Tuesday, May 29, 2007

Ama nesciri et pro nihilo reputari

De Imitatione Christi I, 2
『キリストにならいて』

Si vis utiliter aliquid scire et discere: ama nesciri et pro nihilo reputari.

もしもあなたが何か価値のあることを学び、理解したいと望むなら、自分が無名であることを愛し、軽視されることを愛しなさい。

もし,有益に何かを知り,学びたければ:〔自分が人に〕無視されることを愛せよ,また,取るに足らないものとみなされることを愛せよ.

Tuesday, May 22, 2007

Grandi linee della storia dell'incontro tra la teologia cristiana e le culture

Discorso di Ruini a Torino

(...)all’interno della teologia medievale, e in forma eminente con San Tommaso, la distinzione e nella distinzione il rapporto reciproco tra ragione e fede, filosofia e teologia, sono stati oggetto di approfondimento sistematico. Come ha mostrato magistralmente É. Gilson in uno studio pubblicato già nel 1927 sui motivi per i quali San Tommaso ha criticato Sant’Agostino ("Pourquoi saint Thomas a critiqué saint Augustin", in AHDLM*, 1, pp. 5-127), la base teoretica di questo approfondimento è da ritrovarsi nella gnoseologia ed ontologia di matrice aristotelica, che ha consentito appunto una distinzione più chiara e sistematica tra le capacità conoscitive intrinseche all’uomo e la luce che egli riceve dalla presenza divina in lui.

Una tesi storico-teologica largamente diffusa, e sviluppata soprattutto da un autore della portata di H. de Lubac, sulle orme di M. Blondel, ritiene che l’insistenza unilaterale su questa distinzione, affermatasi nella “seconda scolastica”, cioè appunto ai primi inizi dell’età moderna, abbia contribuito all’emarginazione del cristianesimo e della teologia dagli sviluppi della cultura, rappresentandone involontariamente una legittimazione teologica.
Personalmente posso concordare con questa valutazione, a patto di non esagerare il suo concreto peso storico. Mi preme sottolineare però che essa non deve portare a un giudizio negativo sulla validità intrinseca – e anche sulla necessità e fecondità storica – di quella distinzione sistematica.

5. Tentativi di risposta teologica

In una situazione di questo genere è assai grande lo spazio, anzi il bisogno dell’apporto della teologia. Per delineare la fisionomia che esso potrebbe assumere sembra utile richiamare anzitutto i limiti di alcuni tentativi già attuati e, almeno in parte, ancora in atto.
Uno di essi, ormai desueto a motivo dei limiti emersi nei processi di secolarizzazione, è quella che è stata chiamata “teologia della secolarizzazione”, di matrice soprattutto protestante ma penetrata anche in ambito cattolico. Essa ratificava, come il risultato della dinamica interna del cristianesimo, la separazione crescente tra fede e cultura e affidava la mediazione tra di esse soltanto alla rivendicazione dell’origine cristiana di tale processo. Così però rimane aperta la strada all’emarginazione progressiva del cristianesimo, man mano che i processi di secolarizzazione si sviluppano e si allontanano dalla propria origine, come normalmente avviene nella storia.

Un altro approccio teologico, oggi ancora abbastanza presente, sebbene colpito alla radice dagli eventi dell’anno 1989, che hanno messo in evidenza l’insostenibilità non solo politica ed economica ma antropologica ed etica dei modelli di vita associata che si richiamano al marxismo, è quello delle teologie della liberazione e anche delle teologie politiche. Alla loro base vi è l’intenzione, ampiamente condivisibile, di ricuperare, in vista del futuro, il ruolo storico del cristianesimo. Il loro limite sostanziale consiste però nell’affidare questo ruolo principalmente alla prassi politica, mettendo così a carico della politica il problema stesso della salvezza dell’uomo e del senso dell’esistenza, ciò che comporta fatalmente un’assolutizzazione falsa e distruttiva della politica stessa.


La profonda disillusione prodotta nell’ambito delle teologie della liberazione dai fatti del 1989 ha spinto vari loro esponenti verso posizioni improntate al relativismo. Essi sono confluiti così, insieme a non pochi altri teologi, in quell’orientamento, che prende vari nomi tra cui quello di teologia delle religioni, secondo il quale fondamentalmente non solo il cristianesimo ma anche le altre molteplici religioni del mondo, con i popoli e le culture che ad esse si riferiscono – e che spesso sarebbero stati oggetto da parte dei cristiani di un imperialismo e colonialismo non solo politico ma anche religioso –, costituirebbero in realtà, accanto al cristianesimo storico, autonome e legittime vie di salvezza.

Viene abbandonata così quella fondamentale e davvero originaria verità della fede, evidentissima nel Nuovo Testamento e fonte primaria del dinamismo missionario della Chiesa dei primi secoli, secondo la quale Gesù Cristo, nella sua concretezza di Figlio di Dio che si è fatto uomo ed ha vissuto nella storia, è l’unico Salvatore dell’intero genere umano, anzi di tutto l’universo.

La dichiarazione "Dominus Iesus" della congregazione per la dottrina della fede, riaffermando con forza questa verità, non ha fatto che dare voce alla missione essenziale della Chiesa. Il libro che ho già citato dell’allora cardinale Ratzinger mette in luce come in determinate forme di teologia delle religioni sia all’opera quel principio del "latet omne verum" che accomuna per certi aspetti il relativismo attualmente diffuso in Occidente con l’approccio al divino delle grandi religioni orientali, e anche del pensiero tardo-antico che proprio in questi termini si opponeva al cristianesimo. In vari teologi questa svolta relativistica si accompagna con la rivendicazione, non abbandonata, del primato della prassi: dove cioè la conoscenza non può arrivare potrebbe invece giungere la prassi; essa sola sarebbe decisiva per la salvezza e il dialogo, anzi l’unità tra le religioni dovrebbe risolversi in essa.

http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=142423

* Gilson, Étienne. Pourquoi saint Thomas a critiqué saint Augustin suivi de Avicenne et le point de départ de Duns Scot. Paris, Librairie philosophique J. Vrin, 1986. Réimpression de deux articles parus à l'origine dans les Archives d'histoire doctrinale et littéraire du moyen âge.

Monday, May 21, 2007

Perche' Tommaso...

I missionari cristiani, ad iniziare da Paolo, quando annunciavano il Vangelo agli Ebrei entravano nei loro luoghi di culto, le Sinagoghe: era un dialogo sul piano squisitamente della fede religiosa. Quando invece si rivolgono ai pagani, il loro interlocutore non è "il sacerdote": è il "filosofo"; e normalmente i luoghi di annunci sono le "agorá". Al greco cioè essi presentano la loro fede come vera, e quindi meritevole di essere accolta da chi ha la passione della ricerca della verità mediante l’unico mezzo di cui la natura ha dotato l’uomo, la ragione. Se volessimo esprimere brevemente e sommariamente il contenuto della coscienza che il missionario cristiano aveva di se stesso, lo potremmo fare colle seguenti parole: "ciò che annuncio è vero e quindi lo posso e lo devo dire ad ogni persona".

http://www.caffarra.it/lezione151106.php

Visti gli sforzi che si fanno in Giappone per non essere inferiori all'Occidente in questioni di scienza e tecnologia, questa forma di annuncio e' rilevante anche in Giappone.

L’accettazione di una proposta religiosa può accadere non a causa del fatto che sia ritenuta vera. Ma perché la si può ritenere "socialmente utile", oppure "psicologicamente beatificante". Si può perfino ritenere che la domanda sulla verità della proposta religiosa sia priva di senso, allo stesso modo che se chiedessi: "che colore hanno le sinfonie di Mozart". Come estendere la categoria del colore all’udibile è un non senso, così estendere la categoria della "verità-falsità" al messaggio religioso è un’indebita estensione di quella categoria medesima. Ebbene, l’incontro Vangelo-grecità è avvenuto in un piano completamente diverso da questo appena schizzato, poiché si è giocato sul piano della ragione, e dunque circa ciò che è vero – ciò che è falso. E siamo al nodo centrale, credo, della conferenza di Regensburg.Il fatto storico di cui stiamo parlando – il dinamismo intrinseco della missione presso il greco – non è accaduto per caso; costituisce il concreto realizzarsi di un’esigenza strutturale, intrinseca sia alla fede cristiana sia alla ragione umana: quella di incontrarsi e non di scontrarsi; quello di allearsi e non di confliggere; quello di conoscersi e non di ignorarsi.

Questo aspetto costitutivo del Nuovo Testamento, probabilmente in Giappone non e'conosciuto o valorizzato pienamente.

Ho parlato di "esigenza strutturale della fede cristiana". Per completezza non bisogna dimenticare – come precisamente non fa il S. Padre – che è un’esigenza, questa, che possiamo verificare anche nella fede ebraica, se leggiamo con attenzione la S. Scrittura. In una parola: il Dio biblico si rivela come "Logos" e come "logos" agisce.

In sintesi. La questione fondamentale è quella di definire il paradigma della ragionevolezza della fede cristiana per mostrare che: a) la scelta di credere alla predicazione cristiana è ragionevole [la ragione che va verso la fede]; b) la fede cristiana esige di essere pensata dalla ragione [la fede che va verso la ragione].

Saturday, May 19, 2007

«teorema Böckenförde»

La formalizzazione del nesso necessario tra cultura e religione aiuterebbe a disporre uno sfondo teorico per chiarire il senso del cosiddetto «teorema Böckenförde»: «Lo stato liberale, secolarizzato, vive di presupposti che esso di per sé non può garantire. Questo è il grande rischio che per amore della libertà lo stato deve affrontare». Il teorema genera un paradosso: «Come stato liberale, esso da una parte può sussistere solo se la libertà che concede ai suoi cittadini si regola a partire dall'interno, dalla sostanza morale del singolo e dall'omogeneità della società. D'altre parte, esso non può cercare di garantire queste forze regolatrici interne da solo, ossia con i mezzi della costrizione giuridica e del comando autoritario, senza perciò rinunciare alla sua natura liberale e - sul piano secolarizzato - ricadere in quella stessa pretesa di totalità dalla quale è uscito con le guerre di religione»: E.-W. Böckenförde, «La nascita dello stato come processo di secolarizzazione» (1967), in Id., Diritto e secolarizzazione. Dallo stato moderno all'Europa unita, Laterza, Roma-Bari 2007, 33-54, qui 53; cf. anche Regno-att. 20,2006,689ss. Il teorema e il paradosso sono stati messi al centro del molto citato confronto intervenuto a Monaco nel 2004 tra il card. J. Ratzinger e il filosofo J. Habermas; cf. J. Habermas - J. Ratzinger, Ragione e fede in dialogo, Marsilio, Venezia 2005.
G. Angelini, Il ripensamento dell'antropologia: la legge naturale, Regno-att. n.6, 2007, p.197

Tuesday, May 15, 2007

Gesu' storico e Gesu' della fede

Tutta la spasmodica ricerca del Gesù della storia, quando è condotta per distanziarlo dal Cristo della Chiesa, si risolve in definitiva in un radicale rifiuto della storia. La storia a cui Gesù ha dato luogo, che ha creato con la sua vita, non solo non è presa in considerazione, ma ogni forzo è fatto da alcuni per annullarla, alla ricerca di un punto di partenza staccato da essa, in antitesi con essa. Non si applica in questo caso il principio ermeneutico della Wirkungsgeschichte, della storia degli effetti, che tiene conto non solo degli influssi subiti, ma anche degli effetti prodotti e degli influssi esercitati. L’interprete, afferma Gadamer, non può porsi al di sopra della tradizione che lo lega al passato che sta studiando, ma può cominciare a capire adeguatamente soltanto in quanto parte di questa tradizione e grazie ad essa. Non credo che ciò debba intendersi nel senso che solo chi aderisce interiormente al cristianesimo può capire qualcosa di esso, ma certo dovrebbe mettere in guardia dal credere che solo ponendosi al di fuori di esso si possa dire qualcosa di oggettivo su di esso. È attraverso la Chiesa e per la Chiesa che Gesù ha cambiato il mondo. Senza «quello sbaglio chiamato cristianesimo», come lo definisce qualcuno, non saremmo qui a parlare di lui. Gesù sarebbe oggi un oscuro rabbi della Galilea, il cui nome a malapena si leggerebbe in una nota a Tacito o a Giuseppe Flavio. Non ci sarebbero stati un Agostino, un Francesco d’Assisi, un Tommaso d’Aquino, Lutero, Pascal; non ci sarebbero state le cattedrali gotiche e le chiese romaniche, Dante, la pittura rinascimentale, Michelangelo e la Cappella Sistina, Bach e le sue Passioni, Mozart e le sue Messe. Non ci sarebbero stati, soprattutto, le innumerevoli schiere di uomini e donne che, in nome del Cristo conosciuto nella Chiesa, si sono chinati su tutte le sofferenze e le solitudini umane. Siamo sicuri che il nostro mondo sarebbe migliore senza tutto questo? Il cristianesimo storico non è stato solo crociate, inquisizione o guerre di religione, anche se, ahimè, è stato anche questo.

Di Raniero Cantalamessa
http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2007_05_13/articolo_754211.html

Sunday, May 06, 2007

Masterbee arte e mistica asiatica

Masterbee e' un artista unico nel suo genere che non si limita alle arti figurative ma e' soprattutto un maestro dello spirito.La sua arte e' espressione della sua esperienza spirituale accumulatesi nei lunghi anni di ricerca delle grandi tradizioni dell' Asia come il buddismo e l'induismo. Masterbee non ha perso la sua identita' di uomo occidentale ma ha integrata la sua esperienza spirituale e artistica dell'oriente nell'occidente. L'unicita' sta nella sua straordinaria capacita' di trasmutare un evento spirituale acquisito in Asia, in una esperienza artistica, da occidentale. Le opere di masterbee sono di una profondita' che solo colui che ha sperimentato realmente la quintessenza dello spirito e'in grado di esprimere. L'arte di Masterbee spazia dalla figurazione classica all'astratto simbolico alla neofigurazione reinventata essendo caposcuola assoluto di un nuovo linguaggio semantico ed espressivo.Il genio di Masterbee si realizza non solo nella grafica ai piu' alti livelli, ma anche negli inconscio negli insight e nella neo iconografia cristica. Il senso del sacro pervade tutto il pensiero nella sua arte. Masterbee uomo filosofo incarna il suo vissuto nell'arte ed e' in perfetta armonia con cio' che esprime. La sua persona irradia quella luce carismatica che e' non solo un dono ma una autentica realizzazione spirituale.


http://www.masterbee.com/tbee5.html