Tuesday, December 27, 2022

Multi faith

There is of course no such thing a "multi-faith". It is a cosmetic shibboleth designed to hide the predatory intentions of one kind of philosophical absolutism against another. It is a mechanism for undermining the distinctive and absolutist claims of non-relative religious movements so that they can be rendered increasingly irrelevant by an uncompromising secular rationalism.


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Sunday, December 18, 2022

Ti adoro mio Dio

"Mio Dio, ti amo con tutto il cuore", ma "Mio Dio, credo con tutto il cuore che tu mi ami".


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Saturday, December 17, 2022

Osservatore Romano 16 dic 2022

La seconda parola è umiltà, che viene dal latino, humus. Quindi, essere umili «è sentirsi come un campo ara- to, pronti ad accogliere i semi di bel- lezza e conoscenza che tutti mi posso- no donare». In questo senso, da un «bambino a un anziano, da una casa- linga a un filosofo, se torno ad essere terra, posso davvero imparare da chiunque». Cristicchi ha detto di ap- prezzare l'umiltà di «chi vive in di- sparte, di chi non insegue il consenso, e non vuole emergere a tutti i costi»: di quei "santi silenziosi", cioè dei per- fetti "signor nessuno", che «si occu- pano della loro piccolissima porzione di mondo, senza chiedere applausi o medaglie al valore». Perché, ha fatto notare, «è molto meglio un anonimo perbene, che un mediocre di succes- so»; l'umiltà dell'albero, che regala «l'ossigeno, i frutti, la legna, l'ombra, senza chiedere niente in cambio». E allora, essere umile significa dire "gra- zie", anche «a un albero qualsiasi».


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Saturday, December 10, 2022

Teologia Dantesca Osservatore Romano

di GABRIELLA M.
DI PAOLA DOLLORENZO
vanti alla Mente divina. Ciò è dimostrato dalla concretezza della loro opera. In Pier Damiani l'elogio dell'ascesi si accompagna all'invettiva contro la decadenza, ma anche alla riforma della Chiesa (fu consigliere di Niccolò II e Alessandro II). Benedetto si definisce: «e quel son io che su vi portai prima / lo nome di colui che 'terra addusse / la verità che tanto ci soblima» (XXII, 40- 42), quella evangelizzazione di terre ancora legate al culto di Apollo e la fondazione della Regola: «La regola mia / rimasa è per danno delle carte» (XXII, 74-75).
Tommaso e Bonventura, Pier Damiani e Benedetto definiscono le coordinate della teologia dantesca che è figlia dell'anelito ri- formatore del Medioevo (si pensi a Gioac- chino da Fiore), ma è assolutamente mo- derna per il ruolo assegnato all'umanesi- mo: «L'umanesimo di Dante (...) è basato sui principi, che la grazia non distrugge la natura, ma la risana e la corona, e che perso- na est nomen dignitatis. In Dante tutti i valori umani sono riconosciuti ed esaltati (...) mentre egli si sprofonda nel divino" (Paolo VI, Altissimi cantus, 7). Pertanto non stupisca che l'excessus mentis di Dante, davanti al trionfo di Cristo e della Vergine Maria, si verifichi dopo le invettive dei Santi: Arriva- to nell'ottavo Cielo, sotto la "sua" costella- zione dei Gemelli, chiede aiuto alle Stelle per affrontare il «passo forte» (XXII, 123). L'excessus è collegato al processo di forma- zione del fulmine: attraverso l'estrema ten- sionedell'espressivitàDantetoccaillimite della mente e dell'arte, avvalendosi di lumi- nose analogie. «Come foco di nube si dis- serra / per dilatarsi sì che non vi cape, e fuor di sua natura in giù s'atterra, / la mente mia(...) / fatta più grande, di sé stessa uscìo» (XXIIi, 40-44). Conseguentemente vede il trionfo di Cristo: «Quale ne' pleni- lunii sereni / Trivia ride tra le ninfe etterne / che dipingon lo ciel per tutti i seni, / vid'io sopra migliaia di lucerne / un sol che tutte quante l'accendea,/ (...) e per la viva luce trasparea / la lucente sustanza tanto chia- ra» (XXIII, 25-32) e insieme il Trionfo di Maria «il nome del bel fior ch'io sempre in- voco e mane e sera» (XXIII, 88), circondata dalla luce dell'Arcangelo Gabriele. La Ver- gine è la Rosa mystica, in cui fu incarnato il Verbo (Giovanni, I, 14); per Bernardo rosa... candida per virginitatem, rubicunda per charitatem. Per la liturgia i Sancti tui, Domine, florebunt sicut lilium et sicut odor balsami erunt ante te (Cantico dei Cantici, II, 1; VI, 3 Ecclesiaste XXXIX , 18-19; ii Corinzi II, 14-15). Essi cantano Regina coeli, l'antifona del periodo pasquale.
Nell'apoteosi del Cielo dei Gemelli si in- serisce il triangolo della santità evocato da Benedetto: «Pier cominciò sanz'oro e sa- n'argento, / e io (Benedetto) con orazione e con digiuno, / e Francesco umilmente il suo convento» (XXII, 88-90). Pietro sarà il protagonista dei canti successivi: «Quivi triunfa, sotto l'alto Filio / di Dio e di Ma- ria, di sua vittoria, e con l'antico e col novo concilio, / Colui che tien le chiavi di tal glo- ria» (XXIII, 136-139).
«A
Papa Francesco ci introducono all'intreccio dei significati teologici che connotano i canti XXI, XXII e XXIIi del Paradiso.
I Beni della Chiesa appartengono ai Po- veri, XXII, 82-83, poiché la povertà è nella genesi della Chiesa stessa, per volere di Cristo e del suo primo Vicario: Petrus autem dixit: Argentum et aurum non est mihi (Atti Ap. III, 6) Et ego dico tibi quia tu es Petrus, et super hanc pe- tram aedificabo ecclesiam meam (Matteo 16, 18). Dante è particolarmente sensibile alla que- stione della povertà delle Origini: «Venne Cefàs e venne il gran vasello / de lo Spirito Santo, magri e scalzi / prendendo il cibo da qualunque ostello» (XXI, 127-129), con esi- bito riferimento alle Scritture: Iesus dixit. Tu es Simon, filius Iona; tu vocaberis Cephas, quod in- terpretatur Petrus (Giovanni I, 42) e Vas electionis (Atti Apostoli. IX, 15 riferito a Paolo) e si inse- risce nel contesto teologico dei Cieli VI, VII e VIII, in cui si riconosce la progressione Aquila, segno dell'impero romano, simbo- lo del potere terreno — Croce di Cristo, ponte tra Cielo e Terra — Scala d'oro, sim- bolo biblico (Genesi, XVIII,12) proteso solo verso il Cielo, per indicare il graduale di- stacco di Dante dalla Terra, nell'avvicinarsi aDio:«dicolord'oroincheraggiotraluce / vid'io uno scaleo eretto in suso/, Tanto, che nol seguiva la mia luce xxi, 28-30 ; e no- stra scala (...) / onde così dal viso ti s'invo- la. / Infin là su la vide il patriarca/ Iacobbe porger la superna parte, quando li apparve d'angeli sì carca» (XXII, 68-72).
Nell'affrontare il tema quanto mai arduo della santità vissuta nell'ascesi e nel mistici- smo, Pier Damiani e Benedetto da Norcia, Dante approda all'archetipo della santità papale, «Colui che tien le chiavi di tal glo- ria» (XXIII, 139) Pietro e, indirettamente, la- scia trasparire il suo ideale di Prelato, uomo dedito alle pratiche ascetiche e alla sua mis- sione spirituale, sprezzante di onori e agi mondani. Dopo gli Spiriti militanti del cie- lo di Marte e gli Spiriti Giusti del cielo di Giove, occorre descrivere la santità "con- templativa" del cielo di Saturno, necessaria premessa al Trionfo di Cristo e della Vergi- ne Maria. Nella concezione dantesca la contemplazione/ascesi sono a un tempo premessa e guida all'attività apostolica e approdo estremo di una sofferta esperienza terrena, così Pier Damiani: «Lievemente passava caldi e geli / contento ne' pensier contemplativi» (XXI, 116-117). Ciò introdu- ce il Lettore all'esperienza dell'excessus men- tis: «S'io torni mai, lettore, a quel divoto / triunfo per lo quale io piango spesso / le mie peccata» (XXII, 106-108), fortemente legata alla spiritualità di Pier Damiani e Benedetto, in cui ascesi e misticismo porta- no il segno della razionalità teologica, non dell'annichilimento della mente umana da-


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Vita eterna

Alla presenza del Pontefice la seconda predica di Avvento La porta della speranza
Dopo la venuta di Gesù «per il credente la mor- te non è più un atterraggio, ma un decollo!». Il messaggio rivoluzionario di speranza portato da Cristo con la sua incarnazione è stato rilan- ciato stamane dal cardinale Raniero Cantala- messa durante la seconda predica di Avvento te- nuta nell'Aula Paolo VI alla presenza di Papa Francesco.
Il predicatore della Casa pontificia sta appro- fondendo quest'anno le virtù teologali, soffer- mandosi oggi sulla speranza. Per rendersi conto della novità assoluta recata da Cristo su questo tema — è stata la premessa del porporato cap- puccino — occorre «collocare la rivelazione evangelica sullo sfondo delle credenze antiche sull'aldilà», a proposito delle quali l'Antico Te- stamento non aveva risposte. Soltanto «verso la fine si ha qualche affermazione. Prima — ha chiarito — la credenza d'Israele non differiva da quella dei popoli vicini. La morte pone fine per sempre alla vita; si finisce tutti, buoni e cattivi, in una specie di "fossa comune"». Israele però si
«distingue» — ha aggiunto Cantalamessa — p er- ché «ha continuato a credere nella bontà e nel- l'amore del suo Dio» e verso la fine dell'Antico Testamento giunge a maturazione il convinci- mento che la «sopravvivenza consiste nella ri- surrezione — corpo e anima — dalla morte (Dan 12, 2-3; 2 Macc 7, 9)». Però è soprattutto con Ge- sù che questa certezza, «dopo averla annunciata in parabole e detti», si realizza nella sua perso- na. In proposito il cardinale cappuccino ha cita- to la regina d'Inghilterra Elisabetta II, che nel suo rito funebre ha voluto fosse proclamato il noto passo di Paolo ai Corinzi (1 Cor 15, 54-57), con la frase «Dov'è, o morte, il tuo pungiglio- ne?».
Il predicatore ha quindi osservato come man- chino «le categorie necessarie per rappresentar- ci in cosa consista» la vita eterna con Dio; men- tre ad «alcuni mistici è stato dato di sperimenta- re qualche goccia dell'oceano infinito di gioia che Dio tiene preparato per i suoi». Dopodiché, ha esortato alla riflessione sull'«oggi della no- stra vita». E in proposito ha individuato «una cosa comune a tutti»: ovvero «l'anelito a vivere "bene"». Per Cantalamessa, infatti, «vivere "sempre" non si oppone al vivere "bene". La
speranza della vita eterna è ciò che rende bella, o accettabile, anche» quella «presente. Tutti ab- biamo la nostra parte di croce. Ma una cosa è soffrire senza sapere a che scopo, e un'altra sof- frire sapendo che "le sofferenze del tempo pre- sente non sono paragonabili alla gloria futura" (Rom 8, 18)». Da qui l'esortazione a rendere ra- gione della speranza teologale, la quale ha an- che «un ruolo importante da svolgere nei con- fronti dell'evangelizzazione» e «nel cammino personale di santificazione» cristiana.
Riguardo al primo aspetto il cardinale ha pre- so spunto dalla constatazione che il «rapido dif- fondersi del cristianesimo» fu dovuto in origine all'annuncio «di una vita dopo la morte». Per tale motivo «oggi abbiamo bisogno di una rige- nerazione della speranza, se vogliamo intra- prendere una nuova evangelizzazione. Gli uo- mini vanno dove si respira aria di speranza e fuggono dove non» ne «avvertono la presen- za». Essa «dà il coraggio ai giovani di formarsi una famiglia o di seguire una vocazione religio-
sa e sacerdotale, li tiene lontani da cedi- menti alla disperazione». Con un van- taggio rispetto al passato: quello di non dover più difenderla «dagli attacchi esterni; possiamo quindi proclamarla, offrirla e irradiarla nel mondo», dopo che — ha detto a titolo di esempio — da oltre un secolo a questa parte essa è stata l'obiettivo della critica di gente come Feuerbach, Marx e Nietzsche. Ora, in- vece, «la situazione è cambiata» e la speranza non è più da giustificare «filo- soficamente e teologicamente», ma da annunciare, mostrare e donare «a un mondo che sprofonda in un pessimismo
e nichilismo che è il vero "buco nero" dell'uni- verso». Da qui l'invito a «riprendere il moto di speranza avviato dal concilio» Vaticano II, a «parlare di "gioia e speranza" (Gaudium et spes)» senza timore di sembrare ingenui.
In seconda battuta, inoltre, la speranza aiuta nel cammino personale di santificazione, ha detto ancora il predicatore, visto che «essa divie- ne il principio del progresso spirituale. Permette di scoprire nuove "possibilità di bene". Non la- scia che ci si adagi nella tiepidezza e nell'accidia. E anche quando la situazione dovesse diventare dura, tale da sembrare che non c'è nulla da fare, ecco che la speranza addita ancora un compito: sopportare non perdere la pazienza, unendoti a Cristo sulla croce». Di conseguenza, ha conclu- so, «il Natale può essere l'occasione per un sus- sulto di speranza» alla scuola di due grandi poe- ti delle virtù teologali: Charles Péguy, il quale ha descritto fede, speranza e carità come tre so- relle, due grandi e una piccina, di cui si pensa che sono le prime due a trascinare la terza, sba- gliando «perché se viene a mancare la speranza, tutto si ferma». E poi Dante Alighieri, il quale descrive Maria come «colei che quaggiù "intra i mortali", è "di speranza fontana vivace"».


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