Saturday, December 31, 2016

タゴール

     赤ちゃんは、神がまだ、私たちに絶望していない、
     というメッセージを持って生まれてくる…。

「すべての嬰児は
 神がまだ人間に絶望してはいない
 というメッセージをたずさえて生れて来る」

Saturday, December 10, 2016

Male

Il male è come un particolare brutto in un’opera. E anche dipende dal fatto che noi vediamo la vita come un mosaico da una distanza troppo ravvicinata, ci sfugge l’intero disegno. Che solo Dio può vedere, e dunque patiamo questo limite. Il mondo è come un’opera d’arte, secondo quanto suggerito dal Libro della Sapienza: “Omnia in numero, mensura,  pondere disposuisti”

Monday, November 21, 2016

Pitagora tra aste e fumi Osservatore romano 17/11/2016

Pitagora tra aste e funi

· Incontri e scontri fra matematica e filosofia ·

I continui progressi della scienza moderna rendono ancora più attuale il classico Insight. A Study of Human Understanding, nel quale Bernard Lonergan propose i parametri basilari per un’integrazione armoniosa di tutte le fonti del sapere umano. Eppure, durante tutto il corso dell’evoluzione della conoscenza umana, anche se non nel modo sistematico proposto dal gesuita canadese, vi è stata una dialettica, a volte costruttiva e a volte conflittuale, fra le nozioni scoperte dalla matematica, dalle scienze sperimentali e dalla filosofia. Una squisita dimostrazione di un’interdipendenza sinergica di questi linguaggi è offerta da Paolo Zellini che, dopo aver scritto un saggio nel 1999 (Gnonom - Una indagine sul numero), ha appena pubblicato l’ulteriore lavoro di approfondimento, La matematica degli dei e gli algoritmi degli uomini (Milano, Adelphi, 2016, pagine 258, euro 14). Il docente di analisi numerica all’università di Roma Tor Vergata, partendo dall’intuizione del filosofo pitagorico Filolao di Crotone — il numero «armonizzando tutte le cose con la percezione all’interno dell’anima, le rende conoscibili e fra loro commensurabili, secondo la natura dello gnomone» (essendo quella parte della meridiana la cui ombra proiettata sul quadrante indica l’ora solare; cfr. 44 B 11 Dk) — guida magistralmente i suoi lettori attraverso i meandri della storia della filosofia e della matematica, per illustrare come lo sviluppo di entrambe si sia mutualmente influenzato.

Raffaello Sanzio, «Scuola d’Atene»  (1509-1511, Pitagora, dettaglio)

Una delle prove più antiche di questa relazione simbiotica si trova in un’appendice ai Veda — la raccolta di testi sacri dei popoli ariani che migrarono nel subcontinente indiano, 1800 anni prima dell’era cristiana — i Śulbasūtras, che definivano minuziosamente come si dovessero costruire e allargare gli altari destinati alla conservazione del fuoco sacro. Nel loro sforzo per garantire la conservazione delle principali caratteristiche geometriche degli altari di fuoco mentre ne effettuavano la trasformazione per usi vari, i matematici indoariani riuscirono a descrivere, con l’uso di semplici strumenti tali le aste o le funi (śulba significa corda, in sanscrito vedico), teoremi fondamentali come quello di Pitagora e permutazioni evolutissime, come quelle che permettono di convertire un cerchio in un quadrato della stessa area e viceversa.

Il linguaggio matematico, ovviamente, non è il solo ad avere avuto un rapporto sinergico con quello filosofico. In merito, va applaudita la decisione di La Morcelliana di rieditare una piccola perla di Grete Hermann (1901-1984), I fondamenti filosofici della fisica quantistica. In un breve articolo, la scienziata che nella sua tesi di laurea aveva postulato l’esistenza di algoritmi capaci di risolvere i problemi fondamentali dell’algebra astratta, rilevò le chiarissime affinità fra il principio di indeterminazione di Heisenberg — che stabilisce che a livello quantistico sia impossibile conoscere simultaneamente i valori di grandezze fisiche coniugate quali lo spazio e il tempo — con il principio di causalità e il criticismo kantiano.

Sarebbe comunque esagerato considerare come contributo al dialogo fra scienza e filosofia, la mera espressione, pur se legittima, di convincimenti personali su materie filosofiche da parte di scienziati, per quanto celebri siano. Si pensi alla Religione Cosmica dal sapore panteistico spinoziano — appena ripubblicata con un’ottima postfazione dei ricercatori Giannetto e Taschini sempre da La Morcelliana — avanzata da Albert Einstein nel contesto di una conversazione intavolata con il poeta Rabrindanath Tagore. Il dialogo fra i linguaggi richiede che delle realtà, concrete o astratte ma comunque correlate, siano analizzate per mezzo di discipline indipendenti, al fine di ricavarne significati diversi che si possano confrontare fra loro.

Un ottimo esempio di questo tipo di dialettica è fornito dal piacevolissimo libro, appena edito da Il Mulino: Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla. In esso, il matematico Claudio Bartocci riflette sul numero zero, il fisico Piero Martin sul vuoto e il filosofo Andrea Tagliapietre sul nulla.

Dai loro contributi nasce la zerologia che, da un punto di vista matematico, risponde alle speculazioni di J.W. Richard Dedekin — autore dell’influentissimo articolo del 1888: Was sind und was sollen die Zahlen? (“Cosa sono e cosa dovrebbero essere i numeri?”), che non considerava lo zero un numero naturale ma una creazione derivante da operazioni come la sottrazione — da un punto di vista fisico, spiega come mai the vacuum is not empty (il “vuoto” non è “vuoto”) — in quanto innumerevoli forze sono all’opera nel vuoto fisico come quelle che permettono l’immagazzinamento dell’energia solare nelle cellule fotovoltaiche — e da un punto di vista filosofico, chiarisce perché Immanuel Kant — distinguendo il nihil privativum repræsentabile (“la mancanza di una cosa”) dal nihil privativum irrepræsentabile (“la pura nozione di alterità rispetto all’essere”) — abbia confermato che la filosofia occidentale ricade, sin dai tempi di Parmenide («L’essere è, il nulla non è»; fr. 6 1-2), nel paradosso di definire il nulla in funzione dell’essere.

di Carlo Maria Polvani

Monday, November 14, 2016

Homo proponit, sed Deus disponit


Man proposes but God disposes

人算不如天算

rén suàn bù rú tiān suàn


人算は天算に如かず

〈諺〉人の考えは天の考えには敵わない

〈備考〉

  1. 予想や思惑の通りに事が運ばなかった時などに言う
  2. (「運命には逆らえない」、「世の中そんなに甘くない」、「世の中何が起こるかわからない」、等)

  3. 万策尽くして結果を待つ時などに言う
  4. (「成るようにしかならない」、「神のみぞ知る」、等)

    〈修正歓迎〉

Homo proponit, sed Deus disponit  (Imitatio Christi, book I, ch. 19)
箴言16・9;  19・21参照

Wednesday, October 19, 2016

Scriptura cum legente crescit

The Word of God,” writes Maximus the Confessor, “is similar to a mustard-
seed, it appears quite small before being cultivated. But when it has been cultivated it embraces the meaning of all beings” (On theology, II.10). This is the hermeneutical principle that Gregory the Great, known in the East as Gregory of 
the Dialogue, expresses with the formula Scriptura crescit cum legente: the understanding of Scripture increases with the spiritual maturing of the person who reads and interprets it (cf. Homilies on Ezechiel, I, SC 327:244–245).

「聖書は読者と共に成長する」(グレゴリウス1世(Gregorius I, 540年? - 604年、四大ラテン教父の一人)

Monday, October 10, 2016

Bultmann

"La fede si comprende infatti come libera obbedienza alla portata teologale dell'evento, ma non come arbitraria decisione ermeneutica" 
(Sequeri, Il Dio affidabile, p. 180)

Monday, September 26, 2016

Östpolitik Russia e Cinese

Una delle critiche che il cardinale Zen rivolge alla autorità vaticane è di replicare oggi con la Cina la "fallimentare" Ostpolitik perseguita da Agostino Casaroli negli anni della guerra fredda con i paesi comunisti dell'Europa dell'Est.

A proposito di questa, ecco che cosa ha detto Joseph Ratzinger nel suo libro-intervista uscito all'inizio di settembre:

"Era chiaro che la politica di Casaroli, per quanto attuata con le migliori intenzioni, era fallita. La nuova linea perseguita da Giovanni Paolo II era frutto della sua esperienza personale, del contatto con quei poteri. Naturalmente allora non si poteva sperare che quel regime crollasse presto, ma era evidente che, invece di essere concilianti e accettare compromessi, bisognava opporsi con forza. Questa era la visione di fondo di Giovanni Paolo II, che io condividevo".

chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351379

Monday, September 19, 2016

ゲーテ

Misunderstandings and neglect occasion more mischief in the world than even malice and wickedness.

Mißverständnisse und Trägheit machen vielleicht mehr Irrungen in der Welt als List und Bosheit.
Johann Wolfgang von Goethe
(1749 - 1832), deutscher Dichter der Klassik, Naturwissenschaftler und Staatsmann
Quelle: Goethe, Die Leiden des jungen Werther, 1774; hier in der zweiten Fassung von 1787. Originaltext. 1. Buch

Incomprensioni e abbandono sono occasione di più male nel mondo di astuzia e malizia.

Johann Wolfgang von Goethe
Fonte: Goethe, I dolori del giovane Werther 1774; 

「世の中の不幸の大部分は天災や悪人の好意のわざによるのではなく、善人の間の誤解によるものだ」

ゲーテ、若きウェルテルの悩み

Monday, September 12, 2016

神秘


神秘主義 MYSTICISM

 

Mystery   Mystic   Mysticism

 

musthrion(ミュステーリオン),  ou, to (新約聖書ギリシア語辞典)

musthr 秘密結社員      mueo 秘密結社に加入させる

     はっきり理解できないこと、奥義 a thing not obvious to the understanding I コリ13,2)。

  キリストを通して人類を救う神の計画。昔は隠されていたが、今は啓示により人類に明らかにされている救いの奥義。(マタ1311;マコ4,11;ルカ8.10;ロマ11,2516,25Iコリ2,7;4,1;15,51;エペ193349619;コロ126272243IIテサ2,7Iテモ3,916;黙示10,7

  隠れた、秘められた意味 (エペ5,32;黙示1,2017,57

 

 

“L’ignoto genera paura, il Mistero genera stupore” (Meeting di Rimini 1999)

「未知のことは恐怖を生むが、ミュステ―リオンは驚きを生む」

 

 

“A religious mystery is not something to be ignored because it is incomprehensible, but to be explored because it is inexhaustible”

「宗教的ミステリーは、不可解でるから無視すべきというものではなく、無尽蔵であるから探究すべきものである」

 

Come afferma il teologo russo Pavel Evdokimov, “non è la conoscenza che illumina il mistero, è il mistero che illumina la conoscenza. Noi possiamo conoscere solo grazie alle cose che non conosceremo mai” (La donna e la salvezza del mondo, Jaca Book, Milano 1980, 13).

"ce n'est pas la connaissance qui éclaire le mystère ; c'est le mystère qui illumine et approfondit la connaissance."

Friday, September 09, 2016

Sequeri

Per il resto dobbiamo convincerci, d'altronde, che "nessun dio, ormai, ci può salvare". E in ogni caso "perché mai dovrebbe essere il tuo?". Dunque, di nuovo e democraticamente, "tutti gli dèi sono buoni, nessuno è buono". Non amate nessun dio: e semmai, amate voi stessi come lui si ama. In questo senso si può comprendere che persino la metaforica trinitaria, inclinata verso l'enfasi autoreferenziale dello scambio simbolico e del godimento perfetto, possa essere consumata anche ateisticamente in ecumenica letizia.  (Pierangelo Sequeri)

Friday, September 02, 2016

Sequeri

http://www.credereoggi.it/upload/2000/articolo117_69.asp#

La via pulchritudinis: limiti e stimoli di una spiritualità estetica
Pierangelo Sequeri

1. L’estetica cristiana dei sensi spirituali 

È vero che per il cristianesimo non esiste una bellezza mondana capace di offrirci libertà dal male e vita eterna. Ma la fede evangelica non si sogna neppure di abbandonare il mondo all’alternativa della bellezza e della salvezza. Nella teologia, come nella spiritualità e nella cultura cristiana, la via della bellezza è stata incessantemente percorsa con sincera partecipazione religiosa e decisivo impulso culturale. Da sant’Agostino a Fénelon, da san Tommaso a Maritain, da san Francesco a von Balthasar.

La nuova alleanza fra i doni dello Spirito creatore e i segni della bellezza creata riaprono il futuro per la qualità umana della fede e lo stile evangelico della testimonianza[1].  

La bellezza appare, certamente, allo sguardo della fede, nel segno di una verità della creazione che precede l’avvilimento dell’umano. E resiste, indomabilmente, alla sua nichilistica deriva. Non allude semplicemente al suo originario legame con la bontàdell’opera di Dio, che si compiace della propria invenzione. La bellezza evoca il riflesso di una giustizia originaria della creazione che lascia balenare il sentimento di una felice corrispondenza della sua destinazione. Nel fascino che ne promana, la bellezza prefigura la restituzione della creazione al suo senso. E rende amabile l’intenzione di Dio che volle destinare l’uomo alla dignità di un’esistenza propria: a immagine e somiglianza di Lui. Il sentimento della bellezza trafigge ogni volta l’acerba contraddizione del mondo abitato con l’immemoriale bagliore della Parola creatrice. La perdurante risonanza di quell’impulso può essere oscurata, ma non estinta. Le potenze ostili, evocate dall’incredulità dell’uomo, possono congiunturalmente ridurla al silenzio: non mai privarla della sua risurrezione.  

La verità della bellezza, tuttavia, non abita pacificamente l’umana edificazione del mondo. Dirottata dalla sua profezia, distratta dalla sua memoria, essa vive anche come apparenza della giustizia e come illusione del bene. Diventa persino la giustificazione seducente dell’incredulità: nell’ebbrezza di un’esistenza finita che basta a se stessa; in guisa di argumentum apparentium rerum che nobilita – persino – la dissipazione di ogni dono dello Spirito. Piegata al dominio delle potenze che traggono l’uomo in schiavitù, la passione della bellezza incoraggia anche la voracità di un appagamento distruttivo, alimenta l’invidia mortale della grazia altrui. L’ossessione della bellezza presuntivamente spirituale, induce pur essa il rischio di una tragica anestesia nei confronti del dolore del mondo. Diviene principio di mera autoedificazione, che si separa da ogni vincolo compassionevole dell’umano; e nella sua pretesa illuminazione, che aspira ad un’esistenza incontaminata, rimane indifferente all’avvilimento della terra. In entrambi gli eccessi la bellezza si separa dalla speranza dell’uomo. E infine, da ogni giustizia della creazione. 

La spiritualizzazione della natura, e l’estetizzazione del sentire, che oggi annunciano la «nuova età» della gnosi ecologico-terapeutica, esprimono certamente un’esigenza vitale. Una vera e propria invocazione, di cui non si sospettava la forza arcaica nelle masse civilizzate del pianeta. Ma l’estetica e la religione che danno rappresentazione e parola a questa urgenza dell’anima rimangono pur sempre – come un tempo – suggestivamente e drammaticamente inappropriate. Esse sono, in troppi casi, mistica di complemento e compensazione programmata per l’egemonia di una sfera sostanzialmente economica del godimento. La deriva mercantile dell’esistenza ha bisogno di un ecumenismo anesteticodel comune sentire per rendere sopportabile l’ingegneria cosmetica che provvede alla produzione di una nuova specie umana, perfettamente adatta al ciclo dei consumi. La sfida mette di nuovo alla prova la dimostrazione evangelica dello Spirito e della forza. La battaglia che una volta fu vinta – contro ogni probabilità culturale, già allora! – per l’istituzione della verità cristiana essenziale, deve ora essere combattuta e vinta per la restituzione di un costume, di una persuasione, di uno stile, di una sensibilità e di un sentire interiore corrispondente. In una parola, per la definitiva saldatura della verità cristiana con gli umani affetti. Quella stessa che essa vide risplendere di incomparabile bellezza divina nei tratti umani del Salvatore. Da dove prenderemo forza, altrimenti, per riaffezionarci all’umana dimostrazione dello Spirito di Dio?

Per questa via, tutti gli uomini sono sollecitati a quell’arcana nostalgia di Dio cantata da sant’Agostino con accenti ineguagliabili: «Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato». Per grazia di Dio, non è mai troppo tardi per ritrovare lo slancio di questa scoperta. Le opere umane della bellezza aprono il varco irrimarginabile di un appagamento per il quale esse non bastano: e invitano a proiettarsi più audacemente verso la Bellezza del mistero di Dio che indica all’uomo spirituale la vera destinazione della sua attrattiva. Ne viene infine, per tutti i credenti, un forte impulso a riscoprire e a far riscoprire il lato bello di Dio. La testimonianza è possibile soltanto al prezzo di una profonda assimilazione di nuovi sensi spirituali, capaci di formare l’uomo e la donna credenti al discernimento dell’immagine del Figlio e dei doni dello Spirito nell’odierna condizione umana. 

L’esperienza della bellezza – sin dal seno materno – apre un varco irrimarginabile per l’oltrepassamento della mera necessità di conservazione dell’organismo vivente, rivelando la più forte attrazione del desiderio di progresso spirituale che nutre l’anima e la mente. Ad esso mai ci concederemmo, con tanto slancio e in nome della vita stessa, se l’apertura della bellezza che ci muove all’azzardo creativo dell’immaginazione non ci affezionasse con forza più irresistibile della ripetizione realistica dell’utile e del noto. L’esperienza della bellezza conferisce un valore inconfondibile, privo di scambio equivalente, al mondo della libertà – volontà e conoscenza – che decide la qualità in cui ci riconosciamo. La speciale sensibilità destata dalla bellezza sfida la rassicurante ripetizione dei nessi causali del mondo e della vita, investendo la dignità dell’umano nell’eccedenza di un senso affettivo dei legami in cui realmente ne va di noi. L’apprezzamento di questi legami, che si esalta nell’umana esperienza della bellezza, è irriducibile alla giustezza dei rapporti calcolabili fra gli enti e gli eventi del mondo. E persino alla equivalenza dello scambio fra i beni disponibili. Questa estetica degli affetti istituisce il fondamento irrinunciabile della ostinazione (o piuttosto della fede?), tipicamente umana, che rimane attaccata alla giustizia che dovrebbe essere: in cielo, in terra e in ogni luogo. Essa infatti si accende e si riaccende – nell’immaginazione della bellezza che è propria di tutti i legami degni dell’uomo. Ultimamente, la bellezza dell’ordine di agape: al quale non dispera di ricondurre anche eros e nomos

2. Il principio antignostico della bellezza

Nel delicato equilibrio della sua universale attitudine ad aprire un varco altrimenti inconcepibile per il senso della giustizia e per la metafisica degli affetti – vere e proprie invarianti del sapere originario della coscienza – l’esperienza della bellezza è sempre come una promessa.

Il pensiero della civiltà alla quale apparteniamo, nella quale il cristianesimo ha impiantato il seme della novità evangelica e nutrito l’albero di una secolare cultura, l’aveva riconosciuta sin dall’inizio della sua straordinaria avventura. Riscattando l’immaginazione estetica del divino dal levigato manierismo umanistico dell’antica religione civile, aveva riaperto il pensiero della bellezza al fascinans e al tremendum della sua origine sacra, riportandola audacemente alla rivelazione del logos della verità trascendente (Parmenide) e ai misteriosi legami in cui risuona l’analogia del bene ineffabile (Platone). Nell’alveo di questa tradizione, per altro, la riconquista dell’esclusivo legame della bellezza e del divino veniva posta a carico di una dimensione spirituale contigua all’intelligibile: il suo riscatto si disegnava precisamente sul filo dell’opposizione al sensibile. L’ipoteca posta da questa scansione non poteva evitare di giungere a maturazione nel divorzio fra l’esperienza sensibile della bellezza e la ricerca spirituale della sua origine incontaminata. La riconquista dell’originario legame della bellezza col divino rimaneva così posta sotto il segno di un riscatto dal suo degrado nel sensibile, più che un del riscatto del sensibile dal suo degrado. 

La cultura del cristianesimo statu nascenti si trovò di fronte all’antinomia di questaesaltazione della bellezza che salva, di cui fu costretto ad apprezzare il contrasto proprio quando fu tentato dalla sua pura e semplice omologazione. Il fenomeno grandioso e insidiosissimo del cristianesimo gnostico rappresentò l’esperimento del seducente innesto del germoglio evangelico sull’albero frondoso della più alta spiritualità religiosa e filosofica allora conosciuta.  

La qualità e la novità cristiana furono messe in salvo dalla passione di un’ortodossia che percepì lucidamente il prezzo drammatico di una spiritualità di una bellezza divina (LogosPneuma) che salverebbe solo nella condizione dell’abbandono del mondo al suo destino di creatura irrimediabilmente degradata e perduta. L’allarme fu suonato – inequivocabilmente – all’evidenza ormai esplicita delle conseguenze che scaturivano dall’applicazione di quel principio presuntivamente più spirituale: cioè la denuncia della creazione (in nome dello Pneuma di Dio!) e lo svuotamento dell’incarnazione (in nome del Logos di Dio!). Il carattere frontale dell’attacco che la gnosi portava ai pilastri della veritas biblica e della traditio apostolica rese apprezzabile anche l’ambiguità di una dottrina spirituale, presuntivamente superiore, della bellezza che salva. Senza la provocazione di questa felix culpa, la cultura del cristianesimo avrebbe perduto il suo originale impulso: anche nell’ordine dei rapporti fra l’immaginazione creativa e le radici spirituali della bellezza. E’ proprio in occasione di quella sfida, infatti, che la tradizione ecclesiale trovò l’audacia di sollecitare il suo principio creazionistico e cristologico al limite di formule che contengono insieme l’azzardo dello scandalo necessario alla qualità storica della bellezza divina che si rivela salvatrice: gloria Dei vivens homo (Ireneo), caro cardo salutis (Tertulliano). 

3. La svolta cristologica dell’immagine

Il principio di un’icona realistica del Logos, che è la carne del Figlio – forma hominisconcepita in grembo di donna e forza dello Spirito – si insedia così nel pensiero stesso dell’imago Dei. Non nega il sacrosanto divieto della sua raffigurazione sostitutiva e del suo adattamento idolatrico. Piuttosto lo trascende, inverandolo, nella sacra rappresentazione cristologica dell’umanità di Dio: che forma il canone nel canone di ogni umana rappresentazione sacra. L’umanità di Dio nel Figlio Gesù non è condiscendenza accessoria: è pleroma autentico. E’ l’originale di ogni icona, la quale vi riflette la sua pallida evocazione dell’unica configurazione e trasfigurazione legittima dell’invisibile abbà-Dio. Il legame con il doloroso concepimento della nuova creazione, conforme e trasformata ad immagine del Figlio, di cui parla la splendida invenzione paolina dell’estetica teologale – dalla dottrina del vetro oscuro a quella dei sensi spirituali, dall’inno della kenosis (Fil 2) al poema della kainé ktisis (Rom 8) – salda compiutamente la teologia cristiana della bellezza spirituale con l’antica rivelazione biblica della creazione di Dio e della promessa che la riguarda. Rivelazione ancorata storicamente a quella stessa fede, mai abrogata. Promessa escatologica di cui rimane in vigore la speranza di una nuova terra, mai revocata.

La vicenda dell’arte, nell’Oriente come nell’Occidente cristiano, è profondamente segnata dalla forza di questo legame. L’altezza della sua pretesa oggettivamente teologale, il livello della sua integrazione con la cultura spirituale dell’umano, sarebbero impensabili senza l’ortodossia cristologica che ha ribaltato, assorbendolo, il percorso della spiritualità antica. 

Lo voglia o no, lo sappia o no, l’amplificazione estetica della ricerca della verità della creazione e del confronto sulla sua giustizia, lotta sempre con l’Angelo per ristabilire il legame fra ciò che Dio ha unito e la cultura dell’uomo divide: lo spirituale e il sensibile, il cielo e la terra, la sapienza e il godimento. La scommessa intorno alla originaria verità di quel legame è sempre in bilico fra la passione creatrice di un’evidenza perduta e il furore distruttivo dei suoi illusori assestamenti. Nella sua ricerca della bellezza, l’arte post-cristiana dell’Oriente e dell’Occidente è indirizzata – coscientemente, incoscientemente – dal canone di una verità cristologica: è proprio questo che tiene alto e perennemente in tensione il livello della sfida. Si tratta di non cedere all’evidenza seducente della separazione, finendo per riconciliarsi con la scelta alternativa che essa impone: dai due lati. Quello di una bellezza virtuosa e perciò insensibile: sprezzante di ogni affetto, però spirituale. E quello di una bellezza mondana e perciò seducente: vuota di ogni metafisica, ma almeno godibile. Lotta improbabile, se mai ce n’è stata una. Eppure, l’arte autentica riconosce sempre da sé stessa, infine, di fallire la sua destinazione quando elude la sfida, contentandosi di abbellire alternativamente i due eccessi. Nello spazio ospitale dell’opera estetica, dentro il quale l’uomo sperimenta le possibilità di un’eccedenza spirituale del desiderio e di una condensazione corporale dello spirito, devono pur anche trovare il loro posto l’ingiustizia del dolore subìto e la contraddizione del male voluto. Entrambe appartengono all’esperienza dei sensi spirituali dell’uomo. L’arte invoca la bellezza per elaborare il dolore; e modula lo splendore di quella, quando si concede, senza perdere la memoria di questo. 

L’arte non può dunque evitare, nella tenacia di questa lotta, la soglia pericolosa e necessaria di quel legame originario della bellezza e del bene, che chiama in causa la fede di Adamo nell’intenzione che presiede la creazione del mondo. Il riconoscimento della necessità di questa decisione, già affidata alla libertà di Abramo, si accende ogni volta che l’immaginazione estetica raccoglie e risuscita, nel suo stesso azzardo mondano, l’inevitabile apertura spirituale della domanda intorno alla giustizia di ogni essere proprio così o forse del tutto altrimenti. Né, del resto, è necessario evitare quella soglia rischiosa, che mette capo all’azzardo di un nuovo inizio. La protesta che l’uomo disperato eleva contro «Dio», così come la lotta con «l’Angelo» per strappargli la sua benedizione, sono già ugualmente comprese nella tradizione della sapienza biblica e dell’evangelo cristiano[2]. Esse vivono insieme nel grembo della pietas Dei erga hominem. Gesù abbandonato e Gesù ritrovato – il Signore crocifisso e risorto – sono la verità dell’icona di entrambi. Fino a che Egli venga. E la nuova città dell’uomo, la celeste Gerusalemme che cancella Babele per sempre, insieme con Lui. 

Pierangelo Sequeri

Sommario

La meditazione sviluppa essenzialmente tre linee di riflessione intorno alle potenzialità della nuova via pulchritudinis che la spiritualità cristiana deve percorrere. La prima mette a fuoco l’ambivalenza della bellezza: essa infatti può essere indirizzata alla memoria del progetto divino sulla creazione, ma anche venir piegata all’arredamento di un mondo artificioso ed illusorio. La tradizionale teologia metafisica della bellezza deve integrare un’estetica teologale dei sensi spirituali. Un secondo momento, sottolinea l’importanza di portare a maturazione il principio antignostico dell’antica ortodossia cristiana, mediante l’ortoprassi di una spiritualità effettivamente conseguente. Un terzo aspetto, infine, riguarda la necessità di incoraggiare l’arte alla ricerca di un’estetica cristologica della trasfigurazione: capace di integrare la memoria della passione del Figlio senza concedersi alla manieristica deriva della morte di Dio. 

Saturday, August 13, 2016

Solo Dios basta


Oración por Santa Teresa de Jesús de Ávila
 
 アビラの聖テレサ(教会博士)にならう祈り
 
何ごとも心を乱すことなく 何ごとも恐れることはない
 すべては過ぎ去っていく 神のみ変わることがない
 忍耐はすべてをかちとる
 神をもつ者には 何も欠けることがない
 神のみで満たされる
 +++
 
Oración por Santa Teresa de Jesús de Ávila
Nada te turbe, nada te espante.
Todo se pasa. Dios no se muda.
La paciencia todo lo alcanza.
Quien a Dios tiene, nada le falta.
Sólo Dios basta.
 
+++
 Prayer by St. Theresa of Ávila
 Let nothing disturb you, let nothing frighten you.
 All things pass away: God never changes.
 Patience obtains all things.
 He who has God
 Finds he lacks nothing;
 God alone suffices.
 

Thursday, August 11, 2016

The Four Levels of Happiness Defined

The Four Levels of Happiness Defined
http://www.spitzercenter.org/html/our-approach/the-four-levels-defined.php

Level 1
Happiness derived from material objects and the pleasures they can provide.  This is the most basic level of happiness, and it can come from eating fine chocolate, driving a sports car, a cool swim on a hot day, or other forms of physical gratification. Level 1 happiness is good but limited. The pleasure it provides is immediate but short-lived and intermittent. It is also shallow; it requires no reflection, and it doesn’t extend beyond the self in any meaningful way.
Level 2
Happiness derived from personal achievement and ego gratification. You feel Level 2 happiness when people praise you; when they acknowledge your popularity and authority; when you win in sports or advance in your career. Level 2 happiness is usually comparative because the ego measures success in terms of advantage over others. You’re happy when you’re seen as smarter, more attractive, or more important than others, and you’re unhappy when you lose the comparison game. Level 2 happiness is short-term and tenuous. You can be happy that you won today, and then anxious you might lose tomorrow. Level 2 is not inherently bad because we all need success, self-esteem, and respect to accomplish good things in life. But when Level 2 happiness ? self-promotion ? becomes your only goal, it leads to self-absorption, jealousy, fear of failure, contempt, isolation, and cynicism.
Level 3
Happiness derived from doing good for others and making the world a better place. Level 3 happiness is more enduring because it is directed toward the human desire for love, truth, goodness, beauty, and unity. It is capable of inspiring great achievements because it unites people in pursuit of the common good, whereas Level 2 happiness divides people. Level 3 is empathetic, not self-absorbed, and it looks for the good in others, not their flaws. It sees life as an opportunity and an adventure, not an endless series of problems to overcome. Because people have limits, Level 3 happiness also has its limits. None of us are perfect, so we can’t find perfect fulfillment in other people.
Level 4
Ultimate, perfect happiness. When others fall short of our ideals, or we fall short ourselves, we’re disappointed. This disappointment points to a universal human longing for transcendence and perfection. We don’t merely desire love, truth, goodness, beauty, and unity; we want all of these things in their ultimate, perfect, never-ending form. All people have this desire for ultimacy, which psychologists call it a desire for transcendence ? a sense of connection to the larger universe. Some express this desire through spirituality and religious faith. Others express the same longing through philosophy, through art, or through scientific efforts to solve the mysteries of life and the universe.

幸福の4つのレベルの定義
Level 1レベル1
物理的材料、快楽から得られた幸福。この幸福は最も基本的なレベルであり、おいしいチョコレートを食べてから来ることができる、スポーツ車を運転し、暑い日に涼しいプールで一泳ぎをする。レベル1の幸福は良いのですが制限されます。 それらは提供する喜びはすぐおこるが、寿命の短い断続的なものである。また、浅いものであり、考える必要もないが、自己を超えて拡張されません。
Level 2レベル2
 個人の業績とエゴの満足から派生した幸福。レベル2幸福を感じるのは、人々が賛辞してくれるとき、あなたの人気と権限を認めるとき、スポーツで勝つとき、あなたのキャリアで先に進むときです。 レベル2の幸福はたいてい比較(相対)的です。エゴは他人より優位性の面で成功したからである。 他人よりカッコいいで、または他よりも重要で魅力のある人として見られるときに満足しているし、比較ゲームでまけるときは不幸を感じる。 レベル2の幸福は短期的および希薄です。あなたは今日は勝ったと幸せを感じるが、明日はまけるかもしれないという不安を持つでしょう。 レベル2の幸福感は本質的に悪いではありません。なぜなら、すべての人は、人生で良いことを達成するために、成功、自尊心、尊重を必要としているからです。 しかし、レベル2の幸福、つまり自己プロモーションは、あなたの唯一の目標になれば、自己中心につながり、嫉妬、失敗の恐れ、侮辱、孤立、そして皮肉に変わります。
Level 3レベル3
 他人のために良いことをする、世界をより良い場所にすることから派生した幸福です。レベル3の幸福は 、より持続的である。なぜなら、愛、真実、善、美、一致という人間の望みに向けているからです。 レベル2の幸福は人々に分裂に導くのに対し、レベル3の幸福は、共通の利益を追求し、人々を一体させ、感激大きな成果を上げることができます。レベル3は自己中心ではなく、共感的であり、他人には欠点ばかりではなく、長所を見る。 また、人生(生活)を機会として冒険として見、克服しなければならない無限のシリーズの問題として見ていない。人々には限界があるから、レベル3の幸福にも限界があります。私たちの誰もが完璧ではないので、他の人々の中に完璧な満足を見つけることができない。
Level 4レベル4
究極の、完璧な幸福。他人々は理想を下回るとき、または私たち自身が理想に達しないとき、われわれは失望してしまう。 この失望は、超越性と完全性への普遍的な人間の憧れを指しています。我々は、単に愛、真実、善、美、と団結を望むだけではなく、我々は、これらのものをすべて究極の、完全で、終わることのない形で望みます。すべての人々は、心理学者は「超越への意欲」と呼んでいるこの究極性を望んでいる。これが大宇宙への接続という感覚を提供します。ある人は、この望みを霊性と宗教的な信仰を通じて表明する。 ある人は、芸術を通して、あるいは哲学で、あるいは科学的な努力によっていのちと宇宙の謎を解くために、同じあこがれを表現します。

Wednesday, August 10, 2016

Good God and bad world

We do not want joy and anger to neutralize each other and produce a surly contentment; we want a fiercer delight and a fiercer discontent. We have to feel the universe at once as an ogre's castle, to be stormed, and yet as our own cottage, to which we can return to at evening.

Saturday, July 30, 2016

Love and the cross

Why Go to Church?: The Drama of the Eucharist

https://books.google.co.jp › books
Timothy Radcliffe - 2009 - Religion
4 As Herbert McCabe liked to say: 'If you love, you will be crucified; if you do not, then you are dead already.'5 On Good

Saturday, July 23, 2016

騙す: 心学

http://wanokuni-singaku.seesaa.net/article/436592730.html 


騙す

騙す(だます) 

人を騙すにはまず自分自身の心を騙さなければならない。
自分の持つ良心を騙し、他人を騙す。
この騙す心の病が年月を経て、自分自身という人生を創る。
元々はなかった「心の悪病」、
気が付いた頃は慢性になっている。
他人は騙されなくとも、自分が騙している分、
その悪病は一生ついて廻る。
人を騙してはならないことは、人間として当たり前のこと。
しかし、そのことを青少年期に教える環境が減りつつある。
家庭、学校、社会全体が再度「仁徳教育」に目を向け、
心豊かな時代を創ることが大事。

理想的な話かもしれないが、理想こそが人間の原点。

「心の学問」「仁徳」教育が必要な時代だが、

教える人間が少ないのも悲しい現実である。




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Monday, July 11, 2016

暑中お見舞い

濱中 さん

ご丁寧に暑中お見舞いのお葉書をいただき、ありがとうございます。
今年は特別の暑さで草木もしおれるほどですが、皆様におかれましてはお元気のご様子、何よりと存じます。
私もしおれないよう、避暑がてら山岳へ行くなどして無事に過ごしておりますので、ご安心くださいませ。
ついでに、最近どこかで見かけた言葉について分かち合いたいと思います。「これまでが これからを 決める」 のではない。
「これからが これまでを 決める」 のだ    (藤代聡麿)通常は、「これまでが、これからを決める」と考えます。過去・現在・未来という時間の流れからもそう思います。実際のところ、「これまで」のことと無関係な「今」も「これから」もあり得ませんし、「これまで」のことは、決して変えることも消すこともできません。ところが、同じ「これまで」でも、「これから」をどう生きていくかで、その意味が変わります。たとえば、石につまずいて倒れたとき、「どうして、あんなところに石があったのだろう…。」、「あの石がなれければ 順調だったのに…」と愚痴のタネにすることがあります。
反対に 「あの時、つまずいたから、足もとに気をつけるようになって、大きな失敗をしなくてすんだ」と つまずいた石を 踏み台にしてステップアップする生き方もあります。
つまり、「これからが 今までを決める」とは、失敗したことも、惨めだったことも みんな無駄ではなかった、自分には必要なことだったと「これまで」(過去)に意味を見出し、引き受けていくことでしょう。変えることも、消すこともできないこれまで(過去)は、これからの生き方次第で、その意味が大きく変わるわけです。
それならば、人生の最後、いのち終わらんとするときに、「これからが これまでを決める」ということを当てはめてみたら、どうでしょう。つまり、「死んだらどうなるか?」ということ(これから)が 、それまで生きてきた自分の人生(これまで) を 決めることになります。とすれば、いのち終わった後(これから)が、「死んだらおしまい」、「死ねば すべてなくなる」とするならば、その人生(これまで)は、全く意味のない、空しいものとなると言わねばならないでしょう。
いのち終えた後という「これから」が 定まるとき、 「これまで」、つまり 人生そのものに 生きる意味が見出されます。泣いたことも、わらったことも すべて 無駄ではなかったと引き受けていける道が開かれてゆくのです。
それでは、お元気で


Saturday, June 18, 2016

Lewis on rationalism

You cannot go on ‘explaining away’ for ever: you will find that you have explained explanation itself away. You cannot go on ‘seeing through’ things for ever. The whole point of seeing through something is to see something through it. It is good that the window should be transparent, because the street or garden beyond it is opaque. How if you saw through the garden too? It is no use trying to ‘see through’ first principles. If you see through everything, then everything is transparent. But a wholly transparent world is an invisible world. To ‘see through’ all things is the same as not to see. 

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Monday, June 13, 2016

Method, 96-98

Method, 96-97


Descartes

The "ghost in the machine" is British philosopher Gilbert Ryle's description of René Descartes' mind-body dualism. The phrase was introduced in Ryle's book The Concept of Mind (1949)[1] to highlight the perceived absurdity of dualist systems like Descartes' where mental activity carries on in parallel to physical action, but where their means of interaction are unknown or, at best, speculative.

  • デカルトの、内的に省察する自己のドグマ(身体=機械から切り離された内省する自己=幽霊)に関 するギルバート・ライル(Gilbert Ryle, 1900-1976)による批判の表現である。(G・ライル)『心の概念』1949年。

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Spinoza thinks that there are an infinite number of attributes, but there are two attributes for which Spinoza thinks we can have knowledge. Namely, thought and extension.[16]


神が唯一の実体である以上、精神も身体も、唯一の実体であるにおける二つの異なる属性(神の本質を構成すると我々から考えられる一側面)としての思惟と延長とに他ならない。また、神の本性は絶対に無限であるため、無限に多くの属性を抱える。この場合、所産的自然としての諸々のもの(有限者、あるいは個物)は全て、能産的自然としての神なくしては在りかつ考えられることのできないものであり、神の変状ないし神のある属性における様態であるということになる[10]

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アプリオリとは、経験認識に先立つ先天的、自明的な認識概念カントおよび新カント学派の用法。ラテン語a prioriに由来する。日本語では、「先験的」「先天的」「超越的」などと訳される。

カントによれば、時間および空間はアプリオリな概念である。なぜならこの2つは、あらゆる経験的認識に先立って認識されている概念だからである。

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能力心理学. faculty psychology

人間についていくつかの能力を想定し,それら能力の活動ないし相互作用により心的現象を説明しようとする学説。 18世紀前半 C.ウォルフにより体系化された。彼は能力をまず認識能力と欲望能力に2大別し,これらをまた細分して感覚,想像,記憶,注意,快・不快,意志などの能力をあげた。

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英語のことわざa rising tide lifts all boatsの意味や和訳。 《上げ潮は船をみな持ち上げる》 

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イソクラテスイソクラテース, ギリシャ語Ισοκράτης, Isocrates, 紀元前436 - 紀元前338)は、古代ギリシア修辞学者で、アッティカ十大雄弁家の一人。イソクラテスは当時のギリシアで最も影響力のある修辞学者で、その授業や著作を通して修辞学と教育に多大な貢献をしたと考えられている。

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メナンドロス古代ギリシア語: Μένανδρος / Menandros紀元前342 - 紀元前292/291)は、古代ギリシアヘレニズム期)の喜劇作家ギリシア喜劇 (Ancient Greek comedy) のうち、「新喜劇」(アッティカ新喜劇(Attic new comedy あるいは アテナイ新喜劇(Athenian new comedy))と呼ばれる作品群の代表的な作者である。

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ティトゥス・マッキウス・プラウトゥス(ラテン語: Titus Maccius Plautus, 紀元前254紀元前184年)は、古代ローマの劇作家。

彼の喜劇は最初期のラテン文学に影響を残している。彼はまた最初期の演劇家でもある。エンターテイメントに飢えた観衆の必要を満たすため、駄洒落、名前に登場人物の性格をありありと反映させるなどの言葉遊びを多用した。主に言語の面白さによって観衆をひきつける必要から、物語全体の説得力は他の作家に道を譲るといわれる。

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プブリウス・テレンティウス・アフェルPublius Terentius Afer, 英語Terence, 紀元前195/紀元前185 - 紀元前159)は共和制ローマ劇作家。テレンティウスの喜劇が最初に上演されたのは紀元前170から紀元前160頃である。若くして亡くなったが、その場所はおそらくギリシャ、もしくはローマへ戻る途上だろうと言われている。

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叙事詩 じょじし. 詩の韻文形式

叙事詩とは、物事、出来事を記述する形の韻文であり、ある程度の長さを持つものである。一般的には民族の英雄や神話、民族の歴史として語り伝える価値のある事件を出来事の物語として語り伝えるものをさす。源氏物語

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叙情詩

竪琴たてごと(lyre)の;竪琴用の,竪琴の伴奏で歌う

  • ancient Greek lyric odes
  • 古代ギリシアのリラの伴奏で歌う詩歌.             紫式部

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宇宙進化論(Cosmogony)は、存在の起源、宇宙の起源、現実の起源に関する理論である。語源はギリシア語で、「宇宙、世界」を意味する κοσμογονίαと「生まれる、起こる」を意味するγέγοναである。宇宙科学天文学の文脈では、この用語は太陽系の形成を意味することが多い。古事記

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エンペドクレスEmpedocles紀元前490紀元前430頃)は、古代ギリシア自然哲学者、医者詩人政治家。アクラガス(現イタリアアグリジェント)の出身。四元素説を唱えた。弁論術の祖とされる。名家の出身で、彼の祖父は紀元前496年に行われたオリンピア競技(競馬)で優勝した。彼自身も優勝したことがあるようだ。ピュタゴラス学派に学びパルメニデスの教えを受けたとされる。





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