Wednesday, February 20, 2013

A proposito di un certo "film completo censurato da tutte le TV italiane"


Su Youtube alla voce

"film completo censurato da tutte le TV italiane"

c'e' un filmato di quasi tre ore che mi e' stato segnalato e sul quale voglio esprimere qui, brevemente, una valutazione.

Il filmato sembra prodotto dal movimento "zeitgeist" (in tedesco: "spirito del tempo") su cui si possono trovare parecchie informazioni sul web.

Detto in poche parole si tratta di una forma di NEW AGE,  (letteralmente: Nuova Era) un'espressione generale per indicare un vasto movimento subculturale che comprende numerose correnti psicologiche, sociali e spirituali alternative sorte nel tardo XX secolo nel mondo occidentale. Le numerose e diverse concezioni riconducibili a questa denominazione sono accomunate dall'ideale dell'avvento di un "mondo nuovo" o di una "nuova era", spesso indicata astrologicamente come età dell'Acquario (l'età attuale è detta dei Pesci). Sotto la definizione di New Age vengono fatte ricadere molte realtà di diversa natura - semplici stili di vita, filosofie, religioni, terapie, organizzazioni, aziende e via dicendo, caratterizzate da un approccio eclettico e individuale all'esplorazione della spiritualità. Il termine New Age è anche ampiamente e ufficialmente utilizzato per riferirsi al vasto segmento di mercato in cui si vendono libri, beni e servizi "alternativi" connessi a tali visioni del mondo.(cfr. Wikipedia)

Su questo si puo' leggere utilmente il seguente documento del 2003


PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA
PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

GESÙ CRISTO
PORTATORE DELL'ACQUA VIVA

Una riflessione cristiana
sul “New Age”

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/interelg/documents/rc_pc_interelg_doc_20030203_new-age_it.html

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 Nel filmato all'inizio della Terza Parte, dopo che nelle prime due parti si sono presentati tutti (o quasi) i problemi del sistema economico e finanziario, viene chiesto cosa dicono le religioni. La risposta: "niente"!
Ma questa e' una bugia grossa come una casa. Per rendersene conto basta dare un'occhiata ai documenti che cito qui sotto, dove si danno risposte precise e puntuali su tutti i problemi presentati e a molti altri.
Anche solo per questo non mi sembra gente raccomandabile. Se si ritengono degli scienziati (vedere piu' sotto), dovrebbero tener conto di tutti i dati su un certo problema. Se, coscientemente o meno, ignorano dati importanti vuol dire che non sono veri scienziati o che hanno una agenda nascosta.


PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

COMPENDIO
DELLA DOTTRINA SOCIALE
DELLA CHIESA

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html




LETTERA ENCICLICA
CARITAS IN VERITATE
DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XVI
AI VESCOVI
AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE
AI FEDELI LAICI
E A TUTTI GLI UOMINI
DI BUONA VOLONTÀ


NELLA CARITÀ E NELLA VERITÀ

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate_it.html
SULLO SVILUPPO UMANO INTEGRALE

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Un'altra cosa che, per usare un eufemismo, non convince, e' l'idea degli "scienzati disinteressati" che programmerebbero la citta' su criteri scientifici.

1)Intanto, cosa impedisce che questi scienziati, poi, diventino i prossimi "politici" che in nome dells scienza fanno invece i loro interessi?
2)Dovrebbe essere ormai scontato che la scienza puo' produrre solo dei "MEZZI" ma non dei "FINI". Per produrre dei fini ci si deve inevitabilmente avventurare nell'ETICA e nella FILOSOFIA. 


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C'e' un grande filosofo/teologo/economista del XX secolo che ha proposto la stessa idea ma con tutta'altro rigore, precisione e credibilita'.
Si tratta di Bernard Lonergan (vedere sul web per ulteriori informazioni)



Wednesday, February 13, 2013

di LUCETTA SCARAFFIA

di LUCETTA SCARAFFIA
Su «Il Messaggero». Osservatore Romano
Innovatore
incompreso



Chi non ha mai capito la portata innovativa della figura e del ponti- ficato di Joseph Ratzinger, e ha continuato a vederlo e a interpreta- re le sue parole e le sue azioni co- me prova di conservatorismo e ri- fiuto del nuovo, è stato smentito clamorosamente dalle sue improv- vise e impreviste dimissioni, una innovazione assoluta. Oltre che uno straordinario gesto di umiltà e di amore per la Chiesa. Perché Joseph Ratzinger è stato per molti versi nuovo: non c'è mai stato, al- meno negli ultimi secoli, un Papa che fosse anche un grande intellet- tuale, capace di offrire interpreta- zioni nuove del momento storico che la Chiesa attraversava e pro- porre coraggiose vie di intervento per i cattolici.
Il suo pontificato infatti è stato caratterizzato innanzi tutto da un grande e profondo lavoro intellet- tuale di comprensione del presente e di ricerca di nuove vie per rende- re attuale il messaggio evangelico: non solo, infatti, i suoi tre libri de- dicati a Gesù costituiscono una sintesi fra fede e ragione che per- mette un incontro con Gesù coe- rente e accettabile alla cultura del presente, ma molti dei suoi discorsi e delle sue catechesi gettano una luce nuova sulla situazione attuale densa di significati e ricca di pro- poste di intervento.
Senza capire davvero cosa agita il mondo contemporaneo è difficile muoversi in qualsiasi direzione: è questo in sostanza il motivo della sua continua denuncia delle varie forme di relativismo, dell'appello ad accompagnare sempre la fede con la ragione per non venire can- cellati dalla tendenza scientista in atto.
Una costante volontà di capire che non ha escluso sorprese, come quando, davanti al Parlamento te- desco, ha elogiato le opinioni e le azioni di molti non credenti, che su certi temi sentiva più in sintonia di quelle dei cattolici.
A cominciare dalla scelta del no- me, Benedetto, non si è stancato di segnalare come priorità la nuova evangelizzazione dell'Europa, di un continente che sta dimenticando le sue radici cristiane. La necessità di avviare un nuovo processo di evan- gelizzazione è stata infatti conside- rata da Ratzinger la priorità del suo pontificato, insieme con la pu- rificazione della Chiesa, condizione più che mai indispensabile per ri- dare credibilità al messaggio cri- stiano. E proprio il tema della purifica- zione — da lui enunciato come pro- gramma già prima di essere eletto — ha costituito il macigno che ha reso così pesante la sua azione di pontefice. Benedetto XVI ha dovuto pagare gli errori di altri portando sulle sue spalle il peso dello scan- dalo della pedofilia, da lui affron- tato sempre con coraggio e verità già da Prefetto della Congregazio- ne della Fede. Con il medesimo co- raggio e ansia di verità ha conti- nuato a denunciare, nei discorsi al- la Curia, i velenosi effetti delle lot- te intestine per il potere e il dena- ro. Questo è stato senza dubbio il tema più spinoso e insidioso che ha dovuto affrontare: e proprio questo tema lascia come esigente eredità al suo successore.
Con il suo stile mite e dolce, sce- vro da ogni carisma superficial- mente inteso, ha saputo parlare alle folle e scaldare i cuori, rinnovando la fede e l'entusiasmo di giovani e donne, anziani e sacerdoti. Con uno stile personalissimo, che è sta- to apprezzato e riconosciuto da tutti.
Non c'è dubbio però che il si- gnificato più forte del suo pontifi- cato sta proprio in quest'ultimo ge- sto, una decisione che rivela fino in fondo la sua straordinaria statura spirituale. E, soprattutto, la sua fi- ducia in Dio, nelle cui mani ha ri- messo il destino della Chiesa. La sua fiducia che lo Spirito Santo sa- prà farsi sentire — come è stato fi- nora nei conclavi dell'ultimo secolo — spiazzando cordate e alleanze, e portando i cardinali a scegliere sempre il migliore, l'uomo adatto a quel momento storico. Così, anche se l'inaspettata decisione di Bene- detto XVI sembra lasciare i cattolici che molto lo amano nella tristezza e un po' anche nell'abbandono, si può guardare insieme a lui con speranza e fiducia a ciò che Dio ri- serva nel futuro della Chiesa.



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Tuesday, February 12, 2013

Osservatore romano


Il metodo scientifico moderno e il rapporto tra fede e ragione

Gli indomabili
cavalli di Galileo

di PIERO BENVENUTI

Tommaso d’Aquino, nella Summa contra gentiles, dimostra, con la chiarezza che sempre lo contraddistingue, come le verità di fede non possano mai essere in contrasto con la ragione. Ben sapendo che a volte nascono dei conflitti tra ciò che apprendiamo razionalmente riguardo la natura e le verità di fede, o forse prevedendone di ancor più gravi nel futuro, egli insiste in modo particolare sulla possibilità di risolverli sempre, in quanto ogni eventuale contrasto è per necessità solo apparente. Purtroppo, tale chiaro e convincente ragionamento sulla necessaria concordanza tra le conoscenze scientifiche e le verità di fede,
o meglio, il supporto teologico alle stesse, venne per molto tempo dimenticato, generando a volte vere e proprie battaglie, e soprattutto diffondendo l’opinione comune che la scienza e la fede fossero in ultima analisi incompatibili.
Non solo gli insegnamenti di Tommaso vennero dimenticati, ma anche quelli di uno dei fondatori del metodo scientifico moderno, Galileo Galilei. Ragionando sul nuovo approccio alla conoscenza della natura che egli stesso stava inaugurando, scriveva con altrettanta chiarezza
all’amico Marco Welser: «Perché, o noi vogliamo specolando tentar di penetrar l’essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia d’alcune loro affezioni. Il tentar l’essenza, l’ho per impresa non meno impossibile, e per fatica non men vana, nelle prossime sustanze elementari che nelle
remotissime e celesti. Ma se vorremo fermarci nell’apprensione di alcune affezioni, non mi par che sia da desperar di poter conseguirle anco nei corpi lontanissimi da noi, non meno che ne i prossimi".


Galileo indica chiaramente che i limiti del metodo scientifico moderno che, tralasciando l'"essenza" delle cose naturali si occupa unicamente delle relazioni («affezioni»)
tra fenomeni misurabili, che verranno poi rappresentate in forma matematica. Con spirito profetico egli prevede che tale metodo servirà non solo per conoscere ciò che avviene
vicino a noi (oggi diremmo nel nostro “lab oratorio”), ma anche per
estendere la nostra conoscenza fino agli estremi limiti dell’universo. La
divisione “sostanziale” tra mondo sub-lunare e quintessenza, propria
della fisica aristotelica, era definitivamente infranta.
Gli entusiasmanti successi della fisica newtoniana e della meccanica
celeste che seguiranno di lì a breve, tanto inorgogliranno gli scienziati da
far loro ben presto dimenticare che le «affezioni» e le loro precise trascritture in formule non sono mai l’«essenza» delle cose. Pertanto il metodo scientifico, potentissimo e insostituibile nel suo ambito, non potrà mai offrire una conoscenza completa e definitiva di tutta la re a l t à .


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Praedica verbum
Il tema del rapporto tra fede e scienza è al centro dell’azione
del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio
della Cultura, promotore del Cortile dei gentili. Anche per questo
nella raccolta di scritti intitolata Praedica verbum (Milano,
Ambrosianeum, 2013, pagine IX + 254) e ideata per il settantesimo
compleanno del porporato, Piero Benvenuti, consultore dell’o rg a n i s m o
della Santa Sede e docente di astronomia nell’università di Padova,
ha approfondito alcuni aspetti della questione nell’intervento
di cui pubblichiamo alcuni stralci.

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È sintomatico che il giovane Max Planck  venisse scoraggiato a interessarsi di fisica teorica perché, come suggeriva uno dei suoi professori, ormai tutto
era chiaro, le possibili novità si sarebbero limitate a qualche insignificante dettaglio. Di lì a qualche anno, Planck, introducendo il nuovo
concetto di «quanto» di energia, avrebbe dato inizio alla rivoluzione
della fisica quantistica, svelando aspetti del tutto inattesi della realtà
fenomenica. In particolare il principio di indeterminazione di Heisenberg avrebbe infranto la certezza illuministica di poter misurare in modo indipendente ogni grandezza fisica con un errore piccolo a piacere, legato solo alla capacità tecnica dello sperimentatore. Gli esperimenti,
le «sensate esperienze» di Galilei, quando riguardano situazioni spazio-temporali o energetiche estreme si dimostrano dei cavalli indomabili,
insofferenti, per così dire, della presenza dello sperimentatore e la certezza di poter indagare senza limiti la natura deve umilmente arrestarsi.
C’è del sacro in questo necessario riconoscimento del limite e lo stesso
Planck scriveva: «Scienza e religione
non sono in contrasto, ma hanno bisogno una dell’altra per completarsi
nella mente di un uomo che riflette seriamente».
Fino a un secolo fa nessuno, nemmeno un genio della fisica come Albert Einstein, immaginava che l’universo fosse caratterizzato da una continua evoluzione che si manifesta
come una espansione dello spaziotempo unitamente alla materia-energia. Oggi, grazie soprattutto ai dati osservativi provenienti dagli strumenti spaziali che operano al di fuori dell’atmosfera terrestre, è stato possibile ricostruire in dettaglio la
storia evolutiva dell’universo. Infatti,
avendo la luce velocità finita, le immagini che provengono dal cosmo si
riferiscono sempre a epoche passate, posticipate del tempo impiegato dalla luce, a 300.000 chilometri al secondo, a raggiungere l’o s s e r v a t o re .
Inoltre, l’espansione dello spaziotempo modifica la lunghezza d’onda
— volgarmente il “c o l o re ” —  della luce e quindi è possibile datare le immagini ricevute, collocandole correttamente nella sequenza fotografica
della storia del cosmo.  L'espansione — dal passato al futuro — “r a f f re d d a ”
la materia-energia cosmica e quindi, ripercorrendo a ritroso la storia evolutiva — dal presente al passato — incontriamo un universo mediamente sempre più “caldo”, tanto da divenire — o meglio essere stato — un fluido uniforme di gas “incandescente” (più tecnicamente “ionizzato”), ciò che i fisici chiamano “plasma”. Il 

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Il giovane Max Planck venne scoraggiato
a interessarsi di fisica teorica
perché ormai tutto sembrava chiaro
Di lì a qualche anno Planck diede inizio
alla rivoluzione della fisica quantistica
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plasma ha la caratteristica di essere
opaco alla radiazione elettromagnetica, alla luce, quindi quando raggiungiamo a ritroso nel tempo quella fase, l’universo diventa opaco, impenetrabile alla vista. Il “sipario cosmico”
è collocato, sulla base dei dati sempre più dettagliati ottenuti dai satelliti astronomici, a 13,725 miliardi di
anni fa. Per oltrepassare all’i n d i e t ro
lo “schermo”, chiamato Cosmic Microwave Background (Fondo cosmico di microonde), i cosmologi devono affidarsi a modelli matematici basati sulla fisica oggi nota. Le condizioni in cui si trovava la materiaenergia in quelle epoche remote sono estreme, impossibili da riprodurre
in un laboratorio terrestre oltre un
certo limite: gli esperimenti condotti
al Cern di Ginevra con il Large Hadron Collider, riescono a simulare le
condizioni dell’universo com’era circa 10-15 secondi dopo l’“istante iniziale”, ma sarà molto difficile risalire
ulteriormente. L’“istante iniziale” rimarrà quindi sempre precluso all’indagine sperimentale e potrà essere
trattato solo ipoteticamente, estrapolando al limite le conoscenze scientifiche conseguite. Quell’intervallo infinitesimo dopo l’inizio potrebbe
sembrare un’inezia, ma non dobbiamo dimenticare che il “secondo” è
un’unità di misura locale, tipicamente terrestre e umana e inoltre lo scorrere lineare del tempo, cui siamo
abituati dalla nostra vita quotidiana,
non corrisponde alla scansione degli
eventi cosmici che, nelle fasi iniziali,
si susseguono con ritmi incredibilmente rapidi. Nonostante le difficoltà nell’avvicinarsi all’ipotetico “inizio”, la domanda se vi sia realmente
un “istante zero”, un inizio del tempo e, nel caso, se abbia senso scientifico, oltre che filosofico, porre il
problema di cosa vi fosse “prima”, si
presenta oggi ancor più imperiosa che nel passato.
È logico quindi che, una volta scoperta l’evoluzione del cosmo,
l’“istante zero” da cui essa sembra avere inizio, abbia da subito richiamato il concetto ebraico-cristiano di
creazione dell’universo come atto divino, identificando il biblico Fiat lux
con il Big Bang e i sei giorni di  Genesi 1, come la susseguente evoluzione. Questo affrettato quanto ingenuo concordismo conduce però a
un’idea di Creatore che la teologia
ha da tempo superato, quella del “Dio orologiaio”, che mette in moto
il meccanismo dell’universo in un tempo remoto e si disinteressa poi
del mondo e dell’uomo, per riapparire sulla scena solo alla fine dei
tempi per il giudizio universale. Dal punto di vista filosofico-teologico,
uno dei problemi di questa visione risiede nel concepire l’atto creativo
come un “evento” che avviene nel tempo, presupponendo l’esistenza di
quest’ultimo. Già sant’Agostino aveva affrontato il problema, ulteriormente chiarito successivamente da
san Tommaso d’Aquino che scrive:
«Si dice che le cose furono create all’inizio del tempo non perché l’inizio
del tempo sia la misura dell’atto creativo
medesimo, ma perché il cielo e la terra sono
stati creati insieme con il tempo».
  Oggi, tale affermazione è rafforzata anche dalla fisica posteinsteiniana che, abbandonando il concetto newtoniano di
spazio e tempo assoluti, non li può concepire se non indissolubilmente legati alla
materia-energia dell’universo.
 
  Di fronte all’evidenza scientifica dell’evoluzione del cosmo, il concetto di creazione maggiormente compatibile è quello della  creatio continua, a-temporale, che abbraccia anche il tempo e il suo scorrere. San Tommaso si rende ben conto quanto
per l’uomo sia difficile immaginare alcunché fuori dal tempo, ma non
ha tentennamenti filosofici nell’esprimere il concetto che la creazione
non può essere un mutamento in senso proprio, ma solo in senso metaforico: «in ogni mutamento da un
soggetto a un altro, c’è bisogno che entrambi abbiano qualcosa in comune, perché se non ce l’hanno, ciò che
avviene non può essere definito come cambiamento. (...) A volte può sembrare che non vi sia nulla in comune tra ciò che è prima e ciò che è
dopo il mutamento, ma c’è comunque un solo tempo che scorre continuo e nel quale troviamo “prima”
ciò che “dop o” diventa qualcos’a l t ro , (...) come quando diciamo che dopo
il mattino viene il mezzogiorno. (...) Ora, nella creazione, non si verifica
nessuna delle situazioni sopra descritte: infatti non c’è nulla in comune [tra non-essere ed essere] e non
c’è continuità di tempo perché il tempo non esisteva quando il mondo non c’era. Eppure possiamo trovare qualcosa in comune, ma puramente immaginario, se ci figuriamo una sorta di successione tra quando il mondo non esisteva e quando è stato tratto all’esistenza.
Analogamente, anche se al di fuori dell’universo non esiste lo spazio, noi possiamo nondimeno immaginarne uno: così, anche se prima
dell’inizio del mondo non esiste il tempo, noi possiamo immaginarlo.
Concludendo, la creazione non può rientrare a rigore nella categoria della mutazione e l’uomo la può immaginare come tale solo come metafora, ma non in realtà».
Quindi, se fino a un secolo fa interpretazioni alternative di Genesi 1 erano ugualmente possibili, oggi la scienza ci aiuta a scegliere quelle compatibili con quanto essa va scoprendo della realtà fenomenologica.
L’obiettivo dell’esegesi, che vuole estrarre dalla parola scritta il senso dell’ispirazione che l’ha originata  nostrae salutis causa  è così più vicino all’uomo di oggi anche grazie alla scienza.







キノコ

キノコ 2

Friday, February 08, 2013

Nulla al mondo e' più pericoloso di una ignoranza sincera e di una stupidità coscienziosa

Nulla al mondo e' più pericoloso di una ignoranza sincera e di una stupidità coscienziosa

M. Luther King

"Nothing in the world is more dangerous than sincere ignorance and conscientious stupidity."

The quote "Nothing in the world is more dangerous..." first appeared in Martin Luther King Jr's speech, "Strength to Love" which he gave in 1963. 1963 is also the year he gave his separate famous "I Have a Dream" speech. ChaCha!

この世でいちばん危険なものは、誠実な無知と良心的な愚かさだ。
(マーチン・ルーサー・キング・Jr.)

世の中で、本物の無知と誠実な愚かさほど危険なものは無い


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Article: Nothing in the world is more dangerous than sincere ignorance and

Nothing in the world is more dangerous than sincere ignorance and consciencious stupidity what that mean?
http://wiki.answers.com/Q/Nothing_in_the_world_is_more_dangerous_than_sincere_ignorance_and_consciencious_stupidity_what_that_mean

(via Answers)


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Wednesday, February 06, 2013

Osservatore Romano

Le parole hanno un significato?




L’articolo della psicanalista Marie Balmary, che pubblichiamo quasi per intero, è uscito su «La Vie» del 1° febbraio e quello della filosofa Sylviane Agacinski, di cui diamo ampi stralci, su «Le Monde » del 3 febbraio.



di MARIE BALMARY



È un fatto evidente, l’umanità ha potuto attraversare le peggiori catastrofi, vivere sotto i peggiori
regimi, commettere le peggiori atrocità: non ha però mai smesso di parlare. Ha sempre trovato, ritrovato, inventato parole per raccontare il meglio come il peggio, parole per sentire, parole per pensare. Dire il bene e il male. Nulla le ha fatto perdere questa facoltà propriamente umana da cui dipende la coscienza. Siamo oggi giunti a un nuovo momento della cultura, a una svolta della parola. Cosa faremo delle parole
“p a d re ”, “m a d re ”, “matrimonio”? Modificheremo il loro significato oppure troveremo altre parole?
La parola “matrimonio” chiede un incontro all’Académie Française. Se si stabilisce che vuol dire allo stesso tempo «unione di persone di sesso diverso» e «unione di persone dello stesso sesso», come può la nostra mente districarsi da questa confusione? Come spiegheremo ai bambini che “simile” e “diverso”, una realtà e il suo contrario, sono la stessa cosa, senza provocare mille domande e osservazioni, forse scoppi di risa,
di cui sono capaci intelligenze come quelle che Freud amava, non ancora intimidite da un’educazione che impedisce loro di riflettere?

L’Académie Française potrebbe pregare il legislatore d’inventare un’altra parola piuttosto che
privarci di una delle specificità più importanti del linguaggio, ossia quella di distinguere realtà diverse grazie alla diversità dei vocaboli pertinenti.

Sarebbe molto strano se non si trovasse nei cassetti della nostra vecchia cultura, e sugli schermi di quella giovane, un modo per rimediare a questa confusione.

Quanto alla parola “orientamento”, utilizzata così spesso, vuol dire ancora qualcosa, visto che il suo contrario si può trovare solo in testi scientifici
del secolo scorso (Freud) e non può servire oggi per riflettere in questo ambito ancora così
misterioso?

Scrivere leggi con parole private del loro senso? Un esempio. Nel codice civile del Québec

(articolo 539, 1 aggiunto nel 2002) si legge:

«Quando i genitori sono entrambi di sesso femminile,
i diritti e gli obblighi che la legge attribuisce
al padre, laddove essi si differenziano da 
quelli della madre, sono attribuiti a quella delle

due madri che non ha messo al mondo il bambino

». Che il lettore e i canadesi mi perdonino: un simile testo mi fa cadere le braccia. Già la

parola “p a d re ” negli articoli precedenti è diventata
«apporto di forze genetiche». Al termine
“m a d re ” vengono attribuiti due significati opposti,
il che vuole letteralmente dire che non significa
più. Di fatto si tratta di “due madri” delle
quali la seconda è «quella delle due madri che
non ha messo al mondo il bambino». Ebbene,
in tutte le lingue della terra, la parola madre
vuol dire proprio «donna che ha partorito uno
o a più bambini».

Ci si sbarazzerà della parola per fare la legge?
Come dare diritti che correggono ingiustizie
senza distruggere il linguaggio? Come fare una
legge che riconosca a ognuno un posto nella
sua relazione con l’essere amato senza annullare il senso delle parole che significano tali relazioni?

Sapremo nominare le persone preposte ad
accogliere e a educare un figlio senza perdere le

parole e i nomi con cui quest’ultimo avrà accesso
alla sua origine? Sapremo inscrivere l’a m o re
senza cancellare la verità?

Perché dunque le religioni s’intromettono in
tutto ciò? Perché le religioni s’i n t ro m e t t o n o .

Che c’entrano con tale questione? E, prima di tutto, cosa rispondere a quanti ne sono contrariati?

Dopo anni di ricerca sui testi fondatori, sono giunta a questa conclusione evidente: le

religioni sono custodi della parola ed essendo la

parola viva, non la si potrebbe conservare senza

nutrirla.
Custodi e promotrici della parola umana, le
religioni possono provocare un’adesione forte
oppure, al contrario, una forte disaffezione.

Questa disaffezione apparente si trasforma in

collera quando le istituzioni religiose usano impropriamente

il potere simbolico decisivo che

spetta loro. Poiché di questo potere le religioni

hanno potuto e possono ancora abusare. E provocare

così traumi spirituali che non sono certo

meno gravi degli abusi sessuali. D’altronde, gli

uni non escludono gli altri.

Resta il fatto che oggi, riguardo a questo progetto

di legge sul matrimonio, tutti i discendenti

di Abramo sono dello stesso parere. Ne è prova

il fatto che essi non parlano per la loro religione,

ma per ciò a cui servono le religioni: custodire

la parola, risvegliare la coscienza. Molte

persone che non si riconoscono in alcuna religione,

per la loro posizione etica, sono ugualmente

coinvolte in una simile ricerca, da un simile

interrogativo.

La parola, che le tirannie, le guerre, le colonizzazioni,

le schiavitù, i totalitarismi non hanno

potuto farci perdere, saremmo noi a metterla

in pericolo con leggi votate nelle assemblee democratiche

in tempo di pace?



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Uno più uno non è sempre uguale a due



di SYLVIANE AGACINSKI



Nulla illustra meglio la coriacità della dissimmetria dei sessi del modo in cui ognuno affronta la questione della procreazione.

Come tutti, anche gli omosessuali affrontano tale questione e, fino a ora, non avevano altra possibilità che rivolgersi a una persona dell’altro sesso.

Ciò che è cambiato, al punto da far emergere la nozione di omogenitorialità,

è la possibilità, almeno apparente, di far

a meno dell’altro sesso per “a v e re ” dei

figli, come si sente dire così spesso.

Quasi si dimentica ciò che questa meravigliosa

“p erformance” deve alle tecniche

biomediche e al donatore di sperma

anonimo che ha dato il

suo contributo in Belgio

o in California. Ma il dono di sperma e l’inseminazione

artificiale sono da tempo praticati in

Francia per coppie “classiche” nel quadro

della procreazione medicalmente assistita

senza che ci si interroghi sulla trasformazione

delle persone che danno la

vita con semplici materiali biologici anonimi

mentre i figli diventano prodotti

fabbricati su richiesta e, di conseguenza,

in certi Paesi, merci. Oggi conosciamo

gli effetti devastanti che possono esserci

sui figli in seguito alla decisione di mantenere

il segreto sulla persona del loro

genitore. Così, la prima riflessione che si

impone alle nostre società, prima di

qualsiasi costruzione legislativa sulle

modalità della filiazione, riguarda la distinzione,

fondamentale nel diritto, tra

persone e cose. Il filosofo Hans Jonas

considerava la responsabilità degli esseri

umani nei confronti della loro progenitura

come l’archetipo della responsabilità.

I donatori di sperma e le donatrici di

ovociti sono innanzitutto esseri umani:

si dice che donano cellule a una coppia,

in realtà contribuiscono a dare la vita a un figlio, e quest’ultimo un giorno lo saprà

e ne chiederà conto. Perché, essendo

egli stesso persona, vorrà sapere qual è

la sua storia umana. Per questo è necessario

intraprendere una riflessione globale

sul ruolo della medicina procreativa e

sulle condizioni etiche delle sue pratiche,

indipendentemente dalle coppie a

cui sono destinate queste pratiche. Un progetto di legge sulla famiglia

non può certo sostituire tale riconsiderazione

totale. Rivolgendosi al Comitato

consultivo nazionale di etica, il presidente

della Repubblica va nella giusta

direzione. Il problema è diverso per gli

uomini (a causa della dissimmetria sessuale),

perché la procreazione omogenitoriale

necessita di un dono di ovociti e

dell’uso di “gestanti per altri” (madri in

affitto). A questo riguardo, le posizioni del

Governo sembrano chiare. Esso esclude

ogni legalizzazione dell’uso di

donne come “gestanti per altri”,

consapevole della mercificazione

del corpo che inevitabilmente comporta,

con lo sfruttamento di

donne socialmente fragili. Ma

allora è inquietante e incoerente

che Dominique Bertinotti,

ministro delegata per la famiglia,

si ostini ad annunciare

che continuerà

a esaminare la

questione; o che il

ministro della giustizia,

in una circolare

almeno inopportuna,

conceda un cer-tificato di nazionalità ai figli nati da “gestanti

per altri” all’estero. Ma i bimbi nati

in questo modo hanno uno stato civile

emesso dal Paese in cui sono nati: non

sono affatto sprovvisti di documenti di

identità. Non si potrebbe comprendere il

fatto che, per vie indirette, si dia alla fine

ragione a coloro che aggirano deliberatamente

la legislazione in vigore. Ma

non spetta innanzitutto agli stessi futuri

genitori interrogarsi sul loro progetto?

Un altro campo di riflessione riguarda

l’omogenitorialità come nuovo modello

di filiazione. Il principio di un matrimonio

aperto a tutte le coppie unisce ampiamente

i francesi, mentre il principio

dell’omogenitorialità li divide.

La capacità di chiunque di essere un

buon genitore non è in discussione. Del

resto, molti omosessuali hanno figli con

un partner dell’altro sesso, e non pretendono

di fondare la loro paternità o la loro

maternità sulla loro omosessualità. Al

contrario, l’omogenitorialità significherebbe

che l’amore omosessuale fonda la

genitorialità possibile e permette di so-ristituire

l’eterogeneità sessuale del padre

e della madre con l’omosessualità maschile

o femminile dei genitori. Le formule,

divenute correnti, di genitori gay

e lesbici significano la stessa cosa.

Quando il ministro della famiglia annuncia

che bisognerà interrogarsi sulle

«nuove forme di filiazione sia eterosessuali

che omosessuali», sostituisce anche

al carattere sessuato dei genitori il loro

orientamento sessuale. Così, si tratta

proprio di creare un nuovo modello di

filiazione. Secondo il modello tradizionale,

un figlio è unito ad almeno un genitore,

generalmente la madre che lo ha

messo al mondo, e se possibile a due,

padre e madre. Anche nell’adozione, la

filiazione legale riproduce analogicamente

la coppia procreatrice, asimmetrica

ed eterogenea. Ne mantiene lo schema,

ossia quello della generazione biologica

bisessuata. In questo modo si può

comprendere Claude Lévi-Strauss quando

scrive che «i legami biologici sono il

modello sul quale sono concepite le relazioni

di genitorialità». Ora, si noterà

che questo modello non è né logico, né

matematico (del tipo: 1+1), ma biologico,

e quindi qualitativo (donna + uomo)

perché i due non sono intercambiabili.

È la sola ragione per la quale i genitori

sono due, o formano una coppia. Anche

se questa forma non è sempre soddisfatta

(per esempio quando un bimbo ha

un solo genitore o è adottato da una sola

persona), la differenza sessuale è simbolicamente

indicata, cioè nominata dalle

parole padre o madre che designano

persone e posizioni distinte. Questa distinzione

inserisce il bambino in un ordine

in cui le generazioni si succedono

grazie alla generazione sessuata, e la finitezza

comune gli è così significata:

poiché nessuno può generare da solo facendo

sia da padre che da madre.

Allora, si pone la domanda di sapere

che cosa viene significato al bambino

unito, per ipotesi a due madri o a due

padri. Un cumulo simile significa che

due padri possono sostituire una madre?

Che due madri possono sostituire un

padre? Una lesbica militante, che non

vuole aggiungere un padre alla sua coppia

femminile, dichiara: «Due genitori

bastano». E un’altra: «Non voglio sobbarcarmi

un padre per essere madre».

Come non sentire qui un diniego virulento

della finitezza e dell’incompletezza

di ciascuno dei due sessi?

Il timore che si può esprimere qui, è

precisamente che due genitori dello stesso

sesso simbolizzino, ai loro occhi, come

a quelli dei loro figli adottivi (e ancor

di più a quelli che sarebbero procreati

con l’aiuto di materiali biologici),

un diniego del limite che ciascuno dei

due sessi è per l’altro, limite che l’a m o re

non può cancellare.

Saturday, February 02, 2013

Lee Kuan Yew on the Japanese Army and the Atomic Bomb

http://www.postcolonialweb.org/singapore/government/leekuanyew/lky18.html


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L’amore di Dio Inchiesta tra le immagini della tradizione cristiana

L'amore di Dio Inchiesta tra le immagini della tradizione cristiana

di SYLVIE BARNAY

La Bibbia è nata in una cultura di tipo patriarcale. Anche il suo di- scorso su Dio e il suo rapporto con l'uomo, la teologia, s'iscrivono su questo sfondo socio-culturale. Per questo motivo le immagini bibliche sono essenzialmente maschili. Il Dio dell'Antico Testamento è il re, il Dio degli eserciti, il cu- stode, il maestro, il giudice, il patriarca. Tut- tavia la sua designazione quale «padre degli uomini», «padre d'Israele» o «nostro padre» (Isaia, 64, 7) viene al secondo posto, dopo quella del suo nome: «Io sono colui che so- no» (Esodo, 3, 14). Egli esercita la sua pater- nità anche verso la stirpe del re-messia d'Israele: «Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio» (2 Samuele, 7, 14). Il Dio del Nuovo Testamento è il padre, Cristo è il figlio che insegna la preghiera del Padre Nostro. Que- sto sostrato fonda un intero registro metafori- co la cui nota più importante è essenzialmen- te androcentrica. Di fatto, nella dottrina clas- sica, il divino non appare sotto forma di donna o di madre. Non è ginecomorfa.
Questa dottrina classica concede tuttavia un posto importante a una tradizione biblica in cui l'azione di Dio è descritta con l'aiuto di immagini specificatamente materne. Nell'Antico Testamento, Dio è come l'aquila che vola sopra i sui nati e veglia su di loro (Deuteronomio, 32, 11) o li porta sulle sue ali (Esodo, 19, 4). È come l'orsa che attacca quando le vengono tolti i suoi piccoli (Osea, 13, 8), come la balia che porta il lattante (Numeri, 11, 12). Le immagine materne sono forti in Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?» (Isaia, 49, 15). Nel libro di Giobbe, l'azione creatrice di Dio è descritta come un parto: «Chi mette al mondo le gocce della rugiada? Dal seno di chi è uscito il ghiaccio e la brina del cielo chi l'ha generata?» (Giobbe, 38, 28-29). Il salmi- sta si riposa in Dio come un bambino dorme in braccio a sua madre (Salmi, 131, 2). Il Dio dell'Antico Testamento non è un Dio al fem- minile, cioè una dea, ma un Dio materno, messaggio implicito nei confronti dei culti re- si alle divinità pagane femminili. Nel Nuovo Testamento Gesù è paragonato a una madre che riunisce i pulcini sotto le sue ali (Matteo, 23, 37), e nelle lettere neotestamentarie ab- bondano le metafore femminili e materne (cfr. 1 Corinzi, 3, 1-2; 1 Tessalonicesi, 2, 7-8; 1 Pietro, 2, 2).
Sembra sia stato Clemente Alessandrino il primo padre della Chiesa a stabilire un paral- lelismo tra la paternità e la maternità di Dio. Nel Quis dives salvetur Clemente Alessandri- no sposta questa paternità e maternità di Dio sul terreno del rapporto tra l'inconoscibilità e l'incarnazione: «L'indicibilità lo fa Padre; la sua compassione per noi lo fa madre».
Così la maggior parte delle metafore fem- minili illustrate dai padri della Chiesa si ri- collegano alla natura umana del Verbo incar- nato. È per questo che, quando si riferiscono alle immagini femminili nella Bibbia, gli au- tori cristiani non indicavano Dio, ma soprat- tutto Cristo e la Chiesa. Secondo le interpre- tazioni, l'uso delle metafore femminili vale così classicamente per designare l'uno o l'al- tro. La figura della madre funziona quindi come figura di Cristo e della Chiesa in tutto un insieme di testi. È in funzione di una tale tipologia che Clemente Alessandrino parla, per esempio, della Chiesa. Citando Isaia («come una madre consola un figlio così io vi consolerò»; 66, 13), ne dà un'interpretazio- ne ecclesiologica: «La madre attira nelle sue braccia i suoi figli piccoli e noi cerchiamo nostra madre, la Chiesa». Inoltre, nei suoi scritti la maternità indica la conoscenza divi- na e la Saggezza.
Nella stessa prospettiva, un intero ramo della patristica vede nella donna la Chiesa e nel padre Dio. È così che viene tradizional- mente interpretata la parabola di Matteo: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti» (13, 33). Per Ambrogio di Milano o per Pietro Crisologo, per esempio, la donna è l'immagi- ne della Chiesa. Ma questo stesso riferimento scritturale serve anche a identificare la donna con Cristo. Romano il Melode opera tale identificazione: «La donna è, dice la Scrittu- ra, la virtù e la saggezza del Creatore, vale a dire Cristo, saggezza e potenza del Padre». Il parallelismo tra la donna, Cristo e la Sag- gezza è a sua volta stabilito.
Agostino lascia in eredità alla posterità medievale la figura di Cristo come «Madre- Saggezza». Allo stesso tempo, trasmette l'idea di un'umanità ginecomorfa perché vul- nerabile. È anche il primo a considerare Cri- sto come Padre e insieme come Madre. Riu- nendo una serie di citazioni scritturali, prese in particolare dal corpo paolino, insiste sul ruolo paterno della generazione e sul ruolo materno del parto dell'Apostolo: voi non avete «molti padri, perché sono io che vi ho

San Girolamo afferma
che i generi grammaticali non possono circoscrivere
l'incommensurabilità di Dio

generato in Cristo Gesù, mediante il vange- lo» (1 Corinzi, 4, 15). E, conclude, Cristo «ha un'autorità paterna, un sentimento materno: e come dice Paolo, Egli è padre ed è ma- dre».
Nell'XI secolo, Anselmo riprende questo brano, a sua volta vivaio di un'intera esplora- zione monastica, poi francescana, dell'imma- gine di Cristo come padre e come madre: «Ma tu Gesù, buon Signore, non sei anche una madre? Non è una madre Colui che, co- me la chioccia, riunisce i suoi piccoli sotto le sue ali?». Parallelamente, Girolamo aveva utilizzato un'altra rete esegetica di genitoria- lità, in particolare un versetto di Matteo: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me» (10, 37). Mostra allora che Cristo è allo stesso tempo padre, fratello,

sposo, amico, sorella e madre. La continuità medievale di questa rete metaforica è, anche in questo caso, degna di nota.
Alla fine del IV secolo, Gregorio Nazianze- no sottolinea però i limiti dell'uso metafori- co: «Da allora dobbiamo ritenere indispensa- bile applicare alla divinità (...) le parole di quaggiù, in particolare quelle che designano la parentalità. A tale proposito, tu forse im- maginerai che Dio è di sesso maschile perché viene chiamato Dio e Padre; e la divinità, di sesso femminile, secondo il genere delle pa- role; e lo Spirito, né l'uno né l'altro, poiché non genera». Pronunciate a Costantinopoli tra il 379 e il 381 in opposizione agli ariani, queste parole si riferiscono soprattutto alle concezioni gnostiche sul Dio maschile-fem- minile.
Girolamo, per la latinità contemporanea, ha delineato con un sol tratto la linea orto- dossa della dottrina: «Nella divinità, in effet- ti, non c'è sesso». Dio non è dunque né fem- minile né maschile. I generi grammaticali non possono circoscrivere l'incommensurabi- lità divina che si è fatta commensurabilità. Riferendosi alla Trinità, Girolamo ricorda vo- lutamente la diversità dei generi nelle varie lingue per indicare lo Spirito Santo: in ebrai- co femminile, in latino maschile e in greco neutro! Le fonti gnostiche, a differenza degli scritti cristiani, di fatto continuano a utilizza- re un simbolismo sessuale nella rappresenta- zione di Dio, in un principio fondamental- mente dualista.
Tre forme di rappresentazione di questa dualità prevalgono nei circoli gnostici dell'antichità cristiana. La prima rappresenta- zione — proveniente dagli ambienti vicini allo gnostico Valentino del II secolo — presenta l'idea di un Dio fondamentalmente ineffabile ma che, nello stesso tempo, si compone da una parte «della fonte ineffabile, della pro- fondità, del padre primordiale; dall'altra del- la grazia, del silenzio, delle viscere e della "madre del tutto"». In questa componente, maschile è il "padre", femminile è il "silen- zio". Come nella sessualità umana, il silenzio riceve il seme dalla fonte ineffabile. Il frutto di questa unione è l'emanazione dell'essere divino disposta in coppie di energie femmini- li e maschili. La seconda rappresentazione as- simila Dio a una forma trina padre-madre-fi- glio, come, per esempio, nel Libro dei segreti di Giovanni (fine II secolo). La "persona" femminile riunita al padre e al figlio viene chiamata "madre", e lo Spirito Santo è allora assimilato a una madre divina. Infine, una terza rappresentazione gnostica è propria- mente androgina. Nella Protennoia trimorfica scoperta nel 1945 a Nag Hammadi, un perso- naggio divino dice: «Io sono allo stesso tempo

Dio al maschile e la paternità divina non derivano
dal disprezzo per le donne
ma da un'umiltà divina

madre e padre (...). Io sono il Principio e la Fine». Dio qui è una diade.
Il XX secolo è parallelamente testimone della nascita di una teologia del femminile. A caratterizzarla, nella sua pluralità, è una nuo- va messa in discussione dei fondamenti della tradizione cristiana: «Dio Padre deve condi- videre il potere con Dio Madre». Nel loro scontro con la teologia classica, le teologie femministe cercano soprattutto di aggiungere una dimensione femminile al Dio uomo ere- ditato dai Padri e dalla tradizione al fine di rinnovare il modo di chiamarlo, e dunque di pensarlo. Queste teologie intendono così ap- portare un correttivo alla visione patriarcale di Dio, mostrando che la Bibbia stessa con- tiene tale correttivo sotto forma di metafore materne e femminili. Le formulazioni teolo- giche nuove che ne derivano, soprattutto ne- gli ambiti anglosassoni, sono dirompenti. Certo, la riflessione trinitaria presuppone un linguaggio analogico che reca necessariamen- te l'impronta del suo tempo. Ma l'intera que- stione consiste nel sapere se si può sostituire la formula trinitaria con altre, pratica comu- ne negli ambiti femministi, per esempio met- tendo al posto della formula «Padre, Figlio e Spirito Santo» la formula «La forza di crea- zione, di potenza di liberazione e di santifi- cazione».
Le esplorazioni più recenti della psicanalisi entrano in consonanza con la dottrina tradi- zionale. Come sottolinea la psicanalista Ma- rie Balmary, il Dio padre-madre, che occupa ogni luogo come una "madre fallica", non è lontano da un Dio onnipotente o da un falso Dio. Balmary mostra al contrario come la Bibbia «si opponga a identificare come ma- dre il Dio creatore». E, conclude, il «Dio al maschile e la paternità divina non derivano dal disprezzo per le donne, ma al contrario da un'umiltà divina».

Osservatore Noi Donne


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