Tuesday, February 24, 2015

What was God thinking. Time nov. 14 2005

http://www.amacad.org/pdfs/cornell.pdf

Only those who are truly miserable see miracles.

Only those who are truly miserable see miracles.

The second thing is this. You are probably quite right in thinking
that you will never see a miracle done: you are probably equally right
in thinking that there was a natural explanation of anything in your past
life which seemed, at the first glance, to be 'rum' or odd'. God does
not shake miracles into Nature at random as if from a pepper-caster.
They come on great occasions: they are found at the great ganglions
of history—not political or social history, but of that spiritual history
which cannot be fully known by men. If your own life does not happen
to be near one of those great ganglions, how should you expect to
see one? If we were heroic missionaries, apostles, or martyrs, it
would be a different matter. But why you or I? Unless you live near a
railway, you will not see trains go past your windows. How likely is it
that you or I will be present when a peace-treaty is signed, when a
great scientific discovery is made, when a dictator commits suicide?
That we should see a miracle is even less likely. Nor, if we
understand, shall we be anxious to do so. 'Nothing almost sees
miracles but misery'. Miracles and martyrdoms tend to bunch about
the same areas of history—areas we have naturally no wish to
frequent. Do not, I earnestly advise you, demand an ocular proof
unless you are already perfectly certain that it is not forthcoming.

King Lear, Act 2, scene 2
Only those who are truly miserable see miracles.


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Tuesday, February 03, 2015

Padre Battista Mondin, l'atleta della teologia | Chiesa | www.avvenire.it

http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/ricordo-di-padre-battista-mondin.aspx


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«Ho terminato la corsa, ho conservato la fede, ora mi resta solo la corona della giustizia…». La metafora agonistica usata da san Paolo calza perfettamente con la conclusione della vicenda terrena di padre Battista Mondin, morto venerdì, sacerdote saveriano, a lungo docente e decano della Pontificia Università Urbaniana, le cui esequie saranno celebrate domani a Parma. Era nato a Monte di Malo (Vicenza) 88 anni fa. 

L’immagine della corsa conviene al teologo e filosofo, infaticabile studioso così come appassionato ciclista. In qualche modo infatti nella sua opera si ritrovano alcune qualità del grande campione del pedale, come la disponibilità allo sforzo prolungato e la postura equilibrata che consente maggiore dinamicità di movimento. Ritroviamo in lui anche una qualità che solo a volte si accompagna alla statura del grande atleta, cioè la disponibilità al sacrificio in favore degli altri, della squadra, fino al punto di sintonizzare la pedalata sciolta al ritmo dei meno dotati.

Così Mondin armonicamente integra, in linea con il grande magistero ecclesiale, due istanze che si sono contrapposte fino allo scisma, nella storia del cristianesimo: conoscibilità o non conoscibilità di Dio. «La teologia negativa e la teologia positiva sono quasi come le ruote di una bicicletta – ha scritto –. Come la bicicletta non può andare avanti, se le due ruote non vanno assieme, così non ci può essere una teologia valida, se la via negativa e positiva non sono adoperate insieme. La via positiva da sola conduce all’antropomorfismo, all’idolatria, alla bestemmia. La via negativa conduce all’agnosticismo e all’ateismo» ("Il problema del linguaggio teologico dalle origini ad oggi", Queriniana). 

Non a caso nel 2004 troverà conferma a questa linea nel testo più controverso in materia: "Il trattato dei nomi divini" dello Pseudo Dionigi, traducendone il commento di Tommaso d’Aquino (Edizioni Studio Domenicano). Mondin sfata la tesi, riciclata dagli interpreti heideggeriani, che l’Areopagita sia solo il teologo dell’ineffabile e non piuttosto il genio che armonizza le due vie teologiche. La lezione di Tommaso è sempre la sua bussola: non un fissismo scolastico, ma il cuore e la vita del pensiero dell’Aquinate, che in qualche modo si declina nella dottrina dell’analogia, armonica e dinamica soluzione della contrapposizione delle due vie.

È con questa chiave che Mondin può confrontarsi a tutto campo con la modernità, fin dal conseguimento del suo dottorato in Filosofia e religione presso l’Università di Harvard, studiando con Paul Tillich. Allo stesso modo si misurerà con l’impatto della “svolta linguistica” in teologia e con le tendenze dell’esistenzialismo contemporaneo. Sicché la sua antropologia dell’autotrascendenza è in linea con la visione agostiniana dell’uomo "capax infiniti", e non con la cura heideggeriana che resta chiusa nel “catenaccio” del finito, come ha osservato Edith Stein.

In questa chiave estatica si spiega anche il suo testo di angelologia: "Il ritorno degli angeli" pubblicato nel 2008 da Pro Sanctitate. Così Mondin è uno tra i pochi a cogliere, non solo i pregi della filosofia di Paul Ricoeur, fin troppo apprezzata in Italia, ma anche i suoi limiti. Il metro è ancora quello della analogia che il pensatore francese respinge, o accetta solo come metafora poetica. Per Mondin è dunque «doveroso avanzare seri dubbi sulla validità della teoria ricoeuriana del simbolismo».

Secondo il teologo decano dell’Urbaniana, nella logica di tutto il pensiero protestante Ricoeur gioca «tutte le proprie carte» a favore della trascendenza di Dio, sottovalutando l’importanza della sua presenza nel cosmo e nella storia. Ma forse l’aspetto più prezioso dell’opera di Mondin sono lo zelo e la carità intellettuale con cui ha profuso se stesso in una sconfinata produzione, tutta modulata sulla finalità di trasmettere il sapere.
 
I suoi scritti sono sempre straordinariamente chiari, profondi e organici, se non esaustivi, dell’argomento trattato: ad esempio i suoi tre volumi della "Storia della metafisica" (Edizioni Studio Domenicano). Per averne la riprova basta scorrere il lunghissimo elenco della sua bibliografia, nella quale spiccano vari dizionari (come il "Dizionario enciclopedico del pensiero di san Tommaso", ancora Esd) forgiati come aiuto concreto e specifico al ricercatore come allo studente alle prime armi, ma senza mai abbassare il livello dell’approfondimento o della precisione della dottrina.