Monday, April 28, 2008

Laicita' in Europa

Una nuova laicita' per integrare l'islam in Occidente

VENEZIA, sabato, 26 aprile 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l'articolo pubblicato nella newsletter della rivista “Oasis” (N.4 - Aprile 2008 ) a firma del professor Phillip Blond, docente emerito di Filosofia e Teologia all'Università di Cumbria (Regno Unito) e del professor Adrian Pabst, docente di Religione e Politica all'Università di Nottingham (Regno Unito).

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P. Blond - A. Pabst

L'Arcivescovo di Canterbury, il Rev. Rowan Williams, capo titolare della Chiesa anglicana (77 milioni di fedeli a livello mondiale), ha recentemente suscitato un'enorme controversia suggerendo durante una lezione alle Royal Courts of Law che la Gran Bretagna adotti certi aspetti della legislazione sharaitica. La sua proposta nasceva dall'intenzione positiva d'integrare nel sistema giuridico britannico le pratiche e il credo del milione e ottocentomila musulmani del paese.


Tuttavia il chiaro suggerimento dell'Arcivescovo di consentire ai musulmani di optare, al di fuori della common law laica, per un arbitrato separato e un giudizio nei tribunali religiosi islamici ha creato l'impressione di una legge per i musulmani e un'altra per tutti gli altri. Quest'idea rivoluzionaria (in seguito corretta dall'Arcivescovo) ha provocato una furiosa polemica sugli "stati negli stati" e un timore diffuso che qualsiasi licenza concessa alla legislazione sharaitica ne autorizzerebbe anche gli aspetti più estremi.

Purtroppo la tempesta mediatica ha mascherato il messaggio reale del discorso, che riguardava l'autorità dello stato laico e il suo impatto sulle minoranze religiose in generale e sui musulmani in particolare. Infatti il vero bersaglio della lezione dell'Arcivescovo è la natura sempre più autoritaria e antireligiosa dello stato liberale moderno. Un laicismo militante ha proibito in Francia foulards e crocifissi appesi alle pareti. Ha anche messo fuori legge le agenzie di adozione cattoliche in Gran Bretagna perché rifiutavano di selezionare coppie dello stesso sesso come potenziali genitori adottivi. Sotto l'insegna della libertà di espressione, alcuni esponenti laici di sinistra hanno impedito a Papa Benedetto XVI di rivolgersi all'università La Sapienza di Roma sull'argomento dell'indagine razionale.


Le legittime preoccupazioni religiose di Williams circa la libertà di coscienza si collegano a una più ampia apprensione in tutto l'Occidente circa le conseguenze che si produrrebbero se non si riuscisse a integrare una minoranza islamica in crescita, profondamente religiosa e alienata, all'interno di una cultura laica relativistica e sempre più aggressiva.


Tuttavia la soluzione proposta dall'Arcivescovo ripete gli errori del multiculturalismo liberale degli anni '60 del secolo scorso. Evocando l'idea di comunità che condividono lo stesso spazio ma conducono esistenze separate, Williams appoggia involontariamente uno scenario che sancisce definitivamente la segregazione e distrugge ogni concezione di un bene comune che impegni tutti i cittadini. Nonostante questo, Williams riconosce almeno che la Gran Bretagna sta cercando faticosamente una propria via per collocare la popolazione musulmana sempre più ghettizzata e preda di correnti radicali.


Chiaramente, l'integrazione dell'Islam nelle democrazie laiche è una sfida che interessa tutto il mondo occidentale e l'Europa in particolare. Purtroppo tutti i modelli laici esistenti d'integrazione presentano problemi. Le versioni inglese e olandese del multiculturalismo speravano d'assicurare uguali diritti a tutti i cittadini, ma entrambi i paesi - abbandonando la coesione culturale fondata sulla religione - hanno perso proprio quel termine medio su cui maggioranze e minoranze potevano incontrarsi. La Germania ha scartato la tradizione cristiana a favore di una descrizione etica della propria identità. Pur garantendo ampi diritti socio-economici, il modello tedesco rifiuta ancora ai "lavoratori ospiti" musulmani la cittadinanza e così la partecipazione alla vita civile.


In Francia, l'ideale repubblicano esercita un fascino sugli immigrati, ma la sua realtà secolare nega la forma innanzitutto religiosa della loro identità. Inoltre la popolazione musulmana è discriminata nel mercato del lavoro e tende a essere confinata nelle banlieues. Il rifiuto di far spazio alla religione impedisce di allargare il concetto di identità francese.


Il problema di tutti i modelli europei risiede nel fatto che sanciscono il primato della legge secolare sui principi religiosi e anche contro di essi. Lungi dall'assicurare neutralità e tolleranza, lo stato secolare europeo si arroga il diritto di controllare e legiferare su tutte le sfere della vita; le costrizioni statali si applicano in modo particolare alla religione e alla sua ricaduta civile. Dal punto di vista legale, il secolarismo dichiara fuori legge ogni fonte concorrente di sovranità e legittimità. Politicamente, nega alla religione qualsiasi peso nel dibattito pubblico o nel processo decisionale. Culturalmente, la promessa liberale di eguaglianza si converte praticamente nell'imposizione laica dell'uniformità. Come tale, il liberalismo contemporaneo non è in grado di riconoscere le religioni nei loro diritti né può garantire loro l'autonomia che gli spetta.


Di contro, gli Stati Uniti offrono una visione molto integrata che permette l'espressione pubblica della religione sotto gli auspici di uno stato che garantisce non solo i diritti individuali, ma anche l'autonomia delle comunità religiose. Anche se le minoranze negli Stati Uniti hanno patito discriminazione, il modello americano d'integrazione religiosa protegge esplicitamente la religione da un'eccessiva ingerenza statale. Così la lealtà verso lo stato non è necessariamente in conflitto con la lealtà verso la propria fede. Forse questo può spiegare perché i musulmani americani sono chiaramente più integrati e meno alienati dei loro correligionari europei. In parte questo dipende dal fatto che l'Illuminismo europeo ha cercato di proteggere lo stato dalla religione, mentre il sistema americano si proponeva di proteggere la religione dallo stato.
Così il vero motivo del fallimento europeo nell'integrare l'Islam è l'opzione europea per il laicismo. Solo un nuovo accordo con la religione è in grado di incorporare con successo le crescenti minoranze religiose in Europa occidentale. Il liberalismo laico è semplicemente incapace di raggiungere questo risultato. Paradossalmente, quello che le altre fedi richiedono per essere riconosciute è il recupero della tradizione religiosa europea indigena: il Cristianesimo. Solo il Cristianesimo è in grado d'integrare altre religioni in un progetto europeo condiviso riconoscendo ciò che le ideologie laiciste non possono riconoscere: una verità oggettiva trascendente che supera l'umana rivendicazione, ma è aperta al discernimento e al dibattito razionali.
Come tale, il Cristianesimo delinea un modello non secolare di bene comune a cui tutti possono partecipare. Anziché cercare di difendere la religione per il tramite del multiculturalismo laico, l'Arcivescovo di Canterbury avrebbe dovuto difendere il pluralismo religioso attraverso il Cristianesimo. Ciò che crea maggiori obiezioni tra i musulmani non è una differenza di credo ma la sua assenza dalla coscienza europea. Così il recupero del Cristianesimo in Europa non è un progetto settario, ma piuttosto l'unica base per l'integrazione politica dei musulmani e per una coesistenza pacifica tra le religioni.

Wednesday, April 23, 2008

Parlare a Dio come al re

Come dice anche Kierkegaard, per il cristianesimo ognuno di noi, ogni singolo uomo «esiste davanti a Dio!
Questo singolo uomo che forse sarebbe orgoglioso di aver parlato una volta in vita sua col re» e che si vanta di avere conoscenze importanti, «esiste davanti a Dio, può parlare con Dio in qualunque momento, sicuro di essere ascoltato».

Monday, April 21, 2008

Asia e diritti umani

GRANDE MALATTIA DELL’ASIA, L’UMILIAZIONE DEI DIRITTI
Il continente del futuro stenta a rispettare l’uomo

BERNARDO CERVELLERA
L’Asia, questo continente così sterminato, che raccoglie più del 60% della popolazione mondiale, soffre di una grave malattia: l’umiliazione dei diritti umani. Poche enclave – quelle forse più esposte alla modernità – riescono a emergere illese da questa accusa dolorosa: parliamo di Paesi come Hong Kong, la Corea del Sud, il Libano, il Giappone. Per il resto nel continente si assiste a una diffusa assenza dello stato di diritto, sostituito con lo stato della forza e del potere.
A questa situazione contribuiscono eredità storiche, culturali e religiose. Molti Paesi asiatici, dalla Turchia al Giappone, hanno sì delle Costituzioni, ispirate anche all’Occidente – patria dell’illuminismo e dei diritti umani universali – ma esse le hanno applicate in una prospettiva nazionalistica, salvaguardando elementi a prima vista importanti della loro cultura, che rischiano di essere invece dei valori negativi.
La questione cruciale è proprio questa: le culture asiatiche fanno fatica a valorizzare l’individuo e i suoi diritti. La persona, l’individuo, è inglobato nella famiglia e nel clan. Il suo 'bene' sono le tradizioni del suo entourage,
da cui dipende il suo sviluppo, l’istruzione, la professione. Questo frena l’affermazione libera della persona e dei suoi desideri personali, sottomettendoli sempre e comunque alle esigenze del gruppo. E ciò spiega perché una bambina di otto anni può essere data in sposa a un uomo di trenta, come è avvenuto nello Yemen, ma come avviene in India e in Cina.
L’assorbimento dell’individuo nel gruppo determina anche una serie di ingiustizie: in molti Paesi – Pakistan, Cina, Malaysia – le colpe di un membro del clan ricadono su tutto il gruppo e il processo legale contro uno determina l’arresto di tutti.
Un altro elemento che pesa sull’umiliazione dell’uomo asiatico è l’esercizio del potere, troppo spesso ateo o «fin troppo» religioso: quelli atei – come accade in Nord Corea o in Cina – divinizzano se stessi; quelli «troppo religiosi», islamici o indù, si fanno passare come custodi della legge e della fede. In entrambi i casi il potere prende il posto di Dio, il punto estremo della gerarchia, senza alcuna possibilità di appellarsi ad alcuna autorità superiore. Fa parte di questa visione il fatto che se il potere ti dichiara colpevole, tu 'sei' colpevole. In molti Paesi asiatici i processi vengono fatti partendo a priori dalla colpevolezza dell’imputato. Sarà lui durante il processo a dover dimostrare la sua innocenza, se ci riesce. Molte condanne a morte vengono inflitte in Cina in questo modo. Ma anche molti linciaggi per blasfemia in Pakistan vengono compiuti in onore alla 'legge divina' in base all’accusa di un semplice testimone.
La secolarizzazione del potere – strappandogli l’aura sacrale e divina – e la valorizzazione dell’individuo sono due frutti precisi del cristianesimo primitivo. Proprio per questo gruppi religiosi islamici, buddisti, indù stanno maturando rapporti con le comunità cristiane asiatiche: non per un semplice dialogo 'teologico', ma per crescere insieme nello sviluppo della società asiatica. Per questo, la libertà religiosa e la libertà di evangelizzare è uno degli strumenti più efficaci per lo sviluppo sociale del continente.
L’Occidente in generale guarda all’Asia solo per lo sfavillio dei commerci e della manodopera a basso costo, o come il concorrente del presente e del futuro e non si accorge che le popolazioni del grande continente cercano qualcosa di più. Se i rapporti non fossero solo su base commerciale, ma valorizzassero anche la dimensione culturale, giuridica, religiosa, si potrebbe sperare in qualcosa di meglio, per loro e per noi.

Avvenire 17/04/2008