potere continuamente variabili. È un principio che non abbiamo più dimenticato. «Sono coinvolti due aspetti chiave della psiche - sottolinea Massimo Di Giannantonio, psicologo dell’Università “D’Annunzio”di Chieti -: autostima e narcisismo. Dire male dell’altro non è che un modo indiretto per dire bene di sé». Ed è per questo che l’oggetto preferito del gossip sono i coetanei dello stesso sesso, come dimostrano gli studi di Jerome Barkow della Dalhousie Universityin Canada. L’ha spiegato sul Journal ofApplied Social Psychology: dopo aver fornito a un campione di individui notizie su una seriedi persone a loro sconosciute, ha fatto una serie di domande trabocchetto. È emerso che adoriamo spettegolare su individui simili a noi e che gli argomenti preferiti sono quelli più utili alla nostra ascesa sociale. In realtà, però, non è solo una questione didebolezza o mediocrità. Secondo l’analisi presentata su Personal Relationships da JenniferBosson dell’Università di Tampa, Florida, malignare aiuta a stringere rapporti congli sconosciuti e rinsalda quelli con gli amici. L’ha scoperto mostrando a un gruppo di persone molto eterogenee alcuni video di conversazioni a due: gli estranei solidarizzano più facilmente quando si tratta di dare un giudizio negativo sui protagonisti dei film. Ed ecco che, così, si torna all’alba del genere umano: il gossip - sostiene Roy Baumeister del dipartimento di psicologia della FloridaState University - aiuta a tracciare i confini tra chi fa parte di un clan e gli outsiders e acomprendere le regole di convivenza. Se molte teorie confermano che il pettegolezzo è donna, in realtà - aggiunge Di Giannantonio- l’evoluzione ha condotto a un «pareggio». Lei e lui lo praticano in uguale misura, sebbene su argomenti diversi: le donne si concentrano su sesso, corpo e abbigliamento, gli uomini prediligono denaro e lavoro. Di certo, a scatenare l’attenzione nel villaggio globale del XXI secolo sono sempre più le celebrità, da quelle televisive di piccolo calibro, fino ai divi veri, da Hollywood al business e ai super-ricchi. Uno studio di EtaMeta Research, realizzato da psicologi e psicopedagogisti, rivela che tv e new media non possono farne meno: ogni 11 minuti va in onda un pettegolezzo, ogni 15 un presunto scoop amoroso, ogni 23 uno “scandalo” su un personaggio pubblico. I famosi, così, fanno scattare un meccanismo complesso: se ne parla tanto per un profondo desiderio di identificarsi in loro e, dato che il sogno è destinato a restare irrealizzabile, si finisce per parlarne male. [...]Il pettegolezzo, quindi, non solo è un’arma,ma è potentissima: spesso ha più presa della realtà dei fatti. Lo dimostra un test sulla rivista Pnas di Ralf Sommerfeld del Max PlanckInstitute di Plon, in Germania. Messe in condizionedi formarsi una propria opinione su un certo individuo, le sue cavie hanno dimostratodi credere più volentieri alle maldicenze che ai loro stessi occhi. Se così è, il gossip dovrebbe anche spaventarci. E invece no.Tra Facebook, YouTube, reality show e carta stampata, non sembriamo avere paura dimetterci in mostra e rischiare di trasformarci nell’oggetto della chiacchiera universale. Perduti i valori condivisi, stiamo regredendo alla condizione primitiva: le società impersonali e ier-tecnologiche sembrano fatte apposta per il gossip. Come se vivessimo ancora ai bordi di una caverna.

Paola Mariano, Ilfoglio 22 dic 2008

Wednesday, December 17, 2008

Natura, cultura e creaturalita'

Il dualismo di natura e cultura viene interpretato secondo due modalita' sbagliate: cultura contro natura, o cultura secondo natura. Nella prima modalita' la cultura e'una mega-macchina, come dice Serge Latouche, di dominio e di distruzione; nella seconda modalita' invece, l’uomo si consegna a un presunto ordine naturale che e' al di sotto della liberta' della responsabiュlita' e della sua creativita'. Siamo la coscienza, la voce, i custodi del mondo naturale, non i suoi imitatori o i suoi sudditi.

La visione dell’essere umano come creatura risale al di qua della differenza tra credenti e non credenti, riguarda cio' che e' gia' sempre comune a tutti. Non obbliga a presupporre la dimensione sovrannaturale. La creaturalita' umana, che chiunque puo' riconoscere, non e'una terza dimensione oltre natura e cultura, e' la vocazione di entrambe. Il suo nucleo sta nel fatto che, come tutti i viventi, riceviamo l’esistenza in dono, non la decidiamo ne' la fabbrichiamo. Tale dono, sulla cui provenienza ognuno sviluppera la sua idea o la sua fede, affida proprio a noi la responsabilita' di imparare a vivere in modo creativo. Creativo significa non distruttivo. Dobbiamo rinunciare a usare mezzi mortiferi nella vita interiore e interpersonale, nella politica e nel rapporto con la natura. Gli effetti benefici di questo risveglio sono fondamentali. Intanto perche' solo scoprendo l’essere creatura come condizione radicale comune impareremo a superare quello che ci divide. E poi perche' solo chi assume la propria creaturalita' diventa fino in fondo persona: un soggetto libero, capace di esistere con amore e con speranza, cosi' da rinnovare il volto della terra.

Monday, December 15, 2008

Auguri di Natale 2008

Glória in excélsis Deo et in terra pax homínibus bonae voluntatis

              

“GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e PACE agli UOMINI…”
“La pace tra gli uomini nasce dalla Gloria che essi danno a Dio; la Gloria di Dio e’ la sola vera pace degli uomini. Nella notte di Natale, mettendoci in ginocchio davanti a Dio fattosi uomo tra gli uomini, compiamo l’atto piu’ diretto, piu’ costruttivo, piu’ creativo della fraternita’ umana” (L. SUENENS) BUON NATALE

"Glory to God in the highest, and peace on earth to people ...!"

"Peace among people is born from the Glory that they give to God; the Glory of God is the only true peace for people. On Christmas Night when we genuflect before God become man among men, we perform the more direct, constructive, creative act towards human brotherhood" (L. SUENENS) MERRY CHRISTMAS

天のいと高きところには神に栄光、地には善意の人に平和あれ。

「人々の間の平和は、神さまにささげられる栄光から生まれる。神の栄光は人々にとって唯一の真の平和である。クリスマスの夜、私たちは人間となった神の前で跪くとき、私たちは兄弟愛へ向けての最も直接な、最も建設的な、最も創造的な行為を行っている。」(L. SUENENS) 御降誕おめでとうございます

Wednesday, December 10, 2008

Scienza e metafisica

Un primo grande problema è quello del rapporto tra fisica e metafisica, ovvero: le formulazioni della fisica, espresse come relazioni matematiche, sono ‘pure’ (riferite esclusivamente all’esperienza) o risentono di costruzioni metafisiche più o meno ‘invadenti’ dalle quali non possono prescindere? La risposta a questa sola domanda richiederebbe uno spazio ben più ampio di quello di una recensione; si può tuttavia considerare una sintesi efficace (anche se non universalmente condivisa, né definitiva – la parola ‘definitivo’ è bandita dal vocabolario della scienza come da quello della filosofia) l’opinione di Einstein al riguardo: “la vera difficoltà sta nel fatto che la fisica è un tipo di metafisica; la fisica descrive ‘la realtà’. Ma noi non sappiamo cosa sia ‘la realtà’, se non attraverso la descrizione fisica che ne diamo” (Lettera di Einstein a Schrödinger del 1935, citata in V. Allori, M. Dorato, F. Laudisa, N. Zanghì, La natura delle cose. Introduzione ai fondamenti e alla filosofia della fisica, Carocci, Roma 2006, p. 13). Per Robert Millikan, premio Nobel nel 1923, “la scienza [...] cammina su due piedi: la teoria e l’esperimento. A volte è un piede ad andare avanti per primo, a volte l’altro; ma un progresso continuativo si ottiene soltanto tramite l’uso di entrambi” (citato in R. Oerter, La teoria del quasi-tutto. Il modello standard, il trionfo non celebrato della fisica moderna, Codice, Torino 2006, p. 138). Ancora per Einstein, non esiste alcuna osservazione senza una teoria che la guidi: “è la teoria che decide cosa dobbiamo osservare” (W. Heisenberg, Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1920-1965, Bollati Boringhieri, Torino 1984, p. 73). La cosiddetta ‘osservazione’ “è una questione complicata e carica di teoria” (J. Bell, Speakable and unspeakable in quantum mechanics, University of Cambridge, Cambridge 20042, p. 215). E via discorrendo.

Faraone, Dario, Scienza e metafisica. L’impossibile equazione.Roma, Armando, 2008, pp. 80, € 8,00, ISBN 9788860813299.
Recensione di Paolo Calabrò - 16/9/2008

Carita’intelletuale

Antonio Rosmini e in primo luogo un esempio di “carita intellettuale, un’espressione da lui stesso coniata, per troppo tempo dimenticata e rivalutata solo negli ultimi dieci anni”.

Cfr. Opere di misericoridia spirituali

Thursday, November 27, 2008

Creazione come improvvisazione musicale 即興としての創造

Per usare una metafora musicale utilizzata da Arthur Peacocke, la 'fuga' della creazione non e' l’esecuzione di uno spartito fisso gia scritto nell’eternita' ma e'un’improvvisazione che si dispiega meravigliosamente al quale partecipano il Creatore e le creature. L’equilibrio raggiunto tra l’orientamento del Creatore e l’indipendenza delle creature e' una questione delicata, non facile da definire. E' una questione teologica ben conosciuta, in quanto e' semplicemente quella della grazia e del libero arbitrio, ma estesa all’intero cosmo.


Il fisico John Polkinghorne su Avvenire 26/11/2008

Thursday, November 20, 2008

“Non contineri a maximo et tamen non coerceri a minimo vere divinum est”

Non contineri a maximo et tamen non coerceri a minimo vere divinum est” (gesuita polacco del ‘700)

「最大のものに限られず、それでいて最小のものに抑制されない。それはまことに神的なものである」

Wednesday, November 19, 2008

Skepticism, Pluralism and Metaphysics

Skepticism, Pluralism, and Metaphysics


Metaphysics is the cognitive department that has problems with which it does not get finished. . . . To have problems with which one does not get finished is irritating for the theory of science, but normal for humanity. Skeptics, in my view, are people who put up with irritations in the theory of science in the interests of human normality. For them, metaphysics -- not getting finished with problems -- is precisely not an opponent, but a human state of affairs, so that for skeptics, who opt for what is human, there can never be too much metaphysics. There are human problems in regard to which it would be antihuman, and thus an error in the art of living, to solve them. The skeptical art of not committing these errors in the art of living is metaphysics; and professional metaphysicians are people who have painstakingly and successfully learned not to get finished with problems. Here, precisely, is where their value lies. Of course, someone who gives no answer at all to a problem finally loses the problem, which is not good. Someone who gives only one answer to a problem thinks he has solved the problem and easily becomes dogmatic, which is not good either. The best thing is to give too many answers. That approach . . . preserves the problem without really solving it. There must be a thousand answers -- perhaps, in the Orient, a thousand and one, and in Spain a thousand and three. Abstinence in answering and monism in answering are harmful; what is beneficial is an exuberantly debauched answer-life -- which, for the most part, already exists, as the history of metaphysics, which consequently is the organon of skepticism. That is why the skeptic is enamoured of the metaphysics that produces so many answers that they neutralize one another, reciprocally, and in just that way (divide and think!) leave the problem open, so that the experience of metaphysics, overall, is like that of the lion-loving lion-hunter who, when he was asked how many lions he had already brought down, could admit that the answer was none, and received the consoling response that with lions, that's already a lot. That is exactly what happens to metaphysics (which is why the skeptic likes metaphysics). . . . The number of its problems that it has solved is none. But for human beings, that is already a lot.


Source: Odo Marquard, In Defense of the Accidental: Philosophical Studiestr. by Robert M. Wallace (New York and Oxford: Oxford University Press, 1991), pp.24-25.

Monday, November 17, 2008

日本の司教のリーダーシップ

日本におけるカトリック教は、信者の中に各界の代表的な人物が少なくないにもかかわらず、総人口の1パーセントに遠く及ばない信者数の乏しさということもあり、また、教会の指導的地位に立つ人々が、世俗の目から見ると必ずしもそうは思えないという聖俗の価値判断の落差の大きさによるショックもあってのことであるが、教会が団結して反戦運動をするというような力もなかったし、いまもないという状態であって、社会的影響力は微弱である。これは、ひとつには教会の古くからの伝統として、比較的古い信者の家柄から司教を選ぼうという慣習があって、初期の日本大司教が聖人であっても文化的社会からは隔絶した風土の中から選ばれたという事情にもよるであろうが、いまひとつは、信者たちが縦のつながりを持ちたがらない傾向があった。日本のような旧来の風習が強く残存する縦社会の場合、むしろカトリック社会でのこの極めて弱い縦の関係のほうが騒ぎが起きなくてよい、という意見も多い。」(148-149頁)

「司教団としては、日本のカトリック学校のもつ前述の屈折した一種の不信感を不従順とか傲慢と取らずに、冷静に汲み取り、対話を続けるだけの寛大な父性(paternitas)をもたなければならない。しかし、はたしてその器量をもっているかどうか。」(151頁)

「教会ないし司教団は、もし派遣者であるとか認可者であると言おうとするならば、つまりは教会法的な権威を持ちたいのならば、苦しい台所事情はあるにせよ、せめて数億円くらい出して、それを基に広く寄附を求めるべきであろう。その小さな額からの積み重ねが、もしかするといくつかの大聖堂を建立する以上に大切で、天主の宿る神殿を世界の未来を担う大勢の少年少女たちの胸に建立することになるのではないか。そうするとき、はじめて大勢の人々が信者として大聖堂を満たすときもあろう。信者の数は問題ではないというが救われる人の数の多いほうがよい。」(155頁)

{今道友信 『超越への指標』 ピナケス出版 2008年) 

音楽とキリスト教  および日本教

「明治維新の和魂洋才によって取り入れられた西洋文明のなかでも、音楽は以前のものを否定し、まったく取って変わるような結果になったものの代表ではないかと思われる。日本クラシック音楽界は追いつけ追い越せで突っ走ってきた。小澤征璽氏がオペラの殿堂、ヴィーン国立歌劇場の総監督に就任したことからも、日本人が西洋音楽を演奏することができるかという実験は一応成功だったと言えるだろう。しかし音楽とは住んでいる家や建築物、衣服、書いている文字、ものの考え方や感じ方、宗教などと切り離して考えられるものではない。西洋音楽を教育されたとしても、それは本当には日本人の他の表現とはあまり密接でない借り物である。宴会や親戚の集まりで、シューベルトの歌曲やオペラのアリアを歌うということはない。お祭りでワルツを踊るということもないのである。だとすれば私たちがもっているのは教養としての音楽の知識、受動的な鑑賞であり、「音楽」そのものではないのである(注1:小泉文夫 『日本の音』 平凡社 1994年 82頁)。」(202頁)

「音楽は国際的言語であるという楽観論が強調されていたが、逆に音楽はよその民族には全然わからないものでもある(注3:小泉文夫・團伊玖磨 『日本音楽の再発見』平凡社2001年 61頁)。(203頁)

「唱歌教育を実施するにあたっては、キリスト教が入ってくるのではないかという大変な危惧があったようである」(210頁)

「日本に西洋音楽が移植された経緯を調べてみると、どういう立場に立っているかで見方は変わってくる。キリスト教側からみれば、キリスト教を受け入れる下地作りとしての賛美歌を歌うための土台、つまりドレミの音感を植えつけることに成功したと言えるし、日本人が唱歌として馴染んできた歌は、賛美歌が元歌になっていて、「きよしこの夜」「いつくしみ深き」など抵抗感なく誰にでも歌われている賛美歌まである。日本にはいくつもオーケストラがあり、キリスト教の宗教曲が好んで演奏されている。だからといってキリスト教化したというわけではない。むしろ西洋音楽とキリスト教の結びつきにはあえて触れず、癒し効果などをもたらすものとして捉えようとしたりする。またこれを邦楽関係者の視点で見れば、嘆かわしい状況であろう。ドレミの音感に塗り替えられてしまったものは、到底元にはもどせない。」(220頁)

「2001年9・11以降、欧米中心の世界観は少しずつではあるが転換してきていると私は感じている。音楽においても芸術としての教養、知識に留まらない、私たちの音楽を、地に足をつけて、再発見していきたいと願っている。」(220頁)

黒川京子、「明治期の西洋音楽の受容」、『キリスト教をめぐる近代日本の諸相』、オリエンス宗教研究所、2008年 所収。

Wednesday, November 12, 2008

日本教

「一定の時間的順序で入って来たいろいろな思想が、ただ精神の内面における空間的配置をかえるだけでいわば無時間に並存する傾向をもつことによって、却ってそれらは歴史的な構造性を失ってしまう」(丸山真男)。「日本人は、自分たちがどの方角から来たものでもその最良なところを取り込もうとするというこの態度を好意的な心の広さと捉えることを好む。しかし、謙虚さが日本人の市民生活に特徴的なものであるとは言え、この態度は虚栄心や傲慢ささえも有するものである」(カール・レーヴィット)。

・ Masao Maruyama, Denken in Japan, Frankfurt, 1988, p. 29.

・ ジョセフ・S・オリリー、「新渡戸文献の神学的検討」、『キリスト教をめぐる近代日本の諸相』、オリエンス宗教研究所、20008年所収。


‘That thought does not accumulate into a tradition and that the “traditional” thought re-enters in a scarcely graspable and unsystematic way, are at bottom two sides of the same thing. There is a tendency, faced with the ideas that came to Japan in a determined temporal sequence, to rearrange them merely spatially in the individual’s interior and let them co-exist timelessly so to speak, whereby they lose their historical structuredness’ (Masao Maruyama, Denken in Japan,\[Frankfurt 1988], 29; quoted, Liederbach, 37). ‘The Japanese likes to interpret as benevolent broad-mindedness his readiness to appropriate the best from whatever quarter. Yet despite the modesty that distinguishes the Japanese in civil life, this attitude is not free from vanity and even arrogance’ (Karl Löwith, quoted, Liederbach, 49). Nitobe’s willingness to recognize the best in Europe is what Maruyama calls a ‘selective reception’. The selected European best (chivalry and imperialism) boosts the selected Japanese best (bushido), short-circuiting a true pluralistic and dialectical encounter of cultures. Maruyama gives an example of what he means, from Inoue Tetsujiro, who claimed that the ethics of German Idealism, ‘though people have seen it as a novel foreign teaching, is close to what the school of Zhu Xi [Chu Hsi 1130-1200] have taught from of old’ (Liederbach, 48). Nitobe’s book would provide Maruyama with many more examples of the same hermeneutical vice of ‘dehistoricizing, i.e. decontextualizing the foreign element’ (48) in order to assimilate it to something already present in Japanese tradition.
Joseph S. O'Leary

http://josephsoleary.typepad.com/my_weblog/2007/01/a_note_on_nitob.html

Thursday, October 30, 2008

La fatica del concetto

“Die Anstrengung des Begriffs” (Hegel, Phaenomenologie des Geistes, prefazione, III [4]). LA FATICA DEL CONCETTO.

概念的把握の努力を身に引き受けること。 (苦労

Hence the important thing for the student of science is to make himself undergo the strenuous toil of conceptual reflection, of thinking in the form of the notion.

Monday, October 27, 2008

Landsberg smentisce Heidegger

Paul Ludwig Landsberg (Bonn 1901 - Oranienburg, Berlino 1944), allievo di Husserl e Scheler all’Universita' di Bonn, costretto a emigrare per la sua origine ebraica in Spagna e poi a Parigi, da dove fu deportato nei campi di sterminio fino alla sua morte, fu uno dei principali collaboratori della rivista Esprit, fondata da Mounier, ed uno dei piu' significativi, e meno studiati, rappresentanti del personalismo.

Smentendo Heidegger, per Landュsberg la persona umana, nella sua essenza, non e' un "essere per la morte" ( Sein zum Tode), ma tende verso la propria perfezione e verso l’eternita'. La vita organica non e' mai completamente assorbita dalla personalizzazione. Solo raramente il sopraggiungere della morte coincide con il momento della perfetta compiutezza dell’esistenza personale, come accade per gli eroi dei miti. Questa non-coincidenza denota l’originaria "estraneita' ontologica" della morte rispetto all’esistenza personale, nella quale sembra penetrare quasi da una sfera estranea, quella della vita biologica, che obbedisce a leggi proprie. La persona umana si trova a dover lottare contro l’estraneita' della morte fisica al fine di integrarla nel suo universo spirituale, cercando di renderla sensata e di trasformare la fatalita' della morte in liberta'. In tale prospettiva anche l’angoscia non rivela il nulla, come per Heidegger, ma l’anelito dell’uomo verso l’essere e l’eternizzazione. La persona non e' originariamente per la morte, ma per il suo superamento. "L’angoscia di fronte alla morte sarebbe inconcepibile – scrive Landsberg – se il nostro esserci non fosse di per se stesso fatto per la sopravvivenza". L’angoscia ci rivela che la morte e il nulla si oppongono alla tendenza piu' profonda e inevitabile del nostro essere, che e' quella di realizzarsi e di eternarsi.


Fabio Olivetti PAUL LUDWIG LANDSBERG
Una filosofia della persona tra interiorita' e impegno Edizioni Plus. Pagine 510. Euro 16


Aa.Vv. DA CHE PARTE DOBBIAMO STARE Il personalismo di Paul Ludwig Landsberg Rubbettino. Pagine 395. Euro 22

Sunday, October 19, 2008

La vita: una messinscena

La vita e' "una messinscena dove risulta impossibile uscire senza danni. Ci si sporca le mani: questo si. Meglio compromettersi che sperare di restar puri. I nemici ti fanno sentire vivo. L'unica possibilita' e' quella di salvare la faccia, se non altro di fronte a noi stessi" (Eraldo Affinati, citato in La Civilta' catt. 2008 III, p. 362)

Sunday, October 05, 2008

Citazioni di Gustave Thibon

Gustave THIBON (1903 - 2001)

"Dio delude chi non lo conosce abbastanza, le creature deludono chi le conosce troppo"

« Dieu est le seul être aimé avec lequel on puisse être pleinement, misérablement soi-même, avec qui l'amour n'ait jamais et à aucun degré besoin de mentir » (L'échelle de Jacob).

La foi consiste à ne jamais renier dans les ténèbres ce qu'on a entrevu dans la lumière.
Le doute est un poison pour la conviction et un aliment pour la foi. (L'Ignorance étoilée)

Le mensonge est un hommage à la vérité comme l'hypocrisie est un hommage à la vertu. (L'Ignorance étoilée)

S'aimer, c'est avoir faim ensemble et non pas se dévorer l'un l'autre.

N'oublions pas que ce n'est pas le nombre et la longueur de ses branches, mais la profondeur et la santé de ses racines qui font la vigueur d'un arbre. (L'équilibre et l'harmonie)

Mal savoir ne vaut pas mieux que tout ignorer... (L'équilibre et l'harmonie)

Croire à l'espace plus qu'à l'aile. Ainsi, sans courir après rien, on possède tout. Les choses fuient celui qui les cherche, elles viennent à celui qui ne bouge pas. (L'ignorance étoilée, p.58 Fayard)

On peut toujours apprendre ce qu'on ne sait pas, non ce qu'on croit savoir. (L'ignorance étoilée, p.71 Fayard)

Wednesday, October 01, 2008

性と死 riproduzione sessuata e morte

進化における、性と死 (生と死の間違いではありません)

個体(ヒトの場合は個人)の死というシステムは、性(オスとメス。生殖)のシステムと裏表の関係です。
地球に誕生した最初の生命は細菌より原始的な微生物です。
細菌や単細胞生物(アメーバやゾウリムシやミドリムシなど)は細胞分裂していくだけで、仕組みとしての死がありません。もちろん、環境が悪ければ生きられなくなりますが、寿命は無限大です。
性の無い生物の弱みは遺伝子が原則同じコピーなので大きな環境変化に全滅してしまう恐れがあることです。
この弱点を解消しようとした仕組みが多細胞化と性のシステムです。
オスとメスとが互いの遺伝子を組み合わせて複数の個性を持った子孫を残すことが、様々な環境変化に耐えられるものを残す確率を高めたのです。
多細胞化した生物は、自分たちの代表として卵細胞や精細胞(精子)に自分たちの遺伝子を託します。
そして、本体は子孫の邪魔にならないように死んでいくのです。
性と死の仕組みは、遺伝子が自分のコピーを残そうとする戦略なのです。

Tuesday, September 30, 2008

Uomini e animali

(...)
La questione è la seguente: se la mancanza di specializzazione riveste sempre un carattere primitivo e se gli stadi di specializzazione sono sempre stadi finali nel cammino evolutivo, ne consegue che è impossibile che le configurazioni morfologiche primitive (quali sono quelle del cranio, della mandibola, delle mani e dei piedi umani, ecc.) procedano da altre posteriori pur maggiormente evolute, come lo sono tutte le caratteristiche morfologiche altamente specializzate delle scimmie.

Se non ho frainteso, vuole dire che l’uomo è una creatura meno evoluta delle scimmie?

Padre Leopoldo Prieto: Esattamente. O meno evoluta, o evoluta in modo contrario alle scimmie. Uno studioso ha suggerito, senza intenti ironici, ma sollevando qualcosa di sostanzialmente veritiero, che, volendo difendere l’evoluzionismo, bisognerebbe sostenere, in luogo della vecchia immagine dell’evoluzionismo del XIX secolo in cui l’uomo deriva dalla scimmia - la famosa serie di individui che passano da semiquadrupedi fino all’uomo eretto attuale -, esattamente il contrario, ovvero l’idea di una scimmia (come essere altamente specializzato e adattato alla forma di vita arborea) che procede dall’uomo, un essere molto più primitivo e meno specializzato.

Un’idea alquanto scioccante, non le pare?

Padre Leopoldo Prieto: Può essere, da un punto di vista culturale, ma dal punto di vista scientifico è piuttosto ben fondata. Autori rinomati del mondo scientifico hanno affermato che la filogenia delle scimmie antropoide è consistita in una “scimmiazione” crescente, a partire da forme arcaiche più simili a quelle umane, rispetto alla “ominizzazione” progressiva della specie umana. Vi è stato persino chi ha parlato di deumanizzazione progressiva della scimmia.
(...)
Ma non è stato dimostrato che alcune scimmie particolarmente sveglie sono capaci di interagire intelligentemente con l’uomo, usando addirittura il computer?

Padre Leopoldo Prieto: Gli sperimenti realizzati con le scimmie, specialmente con gli scimpanzé, allo scopo di dimostrare l’esistenza di attitudini logiche in questi animali, si sono dimostrati sempre dei fallimenti. Sono stati impiegati molti mezzi e molto tempo, ma i risultati ottenuti sono sempre stati deludenti. L’unica cosa che sono riusciti a dimostrare è l’esistenza di una memoria associativa (che è alla base dell’addestramento degli animali), più o meno sviluppata. Gli stessi ricercatori hanno dovuto riconoscere che gli scimpanzé, anche dopo un intenso addestramento linguistico, rimangono al livello di comunicazione del quale sono naturalmente dotati.

Questo dunque significa che ciò che questi animali hanno “appreso” attraverso l’addestramento non è stato anche “compreso”. Per questo non forma parte del proprio patrimonio di comunicazione, né viene trasmesso alla prole. Tutto ciò che si è ottenuto con questi esperimenti, tanto sofisticati quanto tenaci, è stata l’associazione di immagini con determinate azioni (in un numero abbastanza ridotto), rafforzata con i premi più graditi all’animale (cibo, passeggiata, ecc.).

zenit 30 sett. 2008

Thursday, September 11, 2008

土着化

「アシジの聖フランシスコと源義経は、同じ十二世紀末ころの人だが、日本人の信者は、聖フランシスコのほうをずっと身近に感じるだろう。それは時空を超えて魂で感知しているからだ。バッハやモーツァルト、ルオー、ドストエフスキーなどの芸術にふれる時、日本の文化・伝統は要らない。まして渇いた魂の深みに降りるのに、同じ文化・伝統というハシゴは要らない。渇きに苦しむ人は、水の入った器が漆のお椀かグラスかなど問わない。『いかに美しいことか、山々を行き巡り、良い知らせを伝える者の足は』(イザヤ52・7)とある。その足が履いているのは、下駄か靴かは、問題にもならない。
 生きる重さに苦しむ時、日本人も外国人もなく、ただ一つの魂があえいでいるだけだ。」
(・・・)
旧約聖書は、私には遠いものだったが、数千年前のユダヤ人の『物語』ではなく、私の人生と深いかかわりがあったという驚きは大きかった。『自分が神になって善悪を判断したい』というエバは、わたしであった。すべては益となることを信じないで、悪魔の囁きに耳を貸して神となり『私の苦しみに意味はない。生きることに意味は無い』と判断していた。『すべては神のはからいだった』と泣くヨセフは私であった。」

(安田美知子、「福音宣教」2006年6月号、33頁)

Saturday, August 30, 2008

福音書の論語化 ?

国立国会図書館のメイン・カウンターの右上に下記のギリシア語の文字が刻まれている。

Η ΑΛΗΘΕΙΑ ΕΛΕΥΘΕΡΩΣΕΙ ΥΜΑΣ 

左上にはこう書かれている。

「真理がわれらを自由にする」(国立国会図書館訳)

しかし、これは新約聖書の言葉であり、次のように訳される。


「真理はあなたたちを自由にする」 (新共同訳) 

ヨハネ8、32



http://www.ndl.go.jp/jp/aboutus/shinri.html

Sunday, August 24, 2008

Incarnazione Eliot Cori dalla Rocca

“un momento nel tempo
ma il tempo fu creato attraverso quel momento:
poiché senza significato non c’è
tempo, e quel momento di tempo diede il
significato”

Then came, at a predetermined moment, a moment in time
and of time,
A moment not out of time, but in time, in what we call history:
transecting, bisecting the world of time, a moment in time
but not like a moment of time,
A moment in time but time was made through that moment:
for without the meaning there is no time, and that moment
of time gave the meaning.

Choruses from "The Rock"

Poesia cinese

Poesia cinese: la parola come germoglio

ROMA, sabato, 23 agosto 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'articolo di padre Antonio Spadaro, S.I., apparso su “La Civiltà Cattolica”, nel quale vengono presentate le caratteristiche specifiche della lingua poetica cinese classica.




* * *

La poesia classica cinese dipinge visioni. Il nesso profondo tra le idee e le immagini, tipico di questa esperienza poetica, ha colpito in vario modo l’immaginario occidentale. «Senza dubbio l’uso dei caratteri ideografici ci ha impedito di separare le idee, come avete fatto voi, da quella sensibilità plastica che per noi è sempre collegata con esse»: così si esprime André Malraux, uno dei miti del Novecento francese, vestendo i panni di un giovane cinese di nome Ling in un suo romanzo epistolare del 1926 dal titolo La tentation de l’Occident (1). E basterebbe ricordare quanto lo sguardo cinese abbia inciso su scrittori quali Ezra Pound e William Carlos Williams, che hanno anche curato la compilazione e la traduzione di antologie memorabili (2). Il valore dell’immagine dai contorni netti si univa, in questi poeti, all’esigenza di rifiutare il superfluo, di ricercare una misura nel verso. E queste esigenze nascevano o si consolidavano proprio grazie al contatto con la lettura degli scrittori cinesi: le forme poetiche cinesi implicano un’essenzialità radicale. È ciò che Williams definì come «il rigore della bellezza» (3).

Il rigore della bellezza

Leggiamo una poesia di Wei Ying-wu (736-800 d. C. circa) (4) dedicata a un eremita taoista:

Stamattina nella stanza d’ufficio è freddo:

a un tratto penso a te che stai tra i monti,

presso il torrente, in fondo, raccogli spinosi fastelli,

al ritorno cuoci i bianchi sassi.

Vorrei venire, recarti nella zucchetta il vino,

da lontano a consolarti nella sera del vento e della pioggia.

Quando le cadute foglie riempiono la montagna spoglia,

dove trovare le orme dei tuoi passi?

Il senso di una vita monastica è ritratto con rapide pennellate, e così anche il senso di una relazione, fatta di cura e di ricerca. Vengono dunque restituite emozioni attraverso brevi schizzi descrittivi di luoghi e gesti, realizzati con un’estrema accuratezza di espressione e di immagini. Luoghi, persone e sentimenti convergono in versi chiari, piani, privi di complicazioni di carattere concettuale o sentimentale. Simile intreccio nitido caratterizza la poesia Svegliandomi di notte sul battello di Su Tung-p’o (1037 circa-1101 d.C.) (5):

Fruscio di lieve brezza tra giunchi e erbe palustri,

apro la porta a vedere se piove, il lago colmo di luna,

battellieri e uccelli acquatici fanno gli stessi sogni,

grossi pesci spauriti fuggono come volpi.

A notte fonda uomini e cose si ignorano,

io, solo, corpo e ombra ci divertiamo insieme.

L’ondata notturna traccia sulle sponde sinuosi lombrichi,

la luna tramonta appesa ai salici, lucente ragnatela.

Rapido il tempo della vita tra le diuturne cure,

quanto fuggevoli, i momenti sereni!

Canto di galli, suono di campane, cento uccelli in volo,

rulla il tamburo a prua ed è tutto un vociare.

In Italia varie traduzioni hanno reso possibile il confluire della poesia cinese tra le letture di formazione. Ormai classiche, ad esempio, sono le traduzioni einaudiane di Martin Benedikter, dalle quali abbiamo ripreso la prima poesia citata, e di Giorgia Valensin (6). La presenza della cultura cinese si registra tra i giovani intellettuali che collaboravano alla rivista La Voce, ad esempio, e Biagio Marin. L’introduzione all’antologia di G. Valensin è di Eugenio Montale. Ma segnaliamo che anche uno tra i migliori poeti di questi nostri anni, Claudio Damiani, autore dagli accenti oraziani e profondamente attratto dalla classicità latina, ha nei poeti cinesi della fecondissima epoca T’ang (618-906 d.C.) (7), una forte base ispirativa. Testimonia Damiani: «Ho amato la poesia cinese come qualcosa che mi spingeva oltre il mio tempo, in un futuro antico che m’appariva come un sogno, che m’avvicinava i giganti della poesia cinese (Po chü-i, Li Po, Tu Fu) ai calmi, sereni giganti dell’elegia latina (Properzio, Catullo, Tibullo). Ho visto nella poesia cinese una poesia della terra, perfettamente oggettiva, senza il bisogno di nessuna metafora. Grande poesia della terra, della sua calma, della sua gloria» (8).

Per trattare della poesia cinese e anche per gustarla profondamente occorrerebbe una formazione specialistica, proprio perché essa è espressione di un universo linguistico, filosofico, religioso e culturale molto distante rispetto a quello occidentale. Fra l’altro occorrerebbe comprenderne le forme metriche e distinguere i periodi della sua evoluzione sin dal mitico Shi Jing, cioè il Libro delle Odi, composto tra il 1753 e il 600 a.C. Nelle pagine che seguono, pertanto, non intendiamo presentare l’evoluzione della poesia cinese in quanto tale, ma semplicemente cercheremo di interpretare i motivi per cui essa ha colpito l’immaginario e la poetica di molti artisti occidentali, e che rendono la sua presenza viva nel nostro orizzonte culturale.

«Dipingere a parole»

Uno degli elementi fondamentali e costanti della letteratura cinese è quello descrittivo, che dà vita sia a prose sia a liriche di paesaggio (9). La vista è interpellata e sollecitata continuamente. In alcuni autori l’essere umano appare un piccolo punto dell’universo che vive dentro un paesaggio ampio; in altri è invece al centro di una scena, che attende da lui un senso. Ma a prevalere, specialmente in epoca T’ang, è il primo atteggiamento, per il quale la bellezza di un elemento della natura può prescindere da uno sguardo umano. La bellezza è colta in se stessa, per il suo intrinseco valore, per il suo mistero: «La cavità del monte, con i suoi tesori nascosti; il riflesso degli astri sull’acqua; la discesa di una barca che asseconda la corrente; lo scorcio di un panorama incantevole, tra la vegetazione lussureggiante e rigogliosa; il cambio delle stagioni, incessante nella sua monotonia, eppure ogni anno sempre nuovo; il magico accordo del sole e della luna, pronti a darsi puntualmente il cambio; e molti altri. Ci si riferisce sempre a una grande rete, le cui maglie, strettamente unite, suggellano un’intesa equilibrata tra i fenomeni dell’universo» (10).

Ecco, ad esempio, come viene descritta da Liu Fang-P’ing (742-779) una Notte di luna:

Nella profonda notturna veglia

il lume di luna fende uomini e case,

la Grande Orsa traversa il firmamento nel nord,

il Sagittario declina nel sud.

In questa notte io meglio intendo

l’aria tiepida di primavera:

voce di insetti di nuovo penetra

il verde velo della finestra.

Il rigore della bellezza qui consiste nell’estrema misura delle immagini che comunicano un sentimento del luogo di grande intensità, senza mai però esprimere una parola sentimentale. La luce del lume di luna fende la notte, che è subito inserita e assunta nel vasto movimento cosmico. L’io del poeta giunge all’improvviso come parte consapevole di questa immensità, ma non turba il quadro con la sua presenza, non sovrappone ad esso i suoi sentimenti. Semplicemente afferma di avvertire l’aria di primavera. E il suo intendere rifluisce e si perde nella voce degli insetti che penetra il velo della finestra dalla quale sta contemplando il paesaggio. La capacità dell’essere umano è quella di divenire partecipe del paesaggio proprio attraverso le immagini che gli ideogrammi compongono. Veramente il lettore si avverte dentro la scena.

A questo punto la domanda fondamentale è la seguente: «In che senso si possono considerare vera poesia versi scritti in termini di geroglifici? Può sembrare difficile che la poesia, la quale come la musica è arte di tempo, intessendo la propria unità da successive impressioni sonore, possa assimilare un veicolo verbale consistente per lo più in richiami visivi semipittorici» (11). Il poetare cinese è stato definito un dipingere a parole, e il quadro che viene dipinto si potrebbe definire «essenzialmente impressionista»: «agisce direttamente sul sistema nervoso, e così risveglia risonanze sorde e potenti nei centri della sensibilità estetica» (12). Molti poeti cinesi sono stati, del resto, anche pittori, e la calligrafia era una sorta di ponte tra le due arti. È interessante notare come Lu Ji, un autore classico vissuto nel III sec. d.C., nel suo L’arte della poesia (13), primo vero trattato cinese di poetica, scrive sulla scelta delle parole in una poesia: Il cielo e la terra sono catturati in forma visibile: / ogni cosa emerge / dall’interno del pennello. Le immagini dunque partecipano attivamente alla costruzione della poesia, a tal punto da rendere superflue connessioni di tipo narrativo o temporale o consecutivo. Ciò che potrebbe essere idea astratta viene reso sotto forma di immagine. Gli stessi ideogrammi sono immagini stilizzate (14).

Spesso il significato si sprigiona dall’accostamento di due o più ideogrammi che si fondono insieme in una unità, e dalle immagini che essi sviluppano, lasciando campo aperto alla fantasia. Facciamo qualche esempio esplicativo di ideogrammi composti da due elementi differenti (15): cuore e autunno esprimono la malinconia, la tristezza; uomo e albero esprimono il riposo; uomo e parola comunicano fiducia e fedeltà. Al centro dell’ideogramma «amore» troviamo il simbolo per il cuore racchiuso da quello del respiro, nella parte superiore, e da quello del movimento aggraziato, nella parte inferiore. Cielo e terra uniti in un unico carattere significano l’universo; il tamburo e la danza significano l’incoraggiamento; la lancia e lo scudo, la contraddizione. Si notano infine sintagmi che formano espressioni simboliche: la polvere rossa indica la vanità della gloria; le acque che scorrono verso est, la fuga del tempo; l’oca selvatica che vola verso ovest esprime la separazione e il rimpianto. Spesso, proprio accostando immagini ovvie, si genera un effetto inatteso, e le immagini devono luccicare / come perle nell’acqua, scrive Lu Ji. I sentimenti e le idee «scoccano» dalle cose, grazie al loro semplice apparire nel verso senza aggiunte sentimentali.

Nella poesia cinese, dunque, è la visione che genera il sentimento, non l’espressione verbale. Come giustamente ha affermato E. Weinberger nella sua introduzione a una nota antologia di poesia cinese, questa poetica ha influenzato quella americana per quasi un secolo (16). Forse l’espressione più semplice, celebre e diretta di questa lezione orientale è il motto del poeta Williams Carlos Williams: no ideas but in things, niente idee se non nelle cose.

Una parola dinamica e guizzante

La poesia cinese dunque si fonda sulle immagini, le quali rendono superflue le connessioni logiche, per gli occidentali invece così fondamentali. Il cinese letterario è una lingua non flessiva e dunque non esistono né la coniugazione verbale né la declinazione di sostantivi e aggettivi. Così l’ideogramma è un «nodo di energia» che unisce la cosa, l’azione e la sua descrizione senza alcun tipo di «colla retorica» (17). Tutto è in relazione spontanea e simultanea: verbi, nomi, cose e azioni.

Lo aveva capito bene Malraux, il quale fa scrivere polemicamente a Ling in una sua lettera: «Quando dico: il gatto, ciò che domina la mia mente non è l’immagine d’un gatto: sono certi movimenti agili e silenziosi tipici del gatto. Voi distinguete una specie dall’altra per la sua linea. Una simile distinzione si fonda soltanto sulla morte. (Dicono che i vostri pittori, un tempo, studiassero le proporzioni del corpo umano disegnando cadaveri). Il concetto di specie è ciò che collega le forme assunte dalla vita negli individui che le appartengono: la necessità di particolari movimenti» (18). Ad esempio, la semplice frase «l’uomo vede il cavallo» in cinese è resa da tre caratteri che hanno gambe stilizzate: l’uomo sulle sue due gambe, il suo occhio che percorre lo spazio con una figura audace di gambe che corrono sotto un occhio (cioè il verbo «vedere»), e infine il cavallo sulle sue quattro zampe (19).







Nella visione cinese dunque la «cosa» non è separata dall’«azione»: essa include il suo movimento, è un quadro fluido, dinamico. La maggior parte delle radici ideografiche conservano in sé un’idea verbale di azione. Non rappresentano una «cosa», ma la sua qualità vitale, il loro muoversi, qualcosa di attivo e progressivo. I nomi nella loro radice sono verbi. Si potrebbe dire davvero che la «parola» in cinese è sempre «verbo»: il nome è ciò che compie qualcosa: «Le cose non sono che i punti terminali o, meglio, i punti d’incontro delle azioni, sezioni intersecanti le azioni, istantanee» (20). L’occhio cinese vede e presenta nome e verbo come un tutt’uno: cose in moto, moto nelle cose. Se diciamo «l’albero è verde», la copula rende statica la realtà che indica. Spesso verbi intransitivi e la copula nelle lingue occidentali tendono a comunicare una sorta di «fermo immagine», di natura morta. Ciò è implicitamente inteso come falso da un cinese: la realtà non è mai statica. Egli semmai direbbe: l’albero si «inverdisce» (21).

Si potrebbe dire un’immagine cinematografica, come ben comprese Sergej Ejzenštejn, che proprio studiando il cinese giunse a pensare il montaggio come la giustapposizione di due ideogrammi (22). La poesia cinese ha il vantaggio unico di combinare il suono della parola alla sua immagine, per cui «leggendo il cinese non stiamo ad agitare bussolotti mentali, ma osserviamo cose evolvere il proprio fato» (23). È interessante notare come una splendida raccolta di prose cinesi sul paesaggio tradotte in francese abbia come titolo Les formes du vent (24): è proprio il vento con la sua potente dinamicità o con il suo lieve tocco veloce a dare dimensione e forma al paesaggio, che mai dunque è statico e identico a se stesso.

Questa caratteristica della lingua cinese fa riflettere più in generale sulla natura della parola poetica. Essa infatti appare chiamata non a compiere il ritratto statico o astratto delle cose, ma a cogliere la loro intrinseca dinamicità. La poesia cinese aiuta il suo lettore a cogliere nella realtà le relazioni e i processi anche in ciò che appare statico a una prima veloce occhiata. È come se la poesia consistesse proprio in questo: cogliere il continuo divenire di ogni realtà, le sue tensioni vive, e farle vivere al suo lettore. La parola diventa guizzante, come scrive Lu Ji: riportiamo parole vive, / come pesci presi all’amo / che balzano dal profondo (25).

Una lingua non flessiva

Spesso, inoltre, i versi cinesi si giocano su contrapposizioni, che vengono normalmente rese nelle lingue come l’italiano da congiunzioni subordinanti avversative, temporali, consecutive (mentre, invece, intanto,…) che consentono di compiere molte operazioni con le frasi, di disporle gerarchicamente rispetto a un altro enunciato, di modellarle secondo le nostre intenzioni comunicative. Nella poesia cinese invece tutto diventa contemporaneo e immediato, tutto corrisponde a un colpo d’occhio. Sarà poi l’intuizione del lettore a scomporre e a «comprendere» le ricche connotazioni che l’accostamento delle immagini produce.

Lo scrittore Jack Kerouac nel suo romanzo autobiografico I Vagabondi del Dharma propone al personaggio Japhy di tradurre la poesia cinese volgendo il significato degli ideogrammi, ma elidendo quelle necessarie aggiunte che caratterizzano le versioni nelle lingue occidentali (26). La poesia Rivo montano, ad ovest di Ch’u-Chou del già citato Wei Ying-wu potrebbe essere tradotta così, nello stile occidentale:

Solitario, m’innamoro di erbe scure a ridosso del torrente;

e i rigogli dorati, lì nel profondo dei rami, fanno il verso.

La marea primaverile, accompagnata dalla pioggia, è arrivata al-

l’improvviso, questa sera;

mentre è priva d’equipaggio una barca di traverso, lì, all’attracco

dei traghetti.

Possiamo immedesimarci nel poeta che si trova a ridosso di un torrente, colpito dalla bellezza della vegetazione. La scena appare mossa dalla pioggia, che già cade da un certo tempo e si unisce alla marea. In questo paesaggio che pian piano si è composto appare una barca senza equipaggio e solitaria, che oscilla di traverso sull’acqua nel punto di attracco. Se però leggiamo una sorta di traslitterazione «alla Kerouac», per così dire, vediamo come gli elementi sono accostati come rilievi di una visione che prende significato dal suo insieme. Questo infatti potrebbe essere il risultato: Solo ad amare teneramente erbe nascoste che crescono in riva all’acqua / Al di sopra esserci rigogolo nel profondo degli alberi cantare / Marea primaverile accompagnata dalla pioggia verso sera precipitarsi / Imbarcadero senza nessuno barca da sola di traverso (27). Ma per chi ha letto la prima traduzione risulta difficile staccarsi da quella prima impressione e riformulare la scena secondo la propria immaginazione.

Un altro esempio, la poesia di Meng Hao-jan (689-740 d. C.) Alba di primavera (28). Alla lettera la «traduzione» potrebbe essere la seguente: Primavera sonno non sentire alba / Dovunque udire canto uccelli / Notte scorsa vento pioggia suono / Fiori cadere sapere quanti? Già qui il lettore si trova spiazzato e dovrà leggere più volte questi versi per orientarsi e comporre un proprio quadro. Ecco allora la versione di Benedikter, la quale comunque lascia grande spazio all’immaginazione:

Profondo sonno di primavera non vede l’alba.

Intorno intorno suona canto d’uccelli.

A notte scroscio di pioggia e vento:

i fiori caddero, quanti?

Il testo originale in ideogrammi, e dunque in immagini stilizzate, lascia al lettore il gusto della ricomposizione della scena, suggerisce una visione senza imporla nei suoi dettagli. Il Premio Nobel Gao Xingjian (29) ha compiuto interessanti riflessioni sulla sua lingua madre intesa come una vera e propria forma di percezione dell’esistenza. Egli considera che la coscienza umana non è lineare, ma spiccatamente vivace, discontinua, e ciò risalta davvero poco, nella rigida struttura di tempo, soggetto e predicato delle lingue occidentali. Mentre il cinese, grazie alla sua flessibilità, avrebbe proprio gli stessi caratteri distintivi che ha il movimento della coscienza (30). E, dunque, di questi stessi movimenti ha bisogno per essere compresa. Il coinvolgimento è la condizione affinché la lettura si faccia esperienza estetica, rendendoci consapevoli dei processi dell’esperienza stessa, mettendo in gioco le facoltà immaginative e percettive del lettore.

Il processo indefinito della traduzione

Tutto ciò ha una conseguenza immediata per la traduzione: non esistono traduzioni che possano vantare una fedeltà che non sia pienamente interpretativa. Il primo verso della poesia sopra citata, ad esempio, contiene una parola che è tradotta, nella versione di Benedikter, con il verbo «vedere», ma che significa anche conoscere e destarsi. Così altri hanno tradotto: Dopo il sonno, a primavera, insensibilmente ecco l’alba (Demiéville); altri ancora: Il sonno a primavera ignora l’alba (Mancuso); altri Me ne sto a dormire, ed ignoro l’alba primaverile (Arena).

Davanti a un testo cinese si ha dunque l’impressione di essere davanti a qualcosa di non compiuto in se stesso, di magmatico, capace di attivare la percezione, ma non di definirla e delimitarla in maniera precisa. Il lettore, e a maggior ragione il traduttore, non può adeguarsi a una visione data, ma deve necessariamente ricostruirla, divenirne partecipe, entrare nella scena che essa compone come un attore o uno spettatore. Lu Ji sembra descrivere così tale dinamicità del verso:

La rete delle immagini, lanciata, si allarga

sempre di più: il pensiero perlustra

sempre più a fondo:

Lo scrittore offre la fragranza dei fiori freschi,

un’abbondanza di germogli che sboccia.

Venti vivaci sollevano le metafore;

nuvole si alzano

da una foresta di pennelli.

Il mondo intero sembra in movimento. La poesia cinese dunque va letta con l’animo disposto a comporre visioni interiori, immagini che sono lasciate all’intuizione del lettore. E questo è anche il criterio della traduzione. Infatti ha ragione l’orientalista Ernest Fenollosa: solamente quando «siamo costretti a tradurre in una lingua assai differente, riusciamo per un momento a possedere il calore interno del pensiero che fonde le parti del discorso per rimodellarle a piacimento» (31). Se questo vale per chi è in grado di leggere il testo originale, vale anche per chi, consapevole del continuo intervento del traduttore dal cinese nel declinare sostantivi e aggettivi e nel coniugare i verbi, sa «liberare» il testo usando in maniera creativa la traduzione.

È ciò che ha fatto di recente il poeta Claudio Damiani. Lasciamogli il racconto diretto della sua esperienza di riformulazione di una traduzione classica: «Ci fu un tempo in cui avevo nella mente, e la masticavo e ruminavo senza fine, l’incredibile traduzione benedikteriana del Canto dell’eterno dolore di Po Chü-i (opera famosa in Cina com’è per noi, ad esempio, il canto di Paolo e Francesca di Dante). Ripetendola dentro di me, mi si veniva configurando però in metro di sequenza di settenari. In realtà la sua trascrizione completa in settenari […] è uno dei lavori più faticosi della mia carriera di scrittore […]. Non conoscevo, e non conosco, la lingua cinese, né l’antica scrittura letteraria, qualcosa m’ha tenuto lontano dal suo studio, qualcosa m’ha fatto aderire al testo di Benedikter in modo ossessivo, infantile, come preso da un sogno, come nell’impossibilità di staccarmene» (32). Da queste riformulazioni, in realtà, sono poi germogliate anche nuove poesie originali. E prima di lui anche la scrittrice Elena Bono, leggendo una poesia di Li Po, ne ha composto una sua nuova (33). Il grande poeta cinese, forse il più noto, aveva scritto:

Stavo seduto a bere e non mi accorsi del buio

finché cadenti petali m’empirono le pieghe dell’abito.

Ebbro, mi alzai, camminai verso il ruscello lunare;

gli uomini erano rari e gli uccelli non c’erano più.

E la Bono nella sua Leggendo una poesia di Li-Po così prosegue:

Vedo davanti agli occhi quel tuo ruscello lunare,

sento i tuoi incerti passi nel grande buio.

Non c’è nel mio animo nulla di ciò che è mio,

non un dolore, e neppure un ricordo.

Solo i tuoi incerti passi che vanno, Li Po,

che vanno ancora, incerti, nel grande buio.

Ma è anche ciò che ha fatto Ezra Pound che, come disse T. S. Eliot, ha inventato la poesia cinese in lingua inglese. Le antiche poesie cinesi riprese da un grande poeta diventano altre poesie. E proprio grazie alle «traduzioni» di Pound ha avuto inizio la presenza delle poesie classiche cinesi nella coscienza poetica del mondo occidentale, destando anche l’interesse per la poesia cinese contemporanea (34). «I sinologi dovrebbero ricordare che scopo della traduzione poetica è la poesia, non le definizioni verbali nei dizionari» (35): è questo il principio guida. In ogni caso ecco il consiglio migliore: «leggere un singolo verso, in modo da impregnarsi dell’immagine e dei pensieri ivi racchiusi, per sforzarsi di coglierne i tratti essenziali e conservarne la forza e il calore» (36). Del resto, basta ascoltare ancora una volta il maestro Lu Ji:

Quando si intaglia un manico d’ascia con un’ascia,

certo il modello è a portata di mano.

Ma ogni scrittore scopre una nuova via d’accesso al mistero,

ed è cosa difficile da spiegare.

1 Cfr A. MALRAUX, La tentazione dell’Occidente, Milano, Excelsior 1881, 2007, 101.

2 Cfr E. Pound, Confucio. L’antologia classica cinese, Milano, Scheiwiller, 1994, che è la versione italiana dell’originale a cura di Carlo Scarfoglio; e The New Directions Anthology of Classical Chinese Poetry, New York, New Directions, 2003.

3 Cfr Z. Qian, Orientalism and modernism: the legacy of China in Pound and Williams, Durham, Duke University Press, 1995, 43.

4 Si pone subito un problema tecnico riguardo alla trascrizione dei nomi cinesi in questo nostro saggio. Il sistema di romanizzazione della lingua cinese introdotto nel 1958 dalla Repubblica Popolare Cinese, e ora di uso comune in tutto il mondo, è il pinyin, standard adottato dall’Onu dal 1977. Tuttavia nell’ambito letterario, specialmente quello delle traduzioni ormai «classiche» nella nostra lingua, risponde al sistema Wade-Giles, pubblicato per la prima volta nel 1859 da Thomas Francis Wade, e modificato da Herbert Allen Giles nel 1912, che nel passato è stato massicciamente utilizzato nei Paesi di lingua inglese. Dunque qui di seguito per evitare confusioni al nostro lettore adottiamo quest’ultimo criterio. Tuttavia ecco tra parentesi la trascrizione dei nomi qui citati in pinyin: Wei Ying-wu (Wei Yingwu), Su Tung-p’o (Su Dongpo), Po Chü-i (Bo Juyi oppure Bai Juyi), T’ang (Tang), Li Po (Li Bo oppure Li Bai), Tu Fu (Du Fu), Liu Fang-p’ing (Liu Fangping), Meng Hao-jan (Meng Haoran). Sia nelle note sia nel testo i nomi degli autori classici sono sempre indicati per esteso.

5 Citiamo la traduzione di A. Bujatti nella plaquette SU DONGPO, Andar per acqua. Tre liriche, Milano, Scheiwiller, 2004.

6 Rispettivamente: Le trecento poesie T’ang, Torino, Einaudi, 1961 e Liriche cinesi (1753 a.C.-1278 d.C.), ivi, 1943.

7 Agli inizi del XVIII secolo fu raccolta la produzione poetica di questi tre secoli aurei, e furono compilati 900 volumi che raccolgono 48.900 composizioni di oltre 2.200 autori. Qualche decennio dopo fu compilata un’antologia di 300 composizioni maggiori, che è poi quella tradotta in italiano da Benedikter e qui già citata.

8 C. Damiani, Sognando Li Po, Genova, Marietti, 2008, 7.

9 Per la prosa raccomandiamo l’antologia: M. Vallette-Hémery (ed.), Le forme del vento. Paesaggi cinesi in prosa, Genova, il Melangolo, 2008.

10 Così riassume Leonardo Vittorio Arena nella sua «Introduzione» al volume da lui curato Poesia cinese dell’epoca T’ang, Milano, Rizzoli, 1998, 16.

11 E. Fenollosa, L’ideogramma cinese come mezzo di poesia. Una ars poetica, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1960, 12.

12 P. DEMIÉVILLE, «Letteratura cinese», in Le civiltà dell’Oriente, vol. II, Roma, Casini, 1957, 927.

13 Cfr LU JI, L’arte della scrittura, Parma, Guanda, 2002. Cfr l’interessante parallelo con Orazio in A. Bujatti, «Orazio, Lu Ji e la nobiltà della parola scritta», in Oss. Rom., 12-13 marzo 2007. Desideriamo ringraziare la sinologa Anna Bujatti per la generosa consulenza fornitaci nella stesura di questo articolo.

14 Risulta di grande efficacia sfogliare, ad esempio, i volumi E. Fazzioli - E. Chan Mei Ling, Caratteri cinesi. Dal disegno all’idea, 214 caratteri per comprendere la Cina, Milano, Mondadori, 2003 e Y. Huaqing, La scrittura cinese. La simbologia degli ideogrammi dall’oggetto alla sua astrazione grafica, Milano, Vallardi, 2003, dove tutti i caratteri fondamentali sono analizzati nel processo di trasformazione dalla primitiva rappresentazione dell’oggetto alla grafia attuale.

15 Ricaviamo gli esempi da F. Cheng, La poesia T’ang, Napoli, Guida, 1987, 240 s.

16 Cfr The New Directions Anthology of Classical Chinese Poetry, cit., XXVI.

17 Ivi, XXI.

18 A. MALRAUX, La tentazione…, cit., 91-93.

19 Cfr E. FENOLLOSA, L’ideograma cinese, cit., 15.

20 Ivi, 17.

21 Fenollosa ricorda che in inglese il verbo «è (is)» deriva dalla radice ariana as, cioè respirare, ed «essere (to be)» deriva da bhu, cioè crescere. Cfr ivi, 24.

22 Come nella poesia cinese due segni in fila non vengono letti come la loro addizione ma come il loro prodotto, così anche due fotogrammi successivi. Per cui far vedere un cane e una bocca significa «abbaiare», ma una bocca e un uccello «cantare» ecc. Cfr il saggio «Il principio cinematografico e l’ideogramma», in S. Ejzenštejn, La forma cinematografica, Torino, Einaudi, 1986.

23 Cfr E. FENOLLOSA, L’ideograma cinese, cit., 16.

24 Les formes du vent. Paysages chinois en prose, Paris, Albin Michel, 2007. Abbiamo già citato l’edizione italiana.

25 Il guizzo di cui parla Lu Ji ha una sonorità propria: non bisogna dimenticare che la poesia veniva non solamente letta ma anche recitata, quasi cantata. Questo sfugge totalmente al lettore che legge in traduzione, e sfugge ormai, in parte, persino al lettore cinese moderno, ma è un aspetto che non può essere ignorato, anche perché determina la scelta dei vocaboli in funzione della loro musicalità.

26 Scrive Kerouac commentando una traduzione di Japhy: «“Perché non lo traduci così com’è, cinque segni, cinque parole? Cosa sono quei primi cinque segni?”. “Segno per salire, segno per su, segno per freddo, segno per montagna, segno per sentiero”. “Be’, allora traduci ‘Salendo su sentiero Montagna Fredda’». «“Già, ma allora come fai col segno di lungo, il segno di gola, il segno di ingombro, il segno di valanga, il segno di grandi rocce?”. “Dove sono?”. “Nel terzo verso, che infatti si dovrebbe leggere come ‘Lunga gola ingombra valanga grandi rocce’”. “Be’, così va ancora meglio!”»: J. Kerouac, I Vagabondi del Dharma, in Romanzi, Milano, Mondadori, 2006, 549.

27 Riprendiamo le differenti traduzioni rispettivamente dai volumi curati da L. V. Arena e da F. Cheng, già entrambi citati.

28 La seconda traduzione è di Benedikter nel volume da lui curato, la prima è di Girolamo Mancuso nell’introduzione alla sua antologia Poesie cinesi d’amore e di nostalgia, Roma, Newton Compton, 1995.

29 Cfr A. SPADARO, «“… nel linguaggio la nostra coscienza”. La narrativa di Gao Xingjian», in Civ. Catt. 2002 II 150-157.

30 Cfr G. Xingjian - Y. Lian, Il pane dell’esilio. La letteratura cinese prima e dopo Tienammen, Milano, Medusa, 2001, 52.

31 E. FENOLLOSA, L’ideogramma cinese, cit., 26.

32 C. DAMIANI, Sognando Li Po, cit., 7 s.

33 E. BONO, I galli notturni, Milano, Garzanti, 1952, 151.

34 Qui ci limitiamo a segnalare al pubblico italiano Nuovi poeti cinesi, Torino, Einaudi, 1996 e due splendidi testi di Ai Qing: La mangiatoia, Novara, Interlinea, 1999 e Id., Morte di un nazareno, ivi, ambedue a cura di A. Bujatti.

35 E. FENOLLOSA, L’ideogramma cinese, cit., 11.

36 L. V. ARENA, «Introduzione», in Poesia cinese dell’epoca T’ang, cit., 22.

© La Civiltà Cattolica 2008 III 127-139 quaderno 3794

Friday, August 22, 2008

Charles Taylor e Tommaso

UMBERTO GALEAZZI, Tommaso d'Aquino nel pensiero contemporaneo, Roma, Aracne, 206, 210, euro 13,00.

"Altro autore che Galeazzi confronta con Tommaso e' Charles Taylor. Sebbene non si riscontrino sue citazioni dirette di testi tommasiani, il fiolosofo canadese presenta una evidente prossimita' teorica nei confronti del pensiero di Tommaso in alcuni temi base della sua ricerca. Il riferimento e' soprattutto a due argomenti: la tensione al bene come caratteristica dell'indentita' umana, e la liberta', che Taylor difende contro i vari determinismi psico-fisici e storico sociali."

recensione di G. Esposito su La Civilta' Cattolica, 5 luglio 2008.

Wednesday, August 20, 2008

Erotica e mistica

E’ significativo che la prima enciclica di Benedetto XVI abbia per tema la concupiscenza e la mistica, l’eros e l’agape. L’amore come passione umana, l’amore come passione divina. Non è mai accaduto che una enciclica parlasse un linguaggio della erotica e della mistica come un linguaggio unitario. Se dovessimo tradurre nel linguaggio della tradizione teologica i termini usati dal Papa, dovremmo dire che eros corrisponde alla natura e l’agape alla grazia. Ma il Papa ha preferito usare un linguaggio diverso che mette in relazione appunto l’erotica e la mistica, la passione dell’uomo per l’altro e per il dominio dell’altro la passione di Dio per donare l’uomo sé stesso. Il Papa ha così voluto segnare l’uscita della chiesa dal tempo della secolarizzazione. E questo avviene quando un laicismo totale tende a fare della scelta umana la realtà della natura e il contenuto della libertà.

Il tema dell’omosessualità è divenuto emblematico perché esso viene interpretato come una scelta culturale, una determinazione del contenuto dell’esistenza. Non è l’omosessualità in sé che fa il problema, ma il fatto che essa divenga l’emblema della scelta umana come criterio della moralità e quindi, ancora una volta, il diritto pubblico prende il posto della libertà e della morale. In un tempo in cui la tradizione cristiana non passa di padre in figlio e la scienza divenuta tecnica sembra la forma di un mondo fatto dall’uomo senza misura neanche di sé stesso, la fermezza nel difendere l’essenza del cattolicesimo da parte del Papa è il vero segno del tempo: drammatico eppure consolante.


Gianni Baget Bozzo

http://www.ilfoglio.it/soloqui/816

Sunday, August 17, 2008

Charles Taylor (2)

中野剛充著『テイラーのコミュニタリアニズム 自己・共同体・近代』

勁草書房、2007年1月刊行



まえがき





チャールズ・テイラー(Charles Taylor)とは誰なのだろうか?この答えを知っている方はこの「まえがき」をとばして、序論から読んでいただきたい。しかし多くの人は、たとえば「コミュニタリアンの一人」といった観点からのみ、彼のことを知っているのではないだろうか。「コミュニタリアン」は彼を理解する一つのキーワードであることを認めざるをえないし、本著のタイトルを、「テイラーのコミュニタリアニズム」としたのも、そこが一番の理由になっている。しかしその他にも、例えば「多文化主義者」や「(分析)哲学者」、「ヘーゲル研究者」あるいは「カソリック社会主義者」としてのみ彼を理解している人が大勢いるのだ。

 これは日本語圏だけの話ではない。英語圏でも学者がそれぞれ、ある分野の研究者として、その分野の視点から、彼のことを「多文化主義者」や「ヘーゲル研究者」として理解しているケースがほとんどである。しかしいったい「チャールズ・テイラーとは誰なのか」と問うならば、彼はきわめて多面的で、領域横断的な思想家であることがみえてくる。その証拠に、これまでに発表された彼の思想に関する研究書は私が知るかぎり全部で4冊あるが、いずれもメインタイトルは彼の名前そのままの『Charles Taylor』となっている。これはつまり、彼の思想と経歴が、一言で言い表すことができないほど多様であることを意味しているのではないだろうか。

その中の一冊のサブタイトルには「深い多様性を思考しながら生きる(thinking and living deep diversity)」と記されているものがある。「深い多様性を思考しながら生きる」テイラーとは、どういうことであろうか?これはたんに彼が、プロテスタント・英語系が圧倒的な北米大陸で、カソリックの(フランス語圏である)ケベック人(事実彼は、イギリス系の父とフランス系の母の元に生まれている)として生きているということにとどまらないであろう。また、彼が世界においてもまれに見るほど多文化化が進んでいるカナダに生まれ、思想伝統において「大陸哲学」と「英米(分析)哲学」のあいだで思考している、ということだけでもないだろう。「深い多様性を思考しながら生きる」ことの意味を、テイラーの半生を簡単に追いながら、少し読み解いてみよう。

1931年カナダ・ケベック州生まれのテイラーは、ケベック州モントリオールにあるマギル大学を卒業した後(1952)、イギリス・オックスフォード大学に学び、マルクス主義と実存主義に関する博士論文を書いて博士号を取得した(1961)。オックスフォード在学中から、イギリス「ニュー・レフト」運動の創始者の一人として活動し、彼はそこで、ソ連型社会主義とは別の形の「ヒューマニスティック」な社会主義のあり方を模索していた。後にいわゆる「カルチュラル・スタデーズ」のリーダーとなるスチュアート・ホールらとともに、雑誌『ユニヴァーシティーズ・アンド・レフト・レビュー』を立ち上げたりもしている。この雑誌はその後、E.P.トムソンやA・マッキンタイアらの雑誌『ニュー・リーズナー』と合併して、『ニュー・レフト・レビュー』となり、テイラーはその初代編集者の一人となっている。またテイラーは、イギリスのニュー・レフトにはじめてマルクスの『経済学・哲学草稿』を持ち込んで、「ヒューマニスティックな社会主義」の可能性を一歩進めた人物としても知られる(ちなみにこのころ、テイラーはハンガリーの非合法地下大学の援助なども行っていた)。

他方でテイラーは、オックスフォード大学でアイザイア・バーリンと出会い、生涯にわたる交友関係を築いていった。テイラーはバーリンの下で学び、その後は、バーリンの思想の最も正当な継承者にして最大の批判者の一人となったのである(第三章第二節)。

カナダに帰国したテイラーは、カナダのマギル大学で教鞭をとりつつ、カナダ・ケベックの「政治家」としても活動を始めている。テイラーは、1960年代以降、カナダの民主主義的社会主義政党であるNDP(新民主党)から4度にわたって立候補し、一度は自由党から長く(1968-84の間に16年間にわたって)首相を務めた現代カナダを最も象徴する政治家といわれたピエール・トルドーと同じstar candidateとして議席を争ったこともある。4度とも落選したものの、NDPの副党首まで務めた。

その後、次第にアカデミックな活動に重点を置くようになったテイラーは、最初の著作『行動の説明』(1964)以来、徹底した自然主義(naturalism)批判者として、多くの著作と論文を著していった。1960年代から1980年代にかけて、テイラーは、人文・社会科学を自然科学に還元しようとする当時の潮流――彼が自然主義と呼ぶもの――を批判して、「自己解釈(self-interpretation)」的存在としての「人間行為者(human agency)」を考察の対象とすべきことを訴えている(第一章、第二章)。

1980年代以前のテイラーの業績で最も定評があるのは、いわゆる大陸哲学と英米(分析)哲学を架橋する仕事であろう。彼は、ヘーゲル、ハイデガー、ガダマー、メルロ・ポンティといったヨーロッパ哲学の伝統を背景に、狭義には分析哲学、広義には人文・社会科学全体を対象としつつ、そこに解釈学的な方法論を導入し、また独自のヘルダー解釈やウィトゲンシュタイン解釈に基づいて、人間と言語の(決して「道具的」ではありえない)本質的な関係性を解明していった。こうしたテイラーの研究は、『科学革命の構造』のトーマス・クーン、『文化の解釈学』のクリフォード・ギアーツ、『哲学と自然の鏡』のリチャード・ローティ、『コンピューターには何ができないか』のヒューバート・ドレイファスといった英語圏を代表する哲学者たちに、少なからず影響を与えたといわれている。

またテイラーは、英語圏では最高のヘーゲル研究者の一人としても知られている(第四章第一節)。1975年の大著『ヘーゲル』、および1979年にその一部を要約した『ヘーゲルと近代社会』の刊行は、それまでのカール・ポパーやシドニー・フックらによる偏狭なヘーゲル理解を、英語圏から一掃したといっても過言ではないだろう。テイラーは、ポスト・マルクス時代における哲学の可能性を提示する人物としてのヘーゲル、あるいは、西欧近代の最大の倫理的課題である「啓蒙主義とロマン主義のコンフリクト」を止揚した人物としてのヘーゲルという、新しいヘーゲル像を提示したのであった。

1980年代になると、テイラーはいわゆる「西欧近代」の問題にとりかかりはじめる。この時期には、他にも例えば、ハーバーマスやフーコーやマッキンタイアなどの思想家が同じ問題に取り組んでいるが、テイラーの立場は、「西欧近代」を全否定するのでも全肯定するのでもなく、そこに隠されたいくつかの善を「分節化(articulation)」することによって、主としてポスト・ロマン主義的な道徳性に、西欧近代の「救済」の道を見出そうとするものであった(第五章)。大著『自己の諸源泉』(1989年刊、現在までの主著と見なされている)や、その一部を発展させた小著『真正さの倫理』(1991年)は、この時期の代表作である。

また同じく1980年代から、テイラーはいわゆる「コミュニタリアニズム」の代表的論客の一人として、大きな注目を集めるようになる(第四章)。70年代から80年代にかけて、英語圏においてはジョン・ロールズの『正義論』(1971年)が脚光を浴び、政治学・経済学・哲学・倫理学といった領域に「ロールズ産業」が構築されたとまで言われていた。これに対してテイラーは、ロールズの『正義論』に代表される現代リベラリズムの偏狭な自己概念や政府の中立性の概念を批判し、「トクヴィル主義者」として、民主主義的コミュニタリアニズムの理念を対置したのであった。テイラーの思想は、アミタイ・エッツィオーニらに継承され、アメリカ合衆国では「応答するコミュニタリアン運動」として大きな勢力を形成していく。そして彼らのコミュニタリアニズムは、ビル・クリントン前大統領やアル・ゴア前副大統領といった「ニュー・デモクラッツ」たちに、少なからず政治的影響を与えたといわれている。

1990年代になると、テイラーは『多文化主義と「承認の政治」』(1992=1995)を発表して、「多文化主義」論争の中心的な人物として注目を浴びる(第四章)。この論文その他によって、テイラーは、現代における人間のアイデンティティと「承認(recognition)」の本質的な関係性を明らかにし、1990年代のケベック危機(1995年の州民投票においては、50.5%対49.4%の僅差で、カナダからのケベック分離・独立が否決されている)に対して真摯な政治的・文化的な提言をおこなった。テイラーはこのとき、一方では偏狭なケベック・ナショナリズムを批判しつつ、他方では個人の権利を絶対視する連邦(憲章)主義を否定して、多様なアイデンティティを生き、かつ承認するという、「深い多様性(deep diversity)」の理念を訴えたのであった。

近年のテイラーは、宗教、とくにキリスト教とカソリックの問題を正面から取り扱うようになっている。批判者たちは、テイラーの思想のカソリック的な側面(例えば目的論的な性格など)を批判するが、個人の信仰としてのカソリシズムはともかく(彼は前ローマ法王ヨハネ・パウロ二世とも深い親交があった)、彼の思想全体を「カソリック」の観点から理解することはやはり難しいであろう。ただし近年、テイラーにとって、カソリックや宗教そのものの現代世界における意味や役割が大きなテーマになりつつあり、現在(2006年9月)執筆中と言われる大著も、その方向性で議論が展開されるものと思われる。

このようにテイラーは、まさに自身の生と思考において、深い多様性を生きてきた人物であった。その多様性の内実については、本論で詳しく検討していきたい。最後に、ナンシー・フレイザーが「9.11は『承認の政治』である」と述べているように、テイラーが提起した「アイデンティティと承認」の問題や、現代世界と宗教の関係、そして彼が近代の本質的な問題とする「諸々の善の和解(reconciliation)」の問題は、今後も21世紀全体を覆う大きな問題となることは予想するに難くない。こういった意味においても、テイラーの思想は、これからも注意深く読みこむ価値があるように思われる。

http://www.econ.hokudai.ac.jp/~hasimoto/Nakano%20Takamitsu%20Taylors%20Communitarianism%20Preface.htm

Charles Margrave Taylor

http://www.tku.ac.jp/~juwat/blog/book_blog/2008/05/post_68.html

1992. The Malaise of Modernity, being the published version of Taylor's Massey Lectures. Reprinted in the U.S. as The Ethics of Authenticity. Harvard University Press ★



チャールズ・テイラー『<ほんもの>という倫理』産業図書
・「ほんもの」は英語では「オーセンティシティ」という。「リアリティ」とはまた違う意味で、アカデミックな世界ではよくつかわれることばだ。たとえば、「オーセンティック」なロック音楽、「ほんもの」のミュージシャンといった言い方がされる。それが、じぶんでも気にいったものなら、ほとんど疑問ももたずに、すぐに同調したくなる。ここで「オーセンティック」や「ほんもの」という評価の根拠となるのは、多分、音楽性や芸術性、あるいは文学性といったものだ。優れているからそう評価されるのだから、そこには当然、「名誉」や「称賛」の気持がともなうことになる。

・一方で、「ほんもの」にはかならず、その対比として、そうでないものが含意されていて、そこには、いんちき、偽物、屑といったことばがつかわれる。何かを高く評価するためには、低い評価のものとの比較が必要で、そうした方がぜったいわかりやすいし、説得力もあるからだ。
・だから、このことばを使うことにはある種の抵抗やためらいもある。たとえばポピュラー音楽でいえば、そもそもその価値はクラシック音楽との比較の上で、たえず偽物やがらくたとして蔑まれてきたという歴史をもっている。ロックは、その価値を転倒させた音楽だが、今度は、それをほんものとして、別の音楽を屑だと批判するようになった。その気持はわかるし、ぼくも、そう言いたくなることがしょっちゅうある。けれども、そこには何かすっきりしない、わだかまりものこってしまう。

・テイラーは、その点を「名誉」と「尊厳」の違いとして説明する。つまり、「名誉」は社会階層を基礎にして感じられるものだが、「尊厳」は、普遍主義的で平等主義的な前提にたつというのである。現在の社会通念では、階級や階層は差別意識の土台として非難され、「人間の尊厳」はすべての人に平等に分けもたれたものとして受けとめられている。だから、何かを指して「ほんもの」だとか「オーセンティック」だということに感じるわだかまりは、そうではないものの「尊厳」を否定するニュアンスを自覚するからだ、ということになる。
・テイラーは、「人間の尊厳」を否定せずに、なおかつ何かを、誰かを「オーセンティック」だとするやり方はあるという。彼によれば、「オーセンティシティ」は、じぶんよりも大きな社会、世界、宇宙といったところに立ったときに考えられる「重要な問いの地平」、あるいは「道徳的理想」を基準にして判断されるものである。すべての人の権利や尊厳を認める「平等」という原則は、基本的には相対主義的なものだが、現代のそれは「重要な問いの地平」や「道徳的理想」をきれいに捨象してしまっているから、人それぞれの多様性や雑多なものごとを横並びで共存させて、尊重しているふうを装っているだけだ、ということになる。

・だとすると、ロック音楽における「オーセンティシティ」は、まず第一に、この社会に対する批判精神の有無によって判断されるということになるだろう。それがなければ、どれほどの人気に支えられようと、音楽性が高かろうと、それは「ほんものではない」と言えるはずである。

・テイラーは「[自己の]外部からやってくる道徳的な要請や、他者との真剣な関わり合い」を軽視、あるいは認めずに「自己達成を人生の主要な価値とする」傾向を「ナルシシズムの文化」と呼ぶ。彼によれば、これこそが、ほんものという倫理を陳腐なものにした元凶である。「ナルシシズム的な自己達成」は何より自由を主張して、関心を自分にのみ向けがちになる。それは平等を基盤にした「人間的尊厳」に支えられる生き方だが、同時に、自分を他者より優った者、つまり、自己の「ほんもの性」をたえず確認したがる存在でもある。
・現在の消費社会、とりわけ「ブランド」イメージは、このような欲望に訴える。自己の「アイデンティティ」は「重要な他者がわたしのうちに承認しようとするアイデンティティとの対話のなかで、またときには闘争のなかで、自分のアイデンティティを定義」してはじめて、自他の間で了解されるものになるが、「イメージ」を消費してまとう限りは、そのような面倒なやりとりは必要ない。



人生の意味を追求し、じぶん自身を有意義な仕方で定義しようとする行為者は、重要な問いの地平に生きねばなりません。そしてそれこそは、自己達成にひたすら邁進して社会や自然の要求と対立する現代文化の流儀、歴史を隠蔽し、連帯の絆を見えなくさせる現代文化の流儀では、やろうにも自滅するほかないことなのです。


・何か、誰かの「ほんもの性」を問うことは、当然、自分に跳ね返って、自分の「アイデンティティ」を見つめなおせと問い詰めてくる。その自覚がないところでは、「ほんもの論議」はまた、無益に消費されるものでしかない。この意識は、世界中のどこより、現在の日本人に欠けているもののように思う。

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日本語での紹介文献としては

中野剛充『テイラーのコミュニタリアニズム』勁草書房 2007
田中智彦「両義性の政治学――チャールズ・テイラーの政治思想」 『早稲田政治公法研究』、第53号、1996年12月、293-323頁、 第55号、1997年8月、213-244頁

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チャールズ・テイラー博士、京都賞を受賞

京都賞は稲盛財団が創設した「科学や文明の発展、また人類の精神的深化・高揚に著しく貢献した方々の功績を讃える国際賞」である。
1985年に始まり、今年が24回目。
チャールズ・テイラー博士の受賞理由は「多様な文化の共存を目指す社会哲学」の構築に貢献したというもの。
「全体論的個人主義」の立場から「共同体主義」と「多文化主義」を唱え、歴史・伝統・文化を異にする人間同士が、複合的アイデンティティを保持しつつ幸福に共存しうる社会哲学を構築し、人類社会の進むべき方向を自らの人生を通して示してきたという説明が付されている。



http://www.inamori-f.or.jp/laureates/k24_c_charles/ctn.html

第24回(2008年)受賞者 / 思想・芸術部門 / 思想・倫理
チャールズ・マーグレイヴ・テイラー (Charles Margrave Taylor)
カナダ / 1931年11月5日
哲学者
マギル大学 名誉教授

「多様な文化の共存をめざす社会哲学の構築」
「全体論的個人主義」の立場から「共同体主義」と「多文化主義」を唱え、歴史・伝統・文化を異にする人間同士が、複合的アイデンティティを保持しつつ幸福に共存しうる社会哲学を構築し、人類社会の進むべき方向を自らの人生を通して示してきた。

|プロフィール|業績|プレス資料|
業績
多様な文化の共存をめざす社会哲学の構築
チャールズ M.テイラー博士は、「全体論的個人主義」の立場から、「共同体主義」と「多文化主義」を唱え、歴史・伝統・文化を異にする人間同士が、複合的アイデンティティを保持しつつ、幸福に共存しうる社会哲学を構築し、その実現に向けて努力してきた傑出した哲学者である。

博士は、原子論的な人間観、方法論的個人主義・行動主義に基づく人間理解や自然主義的な人間科学を批判し、現象学・解釈学や言語ゲーム論を基盤に「哲学的人間学」を立て、人間は価値と目的とをもって行動する「自己解釈する動物」—日常的感情や道徳的直観を言語に分節化し、目的や価値の重要度を主体的に評価して行動する存在—と定義する。博士は、近代の功利主義哲学が価値選択を個人の感情や主観にゆだねている点を批判し、人間は共同体のなかで他者との会話を通じてアイデンティティを確立し、善なること、価値あること、為すべきこと、賛同・反対することを自己決定する枠組みを獲得していく存在であり、社会関係に埋め込まれた自己だとする。

博士は、当代最高と評されるヘーゲル研究を成し遂げ、ルソーやヘルダーの思想を掘り起こし、またガダマーの「地平の融合」や「影響作用史」の思想を導入することにより歴史的文脈のなかに自己の思想を位置づけ、説得力のある社会理論を構築した。重要なのは「承認」の概念であり、それをもとに、「独白的自己」に「対話的自己」を対置し、「絶対的自由」に代えて「状況内の自由」を提示する。そして、人間は他者からアイデンティティを承認されることによってのみ善く生きられること、個人の自律を重視するリベラリズムを実現する条件として、共同体の絆が重要であり、共同体意識が不可欠であることを主張するのである。

テイラー博士の「多文化主義」の基礎にも「承認」概念がある。近代社会におけるアイデンティティは、ときに歪められた承認に依拠するために、抑圧になりやすく、他者から押し付けられた「自己表象」の変更をめざす闘争ともなる。博士は「多様な性格や気質をもつ多数の人間に長く意味の地平を与えてきた諸文化は、たとえわれわれが嫌悪したり拒否すべきものを多くふくむ場合ですら、賞賛と尊重に値するものを確実に含むと想定するのが理にかなう」という原則を提示し、深い多様性を生きる人間の尊厳と、その承認の要求に正当な根拠を与えた。

博士はまた、活動する知識人、市民として、出身国カナダでは少数者の文化的同一性保持の集団的権利の承認を求める政治活動をする一方、グローバルな価値を非西洋社会の具体的条件を考慮しながら追求し、欧米中心主義からの脱却も試みている。博士が一貫して志向してきたのは相互承認に基づく社会であり、人間の物語全体に占める自己の位置が限られ、文化の優劣を決める絶対的尺度からは遠くにいるという自覚のもとに、各人が対話を通じて限定された理解の枠組みを替える相互努力をすることで、よりよき理解をめざす社会である。テイラー博士は、多様な異質の文化の承認に基づく共存に未来を託し、人類社会の進むべき方向を、自らの人生を通して示してきた、卓越した思想家である。

Sunday, August 10, 2008

Olympics




http://www.time.com/time/cartoonsoftheweek/0,29489,1826599_1741786,00.html

Thursday, August 07, 2008

Notre besoin de consolation est impossible à rassasier

Notre besoin de consolation est impossible à rassasier (1952)
Stig DAGERMAN (1923-1954)
Traduit du suédois par Philippe Bouquet


Je suis dépourvu de foi et ne puis donc être heureux, car un homme qui risque de craindre que sa vie soit une errance absurde vers une mort certaine ne peut être heureux. Je n’ai reçu en héritage ni dieu, ni point fixe sur la terre d’où je puisse attirer l’attention d’un dieu : on ne m’a pas non plus légué la fureur bien déguisée du sceptique, les ruses de Sioux du rationaliste ou la candeur ardente de l’athée. Je n’ose donc jeter la pierre ni à celle qui croit en des choses qui ne m’inspirent que le doute, ni à celui qui cultive son doute comme si celui-ci n’était pas, lui aussi, entouré de ténèbres. Cette pierre m’atteindrait moi-même car je suis bien certain d’une chose : le besoin de consolation que connaît l’être humain est impossible à rassasier.


En ce qui me concerne, je traque la consolation comme le chasseur traque le gibier. Partout où je crois l’apercevoir dans la forêt, je tire. Souvent je n’atteins que le vide mais, une fois de temps en temps, une proie tombe à mes pieds. Et, comme je sais que la consolation ne dure que le temps d’un souffle de vent dans la cime d’un arbre, je me dépêche de m’emparer de ma victime.

Qu’ai-je alors entre mes bras ?


Puisque je suis solitaire : une femme aimée ou un compagnon de voyage malheureux. Puisque je suis poète : un arc de mots que je ressens de la joie et de l’effroi à bander. Puisque je suis prisonnier : un aperçu soudain de la liberté. Puisque je suis menacé par la mort : un animal vivant et bien chaud, un cœur qui bat de façon sarcastique. Puisque je suis menacé par la mer : un récif de granit bien dur.


Mais il y a aussi des consolations qui viennent à moi sans y être conviées et qui remplissent ma chambre de chuchotements odieux : Je suis ton plaisir – aime-les tous ! Je suis ton talent – fais-en aussi mauvais usage que de toi-même ! Je suis ton désir de jouissance – seuls vivent les gourmets ! Je suis ta solitude – méprise les hommes ! Je suis ton aspiration à la mort – alors tranche !


Le fil du rasoir est bien étroit. Je vois ma vie menacée par deux périls : par les bouches avides de la gourmandise, de l’autre par l’amertume de l’avarice qui se nourrit d’elle-même. Mais je tiens à refuser de choisir entre l’orgie et l’ascèse, même si je dois pour cela subir le supplice du gril de mes désirs. Pour moi, il ne suffit pas de savoir que, puisque nous ne sommes pas libres de nos actes, tout est excusable. Ce que je cherche, ce n’est pas une excuse à ma vie mais exactement le contraire d’une excuse : le pardon. L’idée me vient finalement que toute consolation ne prenant pas en compte ma liberté est trompeuse, qu’elle n’est que l’image réfléchie de mon désespoir. En effet, lorsque mon désespoir me dit : Perds confiance, car chaque jour n’est qu’une trêve entre deux nuits, la fausse consolation me crie : Espère, car chaque nuit n’est qu’une trêve entre deux jours.


Mais l’humanité n’a que faire d’une consolation en forme de mot d’esprit : elle a besoin d’une consolation qui illumine. Et celui qui souhaite devenir mauvais, c’est-à-dire devenir un homme qui agisse comme si toutes les actions étaient défendables, doit au moins avoir la bonté de le remarquer lorsqu’il y parvient.


Personne ne peut énumérer tous les cas où la consolation est une nécessité. Personne ne sait quand tombera le crépuscule et la vie n’est pas un problème qui puisse être résolu en divisant la lumière par l’obscurité et les jours par les nuits, c’est un voyage imprévisible entre des lieux qui n’existent pas. Je peux, par exemple, marcher sur le rivage et ressentir tout à coup le défi effroyable que l’éternité lance à mon existence dans le mouvement perpétuel de la mer et dans la fuite perpétuelle du vent. Que devient alors le temps, si ce n’est une consolation pour le fait que rien de ce qui est humain ne dure – et quelle misérable consolation, qui n’enrichit que les Suisses !


Je peux rester assis devant un feu dans la pièce la moins exposée de toutes au danger et sentir soudain la mort me cerner. Elle se trouve dans le feu, dans tous les objets pointus qui m’entourent, dans le poids du toit et dans la masse des murs, elle se trouve dans l’eau, dans la neige, dans la chaleur et dans mon sang. Que devient alors le sentiment humain de sécurité si ce n’est une consolation pour le fait que la mort est ce qu’il y a de plus proche de la vie – et quelle misérable consolation, qui ne fait que nous rappeler ce qu’elle veut nous faire oublier !


Je peux remplir toutes mes pages blanches avec les plus belles combinaisons de mots que puisse imaginer mon cerveau. Etant donné que je cherche à m’assurer que ma vie n’est pas absurde et que je ne suis pas seul sur la terre, je rassemble tous ces mots en un livre et je l’offre au monde. En retour, celui-ci me donne la richesse, la gloire et le silence. Mais que puis-je bien faire de cet argent et quel plaisir puis-je prendre à contribuer au progrès de la littérature – je ne désire que ce que je n’aurai pas : confirmation de ce que mes mots ont touché le cœur du monde. Que devient alors mon talent si ce n’est une consolation pour le fait que je suis seul – mais quelle épouvantable consolation, qui me fait simplement ressentir ma solitude cinq fois plus fort !


Je peux voir la liberté incarnée dans un animal qui traverse rapidement une clairière et entendre une voix qui chuchote : Vis simplement, prends ce que tu désires et n’aie pas peur des lois ! Mais qu’est-ce que ce bon conseil si ce n’est une consolation pour le fait que la liberté n’existe pas – et quelle impitoyable consolation pour celui qui s’avise que l’être humain doit mettre des millions d’années à devenir un lézard !


Pour finir, je peux m’apercevoir que cette terre est une fosse commune dans laquelle le roi Salomon, Ophélie et Himmler reposent côte à côte. Je peux en conclure que le bourreau et la malheureuse jouissent de la même mort que le sage, et que la mort peut nous faire l’effet d’une consolation pour une vie manquée. Mais quelle atroce consolation pour celui qui voudrait voir dans la vie une consolation pour la mort !


Je ne possède pas de philosophie dans laquelle je puisse me mouvoir comme le poisson dans l’eau ou l’oiseau dans le ciel. Tout ce que je possède est un duel, et ce duel se livre à chaque minute de ma vie entre les fausses consolations, qui ne font qu’accroître mon impuissance et rendre plus profond mon désespoir, et les vraies, qui me mènent vers une libération temporaire. Je devrais peut-être dire : la vraie car, à la vérité, il n’existe pour moi qu’une seule consolation qui soit réelle, celle qui me dit que je suis un homme libre, un individu inviolable, un être souverain à l’intérieur de ses limites.


Mais la liberté commence par l’esclavage et la souveraineté par la dépendance. Le signe le plus certain de ma servitude est ma peur de vivre. Le signe définitif de ma liberté est le fait que ma peur laisse la place à la joie tranquille de l’indépendance. On dirait que j’ai besoin de la dépendance pour pouvoir finalement connaître la consolation d’être un homme libre, et c’est certainement vrai. A la lumière de mes actes, je m’aperçois que toute ma vie semble n’avoir eu pour but que de faire mon propre malheur. Ce qui devrait m’apporter la liberté m’apporte l’esclavage et les pierres en guise de pain.


Les autres hommes ont d’autres maîtres. En ce qui me concerne, mon talent me rend esclave au point de pas oser l’employer, de peur de l’avoir perdu. De plus, je suis tellement esclave de mon nom que j’ose à peine écrire une ligne, de peur de lui nuire. Et, lorsque la dépression arrive finalement, je suis aussi son esclave. Mon plus grand désir est de la retenir, mon plus grand plaisir est de sentir que tout ce que je valais résidait dans ce que je crois avoir perdu : la capacité de créer de la beauté à partir de mon désespoir, de mon dégoût et de mes faiblesses. Avec une joie amère, je désire voir mes maisons tomber en ruine et me voir moi-même enseveli sous la neige de l’oubli. Mais la dépression est une poupée russe et, dans la dernière poupée, se trouvent un couteau, une lame de rasoir, un poison, une eau profonde et un saut dans un grand trou. Je finis par devenir l’esclave de tous ces instruments de mort. Ils me suivent comme des chiens, à moins que le chien, ce ne soit moi. Et il me semble comprendre que le suicide est la seule preuve de la liberté humaine.


Mais, venant d’une direction que je ne soupçonne pas encore, voici que s’approche le miracle de la libération. Cela peut se produire sur le rivage, et la même éternité qui, tout à l’heure, suscitait mon effroi est maintenant le témoin de mon accession à la liberté. En quoi consiste donc ce miracle ? Tout simplement dans la découverte soudaine que personne, aucune puissance, aucun être humain, n’a le droit d’énoncer envers moi des exigences telles que mon désir de vivre vienne à s’étioler. Car si ce désir n’existe pas, qu’est-ce qui peut alors exister ?


Puisque je suis au bord de la mer, je peux apprendre de la mer. Personne n’a le droit d’exiger de la mer qu’elle porte tous les bateaux, ou du vent qu’il gonfle perpétuellement toutes les voiles. De même, personne n’a le droit d’exiger de moi que ma vie consiste à être prisonnier de certaines fonctions. Pour moi, ce n’est pas le devoir avant tout mais : la vie avant tout. Tout comme les autres hommes, je dois avoir droit à des moments où je puisse faire un pas de côté et sentir que je ne suis pas seulement une partie de cette masse que l’on appelle la population du globe, mais aussi une unité autonome.


Ce n’est qu’en un tel instant que je peux être libre vis-à-vis de tous les faits de la vie qui, auparavant, ont causé mon désespoir. Je peux reconnaître que la mer et le vent ne manqueront pas de me survivre et que l’éternité se soucie peu de moi. Mais qui me demande de me soucier de l’éternité ? Ma vie n’est courte que si je la place sur le billot du temps. Les possibilités de ma vie ne sont limitées que si je compte le nombre de mots ou le nombre de livres auxquels j’aurai le temps de donner le jour avant de mourir. Mais qui me demande de compter ? Le temps n’est pas l’étalon qui convient à la vie. Au fond, le temps est un instrument de mesure sans valeur car il n’atteint que les ouvrages avancés de ma vie.


Mais tout ce qui m’arrive d’important et tout ce qui donne à ma vie son merveilleux contenu : la rencontre avec un être aimé, une caresse sur la peau, une aide au moment critique, le spectacle du clair de lune, une promenade en mer à la voile, la joie que l’on donne à un enfant, le frisson devant la beauté, tout cela se déroule totalement en dehors du temps. Car peu importe que je rencontre la beauté l’espace d’une seconde ou l’espace de cent ans. Non seulement la félicité se situe en marge du temps mais elle nie toute relation entre celui-ci et la vie.


Je soulève donc de mes épaules le fardeau du temps et, par la même occasion, celui des performances que l’on exige de moi. Ma vie n’est pas quelque chose que l’on doive mesurer. Ni le saut du cabri ni le lever du soleil ne sont des performances. Une vie humaine n’est pas non plus une performance, mais quelque chose qui grandit et cherche à atteindre la perfection. Et ce qui est parfait n’accomplit pas de performance : ce qui est parfait œuvre en état de repos. Il est absurde de prétendre que la mer soit faite pour porter des armadas et des dauphins. Certes, elle le fait – mais en conservant sa liberté. Il est également absurde de prétendre que l’homme soit fait pour autre chose que pour vivre. Certes, il approvisionne des machines et il écrit des livres, mais il pourrait tout aussi bien faire autre chose. L’important est qu’il fasse ce qu’il fait en toute liberté et en pleine conscience de ce que, comme tout autre détail de la création, il est une fin en soi. Il repose en lui-même comme une pierre sur le sable.


Je peux même m’affranchir du pouvoir de la mort. Il est vrai que je ne peux me libérer de l’idée que la mort marche sur mes talons et encore moins nier sa réalité. Mais je peux réduire à néant la menace qu’elle constitue en me dispensant d’accrocher ma vie à des points d’appui aussi précaires que le temps et la gloire.


Par contre, il n’est pas en mon pouvoir de rester perpétuellement tourné vers la mer et de comparer sa liberté avec la mienne. Le moment arrivera où je devrai me retourner vers la terre et faire face aux organisateurs de l’oppression dont je suis victime. Ce que je serai alors contraint de reconnaître, c’est que l’homme a donné à sa vie des formes qui, au moins en apparence, sont plus fortes que lui. Même avec ma liberté toute récente je ne puis les briser, je ne puis que soupirer sous leur poids. Par contre, parmi les exigences qui pèsent sur l’homme, je peux voir lesquelles sont absurdes et lesquelles sont inéluctables. Selon moi, une sorte de liberté est perdue pour toujours ou pour longtemps. C’est la liberté qui vient de la capacité de posséder son propre élément. Le poisson possède le sien, de même que l’oiseau et que l’animal terrestre. Thoreau avait encore la forêt de Walden – mais où est maintenant la forêt où l’être humain puisse prouver qu’il est possible de vivre en liberté en dehors des formes figées de la société ?


Je suis obligé de répondre : nulle part. Si je veux vivre libre, il faut pour l’instant que je le fasse à l’intérieur de ces formes. Le monde est donc plus fort que moi. A son pouvoir je n’ai rien à opposer que moi-même – mais, d’un autre côté, c’est considérable. Car, tant que je ne me laisse pas écraser par le nombre, je suis moi aussi une puissance. Et mon pouvoir est redoutable tant que je puis opposer la force de mes mots à celle du monde, car celui qui construit des prisons s’exprime moins bien que celui qui bâtit la liberté. Mais ma puissance ne connaîtra plus de bornes le jour où je n’aurai plus que le silence pour défendre mon inviolabilité, car aucune hache ne peut avoir de prise sur le silence vivant.


Telle est ma seule consolation. Je sais que les rechutes dans le désespoir seront nombreuses et profondes, mais le souvenir du miracle de la libération me porte comme une aile vers un but qui me donne le vertige : une consolation qui soit plus qu’une consolation et plus grande qu’une philosophie, c’est-à-dire une raison de vivre.

EUROCENTRISM?

ヨーロッパの伝統は日本の伝統ではないが、しかし、明治維新以来日本はヨーロッパとアメリカから科学技術だけでなくその文化や思想をも(換骨奪胎したり浅薄に理解したりしながら)受容してきたのであり、近代以降の日本文化はそうして受容された西欧文明なしには理解できない。ヨーロッパの伝統はもう以前から日本の伝統の一部と言っていいのである。プラトンやシェイクスピアはわれわれ日本人にとっても古典となった。麻生建自身が当の論文でガダマーの解釈学やヤウス〔Jauss〕の受容美学をある仕方で理解して日本に紹介したという活動も、そのような文明史的過程を構成するひとつの出来事なのである(そしてもちろん、この訳者も、そしてこの「訳者あとがき」も)。(巻田悦郎、「訳者あとがき」、ガダマー著『真理と方法II』、法政大学出版局、2008年、(22)頁)

Wednesday, August 06, 2008

Eco-ethica

Eco-Ethics and Contemporary Philosophical Reflection
The Technical Conjuncture and Modern Rationality
McCormick, Peter
2008, 192 S, Kt, (Winter)
Bestell-Nr. 146349 26,00 EUR


This is the first of two volumes dedicated to a sympathetic yet critical articulation of eco-ethics, the project of the distinguished contemporary Japanese philosopher, Tomonobu Imamichi. The basic idea of an eco-ethics is that the now global technological transformation of the human milieu requires radical ethical innovation. In the first of two books published simultaneously, Peter McCormick sets out the major lines of the eco-ethical project in comparison and contrast with outstanding work in contemporary philosophical reflection. He elucidates eco-ethics sympathetically but critically under four headings - moral and ethical realisms, correspondence and coherence accounts of truth, rationalities and aesthetics, interpretation theories and relativisms.


Eco-Ethics and an Ethics of Suffering
Ethical Innovation and the Situation of the Destitute
McCormick, Peter
2008, 192 S, Kt, (Winter)
Bestell-Nr. 146350 26,00 EUR


After situating the eco-ethical project in the contexts of four major themes in contemporary philosophical reflection in the companion volume published simultaneously, Eco-Ethics and Contemporary Philosophical Reflection, Peter McCormick now suggests a re-articulation and critical appraisal of ecoethics in terms of its two cardinal concepts, the technological conjuncture and ethical innovation. In the second part he then articulates one direction only that further work on the ecoethical project might follow, namely sustained philosophical inquiry into what he has discussed elsewhere in terms of a 'negative sublime” and the deep pathos of famine, the global necessity today for an ethics of suffering. When taken together, both books open perspectives on how contemporary Western philosophical reflection can benefit from broadening its present scope to more active engagements with contemporary East Asian reflection.

Friday, July 25, 2008

Inviato a: ilfoglio.it

A proposito del di battito sulla ideologia animalista, vorrei contribuire proponendo allo vostra riflessione alcuni pensieri di B. Pascal che mi sembrano
molto interessanti.

"Gli animali non si ammirano. Un cavallo non ammira il suo compagno. Non che durante la corsa non ci sia emulazione tra loro, ma ciò resta senza conseguenze. Nella stalla, il più pesante e mal fatto non cede la propria avena all'altro, come vogliono tra loro gli uomini. La loro virtù si accontenta di sé."(401, Brunschvicg)

"La più grande bassezza dell'uomo consiste nella ricerca della gloria, ma questo è anche il più grande segno della sua superiorità, perché per quanto possegga su questa terra, per quanto sia sano e per quanti vantaggi disponga, se gli uomini non lo stimano non è soddisfatto. A tal punto considera la ragione umana che qualunque posto occupi al mondo, se non occupa un buon posto anche nella ragione umana, non è contento. È il più bel posto del mondo, niente lo può distogliere da questo desiderio ed è la caratteristica meno cancellabile dal cuore umano.

E quelli che disprezzano maggiormente gli uomini e li paragonano alle bestie, vogliono anch'essi venire ammirati e creduti, contraddicendosi da soli a causa di questo sentimento. La loro natura, più forte di tutto, li convince della grandezza umana più di quanto la ragione non li convinca della loro bassezza."(404)

"La grandezza dell'uomo è così evidente che si ricava perfino dalla sua miseria, perché quello che per gli animali è la natura, nell'uomo lo chiamiamo miseria; da ciò riconosciamo che, se oggi la sua natura è simile a quella degli animali, egli è decaduto da una natura migliore che un tempo era la sua.

E in effetti chi può lamentarsi di non essere un re se non un re spodestato? Paolo Emilio era forse considerato infelice perché non era un console? Al contrario tutti ritenevano che egli fosse felice di esserlo stato, dal momento che la sua condizione non era di esserlo sempre. Ma Perseo era ritenuto così infelice di non essere più re, dal momento che la sua condizione comportava di esserlo sempre, che si trovava strano sopportasse ancora la vita. Chi si ritiene infelice di non avere che una bocca, e chi non si riterrebbe infelice di avere un occhio solo? A nessuno forse è mai venuto in mente di affliggersi per non avere tre occhi, ma chi non ne ha è inconsolabile."(409)

"Poiché la miseria si deduce dalla grandezza e la grandezza dalla miseria, alcuni hanno affermato la miseria quanto più hanno preso come prova la grandezza, altri hanno affermato la grandezza con tanta più forza in quanto l'hanno dedotta dalla miseria stessa. Tutto quello che gli uni hanno potuto dire per mostrare la grandezza è servito agli altri come argomento per dedurre la miseria, perché quanto più si cade dall'alto, tanto più si è miserabili, mentre per gli altri è il contrario. Si sono rincorsi l'un l'altro in un cerchio senza fine, essendo certo che nella misura in cui gli uomini posseggono la ragione, essi trovano nell'uomo miseria e grandezza. In una parola: l'uomo sa di essere miserabile. Egli è dunque miserabile, poiché lo è, ma dal momento in cui lo sa è davvero grande."(416)

Se gia' ai tempi di Pascal c'erano gli animalisti, e' proprio vero che "non c'e' niente di nuovo sotto il sole" !

Cordiali saluti

LEVI-STRAUSS

LÉVI- STRAUSS

Compirà cent’anni il prossimo 28 novembre. È considerato il padre moderno di una disciplina che guarda alle culture con una mentalità «relativistica». Dopo le ricerche in Brasile, elaborò una teoria che ha condizionato generazioni di studiosi
L’antropologia senza centro

DI LUCETTA SCARAFFIA

Claude Lévi-Strauss compirà cento anni il prossimo 28 novembre, e la Francia si prepara a festeggiare quello che è stato, senza dubbio, il più importante intellettuale francese del Novecento. Anche il fatto che stia per raggiungere una età così significativa e rara gli conferisce un’aura speciale, un’aura che si aggiunge a quella di monumento vivente alla cultu­ra del secolo, di cui ha impersonato al meglio la prete­sa di trovare una spiegazione 'scientifica' a tutto. Si tratta di uno status che il grande antropologo ha rag­giunto già da mezzo secolo: si può considerare, infatti, che la sua consacrazione sia avvenuta il 5 gennaio 1960, giorno della lezione inaugurale al Collège de France, che non solo lo accoglieva fra i suoi membri, confer­mando ufficialmente il suo statuto di grande studioso, ma si apriva alla disciplina da lui – in un certo senso – inventata, l’Antropologia strutturale. Egli realizzava co­sì, finalmente, la sua ambizione di estendere il domi­nio dell’antropologia fino a comprendere tutte le scien­ze umane, studiate con metodi scientifici analoghi a quelli delle scienze naturali. Lévi-Strauss, profeta del­la morte del soggetto e papa della modernità trionfan­te, si presenta quindi ai suoi contemporanei come colui che svelerà loro il senso di quello che sembrava solamente disordine. Il suo immenso successo non è solo di natura accade­mica: se oggi pensiamo che non esistono le razze, ma solo le differenze culturali, se crediamo che non si pos­sono fare differenze di valore fra le culture, se pensia­mo che un mito Hopi sia inte­ressante e importante co- me un Vangelo, è solo grazie all’influenza esercitata dal suo pensiero. Un’influenza non solo positiva: come ha scritto un suo contemporaneo e critico, il filosofo ebreo Emmanuel Lévinas, «l’ateismo moderno, non è la negazione di Dio, ma l’indifferentismo assoluto di Tristi tropici. Penso che sia il libro più ateo che sia stato scrit­to al giorno d’oggi, il più disorientato e il più disorien­tante ». Nato nel 1908 da una famiglia ebraica ormai assimila­ta nella società francese, laureato in filosofia, trova la sua strada nella ricerca etnologica grazie alla possibi­lità di insegnare per un periodo all’università di San Paolo, in Brasile. La scelta dell’etnologia – racconta nel­le sue interviste – è stata quasi casuale: per alcuni an­ni, infatti, si era impegnato soprattutto in politica, con il partito socialista e il sindacato e forse, se le occasio­ni fossero state altre, la sua vita avrebbe preso una di­rezione diversa. Gli anni trascorsi a San Paolo, e so­prattutto i mesi di vacanza dall’università passati a fa­re ricerca fra le popolazioni indigene meno contami­nate dalla civiltà occidentale – e questi saranno gli u­nici periodi di ricerca diretta sul campo della sua lun­ga vita di studioso – costituiranno invece il suo battesimo come etnologo e gli faranno scoprire l’intensa at­trazione per l’esotico e il diverso. L’esilio obbligato a New York durante il regime di Vichy lo mette in contat­to con l’antropologia anglosassone, allora all’avan­guardia, e gli consentirà di tessere relazioni durature e importanti anche con la comunità degli intellettuali e­siliati là durante la guerra. Particolarmente feconda la sua amicizia con il linguista russo Roman Jakobson, grazie a cui scoprirà la linguistica strutturale, che gli of­fre la possibilità di arrivare a un sapere oggettivo – co­me quello delle scienze naturali – in cui vedrà la chia­ve per ritrovare, sotto la superficie della storia e degli avvenimenti, la logica che porta il reale a essere quel­lo che è. Egli si pone davanti al mondo come davanti a un testo, che bisogna imparare a leggere e com­prendere direttamente. L’applicazione dell’analisi strutturale ai sistemi di parentela delle tribù amerindie da lui studiate co­stituì il primo banco di prova di queste teorie in­novative. La famiglia, per Lévi-Strauss, non è un fat­to naturale, e ogni spiegazione naturalista non può arrivare a spiegare il suo funzionamento; l’unica spiegazione è quella culturale, che egli trova nei simboli della parentela. Un sistema di parentela, e­gli scrive, «esiste solo nella coscienza degli uomi­ni »: oggi sappiamo bene quali effetti questa affer­mazione ha determinato nelle nostre società.
Il ritorno in Francia nel dopoguerra non fu facile, anche se quelli furono gli anni di una feconda col­laborazione con l’Unesco, per cui scrisse uno dei suoi saggi più famosi, Razza e storia, nel quale con­futava l’esistenza delle razze, nonché quella di una gerarchia fra le culture. Intorno a questa tesi scop­piò un vivace dibattito: Roger Caillois, sociologo e scrittore, accusò Lévi-Strauss di relativismo, per­ché obbligava l’etnologo a essere coscienza criti­ca dei valori della cultura da cui era emerso. Men­tre, al contrario, per Caillois sarebbe proprio l’e­sistenza dell’etnologia a confermare la supe­riorità dell’Occidente sui 'primitivi'.
Un lungo viaggio in Estremo Oriente per l’U­nesco lo metterà in contatto con le religioni orientali e con l’islam, verso cui proverà u­na manifesta antipatia; il suo agnosticismo radicale lo avvicina solo al buddhismo, che considera l’unica religione accettabile. Nel 1954 la sua fama cre­sce improvvisamente grazie a un libro non scientifico, una sorta di romanzo filosofico di viaggio, Tristi tropi­ci,
che lo fa conoscere in tutto il mondo, anche al di fuo­ri degli specialisti. L’ingresso nell’Ecole des Hautes Etudes non avviene, co­me lui voleva, fra le 'Scienze umane' della VI sezione, dominata dagli storici, ma nella V, delle 'Scienze reli­giose', composta, a detta dell’antropologo, di «poveri diavoli». In questo suo atteggiamento, è evidente non solo il disprezzo per le persone (uno dei colleghi era Dumezil!), ma per il tema stesso: egli non considererà mai la religione come tema autonomo di ricerca, ma solo come specchio dell’organizzazione sociale e cul­turale di un popolo. Per questo, il suo interesse si indirizzerà ai miti, alla cui decifrazione dedicherà la seconda parte della sua vita di ricerca, mentre come saggista si cimenterà con i gran­di temi dell’umanità, come il progresso, il rapporto con la matematica, la musica e l’arte, talvolta sollecitato dalle conversazioni con amici come Benveniste, La­can, Merleau-Ponty. Il testo mitico, per lui, non appartiene alla sfera religiosa, ma deve essere decifrato come un linguaggio. Ed è pro­prio sulla questione dell’analisi del mito che si concentra la critica di un altro antropologo francese, René Girard, che nella Francia ipnotizzata dal pensiero levistraussiano non trova spazio, ed è costretto ad emigrare negli Stati U­niti. Girard denuncia la tendenza, in Lévi-Strauss, a «met­tere da parte la verità»; in particolare, per quanto riguar­da il meccanismo della vittima espiatoria, lo strutturali­smo «fa scomparire il sacro». Ma è soprattutto la magi­strale analisi di Girard sui Vangeli come rovesciamento del meccanismo tradizionale del capro espiatorio a costitui­re la confutazione più chiara del relativismo culturale.
Oggi lo strutturalismo non è più di moda fra gli studio­si, ma gli effetti del pensiero di Lévi-Strauss sono evi­denti e forti nell’opinione comune, nella costruzione di un 'politicamente corretto' agnostico e relativista che sembra ormai avere contaminato ogni forma di pensiero.


Avvenire, 24 luglio 2008