Thursday, June 14, 2012

Probabilmente non e necessario tirare in ballo la cattività babilonese o le cipolle d'Egitto, ma la resistenza o meno al fascino della cultura cananea (politeista) si può considerare senz'altro uno dei temi decisivi che attraversa tutta l'oikonomia dell'antico Patto. Si può legittimamente pensare che nel nuovo Patto questo diventa irrilevante? Oppure dobbiamo pensare diversamente?

Probabilmente non e necessario tirare in ballo la cattività babilonese o le cipolle d'Egitto, ma la resistenza o meno al fascino della cultura cananea (politeista) si può considerare senz'altro uno dei temi decisivi che attraversa tutta l'oikonomia dell'antico Patto. Si può legittimamente pensare che nel nuovo Patto questo diventa irrilevante? Oppure dobbiamo pensare diversamente?



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Missione e rispetto umano


Proviamo a immaginare che Paolo nutrisse un senso di soggezzione o di rispetto umano nei confronti della cultura greca e romana. Cosa rimarrebbe delle sue lettere e  soprattutto della sua testimonianza ad Atene e a Roma? Probabilmente ben poco.
Come si sarebbe comportato Paolo se invece fosse sbarcato a Pechino o a Edo? Siamo nel campo della fanta-teologia, ma se pensiamo al Saverio o a Ricci, probabilmente abbiamo una buona approssimazione alla risposta. Insomma, il rispetto umano non e' sicuramente foriero di una buona prassi missionaria.

Sunday, June 10, 2012

司祭不在のときの主日の集会について

司祭不在のときの主日の集会について


「『ミサに代わる祭儀などありえない。だから司祭の手が十分まわらないからといって、信徒が司式する集会祭儀など行う必要はない』という発言を耳にしたことがあります。このような考え方は正しくありません。」(『司祭不在のときの主日の集会祭儀』、カトリック大阪教区、試用版、2002年発行、4頁)

これを否定する必要はありません。けれども、『使徒的勧告、愛の秘跡』(2008年発行)にはこう書いてあります。

「(司祭が不在であるため主日のミサを行うことができないキリスト教共同体の問題)に関連して、(...)シノドスはまず、信者は、教区の中で、司祭がいることが保証されている教会に行くべきだと勧めました(suasit)。たとえそれがある種の犠牲を求めることになってもです。」(75項)。

この文書は最高の審級(これ以上の権威はない)のものであり、それ以下、それ以前の見解を無効にすると教会法的に考えるべきです。

上記の「正しくありません」には、「ミサがある隣の教会に行くべき」ということが含まれていませんし、そのように拡大して解釈するのはどう見ても妥当ではないでしょう。



Thursday, June 07, 2012

Re: 中岡です、勝手なお願いをいたします。


中岡さん、

先日もらった一ページの資料を書き写し翻訳しましたので、お送りします。まだ、改善できるところが残っているとおもいますが、大体の意味はわかりますので、とりあえず送ります。何かお気づきがあればご連絡ください。

それでは

ボナツィ


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AELI ANTONII NEBRISSENSIS Grammatici Apologia earum rerum quae illi obijeciuntur qoud in quosdam sacrae scripturae locos commentationes quasdam Grammaticas edidit. Ad peroptatum (perornatum) Reverendum in Christo Iesu Patrem acclementissimum, dominum Franciscum Ximenez Archiepiscopum Toletanum et cetera.

彼に献呈されるところの事柄についての文法学者、エリウス・アントニウス・ネブリッセンシスの弁明書。聖書の幾つかの箇所の研究において幾つかの文法書(釈義書?)を書き記した弁明書。非常に願わしい(美しい)、尊敬すべき、キリスト・イエスにおいて極めて慈悲深い慈父、トレドの大司教様フランシスコ・ヒメネツ氏へ

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Atqui inquiunt: etiam si sacri codices essent castigandi: non licere tamen: non solum mihi homini ad sacras litteras non initiato; verum etiam neque ipsis in Theologia Doctoribus et magistris id facere citra Summi Pontificis autoritate; immo et concilii generalis. Et ego quidem fateor ita debere fieri: sed iis tantum: que ad fidem shitaque religionis pertinent. Nam et laicis de fide disputare nominatim interdictum est; Quid etiam neque de orthographia licebit Antonio Nebrissensi disputare: cum liceat eis tertium quodque verbum falsa scriptione corrunpere: non de accentu praeceptiones dare iis: qui artis ratione destituti: quocumque illos fortuna impegit; feruntur praecipites: non verborum sensus abstrusos et reconditos in luce eruere. An non haec est grammatices materia circa quam sola versatur. An si eiusmodi rebus alicui alteri disciplinae opus est: non ne ab hac una mutuari oportet. Nisi forte ad Gregorianum illud confugere volunt: sacras litteras non esse subjectas regulis Donati. Perniciosum sane documentum: si ita intelligatur ut isti volunt. Nam et si ea est grammaticae vis et facultas; ut superioribus disciplinis ancilletur; qua tamen de litteris; de syllabis, de dictionibus; de partium orationis contextu disputat; superior est atque illis imperat dominaturque. Pulchre Diogenes ille cynicus: qui venundatur Xeniadi coepit recenti domino vivendi praecepta tradere. Indignanti vero illi se a servo ulla de re admoneri: dixit. Si ego medicus tu vero aegrotus esses: nonne mihi obtemperares: ut a morbo incolumis evaderes. Quod si rursus ego navis gubernandae peritus essem: tu vero ignarus; non mihi obsequereris: ut ex naufragio uterque nostrum in portum perveniret. Haec servus domino; haec ego infimae artis professor cunctis edico: plaerosque orationes circa rem litterariam aegrotare: atque in hac navicula qua vehimur per hoc mare magnum et spaciosum: omnes errabundos huc atque illuc iactari: atque utrosque egere: illos medico: hos vero gubernatore aliquo non imperito: quibus pareant obtemperentque: etiam si principes: etiam si Reges: etiam si imperatores: etiam si Pontifices. Neque dedignari debent infimae artis opifici parere quamobrem eligit deus infirma mundi huius: ut fortissima quaecumque confunderet et abscondit haes sapientibus ac prudentibus; et revelabit ea parvulis: quamobrem ex ore infantium et lactentium perfecisti laudem propter inimicos tuos. Itaque non quis dicat sed quid dicat considerandum est: atque cuilibet in arte sua credendum. 

聖なる法典を改善すべきとしても、聖書学のてほどきを受けていない私という人間にのみならず、教皇そして無論総公会議の権威のもとにでなければ、神学博士ら自身、教授らにもそれをするのは許されていない。とおっしゃるにもかかわらず、私はそうすべきと主張している。信仰と教義に関わる事柄に限ってであるが。実際、特に信徒に信仰について論じるのは禁じられている。綴字法に関してでさえ、アントニウス・ネブリッセンシスに論じるのは許されないのに、(どうして)彼らに偽の書き方で三単語毎に一つを損ずること(がありうるか)。芸術の考慮に縁のない彼らにアクセントについて指導することが(アントニウス・ネブリッセンシスに許されないのに)、運命は彼 らをどこへ駆り立てても、彼らは滅びに導かれる。(にもかかわらずアントニウス・ネブリッセンシスに許されない)単語の難解で隠れた意味を光のもとにもたらすことを。これは、アントニウス・ネブリッセンシスが唯一従事している分野、つまり文法学者の分野ではない、と。あるいは、もしこの事柄に関して別の学問分野に用があるとしても、(文法学から)一つ借りるべきではない、どちらかである、と。あのグレゴリウス法典に避難所を求める[訳注:おそらく世俗的権力に頼るべきでないという意味]でない限り、聖書はドナトゥス(の『文法学』)の規則に従うようなものではない。彼らが欲するままに理解すれば、これは有害な著作である。実際、もし『文法学』は、文法学の力と職能であり、上位の 学問分野に使えるものであるなら、それが文字、音節、語法、文脈における話の品詞について論じるなら、上位にあり、他の学問分野に命令すると同時に支配もされる。立派に犬儒学派のあのディオゲネス(が語った)。彼はクセニアデスに売られたときに、なったばかりの主人に生きるための掟を伝え始めた。奴隷からそんなことを言われて腹を立てた主人に言った。「私は医者であるなら、あなたは患者であるはず。私の言うことを聞かないなら、どうして病気から立ち直れるだろうか。また、もし私が船の舵取りに熟練しているなら、そしてあなたはそれを全く知らないなら、私に従わないならどうやって我々は遭難から寄港できるのか。奴隷がこう主人に語ったように、身分の最も低い芸術を教える私もすべ てにものを申す。文学についての多くの陳述は病んでいる。そして、広い大海の航海に我々は運ばれているこの小舟には皆迷ってあちこちに投げ回されている。両方は何かを必要としている。一方は医者を。他方はしかし無経験でない舵取りを。従うことのできる、言うことを聞きたくなる医者と舵取りを。君主でも、王侯でも、皇帝でも、教皇でも(皆何かを必要としている)。彼らは、身分の最も低い芸術の職人に従うことを見下すべきではない。なぜなら、神はこの世の身分の最も低いものを選んだから。最も強いもの散らし、これらのことを知恵のある者や賢い者から隠し、小さな者にお示しになったから。敵に向かって、幼子や乳飲み子の口から賛美を作り上げるから。従って、誰それが言ったかではなく 、何を言ったかで判断すべきである。そして、それぞれの専門の人は信じられるべきである。



Wednesday, June 06, 2012

司祭不在のときの主日の集会について 4

集会祭儀を行う主な理由としてよく耳にするのは、「共同体作り」に必要だからです。


ところが、『教会憲章』11項は次のように謳っています。

「エウカリスティア(聖体祭儀=ミサ)はキリスト教的生活全体の源泉で、頂点である」("Eucharistia est totius vitae christianae fons et culmen")と。


これは二千年この方、一貫としてカトリック教会の最も基本的な認識、原理の一つです。カトリック教会の中で、これと異なる原理を立てる神学者は一人もいないというぐらいで、カトリックをカトリックたらしめる所以のひとつである。そして、これからも変わる可能性はないというぐらいで、動かしがたい原理です。


さて、事実上ミサよりも集会祭儀に力を注ぐのであれば、それはつまり集会祭儀に、ミサにない、「共同体作り」のポテンシャルがあると考えるからでしょう。ということは、「キリスト教的生活」の源泉として、ミサと違うものがあるということになります。


この考えを抱くのは、もちろん自由ですが、けれどもこれはカトリックとは違うものであると言わざるをえないでしょう。

Tuesday, June 05, 2012

Benedetto xvi Sulla IX di Beethoven

Concerto nel Teatro alla Scala di Milano, Benedetto XVI, 1° giugno 2012 VISITA PASTORALE ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE (1-3 GIUGNO 2012) CONCERTO IN ONORE DEL SANTO PADRE E DELLE DELEGAZIONI UFFICIALI DELL'INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Teatro alla Scala di Milano Venerdì, 1° giugno 2012 [Video]   Signori Cardinali, Illustri Autorità, Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, Care Delegazioni del VII Incontro Mondiale delle Famiglie! In questo luogo storico vorrei innanzitutto ricordare un evento: era l’11 maggio del 1946 e Arturo Toscanini alzò la bacchetta per dirigere un concerto memorabile nella Scala ricostruita dopo gli orrori della guerra. Narrano che il grande Maestro appena giunto qui a Milano si recò subito in questo Teatro e al centro della sala cominciò a battere le mani per provare se era stata mantenuta intatta la proverbiale acustica e sentendo che era perfetta esclamò: «E’ la Scala, è sempre la mia Scala!». In queste parole, «E’ la Scala!», è racchiuso il senso di questo luogo, tempio dell’Opera, punto di riferimento musicale e culturale non solo per Milano e per l’Italia, ma per tutto il mondo. E la Scala è legata a Milano in modo profondo, è una delle sue glorie più grandi e ho voluto ricordare quel maggio del 1946 perché la ricostruzione della Scala fu un segno di speranza per la ripresa della vita dell’intera Città dopo le distruzioni della Guerra. Per me allora è un onore essere qui con tutti voi e avere vissuto, con questo splendido concerto, un momento di elevazione dell’animo. Ringrazio il Sindaco, Avvocato Giuliano Pisapia, il Sovrintendente, Dott. Stéphane Lissner, anche per aver introdotto questa serata, ma soprattutto l’Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala, i quattro  Solisti e il maestro Daniel Barenboim per l’intensa e coinvolgente interpretazione di uno dei capolavori assoluti della storia della musica. La gestazione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven fu lunga e complessa, ma fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa. Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della Sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole «O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi», parole che, in un certo senso, «voltano pagina» e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia. E’ una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica: «la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco, sotto lo sguardo paterno di Dio» (Luigi Della Croce). Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione. Su questo concerto, che doveva essere una festa gioiosa in occasione di questo incontro di persone provenienti da quasi tutte le nazioni del mondo, vi è l’ombra del sisma che ha portato grande sofferenza su tanti abitanti del nostro Paese. Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza. In quest’ora, le parole di Beethoven, «Amici, non questi toni …», le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica – al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore. Proprio a ciò ci sentiamo chiamati da questo concerto. Grazie, allora, ancora una volta all’Orchestra e al Coro del Teatro alla Scala, ai Solisti e a quanti hanno reso possibile questo evento. Grazie al Maestro Daniel Barenboim anche perché con la scelta della Nona Sinfonia di Beethoven ci permette di lanciare un messaggio con la musica che affermi il valore fondamentale della solidarietà, della fraternità e della pace. E mi pare che questo messaggio sia prezioso anche per la famiglia, perché è in famiglia che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; è in famiglia che si comprende come la realizzazione di sé non sta nel mettersi al centro, guidati dall’egoismo, ma nel donarsi; è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo. E grazie a tutti voi per il momento che abbiamo vissuto assieme. Grazie di cuore!

Archbishop’s memo on Japan addresses evangelization

Archbishop’s memo on Japan addresses evangelization


It was an unusually frank and sincere analysis, one you don’t usually hear from diplomats, let alone Vatican ones.
And in fact, the public was not supposed to read Archbishop Alberto Bottari del Castello’s memo of August 15, 2011, where he summed up his thoughts at the end of his six-year posting as Vatican ambassador to Japan.
The memo is one of the many secret Vatican documents published in a recent book by Italian journalist Gianluigi Nuzzi, Sua Santita, which has sparked an unprecedented crisis within the Vatican and led to the arrest of the pope’s personal butler after Vatican police found “a large number of confidential papal documents” in his home.
Archbishop Bottari del Castello’s memo isn’t the most scandalous or newsworthy item of the book. But it offers a revealing glimpse of the situation of the Church in Japan more than four centuries after the first arrival of Christian missionaries.
While Christians remain a small minority in Japan, in neighboring Korea the number of Christians has risen dramatically over the last decades.
“During all those years, writes the Vatican ambassador to his superiors, “I have felt inside me a question that I’ve also been frequently asked: ‘Why is this wonderful world still far from the Gospel? Why are there only half a million Catholics out of 128 million Japanese?’”
The answer the nuncio offers is the result of his years of conversations and reflection with Japanese bishops, missionaries and lay Catholics.
“Japan has a noble culture, a glorious history [and] a strong national identity linked to some symbols [the emperor] and religious expressions [Shintoism, Buddhism]. To convert to Christianity is to break away from this world, to appear [and also to feel deep down] that one has become ‘less Japanese’.”
The archbishop then goes on to recount how Japanese pride and strong national identity gives them a mixed feeling towards influences coming from abroad.
“They are open and curious, they integrate what is new to their cultural world, but they don’t want to leave it… So much so that you end up thinking that very conversion to the Gospel is almost a miracle.”
And the fact that Catholicism is perceived as a Western phenomenon doesn’t help.
“Some images and lifestyles coming from the Western world and spread by the media, such as violence, materialism, corruption, are seen as part of the Christian world, and thus very difficult to accept.”
According to Archbishop Bottari del Castello’s analysis, this is the root of the long-running dispute between Japan’s Catholic bishops and the Neocatechumenal Way.
“From what we can see, they come here and follow to the letter a method that was born and developed in Europe, without bothering to adapt to the local world. Among them here in Japan, I found the same style I saw in Cameroon, as I was a missionary there 20 years ago: the same guitar-accompanied chants, the same expressions, the same catecheses, all imposed rather than proposed.”
No wonder, then, for the nuncio that “tensions, misunderstandings and reactions” abound, and “as they are sometimes received with little openness to dialogue, they lead up to all-out refusal.”
For the archbishop, the Neocats’ “intentions and goodwill are to be admired” but they lack “integration in the local culture.” Then the archbishop concludes: “This, in my humble opinion, is what the Japanese bishops are asking: to take off the European vest to present the heart of the message in a way that is purified and close to the people.”
Reading these reflections, one can only wonder if they apply to Japan or might be valid elsewhere in Asia, and whether Archbishop Bottari del Castello’s final words received any serious consideration at the Vatican.
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司祭不在のときの主日の集会について 3

司祭不在のときの主日の集会について 3

「教会の第一おきては信者に、(...)祝祭日を聖とするよう求めます。それは、まず第一に、キリスト教共同体が集う聖体祭儀(eucharistia)にあずかることによって、(...)果たされます。」(『カトリック教会のカテキズム』、2042項)

「主日及びその他の守るべき祝日には、信者はミサにあずかる義務を有する。」
「(1)祝日当日又は前日の夕刻、いずこにおいてもカトリックの儀式によって捧げられるミサにあずかる者は、ミサにあずかるべき掟を果たすことになる。
(2)聖務者の不在の場合、()ことばの典礼が執行されるとき、信者はそれに参加するよう大いに勧められる。」(『カトリック新教会法典』、第1247-1248条)

このように主日を聖とすることは、あくまでミサにあずかることである。仕方なくミサはない場合は、集まって祈ることは勧められるだけであって、義務を果たしたわけではありません。
大阪教区のところどころでなされるように、一時間待てば、あるいは15分電車に乗ればミサにあずかれるのに、集会祭儀で十分だと教えられるのは詭弁(ウソも方便)に近いものであり、「濫用をきたすこと」(教会法、第391条、第1389条参照)である以外は言いようがありません。

また、わざとミサをしないように神父たちに圧力をかけることは、仏教的なやり方(ウソも方便)と言えるかもしれないが、踏み絵を踏ませる行為に相当し、カトリックにそぐわない言動であります。

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Monday, June 04, 2012

司祭不在のときの主日の集会 2

『使徒的勧告』は次のように続きます。

「司祭不在のときの集会が、福音と教会の伝統に基づく真理と相いれない教会観が生じるきっかけとならないようによく注意すべきです。」(75項)

日本では、大阪教区ではどの程度の注意を払っているのでしょうか。例えば、「こうした集会を、ミサと、司祭不在のときの主日の集会の違いに関する適切な指針のもとに行わなければなりません」(75項)ということに関しては不十分な点は少なくないと思われます。
また、「典礼が司教協議会がそのために作成し、認可した特定の式次第に従って行われるようにしなければなりません」(75項)ということに関しても、然り。一司教、一教区で決めるものでもなければ、場所によってはバラバラのやり方でもないはずです。

Saturday, June 02, 2012

Chesterton Sui dogmi

Chesterton: la civiltà si fa in chiesa | Cultura | www.avvenire.it Le discussioni teologiche sono sottili ma non magre. In tutta la confusione della spensieratezza moderna, che vuol chiamarsi pensiero moderno, non c’è nulla forse di così stupendamente stupido quanto il detto comune: «La religione non può mai dipendere da minuziose dispute di dottrina». Sarebbe lo stesso affermare che la vita umana non può mai dipendere da minuziose dispute di medicina. L’uomo che si compiace dicendo: «Non vogliamo teologi che spacchino capelli in quattro», sarebbe forse d’avviso di aggiungere: «e non vogliamo dei chirurghi che dividano filamenti ancora più sottili». È un fatto che molti individui oggi sarebbero morti se i loro medici non si fossero soffermati sulle minime sfumature della propria scienza: ed è altrettanto un fatto che la civiltà europea oggi sarebbe morta se i suoi dottori di teologia non avessero argomentato sulle più sottili distinzioni di dottrina. Nessuno scriverà mai una Storia d’Europa un po’ logica finché non riconoscerà il valore dei Concili, della Chiesa, quelle collaborazioni vaste e competenti che ebbero per scopo di investigare mille e mille pensieri diversi per trovare quello unico della Chiesa. I grandi Concili religiosi sono di un’importanza pratica di gran lunga superiore a quella dei Trattati internazionali, perni sui quali si ha l’abitudine di far girare gli avvenimenti e le tendenze dei popoli. I nostri affari di oggi stesso, infatti, sono ben più influenzati da Nicea ed Efeso, da Trento e Basilea, che da Utrecht o Amiens o Versailles. In quasi tutti i casi vediamo che la pace politica ebbe per base un compromesso: la pace religiosa invece si fondava su di una distinzione. Non fu affatto un compromesso dire che Gesù Cristo era vero Dio e vero Uomo, come fu invece un compromesso la decisione che Danzica sarebbe stata in parte polacca ed in parte tedesca: era bensì la dichiarazione di un principio la cui perfetta pienezza lo distingueva sia dalla teoria ariana, sia da quella monofisita. E questo principio ha influito e influisce tuttora sulla mentalità di europei, da ammiragli a fruttivendole, che pensano (sia pure vagamente) a Cristo come a qualcosa di Umano e Divino nello stesso tempo. Mentre il domandare alla fruttivendola quali siano per lei le conseguenze pratiche del Trattato di Utrecht sarebbe meno che fruttuoso. Tutta la nostra civiltà risulta da queste vecchie decisioni morali, che molti credono insignificanti. Il giorno in cui furono portate a termine certe note contese di metafisica sul Destino e sulla Libertà, fu deciso anche se l’Austria dovesse o no somigliare all’Arabia, o se viaggiare in Spagna dovesse essere lo stesso che viaggiare nel Marocco. Quando i dogmatici fecero una sottile distinzione fra la sorta di onore dovuto al matrimonio e quello dovuto alla verginità, stamparono la civiltà di un intero continente con un marchio di rosso e di bianco, marchio che non tutti rispettano, ma che tutti riconoscono, anche mentre l’oltraggiano. Nello stesso modo, allorché si stabilì la differenza tra il prestito legale e l’usura, nacque una vera e propria coscienza umana storica, che anche nello spettacoloso trionfo dell’usura, nell’età materialistica, non si è potuto distruggere. Quando san Tommaso d’Aquino definì il diritto di proprietà e nello stesso tempo gli abusi della falsa proprietà, fondò la tradizione di una schiatta di uomini, riconoscibili allora e ora, nella politica collettiva di Melbourne e di Chicago: e ciò staccandosi dal comunismo coll’ammettere i diritti della proprietà, ma anche protestando, in pratica, contro la plutocrazia. Le distinzioni più sottili hanno prodotto i cristiani comuni: coloro che credono giusto il bere e biasimevole l’ubriachezza; coloro che credono normale il matrimonio e anormale la poligamia; coloro che condannano chi colpisce per primo ma assolvono chi ferisce in propria difesa; coloro che credono ben fatto scolpire le statue e iniquo adorarle: tutte queste sono, quando ci si pensa, molto fini distinzioni teologiche. Il caso delle statue è particolarmente importante in questo argomento. Il turista che visita Roma è colpito dalla ricchezza, quasi sovrabbondanza, di statue che vi si trovano; or bene, il fatto dell’importanza dei Concili diviene ancora più impressionante quando tutto l’avvenire artistico di una terra dipende da una sola distinzione, e la distinzione stessa da un solo Uomo. Fu il Papa, solo, che rilevò la differenza tra venerazione delle immagini e idolatria. Fu lui solo a salvare tutta la superficie artistica dell’Europa e di conseguenza l’intera carta geografica del mondo moderno, dall’essere nuda e priva dei rilievi dell’Arte. Nel difendere quest’idea, il Pontefice difendeva il san Giorgio di Donatello e il Mosè di Michelangiolo, e com’egli fu forte e deciso in Roma così il David sta gigantesco su Firenze, ed i graziosi putti dei Della Robbia sono apparsi come squarci di azzurro e nubi nel Palazzo di Perugia, e nelle celle di Assisi. Se dunque una tale distinzione teologica è un filo sottile, tutta la Storia dell’Occidente è sospesa a quel filo; se non è che un punto di affermazione, tutto il nostro passato è in equilibrio su di affermazione, tutto il nostro passato è in equilibrio su di esso. Gilbert Keith Chesterton SUL «FRONTESPIZIO» DI BARGELLINI Chesterton «l’italiano». Pochi lo sanno, ma il celeberrimo autore di Padre Brown è stato collaboratore di varie riviste italiane del primo Novecento, come «La Ronda», «L’Italia letteraria», «Il Frontespizio» e «L’Illustrazione Toscana». Ora per la prima volta Marco Antonellini ha raccolto 13 articoli dello scrittore inglese, apparsi da noi tra il 1919 e il 1938, nell’antologia «Il soprannaturale è naturale» (Marietti 1820, pp. 110, euro 12). Quello che pubblichiamo in questa pagina è apparso nel 1932 col titolo «Capelli spaccati in quattro» sul mensile cattolico fiorentino «Il Frontespizio», diretto da Piero Bargellini; la traduzione era di Ireneo Speranza, pseudonimo letterario di don Giuseppe De Luca, un’altra delle «anime» della battagliera rivista. Il rapporto con l’Italia di Chesterton (che si convertì al cattolicesimo nel 1922) si sostanziò anche di tre viaggi, l’ultimo dei quali proprio a Firenze nel 1935 – l’anno prima della morte – per una conferenza su «La letteratura inglese e la tradizione latina».