Monday, April 29, 2013

Un testo che appare nel XII volume dell'Opera Omnia di Ratzinger, curata dall'arcivescovo Gerhard Müller, pubblicato in Germania nel 2010 e di ormai prossima pubblicazione anche in Italia per i tipi della Libreria Editrice Vaticana.

Un testo che appare nel XII volume dell'Opera Omnia di Ratzinger, curata dall'arcivescovo Gerhard Müller, pubblicato in Germania nel 2010 e di ormai prossima pubblicazione anche in Italia per i tipi della Libreria Editrice Vaticana.

Il futuro Papa così iniziava quella prefazione: «Qualche tempo fa un amico teologo mi ha detto, con la vena sarcastica che lo contraddistingue, che i vescovi di oggi sono solo burocrati che portano la mitra. Che sia un'esagerazione, lo ammetterebbe anche questo stesso amico; tuttavia, proprio attraverso l'esagerazione spesso si arriva a prendere coscienza di una minacciosa verità, così come a volte la serietà di un momento storico è messa in luce nel modo più acuto da quella che sembra una battuta di spirito».

«Chi oggi è investito del ministero episcopale - continua il cardinale - è a conoscenza del dilemma che qui si manifesta: tutta la trama di compiti amministrativi in cui si è coinvolti dalla responsabilità di un episcopato può presto diventare un groviglio nel quale si resta impigliati e prigionieri».

Ratzinger denuncia il rischio, oggi, del «dissolversi della responsabilità personale del vescovo nell'anonimato di decisioni collettive, che nella storia è senza precedenti». Al tempo stesso però ricorda come l'avere un consiglio, cioè un organismo collettivo che aiuti nel prendere decisioni, appartiene alla tradizione della Chiesa.

«Nella seria osservazione dei fattori oggettivi della situazione - afferma ancora Ratzinger riferendosi al consiglio - esso diviene un dialogo fra due libertà; non annulla con questo la personale responsabilità morale di colui a cui viene offerto, bensì la rafforza, anzi, aiuta chi cerca consiglio ad accettare e a portare questa sua personale responsabilità. Non trasforma la decisione personale in una risoluzione collettiva, ma legittima appunto ciò che è personale».

Andrea Tornielli
Vatican insider , la stampa


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Saturday, April 20, 2013

Un’Asia che ascolta

Un'Asia che ascolta
e che si farà ascoltare

Le religioni dell'immenso continente di fronte alle sfide della globalizzazione

di FERNANDO FILONI

La globalizzazione mondiale e i ra- pidi processi di trasformazione so- ciale, economica e culturale pongo- no domande di fondo alle fedi stori- che che si sono sviluppate in Asia. L'interrogativo fondamentale può es- sere così espresso: come far transita- re il proprio patrimonio di credenze, valori, espressioni di culto negli odierni specifici contesti, nei quali tradizioni secolari convivono di fatto con nuove forme culturali, determi- nate dalla diffusione della tecnologia a tutti i livelli, dalla crescente urba- nizzazione, dallo squilibrio dei pro- cessi di sviluppo economico all'inter- no dei diversi Stati, dall'interconnes- sione economico-politica fra Stati e blocchi socio-culturali? Questo in- terrogativo fondamentale, al quale il titolo del convegno rimanda in for- ma sintetica, ha guidato i lavori di questi tre giorni. Alcuni aspetti tra- sversali possono essere ripresi e rac- colti sotto la cifra della "sfida".
La parola "sfida" può essere ado- perata con un'accezione negativa o positiva. Una comprensione negativa della "sfida" determina chiusura, sta- ticità, negazione, atteggiamenti di- fensivi anche violenti (in senso fisico e non), mentre una valutazione posi- tiva implica per contro apertura non ingenua, dinamicità, riconoscimento, atteggiamenti di accoglienza e reci- procità. Precisare il senso secondo il quale intendiamo la parola "sfida" è preliminare a qualsiasi altra conside- razione. Da esso dipendono infatti la puntualizzazione degli scopi, l'in- dividuazione degli ambiti, la confi- gurazione delle modalità e l'assun- zione di specifici atteggiamenti. Le diverse voci ascoltate in questi giorni hanno variamente declinato tali as- sunti, assumendo il concetto di sfida in termini sostanzialmente positivi.
I relatori più volte hanno fatto ri- ferimento al contesto, assumendolo come punto di partenza delle loro ri- flessioni o mantenendolo comunque sullo sfondo delle loro considerazio-ni. La pluriformità di tale riferimen- to pone sul tappeto una questione comune, quella dell'interpretazione del contesto. Questa operazione teo- retica dalle molteplici implicazioni pratiche è complessa, perché richie- de di districare nodi ancora irrisolti, di operare discernimenti, evitando semplificazioni indebite o aprioristi- che valutazioni negative o positive. Richiede quindi sia l'assunzione di una criteriologia congrua, sia il coin- volgimento di soggetti differenti, perché tale operazione ermeneutica non è né può essere un'impresa soli- taria. Lo specifico contributo della Chiesa può essere segnalato in que- sta sede, richiamando il segmento iniziale di Gaudium et spes, 4, che af- ferma il dovere permanente della Chiesa «di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a cia- scuna generazione, [la Chiesa] possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita pre- sente e futura e sul loro reciproco rapporto». Gaudium et spes, 11 preci- sa inoltre che la Chiesa, condotta dallo Spirito del Signore «cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del dise- gno di Dio. La fede infatti tutto ri- schiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione in- tegrale dell'uomo, perciò guida l'in- telligenza verso soluzioni pienamen- te umane». La recezione di queste indicazioni da parte delle Chiese dell'Asia comporta una fedeltà crea- tiva agli assunti conciliari, che non esclude affatto — anzi lo implica co- me dato necessario — una particolare attenzione ai molteplici contesti nei quali esse sono radicate.
La necessità del dialogo come sfi- da per le tradizioni culturali e reli- giose dell'Asia ha un'indubbia corre- lazione con la sfida precedente. Tale necessità è determinata senza dubbio dalla secolare pluralità del continen- te asiatico, ma anche dal fatto che, come emerso da alcuni contributi, essa è talvolta sfigurata da episodi di intolleranza e fondamentalismo che, diversamente motivati, conseguono esiti negativi e non infrequentemente drammatici. In Redemptoris missio (1990), Giovanni Paolo II precisa che il dialogo, «metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco» (n. 55), «non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attivi- tà che ha proprie motivazioni, esi- genze, dignità: è richiesto dal pro- fondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole» (n. 56). Non sem- bra improprio estendere in modo analogo queste affermazioni, che il testo riferisce in senso proprio al dialogo interreligioso, anche ad altre possibili forme di dialogo. In ogni caso, così inteso il dialogo presuppo- ne una fondamentale attitudine di ascolto, per pervenire a una reale co- noscenza dell'identità dell'altro, una conoscenza che non si basa sull'im- maginario personale o collettivo, ma che si fonda nella consapevolezza che l'altro ha di sé e della propria identità. Il dialogo implica poi coe- renza con le proprie tradizioni e convinzioni e, nel contempo, apertu- ra per comprendere quelle dell'altro, «senza dissimulazioni o chiusure, ma con verità, umiltà, lealtà, sapendo che il dialogo può arricchire ognu- no» (Redemptoris missio, 56). Il dia- logo funge quindi da correttivo ai tanti pregiudizi, nei quali sintetica- mente si condensa e cristallizza una distorta o parziale interpretazione di fatti e parole pregressi. Il supera- mento di tali pregiudizi comporta il riconoscimento dell'altro come realtà dinamica, come essere in ricerca e capace di apertura e cambiamento, come del resto hanno messo bene in luce — non sempre tematizzandolo in modo esplicito — soprattutto alcu- ni interventi del convegno, a esem- pio quelli dedicati al complesso mondo delle religioni. Il dialogo at- traversa i tempi e gli spazi del vivere umano, favorendo relazioni fraterne e solidali, che assumono la reciproci- tà come logica dell'esistenza sia per- sonale, sia sociale, e smentendo l'idea di originaria consistenza solita- ria e autosufficiente dell'io, in quan- to nell'incontro con l'altro cresce e si rafforza anche l'identità personale.
Lo sviluppo anche economico del continente asiatico, considerato in sé e con riferimento alla globalizzazio- ne, ha comportato un aumento dei mezzi materiali fruibili. La loro in- giusta distribuzione ha determinato e determina la persistenza di forme disumane e scandalose di povertà ed esclusione. Inoltre, tale aumento non sempre ha trovato corrispondenza in quello della vita spirituale che, al contrario, sembrerebbe per certi aspetti essere stata messa in discus- sione o quantomeno problematizzata. Situazioni di immoralità, una non sufficiente attenzione alla vita e alla dignità dell'essere umano, episo- di di suicidio potrebbero essere indi- catori di tale crescita non adeguata- mente equilibrata. Non c'è dubbio che questa situazione costituisca una sfida vera e propria per le diverse re- ligioni, chiamate a un maggiore im- pegno per sostenere il cammino di maturazione spirituale di tutti e di ciascuno, superando conflitti e con- trasti, incoraggiando per contro una riflessione critica, promuovendo ri- cerca e comunicazione. A tale pro- posito, occorre rilevare che questo impegno, diversamente modulato a seconda dei peculiari contesti di rife- rimento, implica un apporto sia con- giunto delle diverse tradizioni reli- giose, sia specifico di ciascuna di es- se. Autenticità e testimonianza devo- no caratterizzare il contributo che le religioni possono offrire per sostene- re il cammino di maturazione di tut- ti e di ciascuno. Da una parte, l'au- tenticità presuppone sia un ritorno alle fonti originarie di ciascuna tra- dizione religiosa, mettendo in atto delicati processi ermeneutici, neces- sari per evitare derive fondamentali- ste, sia un mettere meglio a fuoco la nozione di "esperienza" e le sue im- plicazioni. Dall'altra, la testimonian- za rimanda piuttosto al fatto che una fede veramente autentica com- porta necessariamente una sua tra- duzione in parole e gesti coerenti, sia negli spazi propri di ciascuna tra- dizione religiosa, sia in quelli pub- blici. Autenticità e testimonianza in- terpellano anche le Chiese dell'Asia, in particolare a proposito della vita di fede. Un'autentica fede personale e comunitaria presuppone che essa sia fondata in un incontro profondo, personale, trasformante con la perso- na viva di Gesù Cristo. La fede non consiste in una percezione intellet- tuale o in un'adesione a una verità impersonale. In senso proprio, la fe- de è una scelta per quel Dio perso- nale che si è compiutamente rivelato in Cristo; è altresì un affidamento a Lui. Tale incontro, che si traduce in una conversione personale e che si esprime nel discepolato, è una con- dizione indispensabile anche per la missione, giacché la proclamazione — parte essenziale della missione — non può prescindere da un'esperien- za personale di Cristo (cfr. 1 Giovan- ni, 1, 1-3). Nella prospettiva della fe- de come incontro personale, la con- templazione e la meditazione assu- mono un rilievo particolare; esse non escludono la ricerca di linguaggi e di metodi più adeguati per la trasmis- sione della fede, anzi ne costituisco- no in un certo senso la premessa in- dispensabile. Per quanto riguarda la testimonianza, non è necessario spendere molte parole per dimostra- re la sua correlazione con l'esperien- za. Tale testimonianza trova una particolare forma di espressione nell'impegno per la comunione; nel contesto della ricerca asiatica per l'armonia in mezzo a crescenti ten- sioni e conflitti, tutti i membri della Chiesa — clero e laici, uomini e don- ne, giovani e bambini — sono chia- mati a essere evangelizzatori, araldi del Vangelo, promotori di pace e co- struttori di comunione. Un'espres- sione peculiare di tale comunione è data dall'attiva comunione di comu- nità, presenti nelle parrocchie e dio- cesi asiatiche. Situazioni di ingiusti- zia, discriminazione e violenza e lo stesso abuso del creato, spesso dovu- to alla ricerca di egoistici e miopi in- teressi economici, minacciano la di- gnità e la sicurezza dell'essere uma- no in Asia. Si pone quindi la do-
manda se una fede religiosa possa ri- manere confinata nei testi sacri, nei riti e nelle pratiche o nell'esperienza di un gruppo più o meno ampio di persone. L'interrogativo è retorico, qualora si consideri che ciascuna tra- dizione religiosa non propone sol- tanto una propria comprensione del sacro, ma anche una peculiare e con- seguente comprensione dell'essere umano. Per questo non sembra im- proprio ritenere legittima la presenza attiva delle diverse tradizioni religio- se anche negli spazi pubblici, nel ri- spetto reciproco e soprattutto nel ri- spetto dei compiti e dei doveri dello Stato per il conseguimento del bene comune. La complessità delle situa- zioni richiede una mutua collabora- zione delle diverse tradizioni religio- se. Il dialogo tra le religioni assume qui una connotazione sociale e poli- tica, in quanto è finalizzato a elabo- rare condizioni e strategie per il con- seguimento del bene comune, quali l'imparare a rispettare una gerarchia di valori al cui vertice sta il rispetto della vita comune, il promuovere una civiltà dell'empatia e della com- passione, il creare spazi per un agire responsabile, l'individuare modelli credibili verso cui orientarsi. La de- nuncia profetica, illuminata dallo Spirito Santo, di tutto ciò che dimi- nuisce, degrada o nega la dignità dell'essere umano, creato a immagi- ne e somiglianza di Dio e partecipe nello Spirito della figliolanza divina, la solidarietà con le vittime della globalizzazione, dell'ingiustizia, dei disastri naturali e non, degli attacchi dei fondamentalisti e terroristi, e la cura del creato sono già nell'agenda delle Chiese dell'Asia e richiedono ulteriore impegno, come ha richia- mato la Federation of Asian Bishops' Conferences nel messaggio finale della sua ultima assemblea plenaria, sottolineando altresì che, poiché la proclamazione di Gesù ha toccato ogni aspetto della vita e ogni strato della società, una fede vissuta non può essere di conseguenza disgiunta dal compito di trasformare la vita socio-economica e politica.
A questo punto, mi domando: questo convegno è riuscito a dare voce, in qualche modo, al complesso mondo asiatico? Se sì, questa voce è riuscita a farsi ascoltare? Nel mio sa- luto iniziale avevo detto che da sem- pre numerose vie hanno attraversato l'Asia. In passato il percorso era per lo più da Occidente ad Oriente, og- gi direi comincia ad affermarsi una nuova tendenza, quella che va da Oriente ad Occidente, e ciò non so- lo a motivo delle migrazioni, del tu- rismo o del commercio. Le società si sono aperte e molte barriere sono state superate, volenti o nolenti i corporativismi politico-religiosi. In verità, devo dire che la Grande Mu- raglia, come strumento di difesa po- litico-militare, non ha mai funziona- to granché, ma certamente lo è stata di più in termini simbolico-identita- ri. La tradizione culturale certo è madre di ogni sapere e spesso di identità, ma essa oggi è messa a du- ra prova dalla contemporaneità. Quale sintesi ne nascerà? Va detto che questa sintesi è già in atto, an- che se non sempre riusciamo a co- glierla nell'immediatezza. Dunque, quale società avremo? Come le reli- gioni sapranno rispondere? È certo che d'ora in poi non saremo solo in ascolto dell'Asia, che implica l'attitu- dine del non asiatico verso l'Asia (one way), ma di un'Asia che ascolta e si farà ascoltare (double way), e ci dirà anche quali vie vanno percorse per la fede.


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Tuesday, April 16, 2013

Lonergan studies


大ざっぱにいえば、意識の二つの側面です。
思考にせよ、意図にせよ、何かしらの感情にせよ、意識には何らかの作用のような能動的な側面があります。それがノエシスです。
同時に意識は常に「何か」についての意識です。この「何か」がノエマです。
意識の作用的側面がノエシス、対象的側面がノエマということもできます。
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http://www.geocities.co.jp/CollegeLife-Cafe/2663/ch1/u1/t6.html

フッサールの現象学

 「純粋経験論」に入る前にもう一人、重要な思想家を取り上げておきましょう。その人の名は西田より11歳年上のフッサール(1859~1938)です。はじめに断っておきますが、私のフッサール解釈は、フッサールを最も分かりやすく解説してくれている竹田青嗣の受け売りです。でもフッサール研究の専門の教授に竹田青嗣のフッサール解釈で問題ないのか伺いますと、概ねオッケーだということですから、これでいきましょう。というのは、フッサールの著作もなかなか意味が取りにくいんです。ところがそれについて解説している竹田青嗣の解説は実に明快なんです。だからみなさんもフッサールについて勉強する場合は、まず竹田青嗣を読むことです。
 フッサールの現象学は、「経験」の代わりに「現象」を置きます。「現象」とは「意識現象」のことです。彼は、「事象そのものへ!」をモットーにまずあくまで現象に即して事態を捉えます。つまり起こっている事象というのは、あくまで意識現象として生じています。意識現象の変化として世界は展開しているわけです。薔薇の花が現れているとしますと、見えているのは色や形や匂いや感触としての薔薇ですから、意識現象に過ぎないわけです。そのような意識の背後に客観的事物としての薔薇があるかもしれません。そしたら客観的実在ですね。しかしそれはあくまでも推論ですね。薔薇という意識現象は、背後に薔薇という事物がなくても生じるかもしれないわけです。
 意識現象を理念で解釈する場合もそうです。ここに白地に赤い丸が中央にある長方形の布がありますと、日本の「国旗」の日の丸じゃないかと思いますね。それは日本に関する歴史的な文化的な知識体系や理念でそう見ているわけです。頭からそう決めつけて見ていますと、テレビ番組『マジカル頭脳パワー』のように、それはとんでもない誤解だって場合もあるわけです。つまり厳密な学として現象を捉える場合は、現象を形而上学的な理念や実在の概念で無理に説明しようとする、つい陥りがちな「自然的態度」を制止しなければならないというのです。フッサールはこれをエポケー(判断停止)と呼びました。そうしますと世界は自分の意識の流れに還元されてしまいますね。厳密に学として展開する場合は、世界はまずは自分の意識でしかないと捉えようというのですから、一見、極めて独我論的に思えます。これをフッサールは「現象学的還元」と言います。
 そうしておいて、意識現象をノエシス―ノエマ関係で捉えるのです。意識現象に意味統一を与えて、対象存在を構成する意識の働きをノエシスと言います。ノエシスを日本語に訳すとすれば「意識の意味付与作用面」かあるいは単純に「作用面」ですね。これは西田も普通日本語にせずに<ノエシス>と表現しています。そしてこの構成された対象性をノエマと言います。例えば色や形や重さや匂いなどの感覚諸要素を素材にして薔薇という対象を意識が構成するとしますと、この構成する働きがノエシスで、構成された意識としての薔薇は対象面として捉えられています。この意識の対象面としての薔薇がノエマに当たるわけです。ノエマ自体は意識の対象面であって、客観的実在としての事物ではありません。同じ意識の作用面がノエシスで対象面がノエマだということです。
 ノエマつまり意識の対象面としての薔薇が、客観的事物の薔薇を言い当てているかどうか厳密には断言できないわけです。しかし我々は日常生活においても科学的実験・観察においても、対象として構成されたノエマを、客観的な事物の本質を言い当てたものとして信憑して行為するしかないのです。これを本質直観といいます。
 例えば果物屋でおいしそうなリンゴを見つけて買うとします。形や色、感触からノエシス的にリンゴという意味を与えて、ノエマとしてのリンゴを手に入れます。手にしているのはノエマとしてのリンゴです。ひょっとしたらこれはリンゴと同じ感覚諸要素の統合としてリンゴもどきかもしれないし、バーチャル・リアルティとしてのリンゴかもしれないのです。そんなに疑うなら食べてみればいいわけで、リンゴと同じ味がすればそれはリンゴとしての事物だとわかる筈だと思われるかもしれません。しかしリンゴの味というのも感覚ですね。やはり意識に過ぎないわけでして、これが本当にリンゴという客観的事物なのかは、結局フッサールに言わせれば、証明できません。でも別に及第点のリンゴの味がすれば、それが客観的事物としてのリンゴであることを疑う必要は、全くないわけです。
 じゃあどうしてそんな下らない議論をするんだと、腹を立てている人はいませんか。ノエマと事物と区別することはないんじゃないかって。でもある感覚的諸要素の統合をリンゴと思い込んでいたのが、その信憑を裏切られて、リンゴもどきで健康に害が出る場合もあります。その人はこういうのがリンゴだという意味付与作用(ノエシス)を修正しなければならなくなります。だからノエマと事物の区別は厳密な学としては必要なのです。
 それにある思想が客観的真理であるかどうかも、同様の問題があります。「リンゴは健康に良い」という思想はビタミンCの効用などが知られ、信憑を得られています。ですから「リンゴは健康に良い」と考えて食べていればよく、この考えは「リンゴは健康に良いという考え」として一種のノエマとして妥当するわけです。でも本当に客観的事実として「リンゴは健康に良いのか」は、また別ですね。食べすぎれば駄目だし、最近のリンゴは農薬等の影響で健康に悪いのもあるかもしれないわけです。ですからこの「リンゴは健康に良いという考え」もノエマにすぎないとして、客観的事実とは区別しておくべきなのです。ノエマと事実も混同してはならないということです。

Convegno internazionale alla Pontificia Università Urbaniana

Convegno internazionale alla Pontificia Università Urbaniana
In ascolto dell'Asia

di FERNANDO FILONI

L'OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 15-16 aprile 2013

Ho passato quasi vent'anni dei miei trentadue al servizio della Sede Apostolica nel continente asiati- co: dal Vicino O riente, al Sub-con- tinente indiano, all'estremo O rien- te, passando per Paesi a maggioran- za islamica, indu-buddisti, confu- ciani e cristiani. Uno spettro varie- gato. Così inaugurando questo con- vegno mi pare di tornare, per così dire, a casa. Cioè in un contesto, per molti versi a me familiare, da cui ho ricevuto un'infinità di stimo- li culturali e religiosi che mi hanno aiutato a crescere e ad arricchirmi.
Molte volte, vivendo nel contesto asiatico, mi sono chiesto: perché l'Asia risponde apparentemente po- co, voglio dire almeno in termini percentuali, al messaggio del Van- gelo, mentre sul piano del servizio in campo educativo, del servizio ai poveri e della difesa dei diritti uma- ni la Chiesa gode di altissima sti- ma? Dovunque sono stato ho trova- to risposte parziali, non prive di va- lore e di significato. Anche di re- cente, leggendo quello straordinario romanzo del giapponese Shusaku Endo, Silenzio (Milano, Corbaccio, 2013, pagine 211, euro 16,40) ho tro- vato una risposta, per quel che ri- guarda l'evangelizzazione in Giap- pone, assai interessante eppure non del tutto soddisfacente. Durante l'interrogatorio del gesuita Seba- stian Rodrigues da parte dell'alto funzionario governativo incaricato di stroncare il cristianesimo nato da pochi decenni, questi diceva: «Pa- dre, noi non stiamo discutendo se la sua dottrina sia giusta o sbaglia- ta. Il motivo per cui abbiamo ban- dito il cristianesimo in Giappone è che, dopo profonda e seria conside- razione, troviamo che questo inse- gnamento non abbia alcun valore per il Giappone di oggi». Aggiun- gendo un poco oltre: «Gliel'ho det- to. Questo nostro Paese non è adat- to all'insegnamento del cristianesi- mo. Il cristianesimo qui non può mettere radici», spiegando che il Giappone è come una palude dove ogni pianta che si mette marcisce. Tra il 1587 e il 1640, per oltre cin- quant'anni, la violenza dello Stato contro i cristiani fu così feroce che, come scrive Pierre D unoyer nel suo recente volume Christianisme et idéo- logie au Japon XVIe - XIXe siècle (Parigi, Les Éditions du Cerf, 2012, pagine 240, euro 25) portò per via di raffinate ignobili torture, alla «disumanizzazione del popolo cri- stiano toccando addirittura la co- scienza stessa di molti giapponesi».
È vera l'affermazione dell'inquisi- tore giapponese? Nell'Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Asia (1999), Giovanni Paolo II ini- ziava il documento scrivendo: «La Chiesa in Asia canta le lodi del "Dio della salvezza" (Salmi, 68 [67], 20) per avere scelto di dare inizio al suo piano salvifico sul suo- lo dell'Asia, mediante uomini e donne di quel continente. È stato in Asia, infatti, che Dio sin dall'ini- zio rivelò e portò a compimento il suo progetto salvifico» (n. 1). A Manila, quel Pontefice, il 15 gen- naio 1995, aveva detto: «Come nel primo millennio la Croce fu pianta- ta sul suolo europeo, nel secondo millennio su quello americano e africano, nel terzo millennio si po- trà sperare e raccogliere una grande messe di fede in questo continente così vasto e vivo» (ibidem, n. 1).
Questo nostro convegno si riag- gancia a quella speranza manifesta- ta dal Sommo Pontefice, quasi fa- cendo sua l'ansia di tutta la Chiesa.
Non si tratta qui di dare spiega- zioni sui tanti perché il continente asiatico sia stato meno aperto al Vangelo; a tale questione si dedica con passione e competenza la ricer- ca storica, si tratta di «Mettersi in ascolto dell'Asia», come propone il tema del nostro convegno. Se è ve- ro che il continente asiatico è stato raggiunto dall'Europa dapprima per vie terresti e poi marittime, il concetto di aprire o percorrere "vie", come in passato, rimane an- cora oggi fondamentale e valido. L'Asia va "percorsa", va "conosciu- ta", va "apprezzata" (anche per quel feeling che si crea in chi l'adotta come sua terra), va "stima- ta" (penso al suo alto grado di ci- viltà) e, infine, va "amata", direi co- me un corpo che mi appartiene. Credo che non dissimili fossero i sentimenti che intimamente anima-ono i primi missionari, come li co- gliamo da tante loro corrisponden- ze giacenti nei nostri archivi, e i missionari di oggi, nonostante le immense difficoltà e a volte le non piccole persecuzioni patite. Come sono esistite la via della seta, la via delle spezie, la via della cultura, esiste anche la via della fede. È sin- tomatico che quando Marco Polo nel XIII secolo partì per la Cina portasse con sé una piccola Bibbia manuale, oggi conservata presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, che la Treccani ha riporta- to all'attenzione anche con una pre- ziosa pubblicazione in lingua italia- na e cinese, dal titolo In Via in Sae- cula — La Bibbia di Marco Polo tra Europa e Cina (Roma, 2012, XLIV + 420 pagine). Quel grande viaggia- tore non portava con sé solo pro- getti e mercanzie, ma la Parola di Dio, che gli fu Parola di vita, com- pagna di viaggio, consolazione nel- le difficoltà e forse speranza di be- ne per il popolo cinese. Un volu- me, quella Bibbia manuale, che va oltre il significato culturale in sé, e che prossimamente tornerà in Cina, a Shanghai e Pechino, per momenti di valorizzazione storico-culturale e religiosa. In verità, non fu la prima volta che la Parola di Dio arrivava in Cina; storicamente sappiamo che il cristianesimo era arrivato in quel- la Terra almeno dall'VIII secolo, in- trodotta dai monaci siriaci attraver- so l'Asia centrale. Il ramo della vite piantata nel Vicino O riente da Ge- sù («Io sono la vera vite», Giovan- ni, 15, 5) era riuscita a estendere i suoi rami, attraversando tutta l'Asia fino nella lontana Cina, come bene attesta il credo professato a Xian, oggi leggibile nella famosa stele detta appunto di Xian, la capitale dell'O vest. Giovanni da Montecor- vino, dopo Marco Polo, raggiunge- rà Khambalik (Pechino), portando- vi evangelizzazione e istituzione.
Mi piace che il nostro convegno, in qualche modo, ripercorra «le vie della fede» in Asia con uno sguar- do su «società e religioni», aspetti che si intersecano in uno straordi- nario connubio, così intimamente da non apparire chiaro l'inizio o il termine dell'una e delle altre. «Tra- dizione e contemporaneità» poi ci permettono di apprendere quel le- game che arriva all'oggi e forse ci darà modo di rendere più adeguato il nostro servizio al Vangelo.





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Saturday, April 06, 2013

Risonanze dal Giappone



Il predecessore di Papa Francesco non ha mai goduto, specialmente agli inizi, di “buona stampa” e questo ha avuto i suoi effetti anche in campo ecclesiale. Francesco, invece, almeno agli esordi sembra essere piu’ facilmente accettabile, anche se e’ sempre per effetto del trattamento mediatico. Si potrebbe dire che il magistero del NYT o dell’Asahi Shinbun non ha meno influenza di quello pontificio.
Trent’anni fa i vescovi giapponesi erano considerati tra i piu’ ligi alle direttive romane. Poi qualcosa e’ cambiato e adesso siamo piu’ vicini, parafrasando Kant, alla “missione nei limiti del politically correct”.
Il deficit di inculturazione e di propagazione del Vangelo nel contesto delle millenarie culture dell'Estremo Oriente e' fin troppo evidente. Si tratta di vedere se, per recuperare il ritardo, sia praticabile la scorciatoia della "de-ellenizzazione" del Cristianesimo. Se, per esempio, sia possibile sostituire una visione confuciana o taoista del mondo a una aristotelica o illuminista. Oppure, se sia ipotizzabile una forma di vita ecclesiale che trae la sua origine direttamente dalla Parola senza passare attraverso le mediazioni dello “sviluppo dogmatico”. Se sia possible ottenere in laboratorio un distillato di Vangelo che, poi, si puo’ seminare nei piu’ svariati terreni. Se, in analogia con la “globalizzazione”, si puo’ pensare ad una Chiesa Cattolica “multipolare”; in quel contesto le chiese particolari che tipo di rapporto avrebbero con la Chiesa universale? La “multipolarita” delle sfere culturali e l’unita’ della fede come si possono coniugare?  Sono queste, credo, le questioni da affrontare. E credo anche che Francesco non potra’ trovare periferie piu’ lontane e piu’ difficili di queste.
Il problema piu’ spinoso rimane senz’altro quello della “lotta per le investiture” con l’imperatore cinese. In Giappone i rapporti diplomatici e l’ossequio formale ci sono, ma per quanto riguarda la sostanza i problemi non sono molto diversi.

Senza entrare nel merito delle opinioni teologiche, per avere un'idea di come si esprime un vescovo giapponese in una delle rarissime apparizioni sulla stampa "laica", basta dare un’occhiata al “Bungei Shunju” del dicembre scorso.
Yamaori Tetsuo (il guardiano dell'ortodossia dell'ideologia giapponese) cerca di arruolare i cattolici nel Nihonkyo. Mons. Ikenaga, o non se ne accorge, oppure sembra fare lo gnorri. Ma sostanzialmente ammette la subalternita' dei cattolici giapponesi alla ideologia del relativismo religioso.
Se non ho capito male, un vescovo della Chiesa cattolica romana si suppone che dovrebbe perlomeno "difendere e promuovere" l'ortodossia della fede, non diffondere opinioni teologiche peregrine. E poi sarebbe auspicabile che cercasse di essere "missionario", cioe' cercasse almeno di far presente anche a un pagano inveterato come Yamaori che il Vangelo e' la verita' che da senso a tutte le culture.
Insomma, la chiesa locale si configurerebbe come un “franchising”. Come i ristoranti della McDonald, pur sotto lo stesso marchio, in Giappone offrono un menu diverso da quelli americani o italiani, cosi la chiesa locale deve offrire quello che si puo’ vendere alla clientela locale. 
Sono queste, mi pare, le linee su cui si muovono quelli che invocano la collegialita’ episcopale come controbilanciamento del centralismo romano. Purtroppo concetti come l’ontologia del “subsistit Ecclesia”, la mutua penetrazione di chiesa locale e universale, o anche solo di “ipostasi ecclesiale” (J. Zizioulas) non sono stati masticati a sufficienza e ben digeriti neanche da molti teologi di professione. La direzione e' ben diversa da quella indicata da Valignano e Ricci (a proposito:  provate a cercare i testi di questi due, che rimangono a tutt'oggi insuperati pionieri dell'autentica inculturazione, nelle biblioteche dei missionari ...).
La questione non e’ solo se un pastore debba avere l’odore delle pecore, ma anche che le pecore vogliono essere guidate ai “pascoli ubertosi” e non alle acque amare e magari velenose del relativismo. Se le pecore devono rimanere unte, non dovrebbe essere con un qualsiasi lubrificante per macchine, ma deve essere con l'olio di Aronne.
Credo che Papa Francesco avra' bisogno di tutte le risorse che gli vengono dalla pratica del discernimento ignaziano, se vuole lasciare un segno cristiano anche in queste periferie. 


Inculturazione o fedelta'?


C'e' un proverbio giapponese che dice 朱と交われば赤くなる "shu ni majiwareba akakunaru" (lett. chi tocca inchiostro (rosso) si sporchera' di rosso").
L'equivalente italiano piu' vicino potrebbe essere:"chi va con lo zoppo imparare a zoppicare", che ha i suoi corrispettivi nelle lingue romanze: "Quien con lobos anda, a aullar se enseña."; "Hantez les boiteux, vous clocherez."
In inglese si potrebbe pensare a: "Who keeps company with the wolf will learn to howl."; "If you lie down with dogs, you will get up with fleas."; "He that touches (or toucheth) pitch shall be defiled."
M a c'e' anche: "In compagnia prese moglie anche un frate.", detto popolare che la nonna usa per dire che una cosa che da solo non avresti fatto, in compagnia la fai eccome!
Tutto questo serve a capire il dilemma dei missionari odierni alle prese con l'inculturazione del Vangelo in culture non cristiane. Se da una parte non si puo' piu' trasmettere il Vangelo come una predica che cade dall'alto, dall'altra, il fatto di condividere la vita dei destinatari della missione puo' avere degli effetti collaterali insospettati.
Cosi' chi vive in una societa' politeista, se non sta piu' che attento, e' piu' che naturale che, anche inconsciamente, tenda ad adeguarsi.
La post-modernita' e il "politically correct", per esempio, che sono stati definiti anche come un "politeismo dei valori", potrebbero essere una forma facilmente assimilabile di "zoppicamento".
In termini biblici questo medesimo dilemma lo si puo' vedere nella lunga e fatidica lotta del popolo eletto per mantenere una propria specifica identita' nel mezzo della cultura cananea. Che senso ha oggi la severa vigilanza e disciplina che Dio stesso sembra chiedere al popolo di Israele nei confronti della cultura cananea?  « I figli d'Israele abitarono in mezzo ai Cananei … e venerarono gli dei di costoro. » (Giudici, 3,5-6).« Soltanto nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perché essi non v'insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dei e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio. » (Deuteronomio, 20, 16-18).

Se partiamo dal punto di vista che "Dio ha avvolto tutti nel peccato per usare a tutti misericordia", non si puo' dire che i cananei fossero piu' peccatori dei, per dire, Corinti o dei Greci o dei Romani. Probabilmente la cultura cananea, benche' militarmente e politicamente perdente, non era meno rispettabile di quella di altri popoli. Cosi' come la cultura giapponese non e' da considerarsi meno rispettabile di altre culture, comprese quelle di ascendenza cristiana. Non e' questo il punto. La colpa degli isrealiti non e' stata quella di non aver saputo discernere i "semina verbi", ne' quella di non essersi "inculturati", ma quella di non aver saputo mantenere una identita' sufficientemente distinta.

Forse che si puo' sostenere la tesi che nell'economia incarnazionale neotestamentaria questa problematica e' superata? Non sono mancate e non mancano posizioni teologiche di questo tipo. Ma allora, cosa rimarrebbe della "distinzione mosaica" (Ratzinger), dei profeti, dell'apocalittica, ecc. che leggiamo quotidianamente nella liturgia? Certo gli interlocutori di Paolo, i Corinti o i Romani, che vivevano nella cultura forse piu' raffinata del tempo, non potevano sentirsi esentati da problemi di questo tipo. Forse che lo siamo noi, solo perche' siamo cresciuti in regime di Cristianita'? Forse che possiamo ritenerci "vaccinati" contro ogni contaminazione? Non e' forse vero che la missione, la testimonianza di fede e' sempre anche un "pathos dell'individuo" (von Balthasar), una diuturna lotta contro false concezioni del divino?

Quello che si puo' dire con certezza e' che nei termini del racconto biblico, questo non e' senz'altro un tema secondario, ma un punto vitale su cui si gioca il possesso o meno della "terra promessa", cioe' di un corretto rapporto con Dio.

E allora perche' i missionari odierni nei loro incontri, non mettono mai a tema un problema cosi' importante? Se non e' perche ci sentiamo vaccinati, che non sia perche' ormai abbiamo gia' fatto molti passi sulla via del compromesso, al punto che non sappiamo piu' renderci conto dei pericoli? Quando in un convegno recente di missionari stranieri si discetta di missione "nei limiti del politically correct", da qui alla "cattivita' babilonese" ( la situazione in cui non si vede piu' la terra promessa) quanto ci passa? Dopo tutto quello che e' successo in questi ultimi cinquant'anni, sembrerebbe incredibile, eppure gli aficionados della teoria dei "cristiani anonimi" sono ancora tanti. Ai posteri l'ardua sentenza!
"Sicchè oggi la chiesa è divenuta per molti l’ostacolo principale della fede.Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini i quali, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo."
(J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p. 330 [originale tedesco 1968]) 

Se e' vero che il Vaticano II ha posto la chiesa locale come il soggetto primo della missione, questo non aveva il senso di appiattire tutti gli altri soggetti, come dimostra anche il magistero seguente. Di fatto i missionari stranieri ormai da qualche decennio hanno lasciato l'iniziativa alla chiesa locale, senza che questa peraltro sia diventata piu' missionaria. La chiesa locale e' soprattutto un centro di potere soprattutto burocratico (di tipo confuciano-aziendale) che controlla la pastorale ordinaria. I missionari hanno smesso di prendere l'iniziativa, la chiesa locale gestisce lo status quo: un perfetto stallo. Ormai dovrebbe essere evidente che una certa lettura del dettato conciliare non funziona.


In termini di numero di fedeli tutta la chiesa cattolica del Giappone non e' piu' grande della diocesi di Brescia, eppure ha tutto l'armamentario della CEI. A Roma sono stato solo tre anni, ma un'idea di come funziona la Roma papalina me la sono fatta. Alla sede della Conferenza Episcopale a Tokyo vicino al porto sono stato poche volte, ma mi e' bastato per capire le affinita' e che in fatto di mentalita' clericale e burocratica non ha niente da invidiare al Vaticano. Se papa Francesco riesce a riformare la curia, speriamo che il buon esempio trascini qualcosa anche da queste parti.