Thursday, June 18, 2009

Chiesa e duello in Italia

Avvenire 17 Giugno 2009
STORIA
Così la Chiesa vinse il duello
Nel Cinquecento, l’Italia fu patria di duelli eleganti e letali, e di una letteratura dotta che rifletteva sui risvolti etici e religiosi del duello. I manuali italiani dell’arte cavalleresca regolavano in tutt’Europa lo stato dell’arte. Ma i moralisti cristiani la giudicavano una pratica non cristiana che dissipava vite per il punto d’onore, il puntiglio. Nell’indagare sulla storia del duello in Italia – in Politics of the Sword. Dueling, Honor and Masculinity in Modern Italy (Ohio University Press) – lo storico Steven C. Hughes ricorda che fu la Chiesa postridentina a debellare per secoli la violenza codificata del duello, usando l’arma delle prediche, delle leggi ad hoc e delle pratiche devote. Il legame fra Chiesa e declino del duello in Italia, provocava sprezzanti giudizi tra gli europei che mantenevano in auge l’esercizio dei combattimenti.

I protestanti, in particolare, e i liberopensatori, sostenevano che l’aristocrazia italiana fosse stata femminilizzata dal servaggio politico e dall’influsso della Chiesa. Agli inizi dell’Ottocento fu la discesa delle armate francesi a reintrodurre la scienza cavalleresca con tutto il suo corpus etico­giuridico. Gli italiani arruolati nelle truppe napoleoniche ricominciarono a difendere l’onore privato o collettivo seguendo le regole del codice d’onore, impiegando la lama e la pistola. Così, la pratica del duello tornò prepotente, mentre l’opinione pubblica approvava il recupero della virtù guerriera nei nipoti dei cicisbei. I giovani potevano esprimere virilità e coraggio al servizio del nuovo patriottismo. Il comportamento cavalleresco in difesa dell’onore di una donna fu trasferito all’Italia, metaforizzata come nazione femmina, una donna bisognosa di protezione. Il ricorso al duello mondò così gli italiani dall’accusa d’essere infidi manovratori di veleni e stiletti. Tra gli artisti romantici, il ritorno del duello si sposò all’ideale risorgimentale e persino all’emancipazione religiosa.

Duelli appaiono nelle opere di Rossini e Bellini e in molte opere di Verdi. I romanzieri, come Guerrazzi, Bazzoni, Pellico e D’Azeglio, riempirono le loro pagine di duelli legando la virilità coraggiosa al patriottismo. Non così il cattolico Manzoni, che lo bagnò d’una luce sinistra. La rappresentazione pubblica più riuscita di questo recuperato orgoglio si deve al letterato napoletano Gabriele Pepe, quando sfidò a duello Alphonse Lamartine, reo d’aver gettato sugli italiani il fango di quegli stereotipi. Pepe rappresentò con il suo coraggio le migliori doti cavalleresche italiane smentendo il francese, che fu costretto a scusarsi in pubblico. Dopo l’Unità d’Italia la 'duellomania' di deputati e giornalisti non ebbe più freni, forse perché gli accordi sottobanco e il trasformismo rendevano difficile per tutti tenersi immuni da sospetti. Il duello, combattuto per lo più all’arma bianca, divenne un’ordalia per lavare la propria immagine pubblica. Lo scotto fu pesante e i morti e i menomati si contarono a migliaia. Trafiletti in cronaca riportavano quotidianamente di giovani morti all’alba del matrimonio promesso, mentre la sposa attendeva ignara; di maturi padri di famiglia che perdevano la vita su un campo incolto per un’insinuazione sussurrata.

L’acme della duellomania fu alla fine dell’Ottocento e un episodio, in particolare, ne divenne l’emblema: il 4 marzo 1898, in un giardino romano, Felice Cavallotti – pugnace deputato e giornalista – e il conte Ferruccio Macola duellarono all’ultimo sangue. Al suo trentatreesimo combattimento, Cavallotti soccombeva alla sciabola del più giovane contendente che aveva osato mettere in dubbio la sua integrità politica. Forse, in quel momento estremo, mentre agonizzava nel guardaroba della contessa Cellere, Cavallotti si pentì d’aver sempre regolato le sue dispute con la lama, d’aver difeso il duello come una pratica migliorativa della società, una «grande scuola di Civiltà», che educava ad affrontare di petto il male. Il duello Cavallotti-Macola ebbe sulla stampa del tempo un’eco straordinaria; non mise termine alla duellomania, che insanguinava l’Italia al ritmo di un combattimento al giorno, ma inaugurò una fase di ripensamento.

Dopo la morte di Cavallotti la pratica del duello fu censurata quale retaggio dei tempi bui, di «medievali ordalie chiesastiche». In realtà i duellanti non erano in maggioranza nobili reazionari, sospettati di mantenere oscuri retaggi medievali, bensì individui emancipati, politici e giornalisti liberali, professionisti di fede socialista e garibaldina, come Cavallotti appunto, che coniugava ai Lumi le lame. Lo confermano anche le statistiche riportate da Hughes: la tragica duellomania che imperversò nella penisola sino agli inizi del Novecento fu un effetto della modernità laica. La Chiesa s’oppose sempre energicamente a quel violento costume, in età moderna come già nel Cinquecento, e i parroci di cent’anni fa elencavano fra i peccati mortali la terna di «suicidio, omicidio e duello». A questo influsso, certamente, si deve quel certo carattere nazionale che rifuggirebbe, come tendenza di base, alla violenza delle guerre, le 'inutili stragi'.
Mario Iannaccone

Wednesday, June 10, 2009

Chu-en-lai and the French Revolution

When asked what he thought about the French Revolution, Zhou Enlai, China's urbane premier under Chairman Mao, is reported to have replied, “It is too early to say.”

Obama and Vatican II

Up through the 1980s, self-identified liberals routinely spoke of the pre- Vatican II Church and the post- Vatican II Church, almost as though they were two churches, with the clear implication that a very large part of the preceding centuries had been consigned to the dustbin of history. To describe that depiction of the council, philosopher Robert Sokolowski employs a football metaphor: “The impression was given that the tradition of the Church was not a continuous handing on through the centuries of something received; it was more like a long pass from the apostolic age to the Second Vatican Council, with only distortions in between, whether Byzantine, medieval, or baroque.” That's an exaggeration, of course, but an exaggeration in the service of an important part of the truth.


During the council, the media often pilloried “the conservatives” for obscurantism, intransigence for being out of touch, and even for dirty tricks. One thing can surely be said in their favor. They saw, or at least more straightforwardly named, the novel character and heavy consequences of some of the council's decisions. The leaders of the majority, on the contrary, generally tried to minimize the novelty of some of their positions by insisting on their continuity with tradition. It is ironic that after Vatican II, conservative voices began insisting on the council's continuity, whereas so-called liberals stressed its novelty.


There is indeed irony, but it is not the irony that O'Malley proposes. What Happened at Vatican II is a 372-page brief for the party of novelty and discontinuity. Its author comes very close to saying explicitly what is frequently implied: that the innovationists practiced subterfuge, and they got away with it. Archbishop Marcel Lefebvre and his Society of St. Pius X are right: The council was a radical break from tradition and proposed what is, in effect, a different Catholicism. The irony is in the agreement between Lefebvre and the liberal party of discontinuity. O'Malley and those of like mind might be described as the Lefebvrists of the left.


It is almost half a century after the council. The pontificates of Paul VI, John Paul II, and Benedict XVI, along with the scholarly arguments represented by books such as Vatican II: Renewal Within Tradition, make it evident that the hermeneutics of continuity is prevailing, if it has not already definitively prevailed. Fr. O'Malley may suspect that is the case. His book has about it the feel of a last-ditch effort to defend the story line of the post-Vatican II Church vs. the pre-Vatican II Church that was popularized by Xavier Rynne all these many years ago. The final irony is that if, in the twenty-fifth century, the Second Vatican Council is remembered as a reform council that failed, it will be the result of the combined, if unintended, efforts of the likes of Marcel Lefebvre and John O'Malley in advancing the argument that the council was a radical break from the tradition that is Catholicism. I do not expect they will succeed.

Liberal Catholicism

As Cardinal George noted in a 1999 piece for a Commonweal colloquium: "We are at a turning point in the life of the church in this century. Liberal Catholicism is an exhausted project. Essentially a critique, even a necessary critique at one point in our history, it is now parasitical on a substance that no longer exists. It has shown itself unable to pass on the faith in its integrity and is inadequate, therefore, in fostering the joyful self-surrender called for in Christian marriage, in consecrated life, in ordained priesthood." (George would later apologize for his use of the term "parasitical".)

Friday, June 05, 2009

原子爆弾 人の影 広島






「死の人影」 爆心地260メートルの住友銀行広島支店(現在の中区紙屋町1丁目、三井住友銀行広島支店)入り口の石段は、地表セ氏4000度に上った熱線で犠牲者の影が焼き付けられ、「死の人影」と呼ばれた。59年さくを設け、67年強化ガラスで薄くなる影をカバー。71年の改築で原爆資料館に寄贈、「人影の石」として展示される。松重さんが撮影。階段であることを伝えるため同行した記者の足を入れた
http://www.chugoku-np.co.jp/abom/04abom/kiroku/index.html

Wednesday, June 03, 2009

Obama a Notre Dame 2

Obama campione di relativismo

Una brillante oratoria non riesce a nascondere le intenzioni del Presidente abortista

di Renzo Puccetti*

ROMA, lunedì, 1° giugno 2009 (ZENIT.org).- discorso tenuto il 17 maggio all’università cattolica di Notre Dame, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in giurisprudenza, contestato da 80 Vescovi americani e con la Ann Mary Glendon che ha rifiutato una onorificenza, con abilità oratoria universalmente riconosciutagli, Barak Obama ha invitato gli ascoltatori ad aprire le loro menti ed i loro cuori.

Da consumato oratore nei palchi politici il presidente Obama ha attratto l’attenzione del pubblico proprio là dove voleva che essa andasse: la forma[1].

In un involucro di buona volontà, di apertura al dialogo, di desiderio di attenzione per il destino delle persone, il contenuto del messaggio, un perfetto relativismo, è stato una volta di più confezionato come suprema fonte a cui attingere.

Viene da chiedersi: “possiamo bere questa pozione?”. La mia risposta è: “No”. No, perché essa non apre né il cuore né la mente, ma al contrario la chiude.

Il confronto non è evocato nell’intento di scoprire la verità; nelle parole del presidente Obama, alla fine ciò che va coltivato non è la ricerca ed il rispetto della verità, ma il dubbio. Non un dubbio socratico che spinge alla ricerca, ma quel dubbio pilatesco, ideologicamente chiuso alla stessa esistenza della verità.

Mentre aspettiamo di ascoltare lo stesso invito al dubbio quando egli si rivolgerà ai sostenitori della libera scelta, il sig nor Obama trasforma il suo dubbio in certezza quando afferma che la scelta di sopprimere un essere umano vivente colpevole solo della propria dipendenza è un fatto di libertà.

Vi è in questo atteggiamento una potente affermazione di certezza: il valore dell’essere umano, quando si trova allo stato di sviluppo embrionale e fetale, non è fondato nella sua natura, nella sua irripetibile dignità, ma è attribuito. Così facendo egli si dimostra discepolo dello stesso pensiero subito per secoli nella propria carne da milioni di esseri umani di colore, particolarmente nel paese di cui Obama è presidente.

Paradossalmente il campione politico del pensiero debole dimostra la vera natura dell’atteggiamento che lo ispira: un fondamentalismo relativista. Dall’altra parte stanno coloro che, seppure dipinti come integralisti, esercitano il vero pensiero del dubbio, che non esclude alcuna possibilità, compresa quella che il concepito sia una persona, dotata di diritti inalienabili per il suo essere persona e non per quello che riesce a fare, o per quanto riesce a farsi apprezzare.

Il presidente Obama non chiede ai pro-life di convertirsi alla causa abortista, ma di convertirsi all’integralismo relativista, consentendo che in una tale materia ciascuno abbia libertà di pensare ed agire come vuole.

È un’argomentazione coincidente con quella che il giudice Stephen Douglas rivolse ad Abraham Lincoln nei celebri 7 dibattiti nell’Illinois in vista delle elezioni per il congresso: la sovranità popolare democraticamente espressa deve essere rispettata.

Se i cittadini di un stato vogliono la schiavitù, diceva allora Douglas, non si vede perché essa non dovrebbe essere legalizzata; se i cittadini vogliono l’aborto, dice oggi Obama, questa è una scelta che dovete rispettare[2].

Il presidente Obama parla come se il suo primo atto significativo, il ripristino dei fondi federali a favore delle lobbies abortiste, il cui obiettivo è proprio quello d’introdurre l’aborto nei paesi dove esso è illegale e molte volte incostituzionale, fosse operazione dettata da sublime neutralità e non invece una continua opera volta ad abbattere i valori e i costumi di una comunità per sostituirli con quelli del grande circolo relativista mondiale.

“Aprite la mente”, ha detto dal palco della Notre Dame mr. Obama. Sì, signor presidente è necessario che le menti si aprano, a partire dalla sua. La ricetta che il grande affabulatore propina condendola con la sua proverbiale salsa mielata non è poi così diversa da quella già enunciata dalla femminista Hillary Rodham Clinton, rendere l’aborto “safe, legal and rare”[3] attraverso servizi d i salute riproduttiva più accessibili; in pratica la solita minestra riscaldata fatta di più contraccezione, più pillole del giorno dopo e aborto facilitato.

Anche in Italia si è cercato di emulare questa ricetta, provvidenzialmente senza riuscirci[4]. Difficile intravedere in tale progetto rilevanti aperture mentali, quanto meno nei confronti di quegli ingombranti testimoni della verità che sono i fatti. È un fatto che le politiche di facilitazione dei servizi abortivi incrementino il ricorso all’aborto[5].

È un fatto che la necessità del consenso dei genitori riduca il numero di aborti tra le minori[6]. È un fatto che minori costi per abortire ne incrementano la diffusione[7]. Sono fatti noti alla comunità scientifica che leggi più permissive nei confronti dell’aborto, maggiori finanziamenti pubblici all’aborto, maggiore disponibilità di cliniche aborti ve favoriscono direttamente l’incremento del tasso di abortività[8].

È ancora un fatto che nel mondo occidentale non si riduce l’aborto inondando le donne con i contraccettivi [9,10,11]. È una volta di più un fatto che in Spagna, nonostante la copertura contraccettiva sia aumentata del 40%, il tasso di abortività sia aumentato del 60% in soli 6 anni[12].

È un fatto che le stesse agenzie che tentano di esportare a livello planetario il diritto all’aborto non possono smentire che nei paesi dove l’aborto è illegale esso è meno frequente[13]. Sono i numeri che dimostrano per l’aborto: “if legal, less rare”[14].

Se la legalizzazione dell’aborto non causasse un incremento del numero degli aborti l’approccio proporzionalista al problema riceverebbe un indubbio supporto, aprendo la strada alla legalizzazione dell’aborto come scelta di un mal e minore.

La strategia proporzionalista si regge solamente dimostrando che la legalizzazione riduce la pericolosità dell’aborto senza aumentarne il numero. Ma perché in Etiopia il numero dei casi fatali per aborto è aumentato dopo la legalizzazione?[15]

Perché in un paese dove l’aborto è consentito soltanto in caso di pericolo di vita della madre come l’Irlanda la mortalità materna è 8 volte inferiore rispetto alla vicina Inghilterra, dove invece è possibile su semplice richiesta?[16] Perché nella Cuba che dell’assistenza sanitaria e del diritto all’aborto “safe and legal” fa un vanto la mortalità materna è più che doppia rispetto all’Uruguay? E perché le donne che abortiscono hanno una mortalità ad un anno tripla rispetto a quelle che danno alla luce un figlio?[17]

Dove sono i benefici dell’abo rto legale, quando tutti gli indicatori di salute conducono a evidenziarne il ruolo di trattamento futile per la madre e mortifero per il figlio? La verità scientifica ha ormai portato ad una mole estremamente solida di evidenze che fanno a pezzi l’approccio utilitaristico all’aborto.

Il presidente Obama, caricandosi del compito di rappresentare il pensiero pro-choice in un ateneo che della cultura dovrebbe avere somma cura, ha reso un pessimo servizio a quanti caparbiamente hanno voluto non ripensare alla scelta di conferirgli una laurea ad honorem. Forte con i deboli, debole con i forti, mr. Obama alla fine ha potuto portare alla Notre Dame University soltanto “junk science” e “junk ethics”.

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*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno




1) http://www.dailykos.com/storyonly/2009/5/17/732527/-President-Obamas-Notre-Dame-Speech.

2) Miranda G. Aborto: la vera «questione morale del nostro tempo». Acta Bioethica 2008; 1: 79-82.

3) Remarks by Senator Hillary Rodham Clinton to the NYS Family Planning Providers. January 24, 2005.

4) Schema d'Intesa Stato-Regioni per una migliore applicazione della legge 194. http://www.ministerosalute.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id=33

5) Finer LB, Henshaw SK. Abortion incidence and services in the Unites States in 2000. Perspectives on Sexual and Reproductive Health. 2003; 35: 6-15.

6) Joyce T, Kaestner R, Colman S. Changes in abortions and births and the Texas parental notification law. N Engl J Med. 2006; 354: 1031-8.

7) Gohmann SF, Ohsfeldt RL. Effects of price and availability on abortion demand. Contemp Policy Issues. 1993; 11: 42-55.

8) Gober P. The role of access in explaining state abortion rates. Soc Sci Med. 1997; 44: 1003-16.

9) Puccetti R. Does contraception prevent abortion? An empirical analysis. Studia Bioethica, 2008; 1: 133-41.

10) Imamura M et al. Factors associated with teenage pregnancy in the European union countries: a systematic review. Hum Repr. 2007; 17: 630-6.

11) Kirby D. The impact of programs to increase contraceptive use among adult women: a review of experimental and quasi-experimental studies. Perspect Sex Reprod Health. 2008; 40: 34-41.

12) Lete I, et al. Contraceptive practices and trends in Spain: 1997-2003. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2007; 135: 73-5.

13) Sedgh G, Henshaw S, Singh S, Ahman E, Shah IH. Induced abortion: estimated rates and trends worldwide. Lancet. 2007; 370: 1338-45.

14) Puccetti R. Abortion incidence in Peru: if legal less rare. CMAJ. 17 Feb 2009. [letter].

15) Gebrehiwot Y, Liabsuetrakul T. T rends of abortion complications in a transition of abortion law revisions in Ethiopia. J Public Health (Oxf). 2009; 31: 81-7.

16) Maternal Mortality in 2005. Estimates developed by WHO, UNICEF, UNFPA, and The World Bank.

17) Gissler M, Berg C, Bouvier-Colle MH, Buekens P. Pregnancy-associated mortality after birth, spontaneous abortion, or induced abortion in Finland 1987-2000. Am J Obstet Gynecol, 2004, 190:422-7.

Monday, June 01, 2009

原子爆弾 人の影




出典: フリー百科事典『ウィキペディア(Wikipedia)』


撮影者:松本栄一(1915-2004) 1945年9月撮影 長崎市南大手町 長崎要塞司令部にて撮影

長崎の要塞司令部の板塀の表面に残された、梯子と兵士の「影」が並んでいる写真などがまっさきに思い起こされる。この不気味な「影」がどのよう原因でできたのか、核兵器研究者のテッド・ポステル博士は次のように説明している(NHK広島「核・平和」プロジェクト著『原爆投下・10秒の衝撃』NHK出版、104 頁)。
 火球から発せられた莫大な量の光によって、壁は極度に高温になり、塗料が剥離して気泡をつくったり、分離したりしました。発火したりくすぶり始めたかもしれません。不運にも、その壁の前に人が立っていたのです。光は、壁の代わりにその人に当たり、命を奪ったのです。光がその人で遮られたために、壁に影が残りました。このような非常に衝撃的な現象は、広島と長崎のあらゆる写真のなかに見ることができます。