Friday, July 25, 2008

Inviato a: ilfoglio.it

A proposito del di battito sulla ideologia animalista, vorrei contribuire proponendo allo vostra riflessione alcuni pensieri di B. Pascal che mi sembrano
molto interessanti.

"Gli animali non si ammirano. Un cavallo non ammira il suo compagno. Non che durante la corsa non ci sia emulazione tra loro, ma ciò resta senza conseguenze. Nella stalla, il più pesante e mal fatto non cede la propria avena all'altro, come vogliono tra loro gli uomini. La loro virtù si accontenta di sé."(401, Brunschvicg)

"La più grande bassezza dell'uomo consiste nella ricerca della gloria, ma questo è anche il più grande segno della sua superiorità, perché per quanto possegga su questa terra, per quanto sia sano e per quanti vantaggi disponga, se gli uomini non lo stimano non è soddisfatto. A tal punto considera la ragione umana che qualunque posto occupi al mondo, se non occupa un buon posto anche nella ragione umana, non è contento. È il più bel posto del mondo, niente lo può distogliere da questo desiderio ed è la caratteristica meno cancellabile dal cuore umano.

E quelli che disprezzano maggiormente gli uomini e li paragonano alle bestie, vogliono anch'essi venire ammirati e creduti, contraddicendosi da soli a causa di questo sentimento. La loro natura, più forte di tutto, li convince della grandezza umana più di quanto la ragione non li convinca della loro bassezza."(404)

"La grandezza dell'uomo è così evidente che si ricava perfino dalla sua miseria, perché quello che per gli animali è la natura, nell'uomo lo chiamiamo miseria; da ciò riconosciamo che, se oggi la sua natura è simile a quella degli animali, egli è decaduto da una natura migliore che un tempo era la sua.

E in effetti chi può lamentarsi di non essere un re se non un re spodestato? Paolo Emilio era forse considerato infelice perché non era un console? Al contrario tutti ritenevano che egli fosse felice di esserlo stato, dal momento che la sua condizione non era di esserlo sempre. Ma Perseo era ritenuto così infelice di non essere più re, dal momento che la sua condizione comportava di esserlo sempre, che si trovava strano sopportasse ancora la vita. Chi si ritiene infelice di non avere che una bocca, e chi non si riterrebbe infelice di avere un occhio solo? A nessuno forse è mai venuto in mente di affliggersi per non avere tre occhi, ma chi non ne ha è inconsolabile."(409)

"Poiché la miseria si deduce dalla grandezza e la grandezza dalla miseria, alcuni hanno affermato la miseria quanto più hanno preso come prova la grandezza, altri hanno affermato la grandezza con tanta più forza in quanto l'hanno dedotta dalla miseria stessa. Tutto quello che gli uni hanno potuto dire per mostrare la grandezza è servito agli altri come argomento per dedurre la miseria, perché quanto più si cade dall'alto, tanto più si è miserabili, mentre per gli altri è il contrario. Si sono rincorsi l'un l'altro in un cerchio senza fine, essendo certo che nella misura in cui gli uomini posseggono la ragione, essi trovano nell'uomo miseria e grandezza. In una parola: l'uomo sa di essere miserabile. Egli è dunque miserabile, poiché lo è, ma dal momento in cui lo sa è davvero grande."(416)

Se gia' ai tempi di Pascal c'erano gli animalisti, e' proprio vero che "non c'e' niente di nuovo sotto il sole" !

Cordiali saluti

LEVI-STRAUSS

LÉVI- STRAUSS

Compirà cent’anni il prossimo 28 novembre. È considerato il padre moderno di una disciplina che guarda alle culture con una mentalità «relativistica». Dopo le ricerche in Brasile, elaborò una teoria che ha condizionato generazioni di studiosi
L’antropologia senza centro

DI LUCETTA SCARAFFIA

Claude Lévi-Strauss compirà cento anni il prossimo 28 novembre, e la Francia si prepara a festeggiare quello che è stato, senza dubbio, il più importante intellettuale francese del Novecento. Anche il fatto che stia per raggiungere una età così significativa e rara gli conferisce un’aura speciale, un’aura che si aggiunge a quella di monumento vivente alla cultu­ra del secolo, di cui ha impersonato al meglio la prete­sa di trovare una spiegazione 'scientifica' a tutto. Si tratta di uno status che il grande antropologo ha rag­giunto già da mezzo secolo: si può considerare, infatti, che la sua consacrazione sia avvenuta il 5 gennaio 1960, giorno della lezione inaugurale al Collège de France, che non solo lo accoglieva fra i suoi membri, confer­mando ufficialmente il suo statuto di grande studioso, ma si apriva alla disciplina da lui – in un certo senso – inventata, l’Antropologia strutturale. Egli realizzava co­sì, finalmente, la sua ambizione di estendere il domi­nio dell’antropologia fino a comprendere tutte le scien­ze umane, studiate con metodi scientifici analoghi a quelli delle scienze naturali. Lévi-Strauss, profeta del­la morte del soggetto e papa della modernità trionfan­te, si presenta quindi ai suoi contemporanei come colui che svelerà loro il senso di quello che sembrava solamente disordine. Il suo immenso successo non è solo di natura accade­mica: se oggi pensiamo che non esistono le razze, ma solo le differenze culturali, se crediamo che non si pos­sono fare differenze di valore fra le culture, se pensia­mo che un mito Hopi sia inte­ressante e importante co- me un Vangelo, è solo grazie all’influenza esercitata dal suo pensiero. Un’influenza non solo positiva: come ha scritto un suo contemporaneo e critico, il filosofo ebreo Emmanuel Lévinas, «l’ateismo moderno, non è la negazione di Dio, ma l’indifferentismo assoluto di Tristi tropici. Penso che sia il libro più ateo che sia stato scrit­to al giorno d’oggi, il più disorientato e il più disorien­tante ». Nato nel 1908 da una famiglia ebraica ormai assimila­ta nella società francese, laureato in filosofia, trova la sua strada nella ricerca etnologica grazie alla possibi­lità di insegnare per un periodo all’università di San Paolo, in Brasile. La scelta dell’etnologia – racconta nel­le sue interviste – è stata quasi casuale: per alcuni an­ni, infatti, si era impegnato soprattutto in politica, con il partito socialista e il sindacato e forse, se le occasio­ni fossero state altre, la sua vita avrebbe preso una di­rezione diversa. Gli anni trascorsi a San Paolo, e so­prattutto i mesi di vacanza dall’università passati a fa­re ricerca fra le popolazioni indigene meno contami­nate dalla civiltà occidentale – e questi saranno gli u­nici periodi di ricerca diretta sul campo della sua lun­ga vita di studioso – costituiranno invece il suo battesimo come etnologo e gli faranno scoprire l’intensa at­trazione per l’esotico e il diverso. L’esilio obbligato a New York durante il regime di Vichy lo mette in contat­to con l’antropologia anglosassone, allora all’avan­guardia, e gli consentirà di tessere relazioni durature e importanti anche con la comunità degli intellettuali e­siliati là durante la guerra. Particolarmente feconda la sua amicizia con il linguista russo Roman Jakobson, grazie a cui scoprirà la linguistica strutturale, che gli of­fre la possibilità di arrivare a un sapere oggettivo – co­me quello delle scienze naturali – in cui vedrà la chia­ve per ritrovare, sotto la superficie della storia e degli avvenimenti, la logica che porta il reale a essere quel­lo che è. Egli si pone davanti al mondo come davanti a un testo, che bisogna imparare a leggere e com­prendere direttamente. L’applicazione dell’analisi strutturale ai sistemi di parentela delle tribù amerindie da lui studiate co­stituì il primo banco di prova di queste teorie in­novative. La famiglia, per Lévi-Strauss, non è un fat­to naturale, e ogni spiegazione naturalista non può arrivare a spiegare il suo funzionamento; l’unica spiegazione è quella culturale, che egli trova nei simboli della parentela. Un sistema di parentela, e­gli scrive, «esiste solo nella coscienza degli uomi­ni »: oggi sappiamo bene quali effetti questa affer­mazione ha determinato nelle nostre società.
Il ritorno in Francia nel dopoguerra non fu facile, anche se quelli furono gli anni di una feconda col­laborazione con l’Unesco, per cui scrisse uno dei suoi saggi più famosi, Razza e storia, nel quale con­futava l’esistenza delle razze, nonché quella di una gerarchia fra le culture. Intorno a questa tesi scop­piò un vivace dibattito: Roger Caillois, sociologo e scrittore, accusò Lévi-Strauss di relativismo, per­ché obbligava l’etnologo a essere coscienza criti­ca dei valori della cultura da cui era emerso. Men­tre, al contrario, per Caillois sarebbe proprio l’e­sistenza dell’etnologia a confermare la supe­riorità dell’Occidente sui 'primitivi'.
Un lungo viaggio in Estremo Oriente per l’U­nesco lo metterà in contatto con le religioni orientali e con l’islam, verso cui proverà u­na manifesta antipatia; il suo agnosticismo radicale lo avvicina solo al buddhismo, che considera l’unica religione accettabile. Nel 1954 la sua fama cre­sce improvvisamente grazie a un libro non scientifico, una sorta di romanzo filosofico di viaggio, Tristi tropi­ci,
che lo fa conoscere in tutto il mondo, anche al di fuo­ri degli specialisti. L’ingresso nell’Ecole des Hautes Etudes non avviene, co­me lui voleva, fra le 'Scienze umane' della VI sezione, dominata dagli storici, ma nella V, delle 'Scienze reli­giose', composta, a detta dell’antropologo, di «poveri diavoli». In questo suo atteggiamento, è evidente non solo il disprezzo per le persone (uno dei colleghi era Dumezil!), ma per il tema stesso: egli non considererà mai la religione come tema autonomo di ricerca, ma solo come specchio dell’organizzazione sociale e cul­turale di un popolo. Per questo, il suo interesse si indirizzerà ai miti, alla cui decifrazione dedicherà la seconda parte della sua vita di ricerca, mentre come saggista si cimenterà con i gran­di temi dell’umanità, come il progresso, il rapporto con la matematica, la musica e l’arte, talvolta sollecitato dalle conversazioni con amici come Benveniste, La­can, Merleau-Ponty. Il testo mitico, per lui, non appartiene alla sfera religiosa, ma deve essere decifrato come un linguaggio. Ed è pro­prio sulla questione dell’analisi del mito che si concentra la critica di un altro antropologo francese, René Girard, che nella Francia ipnotizzata dal pensiero levistraussiano non trova spazio, ed è costretto ad emigrare negli Stati U­niti. Girard denuncia la tendenza, in Lévi-Strauss, a «met­tere da parte la verità»; in particolare, per quanto riguar­da il meccanismo della vittima espiatoria, lo strutturali­smo «fa scomparire il sacro». Ma è soprattutto la magi­strale analisi di Girard sui Vangeli come rovesciamento del meccanismo tradizionale del capro espiatorio a costitui­re la confutazione più chiara del relativismo culturale.
Oggi lo strutturalismo non è più di moda fra gli studio­si, ma gli effetti del pensiero di Lévi-Strauss sono evi­denti e forti nell’opinione comune, nella costruzione di un 'politicamente corretto' agnostico e relativista che sembra ormai avere contaminato ogni forma di pensiero.


Avvenire, 24 luglio 2008

Wednesday, July 23, 2008

In Africa quando muore un anziano è una biblioteca che brucia

Gli anziani sono la memoria storica dei nostri villaggi, ed è ciò che fatto dire quella famosa frase allo scrittore maliano Amadou Hampaté Bâ: “In Africa quando muore un anziano è una biblioteca che brucia.”

『ひとりの老人が死ぬことは、ひとつの図書館が燃えてなくなることと同じだ』
「老人が一人亡くなることは、図書館が一つなくなるようなものである。」
口伝文化のアフリカでは、長く生きた人の知恵と経験を大切にするということなんですね。

日本もそうだったはずですが。


マリのアマドゥ・ハンパテ・バーという人の言葉です。
フランス語の原文は以下の通りです。
En Afrique, quand un vieillard meurt, c’est une bibliothèque qui brûle.

«nomina sunt consequentia rerum»

«nomina sunt consequentia rerum» (cfr. Giustiniano, Institutiones, libro II, 7, 3)

Saturday, July 19, 2008

Al-Fatiha la preghiera per eccellenza nell'islam

Sura Al-Fatiha (Arabic: سورة الفاتحة‎, Sūratu al-Fātihah, "The Opening") is the first chapter of the Muslim holy book, the Qur'an. Its seven verses are a prayer for God's guidance and stress the lordship and mercy of God. This chapter has a special role in daily prayers (Salat), being recited at the start of each unit of prayer, or rak'ah.


Al Fatiha

Bismillāhi r-rahmāni r-rahīm
Al-hamdu li-llāhi rabbi l- ālamīn
Ar-rahmāni r-rahīm
Māliki yawmi d-dīn
Iyyāka na budu wa iyyāka nasta īn
Ihdinās irā al-mustaqīm
Sirā al-ladīna an amta alayhim ġayril maġdūbi alayhim walā d-dāllīn.

English
In the name of God, the Most Gracious, the Most Merciful:
Praise be to God, the Lord of the Universe.
The Most Gracious, the Most Merciful.
Master of the Day of Judgement.
You alone we worship, and You alone we ask for help
Guide us to the straight way;
The way of those whom you have blessed, not of those who have deserved anger, nor of those who stray.


Japanese language
万有の主、アッラーにこそ凡ての称讃あれ、
慈悲あまねく慈愛深き御方、
最後の審きの日の主宰者に。
わたしたちはあなたにのみ崇め仕え、あなたにのみ御助けを請い願う。
わたしたちを正しい道に導きたまえ、
あなたが御恵みを下された人々の道に、
あなたの怒りを受けし者、また踏み迷える人々の道ではなく。

Wednesday, July 16, 2008

跪いた神学 Teologia in ginocchio

「跪いた神学」(„kniende Theologie“)
kneeling theology, theology on your knees

Cfr Hans Urs von Balthasar, Theologie und Heiligkeit, Aufsatz von 1948 in: Verbum Caro. Schriften zur Theologie I, Einsiedeln 1960, 195-224.

Balthasar described his theology as a "kneeling theology," deeply connected to contemplative prayer, and as a "sitting theology," intensely connected to faith seeking understanding guided by the heart and mind of the Catholic Church.

"Nell’ansia di ottenere il riconoscimento di rigorosa scientificità nel senso moderno, la teologia può perdere il respiro della fede. Ma come una liturgia che dimentica lo sguardo a Dio è, come tale, al lumicino, così anche una teologia che non respira più nello spazio della fede, cessa di essere teologia; finisce per ridursi ad una serie di discipline più o meno collegate tra di loro. Dove invece si pratica una “teologia in ginocchio”, come richiedeva Hans Urs von Balthasar, non mancherà la fecondità per la Chiesa in Austria ed anche oltre."
(Benedetto XVI VISITA ALL'ABBAZIA DI HEILIGENKREUZ )
Domenica, 9 settembre 2007

Turpiloquio e violenza

La violenza inconfessabile nascosta nel turpiloquio


di Francesco Alberoni

Concludendo, il turpiloquio indica sempre violenza, mancanza di controllo, sfrenatezza.

Corriere della sera, 07 luglio 2008

Sunday, July 13, 2008

Cenare con Dio

Sul tema del primato della grazia, poiché mi pare
che oggi molti italiani vedano il cristianesimo
come una religione del fare, costituita
da soffocanti regole e precetti
cui occorre obbedire, in vista di un imprecisato
premio eterno; per proseguire
con la citata immagine dell’Apocalisse,
si direbbe che molti pensino che Gesù
sia venuto non per cenare con noi, ma
solo per imporci come preparare la cena
e pulire i piatti.

Ravasi, il foglio 13 luglio 2008

Apocalisse 3, 20
Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.

Nonviolenza, perdono nemici ecc.

Vittorio Strada
L’ETICA DEL TERRORE
Fondazione Liberal, 182 pp. euro 18

Vittorio Strada ricorda che anche la teoria di Lev Tolstoj sulla “non resistenza
al male con la forza”, in apparenza la risposta più estrema alle teorie terroriste,
finì di fatto per diventarne complementare. E nell’epilogo cita gli scritti del giurista e filosofo Ivan Il’in, studioso di Hegel, e attivo nell’opposizione in esilio. “Il Vangelo insegna non una compassione animale, ma un amore dell’uomo che sia amore di Dio: insegna un amore ispirato…
Insegnando ad amare i nemici, Cristo intendeva i nemici personali, non i nemici
di Dio e i sacrileghi corruttori, per i quali è detto che siano buttati in acqua con una macina al collo. Insegnando a perdonare le offese, Cristo intendeva le offese personali, non ogni possibile scelleratezza; nessuno ha il diritto di perdonare le offese altrui o di permettere agli scellerati di offendere
i deboli, corrompere i bambini, profanare i templi e rovinare la patria
.

Friday, July 04, 2008

Verbi di Dante

"Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia",
diss'io, "beato spirto, si` che nulla
voglia di se' a te puot'esser fuia.

Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla
sempre col canto di quei fuochi pii
che di sei ali facen la coculla,

perche' non satisface a' miei disii?
Gia` non attendere' io tua dimanda,
s'io m'intuassi, come tu t'inmii".

Paradiso, canto IX


l’altro si “inmia”, cioè diventa me,
e l’io si “intua”, si assimila cioè al “tu”
che gli sta di fronte. E’ come se nell’amore
l’io si ponesse nelle mani del tu e
il tu in quelle dell’io.
L’“intuarsi” però, significando spossessarsi


"Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia",
diss'io, "beato spirto, si` che nulla
voglia di se' a te puot'esser fuia.
"God seeth all things, and in Him, blest spirit,
Thy sight is," said I, "so that never will
Of his can possibly from thee be hidden;


。「神にはすべてが見えています。あなたの姿も、神には見えています。ああ、聖なる魂よ、私のどんな考えも、あなたにはよく分かるでしょう。ですから、六つの翼をずきんとする、敬虔な焔達(神の愛を行使する天使達のセラフィム。イザヤ書6の2に、「上の方にはセラフィムがいて、それぞれ六つの翼を持ち、二つを持って顔を覆い、二つを持って足を覆い、二つを持って飛び交っていた」とある。この六枚の翼が堕落天使の場合どうなったかついては地獄第三十四曲参照)のハーモニーに調和して、永遠に天を喜ばすあなたの声は、どうして私の願いを満たしてくれないのですか? もし私の心の中を、あなたが知っているように、あなたの心の中を私が知っていれば、つまり、私がもしあなたならば、問われるのを待たないで答えるでしょう。」

ascendenze teologiche

padre Pasquale ha detto che “l'Ordine cappuccino intende estrapolare la quintessenza dalla teologia francescana, di fondazione platonica e neoplatonica, proseguita con Agostino, implementata da San Bonaventura e passata a noi dalla teologia di Von Balthasar, da cui proviene dichiaratamente Ratzinger”.
ROMA, mercoledì, 2 luglio 2008 (ZENIT.org).-

Wednesday, July 02, 2008

Paolo e il Gesu storico/risorto

Paolo non racconta nulla del Gesù terreno, ma solo del Crocifisso risorto. La cristologia di Paolo è tutta centrata sull’evento pasquale, sulla doppia faccia dell’evento pasquale, la croce e la risurrezione, dove lui ha percepito questa cosa dirompente, dicevo, che va al di là dei confini d’Israele. D’altronde, è diventata poi tradizionale anche degli scritti giudeo-cristiani non paolini la coscienza che Gesù è venuto ad abolire i sacrifici. Se è venuto ad abolire i sacrifici, vuol dire che la sua identità va al di là delle liturgie templari, è qualcosa che sta al di fuori della categoria del sacro, è aperta al profano – usiamo questa categoria –; e il profano si trova dappertutto, profano è soprattutto ciò che è fuori di Israele come popolo santo (quello che “gli altri” non sono). Ma è proprio per quegli “altri” che Paolo ha percepito la destinazione dell’evento pasquale.

Romano Penna, 30 giorni, maggio 2008