Saturday, April 23, 2011

Buona PASQUA 2011

"La Risurrezione di Gesu' si compi' unicamente alla presenza del Padre che teneramente l'attendeva vittorioso e dello Spirito Santo che riempiva di fulgori le brume di quel mattino annunziante all'umanita' peccatrice la redenzione della colpa e della morte per la fede in Gesu' Cristo, Figlio di Dio risuscitato dai morti. Gesu' che aveva patito in pubblico volle essere glorificato nella solitudine dell'Assoluto e alla presenza della vergine natura che gli fece corona, stupita e gioiosa che al sorgere del sole quotidiano faceva precedere il sorgere del Sole di giustizia" (P. Cornelio Fabro, Vangeli delle Domeniche)

Thursday, April 21, 2011

Scg

Girard

René Girard e il capro espiatorio
Se l'etnologo
scompagina l'accademia


di ODDONE CAMERANA
Che cosa ha spinto l'essere umano al sacrificio e poi al rito? Qual è stata la motivazione? Qual è l'origine delle religioni? Che cosa è il rito? Quale ruolo ha il linciaggio nel processo di ominizzazione? Per rispondere a questi non facili interrogativi René Girard tra il 1961 e il 1982 ha scritto i suoi libri di maggiore successo: Mensonge romantique et vérité romanesque, La violence et le sacré, Des choses cachées depuis la fondation du monde e Le bouc émissaire. Libri nei quali lo studioso francese ha esposto le ricerche da lui effettuate in materia di desiderio, di religione che libera l'essere umano dalla violenza, divinizzandola, e in tema di omicidio collettivo come momento fondatore smascherato dall'antropologia evangelica.
Tutto ciò detto in estrema sintesi per ricordare alcuni degli argomenti che hanno reso famoso Girard. Non senza tuttavia che suscitassero dissenso in taluni, tant'è vero che nel 1983, quando Girard si era ormai trasferito negli Stati Uniti, e prima della pubblicazione di altri testi altrettanto significativi, si è tenuto, a Santa Cruz in California, un convegno per sottoporre la genetica culturale di Girard, fondata sulla vittimizzazione, a una sorta di verifica.
Relegati nel circuito specialistico e accademico che li aveva generati, gli atti del convegno citato avrebbero continuato a vivere lontano da ogni ribalta se non fossero stati ripresi e tradotti dall'editore Flammarion che ora li pubblica sotto il titolo di Sanglantes origines (Paris, 2011, pagine 390, euro 23). Un testo che si raccomanda se non altro perché risponde all'attesa dei lettori di Girard interessati a conoscere le critiche rivolte al suo pensiero e alle sue intuizioni, per accoglierle o eventualmente respingerle.
Tra gli invitati al convegno californiano, Walter Burkert e Jonathan Z. Smith, entrambi storici delle religioni.
Con la promessa di tornare in seguito sul contenuto dei loro interventi, urge ricordare come ciò che di Girard suscita perplessità sia il suo metodo. Perplessità dell'accademia che si sente spiazzata dalla scioltezza con cui, da etnologo attento a come si sia formata la società, Girard passa dai romanzi classici alla tragedia elisabettiana e greca, ai miti e ai testi religiosi antichi, rileggendoli come fossero manuali di antropologia.
In questa prospettiva, i divieti e le istituzioni di ogni tempo non appaiono come edifici nati dal nulla, grazie a un miracolo o a un patto, ma come costruzioni dovute all'unanimità meno uno, la vittima, che paga con la sua espulsione e divinizzazione il ritorno all'ordine sospeso da una crisi di violenza in cui i componenti della collettività in esame hanno perso le differenze.
Riconoscere l'ipotesi mimetica di Girard sulla dipendenza del desiderio, sulla soluzione vittimaria e sul sacro della "violenza che ferma la violenza" come ripiego religioso e liberatorio che domina nel mondo arcaico, vuol dire vedere compromessi anche i principi di autonomia e indipendenza del soggetto cari alla tradizione successiva, romantica e illuministica.
Vuol dire inoltre dover accogliere la diversità della tradizione giudaico cristiana secondo la quale Gesù non è più un mito, ma la rivelazione della verità dell'innocenza della vittima sulla cui colpa si reggeva il mondo antico, come succede a Tebe contaminata dalla peste di cui è accusato il suo re Edipo. E, ancora, vuol dire dover rinunciare all'idea che esistono solo le verità sulle quali ci si mette d'accordo e disdire i principi su cui si fonda il relativismo: che un giudizio vale l'altro, che l'etnocentrismo è fuori gioco, che non riconoscere l'unicità della tradizione giudaico cristiana rientra nel dovere di rispettare le differenze e così via.
Sennonché Girard è il primo a far presente che l'elemento che unisce Gesù ad altri capri espiatori come re Edipo è proprio la Passione, il sacrificio che nei Vangeli viene esaminato per la prima volta nella prospettiva dei vinti e non dei potenti e delle folle, diventando così a sua volta fondativo di una nuova società. Una società - cosa di cui Girard non smette mai di ricordare - che non dispone più dei freni pagani della divinizzazione della vittima, perché dalla rivelazione in poi la violenza è libera, terribile e nelle mani dell'umanità resa responsabile dalle parole di Gesù rivolte alla folla pronta a lapidare l'adultera. Stando così le cose, si capisce come gli altri interventi letti al convegno sui riti sacrificali e sulle origini della cultura abbiano parlato d'altro senza prendere di petto il pensiero di Girard. E mentre il testo di Burkert, rifacendosi all'aggressività animale di Lorenz, esamina i processi di ominizzazione trasmessi dai riti sacrificali, quello di Smith, interpretando lo spirito minimalista e prudente di chi si preoccupa soprattutto di definire ciò che va evitato, si limita alle piccole verità di superficie dove il sacrificio viene spiegato alla luce dell'addomesticazione e della macellazione animale.
Pertanto l'ipotesi di vedere in Girard un possibile capro espiatorio, naturalmente scientifico, non dipende tanto dal fatto che attraverso i suoi studi e i suoi libri egli abbia riportato l'attenzione su una verità che brilla nelle pagine dei testi della tradizione giudaico cristiana. Dipende invece dal fatto che nell'illustrarla egli abbia mostrato come la difesa della vittima, bandiera che abbiamo visto sventolare in casi di emergenza umanitaria, abbia prodotto e stia producendo una nuova forma di persecutori, quella dei salvatori di professione e di coloro che usano la difesa della vittima per soddisfare il loro risentimento. È l'arte di creare nuove vittime fingendo di andare in loro soccorso, come detto da Gesù in Matteo, 24, 28 parlando dei falsi messia: "Dovunque sarà il cadavere, là si raduneranno gli avvoltoi".



(©L'Osservatore Romano 21 aprile 2011)
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Perdono

Un atto che trascende la semplice etica razionale
Per una grammatica
del perdono

di GIANFRANCO RAVASI
"Dio vi perdoni, io non posso": così avrebbe dichiarato Elisabetta I (1533-1603) alla contessa di Nottingham, stando almeno alla History of England under the House of Tudor (1754-62) del filosofo e storico David Hume. Un concetto che sarebbe stato formalizzato in un assioma nel suo Saggio sulla critica (1711) dal poeta inglese Alexander Pope: "Errare è umano, perdonare è divino". Certo, un'altra Elisabetta, regina di Francia (1545-1568), aveva applicato a se stessa l'impegno, facendo incidere sul suo anello il motto: "Oblio delle offese. Perdono delle ingiurie". Una ben attestata concezione, tuttavia, assegna a Dio il compito primario di perdonare, riconoscendo così che si tratta di un atto trascendente la semplice etica razionale.
Potremmo a lungo percorrere le vie teologiche e cristologiche del perdono, giacché questa realtà è nel cuore stesso del messaggio cristiano. Si configura, così, una vera e propria etica cristiana del perdono che ha una sua codificazione attraverso una simbologia che vorremmo evocare in maniera essenziale. È una morale che ha una sua declinazione anche fuori del perimetro strettamente teologico.
Che la misura dell'autenticità del perdonare sia nel dimenticare fa parte di una convinzione popolare, espressa mediante proverbi e aneddoti anche ironici come questo attribuito allo scrittore statunitense Mark Twain: "Perché continui a parlare dei miei errori passati? - chiese il marito -. Ero convinto che tu ormai avessi perdonato e dimenticato! La moglie replicò: "Ho, sì, perdonato e dimenticato. Ma voglio essere sicura che tu non dimentichi che ho perdonato e dimenticato!"".
Il verbo ebraico slh, il termine più comune per designare il perdono, suppone proprio un cancellare il ricordo del male ricevuto. La memoria, liberata dalla reminiscenza del male, non è più un grembo gravido dell'offesa patita così da partorire la vendetta. L'invocazione del fedele peccatore è tutta in questa dialettica del ricordo: "I peccati della mia giovinezza e le mie ribellioni, non li ricordare! Ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore!" (Salmi, 25, 7). E la risposta divina è: "Io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati!" (Isaia, 25, 7).
Certo, l'atto del perdono è complesso e nell'esercizio non di rado - come osservava il drammaturgo spagnolo Jacinto Benavente y Martínez (1866-1954) - "presuppone sì un po' di oblio, ma anche un po' di disprezzo". È per questo che nei suoi Aforismi sulla saggezza del vivere (1851) un pessimista Schopenhauer criticava la cancellazione della memoria: "Perdonare e dimenticare vuol dire gettare dalla finestra una preziosa esperienza già fatta". Il teologo latino-americano Virgilio Elizondo ribaltava l'argomentazione: "La vera virtù consiste nel perdonare proprio ricordando, perché perdonare significa essere liberati dall'ira interiore (...) che consuma ogni fibra del mio essere". In verità, anche questo percorso mira a una liberazione da quei germi che, coltivati con un ricordo ossessivo, possono crescere in odio e vendetta.
Passiamo alla psicologia del perdono. Non intendiamo perlustrare qui i sentieri con cui la moderna psicologia esamina quel groviglio di esperienze che s'annodano attorno a colpa, odio, desiderio di vendetta e loro eventuale superamento. Vorremmo solo mostrare la molteplicità simbolica che lo stesso perdono trascendente divino assume per potersi esprimere, confermando così l'intreccio tra teologia e antropologia.
Brilla in questa luce la stessa denominazione di JHWH come rahûm, termine che evoca il fremito delle viscere materne e paterne e che genera tenerezza e protezione nei confronti della propria creatura. La stessa radice verbale rhm è in apertura a ogni sura del Corano ed esalta il Dio clemente e misericordioso, prima ancora che giusto. Stupendo è il ritratto del Dio che è amore del Salmista: "Quanto dista l'oriente dall'occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe. Come un padre è tenero verso i suoi figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono" (Salmi, 103, 12-13).
C'è una sorta di medicina della tenerezza che rinvigorisce il perdono. È una virtù che sta sempre più svaporando ai nostri giorni anche nel rapporto d'amore che si affida sbrigativamente al consumo sessuale, perdendo tutta la ricchezza dei sentimenti, la creatività delle passioni, la progressività della scoperta, l'avventura esaltante dell'innamoramento. La tenerezza compassionevole non è debolezza.
Folgorante è Laurence Sterne nella sua Vita e opinioni di Tristram Shandy (1759-1767): "Solo i coraggiosi sanno perdonare. Un vigliacco non perdona mai, non è nella sua natura". Perdonare può essere un atto che conserva in sé una forza che non contraddice la generosità e la dolcezza dell'atteggiamento di fondo. Il profeta Michea usava un'immagine espressiva e icastica: "Dio tornerà ad avere tenera pietà per noi: calpesterà le nostre colpe e getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati" (7, 19). Ecco, allora, l'appello profetico a lasciarsi abbracciare dalla tenerezza divina: "L'empio abbandoni la sua via e l'iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che prova tenerezza per lui, al nostro Dio che largamente perdona" (Isaia, 55, 7). Il perdono è visto, poi, in connessione con un'altra simbolica psicologica, quella che unisce in sé un peso soffocante e una liberazione-sgravio. È suggestiva una coppia verbale biblica adottata per indicare il perdonare. Da un lato, c'è il verbo ebraico nasa' che denota un sollevare per rimuovere. La colpa è un peso paralizzante che attanaglia il respiro dell'anima, deprime il cuore e blocca la libertà della coscienza. Dio è il primo soggetto di questo nasa'-tollere liberatorio.
C'è, però, anche il Servo sofferente cantato da Isaia (53, 12) che "addossa su di sé il peccato di molti" per espiarlo, e soprattutto c'è il Cristo presentato dal Battista come "colui che "porta"" su di sé il peccato del mondo "togliendolo via" (Giovanni, 1, 29). D'altro lato, il concetto di perdono come liberazione è reso anche col verbo neotestamentario usato proprio nel senso di perdonare, il greco aphìemi: indica un lasciar andare e quindi un liberare, tant'è vero che la sua accezione primaria era quella della liberazione dei prigionieri. Perdonare è, dunque, liberare una persona da un incubo che le stringe lo spirito, e per riflesso è liberare anche chi perdona dalla morsa dell'odio. Osservava Andrej Siniavskij (1925-1997), autore del dissenso sovietico: "Basta perdonare perché l'anima sia allegra, come se un nodo che nessuno sforzo riusciva a disfare si fosse sciolto". È noto l'asserto del teologo e predicatore francese Jean-Baptiste-Henri Lacordaire: "Volete essere felici per un attimo? Vendicatevi! Volete esserlo per sempre? Perdonate!".
Sulla scia della precedente riflessione si può introdurre una simbologia molto originale nel definire gli effetti che il perdono genera: il Signore "risana i contriti di cuore e fascia le loro ferite" (Salmi, 147, 3). Perdonare è come cauterizzare una ferita: perdonandoti, il Signore "guarisce tutte le tue infermità" (Salmi, 103, 3). È interessante che Geremia usi il sintagma "guarire le ribellioni" (3, 22). Tale concezione nasce dall'antropologia biblica di sua natura unitaria: ogni fenomeno spirituale ha una risonanza anche somatica, considerata la compattezza dell'essere umano. Certo, nell'antichità biblica si potevano creare anche corti circuiti che confondevano religione e medicina, colpa e malattia, come accadeva nella ben nota teoria della retribuzione secondo cui la sofferenza fisica si trasformava in segnale etico. Emblematico, anche per la sua paradossalità, è il caso del cieco nato e della relativa domanda dei discepoli: "Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?" (Giovanni, 9, 2). Ovviamente, Gesù rifiuta questa connessione, ma non esclude nel suo agire nei confronti dei sofferenti l'intreccio profondo tra psiche e corpo. La sua opera terapeutica non è rivolta solo alla dimensione somatica, ma a tutta la persona. Per questo, talora, la guarigione si accompagna al perdono dei peccati.
Attraverso questa via terapeutica, potremmo raggiungere una prospettiva psicologica ulteriore: perdonare può avere una ridondanza quasi fisica nel perdonato. Egli ritorna a essere ammesso nella comunità, dotato di una serenità che è anche energia.
Aveva ragione il teologo Christian Duquoc quando sosteneva che "il perdono è un gesto della vita quotidiana, è un elemento essenziale dei rapporti sociali". Andando oltre, potremmo affermare che il perdono crea una nuova umanità. Ciò è simbolicamente rappresentato nella cristofania pasquale giovannea in cui il Risorto alita sui suoi discepoli, evocando lo Spirito di Dio che aleggiava sulle acque nella creazione (Genesi, 1, 2). Questa nuova creazione è effettuata mediante il perdono dei peccati: "A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati" (Giovanni, 20, 23). Il perdonare fa parte di un atto creativo e creatore che trasfigura l'intero essere, dando origine a una nuova umanità, più sana, libera e pacificata.
Se volessimo ricorrere alla simbolica numerica potremmo delineare una specie di matematica della giustizia, dell'amore e del perdono. È ovvio che l'equazione della giustizia è l'1 a 1, occhio per occhio, così come quella della violenza cieca e distruttiva è il 7 a 77: "Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamek settantasette" (Genesi, 4, 24). In antitesi, si pone l'equazione del perdono così come è formulata da Gesù che, per contrasto, la illustrerà poi con la parabola del servo spietato (Matteo, 18, 23-35). Essa presuppone un 7 a 70 x 7: "Pietro domandò: Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte? Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette" (18, 21-22). Già per l'illimitata ampiezza del perdono divino rispetto al confine circoscritto della giustizia l'equazione era 7 a 1000 (Esodo, 34, 7).
Perdonare fa parte di quella particolare economia dell'amore che non calcola ma dona, moltiplicando così i suoi effetti. Essa è descritta nella mini parabola che Luca incastona nell'episodio della peccatrice che incontra Gesù nella casa di Simone il fariseo (Luca, 7, 41-43). Il perdono spezza la catena rigida del dare-avere, introducendo la logica della donazione libera e generosa. Si crea un nuovo regime nei rapporti umani: nella parabola ciò che hai in cambio al condono-perdono è l'amore, che è molto di più dei 500 o 50 denari. È, questa, una logica che applichiamo spontaneamente (ed egoisticamente) a noi stessi, come ammoniva in una delle morali delle sue favole La Fontaine: "Perdoniamo tutto a noi stessi e nulla agli altri". Ammiccando all'immagine evangelica della trave e della pagliuzza (Matteo, 7, 3-5), san Francesco di Sales concludeva: "Di solito coloro che perdonano troppo a se stessi, sono più rigorosi con gli altri". Si dovrebbe, invece, essere coerenti e adottare per tutti l'identica economia di perdono.
Proprio perché tutti appartengono alla stessa creaturalità adamica e alla relativa fragilità, è necessario che si ribadisca la legge della reciprocità. Essa brilla nel Padre nostro: "Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori". Un'invocazione che è accompagnata da un commento di probabile genesi redazionale matteana: "Se infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche voi, ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe" (Matteo, 6, 12. 14-15).
Questa legge è ribadita più volte nell'epistolario paolino. Perdonàti da Dio e dagli altri, perdoniamoci a vicenda: è questo l'impegno morale cristiano che ha, però, ancora una volta una radice naturale, profondamente umana.
Alla spirale della violenza che infetta la società si deve opporre la spirale del perdono, come è attestato (per proporre un esempio contemporaneo) dalla corrispondenza tra un ex terrorista delle Brigate rosse italiane e il gesuita padre Adolfo Bachelet, fratello di una delle vittime. "Mi sono accorto che una volta innescata la spirale del perdono, dell'amore, del bene gratuito, nessuno la ferma più: diventa un contagio, una luce che si comunica da uno sguardo all'altro, una reazione a catena. Questo è il miracolo, di cui oggi sono testimone, in carcere".
Si tratta, dunque, di elaborare una educazione al perdono che, pur non elidendo le esigenze della giustizia, le supera dando origine a una civiltà diversa che vede in azione non solo le regole dell'economia parallelistica del diritto, ma anche quella eccedente del perdono.



(©L'Osservatore Romano 21 aprile 2011)

Monday, April 11, 2011

信徒でもわかることは、司祭、司教が理解できていない不思議

2010年9月16日
日本に於ける福音の宣教を省みる
夙川教会 河野定男

以下、日本のカトリック教会のあり方について、日頃、疑問に感じていることを綴ってみました.

1.主日のミサを大切にする
「典礼は教会の活動が目指す頂点であり、同時に教会のあらゆる力が流れ出る源泉である」(典礼憲章10項)とあるように、あらゆる教会生活と宣教の源泉と頂点は感謝の祭儀(ミサ)にあることを教会は教えている.
ベネディクト16世は使徒的勧告「愛の秘跡」で次のように主日の大切さを説いておられる.「・・シノドス参加司教は、すべての信者にとって主日のおきてが大事であることを再確認しました.主日は、『主の日』に記念したことを守って毎日の生活を生きることができるようになるための、真の自由の源泉だからです.実際、復活の勝利を記念する感謝の祭儀にあずかる望みを失うとき、信仰生活は危険にさらされます.・・(中路)・・日曜日は主の日であり、聖別された日です.この感覚の喪失は、キリスト信者の自由、すなわち神の子としての自由に関する本来の感覚を失ったことを示す徴候です.・・」(73項)
 日本の教会、特に大阪教区は、この主日のミサの重要性を信徒に教えるのにあまり熱心でないように私には思える.大阪教区に於ける福音の宣教が停滞しているなら、それはこのことと深く関連しているのではなかろうか.司祭の人数が減少し、すべての小教区に司祭を常駐させることが出来なくなるに伴い、司祭不在のときの集会祭儀が強調されるようになった.司祭が不在であるため主日のミサを行うことが出来ない場合には、信徒たちが集会祭儀を行い、主を賛美すること自体は大変すぱらしいことであり、使徒的書簡「愛の秘跡」も75項でこれを薦めているのは確かである.しかし、大阪教区ではこれを安易に取扱い、信徒に誤解を与えてしまい、集会祭儀が主日のミサの代替となるという漠然とした観念が蔓延している.大阪教区の都市部でも常駐司祭のいない教会では一ヶ月に」回とか二ヶ月に1回は、主日のミサが行われず、集会祭儀が行われるのが常態化しているのは、少々異常な状態である.
使徒的書簡が75項で教えているのは「たとえそれがある種の犠牲を求めることになっても」「信者は教区の中で、司祭がいることが保証されている教会に行って」ミサに写るべきであり、共同体として主日に集会祭儀を行うことが薦められるのは、「距離がきわめて遠いために主日の感謝の祭儀に参加することが物理的に不可能な場合」だけだ、ということである ベネディクト16世のこの指針を真筆に受け止めるなら、大阪教区の信徒の大多数が住む大阪・神戸などを中心とする都市部では、優れた交通網が発達しているのであるから、主日のミサの代わりに集会祭儀に参加せざるを得ないという事態は起こりえないことになる.このことを司教、司祭、信徒ははっきりと認識すべきであろう.ミサ(感謝の祭儀)が教会生活と福音宣教の源泉と頂点であることを本当に信じるなら、主日のミサの重要性を教える信仰教育を徹底して行うべきである.司祭は、小教区の枠をこえ、主日には信徒はミサの行われる教会に行くべきことを繰り返し教え、主日を守って生きる喜びを伝えるべきである.ところで、使徒的書簡が指摘する「距離がきわめて遠い」「物理的に不可能」とは大阪教区では具体的にどのような地域に当てはまるかを良く研究する必要があると思う.また、ミサに写るために信徒にある種の犠牲を求める」とはどの程度のものかを考えることが特に大切である、もし仮に信徒たちが「日ごとの糧」を得るために払っている程度の「犠牲」(つまり通勤のために費やす程度の距離と時間)を主日のミサのために「求める」とすれば、大阪教区のカテドラルや神戸の中央教会など、足場の良い、大きい聖堂の教会を数カ所定め、それらの教会で主日には10回程度のミサを行うことにすれば、大阪教区の大多数の信徒は主日のミサに写ることができるということが、少なくとも理論的には成り立つのではなかろうか.そして信徒は主日にミサに行くために払うこの「犠牲」を、「神がみ心に従って聖なる司祭を送ってくださるよう祈るための貴重な機会」(「愛の秘跡」'75項)と捉え、叙階の秘跡を受けた司祭の主日に果たす中心的役割を正しく認識する出発点としなければならない.

2.「信条」の勝手な改変
日本の司教団は2004年2月に新しい口語訳の信条を発表した.その「ニケア・コンスタンチノープノレ信条」を見ると、「われは一、聖、公、使徒継承の教会を信じ」となっていたところが「わたしは、聖なる、普遍の、使徒的、唯一の教会を信じます」と改められている.この改変は口語にするための単なる翻訳上の問題ではなく、明らかに「内容」の変更にあたる.ニケア・コンスタンチノープノレ信条は公会議の公式文書でるから、一、聖、公、使徒継承という教会の特性を示す伝統的な順序を日本の司教団が勝手に変更することは許されることではない.司教団はこの改変の理由を何も説明していないから、その真意はわからないが、四つの特性のうち、一番員に掲げられていた「唯一」を四番目に変更するという行為は、常識的には、「唯一という特性は、今まで考えられてきたような重要性はなくなった」というシグナルを送ることになる.つまり、キリストの教会は一つであることにあまりこだわる必要はないという、誤った教会観を生じさせることになりかねない問題である.教会が唯一であるのは「教会の起源と原型が三位のペルソナにおける唯一の神の単一性にあるからです. 設立者であり、頭であるキリストは、ただ一つのからだにおいてすべての民の一致を再建なさいます.・・」と「カトリック教会のカテキズム要約(以下『要約』と路)」161が教えている通り、教会の一番目の特性が「唯一」となるのは当然の二とである.エキュメニズムとは、人間の犯した罪のために不幸にして分裂してしまった神の民が、再びキリストにおいて一つの(唯一の)民になりたいというキリスト教徒全体の願いのことである.

3.日本のカトリック教会にカトリックの聖書がない不思議
現在の日本のカトリック教会ではミサの聖書朗読をはじめ、カトリック出版物の聖書引用なども、すべて新共同訳聖書が使われるようになった(例外はミサの答唱詩編で歌う詩編で、カトリック中央協議会の典礼委員会訳を使用)。これは大変すぱらしいことで、カトリック、プロテスタントを問わず、神のことばを、同じ表現の日本語で聞き、読むことができる便宜ははかりしれない.啓示憲章も「分かたれた兄弟たちとの協力による訳が必要であり、教会当局の承認を得て行われるならば、すべてのキリスト者はそれを利用することができる.」(22項)と共同訳を推奨している、ところで、日本のカトリック教会が使用している「聖書一新共同訳旧約聖書続編つき」であるが、この聖書の旧約は旧約聖書(39文書)と旧約聖書続編(13文書、ダニエル書補遺を一つの文書とみるなら11文書)に分かれており、合計52の文書から成っている.『要約』は「聖書は神ご自身が聖書の作者であり、霊感を受けたものといわれ、わたしたちの救いに必要な諸真理を誤りなく教える」と解説し(18項)、「使徒伝承によって教会が識別した、聖なる
書物の完全なリスト、すなわち正典は旧約聖書では46文書である」と教えている(20項)ので、続編つきの新共同訳聖書は、カトリック教会の聖書とは云えないことになる.聖書は聖伝と共にカトリック信仰の源泉であるから、この問題は大変重要である.
一方、新共同訳聖書は、カトリックとプロテスタントの共同事業としてなされた日本のキリスト教にとって画期的な成果であることも事実である.そして、プロテスタントの諸教会も、続編つきの新共同訳聖書以外は使わないのであれば、エキュメニズムの観点から、カトリック教会の聖書とは云えない続編付聖書を、日本のカトリック教会が採用するのもやむを得ないと思う.しかし、実際には、プロテスタントの教会ではほとんど続編付聖書を使用していないのが実情である.この現実を踏まえるなら、新共同訳に基づいた、カトリック教会が当初から採用してきた伝統的な46文書から成る旧約聖書を早急に作成すべきだろう.

4.インカルチュレーション(福音の文化内開花)への視点
インカルチュレーションには「教会から世界へ」と「世界から教会へ」の二つの方向があるという(「カトリック教会の教え」181頁).日本の教会は、後者の方向に沿って、日本の文化・伝統と教会の典礼を調和させた「葬儀」の儀式書を典礼のインカルチュレーションの第一歩として作成している.
このような具体的成果とは別に、日本文化の特色の原点はどこにあるかを、日本の教会がよく理解し、それをインカルチュレーションに活かすように努力しなければならないと思う。
日本文化の特色を探るに最も手っ取り早い方法は、第一に日本国憲法に何が書かれているか知ることであり、第二には日本の宗教事情はどうなのかを見ることであろう. 日本の憲法の第一条に「天皇は、日本国の象徴であり、日本国民の統合の象徴」とあり、日本は天皇を大切にする国であることが解る.事実、天皇にたいする日本人の敬愛の念は幅広く旦つ奥深いものであり、毎年1月2日に行われる皇居の一般参賀に何万という人々が訪れるし、日本の色々な改憲論に皇室(天皇制)を廃止しようというものは皆無である.日本の皇室は2000年の伝統を持ち、しかも単一王朝(万世一系)で継承されている.このような国は世界で日本以外にはない.なぜ、このようだ国が現代世界に存在するのかを研究することが日本に於けるインカルチュレーションの第一歩だろう.
日本の天皇の最大の特色は、「祭祀王」であることだと云う説があるが、私はこの説に注目したい. 天皇陛下の日々のお務めに新嘗祭(11月)を初めとする宮中祭祀が重要な位置をしめている.日本の天皇は「国平らかに民安かれ」(国中が平和で、人民が安らかに暮らせる)を祈る祭り主としての任務を第一としてきたと云われている.この天皇の国民に対する日々の祈りを、キリスト者はどう受け取るべきか.天皇の存在と日本人の天皇に対する敬愛の念を、日本の福音宣教上、どのように位置づけるのが適切なのか、考えなければならない.
第二の日本の宗教事情に著しい特色がある.文部科学省の2006年の宗教統計調査によると、日本 の人口が約127百万であるのに、宗教人口は208百万人であり、その内訳は神道系106百万、仏教系89百万、キリスト教系3百万、諸教系10百万となっている.つまり、大多数の日本人は仏教徒であると同時に、神道の信者(神社の氏子)であるということである.神道は体系的な教義もないし、宣教(布教)もしないので、異なる宗派の信仰をもつ個人個人を共同体として一つの儀礼・儀式に参加させるには、神道の形式によるのがもっとも摩擦が少ない.このことに着目して、すべての日本の戦没者を慰霊するために設立されたのが靖国神社である.人間は本質的に宗教的存在であるから、国や公共団体が慰霊などの儀礼を行う際、何らかの宗教色を伴うことは当然で、日本の場合は神道の国であるから、神道による儀礼となるのは自然である.アメリカの大統領就任式がキリスト教の形式に則って行われるのと同様である.日本の司教団は、1980年頃から信教の自由を守る立場から厳格に政教分離の原則を貫くことを政府に要求しはじめ、首相や閣僚の靖国神社参拝反対を表明してきた.最近では(2009年)、正月の恒例である首相の伊勢神宮参拝に対し、カトリック正義と平和協議会が抗議文を出すまでに至っている.
これはどう見ても異常ではなかろうか.日本の首相や政府の高官が神社に参拝したからといって信教の自由が侵されるわけでは決してない.日本は信教の自由が完全に保証された国であり、これが危険に曝されるような事態は殆ど予測しがたい.それにもかかわらず、なぜ、厳格な政教分離を要求するのか、人間の本源的な宗教性を否定することにならないだろうか.日本のカトリック教会が憲法20条の厳格な適用の主張(これは宗教否定論者の主張につながる)を見直さないかぎり、日本の天皇制度をも否定することになりかねず、これではインカルチュレーションどころか、日本文化の破壊となってしまうのではないか.
以上