Saturday, August 30, 2008

福音書の論語化 ?

国立国会図書館のメイン・カウンターの右上に下記のギリシア語の文字が刻まれている。

Η ΑΛΗΘΕΙΑ ΕΛΕΥΘΕΡΩΣΕΙ ΥΜΑΣ 

左上にはこう書かれている。

「真理がわれらを自由にする」(国立国会図書館訳)

しかし、これは新約聖書の言葉であり、次のように訳される。


「真理はあなたたちを自由にする」 (新共同訳) 

ヨハネ8、32



http://www.ndl.go.jp/jp/aboutus/shinri.html

Sunday, August 24, 2008

Incarnazione Eliot Cori dalla Rocca

“un momento nel tempo
ma il tempo fu creato attraverso quel momento:
poiché senza significato non c’è
tempo, e quel momento di tempo diede il
significato”

Then came, at a predetermined moment, a moment in time
and of time,
A moment not out of time, but in time, in what we call history:
transecting, bisecting the world of time, a moment in time
but not like a moment of time,
A moment in time but time was made through that moment:
for without the meaning there is no time, and that moment
of time gave the meaning.

Choruses from "The Rock"

Poesia cinese

Poesia cinese: la parola come germoglio

ROMA, sabato, 23 agosto 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'articolo di padre Antonio Spadaro, S.I., apparso su “La Civiltà Cattolica”, nel quale vengono presentate le caratteristiche specifiche della lingua poetica cinese classica.




* * *

La poesia classica cinese dipinge visioni. Il nesso profondo tra le idee e le immagini, tipico di questa esperienza poetica, ha colpito in vario modo l’immaginario occidentale. «Senza dubbio l’uso dei caratteri ideografici ci ha impedito di separare le idee, come avete fatto voi, da quella sensibilità plastica che per noi è sempre collegata con esse»: così si esprime André Malraux, uno dei miti del Novecento francese, vestendo i panni di un giovane cinese di nome Ling in un suo romanzo epistolare del 1926 dal titolo La tentation de l’Occident (1). E basterebbe ricordare quanto lo sguardo cinese abbia inciso su scrittori quali Ezra Pound e William Carlos Williams, che hanno anche curato la compilazione e la traduzione di antologie memorabili (2). Il valore dell’immagine dai contorni netti si univa, in questi poeti, all’esigenza di rifiutare il superfluo, di ricercare una misura nel verso. E queste esigenze nascevano o si consolidavano proprio grazie al contatto con la lettura degli scrittori cinesi: le forme poetiche cinesi implicano un’essenzialità radicale. È ciò che Williams definì come «il rigore della bellezza» (3).

Il rigore della bellezza

Leggiamo una poesia di Wei Ying-wu (736-800 d. C. circa) (4) dedicata a un eremita taoista:

Stamattina nella stanza d’ufficio è freddo:

a un tratto penso a te che stai tra i monti,

presso il torrente, in fondo, raccogli spinosi fastelli,

al ritorno cuoci i bianchi sassi.

Vorrei venire, recarti nella zucchetta il vino,

da lontano a consolarti nella sera del vento e della pioggia.

Quando le cadute foglie riempiono la montagna spoglia,

dove trovare le orme dei tuoi passi?

Il senso di una vita monastica è ritratto con rapide pennellate, e così anche il senso di una relazione, fatta di cura e di ricerca. Vengono dunque restituite emozioni attraverso brevi schizzi descrittivi di luoghi e gesti, realizzati con un’estrema accuratezza di espressione e di immagini. Luoghi, persone e sentimenti convergono in versi chiari, piani, privi di complicazioni di carattere concettuale o sentimentale. Simile intreccio nitido caratterizza la poesia Svegliandomi di notte sul battello di Su Tung-p’o (1037 circa-1101 d.C.) (5):

Fruscio di lieve brezza tra giunchi e erbe palustri,

apro la porta a vedere se piove, il lago colmo di luna,

battellieri e uccelli acquatici fanno gli stessi sogni,

grossi pesci spauriti fuggono come volpi.

A notte fonda uomini e cose si ignorano,

io, solo, corpo e ombra ci divertiamo insieme.

L’ondata notturna traccia sulle sponde sinuosi lombrichi,

la luna tramonta appesa ai salici, lucente ragnatela.

Rapido il tempo della vita tra le diuturne cure,

quanto fuggevoli, i momenti sereni!

Canto di galli, suono di campane, cento uccelli in volo,

rulla il tamburo a prua ed è tutto un vociare.

In Italia varie traduzioni hanno reso possibile il confluire della poesia cinese tra le letture di formazione. Ormai classiche, ad esempio, sono le traduzioni einaudiane di Martin Benedikter, dalle quali abbiamo ripreso la prima poesia citata, e di Giorgia Valensin (6). La presenza della cultura cinese si registra tra i giovani intellettuali che collaboravano alla rivista La Voce, ad esempio, e Biagio Marin. L’introduzione all’antologia di G. Valensin è di Eugenio Montale. Ma segnaliamo che anche uno tra i migliori poeti di questi nostri anni, Claudio Damiani, autore dagli accenti oraziani e profondamente attratto dalla classicità latina, ha nei poeti cinesi della fecondissima epoca T’ang (618-906 d.C.) (7), una forte base ispirativa. Testimonia Damiani: «Ho amato la poesia cinese come qualcosa che mi spingeva oltre il mio tempo, in un futuro antico che m’appariva come un sogno, che m’avvicinava i giganti della poesia cinese (Po chü-i, Li Po, Tu Fu) ai calmi, sereni giganti dell’elegia latina (Properzio, Catullo, Tibullo). Ho visto nella poesia cinese una poesia della terra, perfettamente oggettiva, senza il bisogno di nessuna metafora. Grande poesia della terra, della sua calma, della sua gloria» (8).

Per trattare della poesia cinese e anche per gustarla profondamente occorrerebbe una formazione specialistica, proprio perché essa è espressione di un universo linguistico, filosofico, religioso e culturale molto distante rispetto a quello occidentale. Fra l’altro occorrerebbe comprenderne le forme metriche e distinguere i periodi della sua evoluzione sin dal mitico Shi Jing, cioè il Libro delle Odi, composto tra il 1753 e il 600 a.C. Nelle pagine che seguono, pertanto, non intendiamo presentare l’evoluzione della poesia cinese in quanto tale, ma semplicemente cercheremo di interpretare i motivi per cui essa ha colpito l’immaginario e la poetica di molti artisti occidentali, e che rendono la sua presenza viva nel nostro orizzonte culturale.

«Dipingere a parole»

Uno degli elementi fondamentali e costanti della letteratura cinese è quello descrittivo, che dà vita sia a prose sia a liriche di paesaggio (9). La vista è interpellata e sollecitata continuamente. In alcuni autori l’essere umano appare un piccolo punto dell’universo che vive dentro un paesaggio ampio; in altri è invece al centro di una scena, che attende da lui un senso. Ma a prevalere, specialmente in epoca T’ang, è il primo atteggiamento, per il quale la bellezza di un elemento della natura può prescindere da uno sguardo umano. La bellezza è colta in se stessa, per il suo intrinseco valore, per il suo mistero: «La cavità del monte, con i suoi tesori nascosti; il riflesso degli astri sull’acqua; la discesa di una barca che asseconda la corrente; lo scorcio di un panorama incantevole, tra la vegetazione lussureggiante e rigogliosa; il cambio delle stagioni, incessante nella sua monotonia, eppure ogni anno sempre nuovo; il magico accordo del sole e della luna, pronti a darsi puntualmente il cambio; e molti altri. Ci si riferisce sempre a una grande rete, le cui maglie, strettamente unite, suggellano un’intesa equilibrata tra i fenomeni dell’universo» (10).

Ecco, ad esempio, come viene descritta da Liu Fang-P’ing (742-779) una Notte di luna:

Nella profonda notturna veglia

il lume di luna fende uomini e case,

la Grande Orsa traversa il firmamento nel nord,

il Sagittario declina nel sud.

In questa notte io meglio intendo

l’aria tiepida di primavera:

voce di insetti di nuovo penetra

il verde velo della finestra.

Il rigore della bellezza qui consiste nell’estrema misura delle immagini che comunicano un sentimento del luogo di grande intensità, senza mai però esprimere una parola sentimentale. La luce del lume di luna fende la notte, che è subito inserita e assunta nel vasto movimento cosmico. L’io del poeta giunge all’improvviso come parte consapevole di questa immensità, ma non turba il quadro con la sua presenza, non sovrappone ad esso i suoi sentimenti. Semplicemente afferma di avvertire l’aria di primavera. E il suo intendere rifluisce e si perde nella voce degli insetti che penetra il velo della finestra dalla quale sta contemplando il paesaggio. La capacità dell’essere umano è quella di divenire partecipe del paesaggio proprio attraverso le immagini che gli ideogrammi compongono. Veramente il lettore si avverte dentro la scena.

A questo punto la domanda fondamentale è la seguente: «In che senso si possono considerare vera poesia versi scritti in termini di geroglifici? Può sembrare difficile che la poesia, la quale come la musica è arte di tempo, intessendo la propria unità da successive impressioni sonore, possa assimilare un veicolo verbale consistente per lo più in richiami visivi semipittorici» (11). Il poetare cinese è stato definito un dipingere a parole, e il quadro che viene dipinto si potrebbe definire «essenzialmente impressionista»: «agisce direttamente sul sistema nervoso, e così risveglia risonanze sorde e potenti nei centri della sensibilità estetica» (12). Molti poeti cinesi sono stati, del resto, anche pittori, e la calligrafia era una sorta di ponte tra le due arti. È interessante notare come Lu Ji, un autore classico vissuto nel III sec. d.C., nel suo L’arte della poesia (13), primo vero trattato cinese di poetica, scrive sulla scelta delle parole in una poesia: Il cielo e la terra sono catturati in forma visibile: / ogni cosa emerge / dall’interno del pennello. Le immagini dunque partecipano attivamente alla costruzione della poesia, a tal punto da rendere superflue connessioni di tipo narrativo o temporale o consecutivo. Ciò che potrebbe essere idea astratta viene reso sotto forma di immagine. Gli stessi ideogrammi sono immagini stilizzate (14).

Spesso il significato si sprigiona dall’accostamento di due o più ideogrammi che si fondono insieme in una unità, e dalle immagini che essi sviluppano, lasciando campo aperto alla fantasia. Facciamo qualche esempio esplicativo di ideogrammi composti da due elementi differenti (15): cuore e autunno esprimono la malinconia, la tristezza; uomo e albero esprimono il riposo; uomo e parola comunicano fiducia e fedeltà. Al centro dell’ideogramma «amore» troviamo il simbolo per il cuore racchiuso da quello del respiro, nella parte superiore, e da quello del movimento aggraziato, nella parte inferiore. Cielo e terra uniti in un unico carattere significano l’universo; il tamburo e la danza significano l’incoraggiamento; la lancia e lo scudo, la contraddizione. Si notano infine sintagmi che formano espressioni simboliche: la polvere rossa indica la vanità della gloria; le acque che scorrono verso est, la fuga del tempo; l’oca selvatica che vola verso ovest esprime la separazione e il rimpianto. Spesso, proprio accostando immagini ovvie, si genera un effetto inatteso, e le immagini devono luccicare / come perle nell’acqua, scrive Lu Ji. I sentimenti e le idee «scoccano» dalle cose, grazie al loro semplice apparire nel verso senza aggiunte sentimentali.

Nella poesia cinese, dunque, è la visione che genera il sentimento, non l’espressione verbale. Come giustamente ha affermato E. Weinberger nella sua introduzione a una nota antologia di poesia cinese, questa poetica ha influenzato quella americana per quasi un secolo (16). Forse l’espressione più semplice, celebre e diretta di questa lezione orientale è il motto del poeta Williams Carlos Williams: no ideas but in things, niente idee se non nelle cose.

Una parola dinamica e guizzante

La poesia cinese dunque si fonda sulle immagini, le quali rendono superflue le connessioni logiche, per gli occidentali invece così fondamentali. Il cinese letterario è una lingua non flessiva e dunque non esistono né la coniugazione verbale né la declinazione di sostantivi e aggettivi. Così l’ideogramma è un «nodo di energia» che unisce la cosa, l’azione e la sua descrizione senza alcun tipo di «colla retorica» (17). Tutto è in relazione spontanea e simultanea: verbi, nomi, cose e azioni.

Lo aveva capito bene Malraux, il quale fa scrivere polemicamente a Ling in una sua lettera: «Quando dico: il gatto, ciò che domina la mia mente non è l’immagine d’un gatto: sono certi movimenti agili e silenziosi tipici del gatto. Voi distinguete una specie dall’altra per la sua linea. Una simile distinzione si fonda soltanto sulla morte. (Dicono che i vostri pittori, un tempo, studiassero le proporzioni del corpo umano disegnando cadaveri). Il concetto di specie è ciò che collega le forme assunte dalla vita negli individui che le appartengono: la necessità di particolari movimenti» (18). Ad esempio, la semplice frase «l’uomo vede il cavallo» in cinese è resa da tre caratteri che hanno gambe stilizzate: l’uomo sulle sue due gambe, il suo occhio che percorre lo spazio con una figura audace di gambe che corrono sotto un occhio (cioè il verbo «vedere»), e infine il cavallo sulle sue quattro zampe (19).







Nella visione cinese dunque la «cosa» non è separata dall’«azione»: essa include il suo movimento, è un quadro fluido, dinamico. La maggior parte delle radici ideografiche conservano in sé un’idea verbale di azione. Non rappresentano una «cosa», ma la sua qualità vitale, il loro muoversi, qualcosa di attivo e progressivo. I nomi nella loro radice sono verbi. Si potrebbe dire davvero che la «parola» in cinese è sempre «verbo»: il nome è ciò che compie qualcosa: «Le cose non sono che i punti terminali o, meglio, i punti d’incontro delle azioni, sezioni intersecanti le azioni, istantanee» (20). L’occhio cinese vede e presenta nome e verbo come un tutt’uno: cose in moto, moto nelle cose. Se diciamo «l’albero è verde», la copula rende statica la realtà che indica. Spesso verbi intransitivi e la copula nelle lingue occidentali tendono a comunicare una sorta di «fermo immagine», di natura morta. Ciò è implicitamente inteso come falso da un cinese: la realtà non è mai statica. Egli semmai direbbe: l’albero si «inverdisce» (21).

Si potrebbe dire un’immagine cinematografica, come ben comprese Sergej Ejzenštejn, che proprio studiando il cinese giunse a pensare il montaggio come la giustapposizione di due ideogrammi (22). La poesia cinese ha il vantaggio unico di combinare il suono della parola alla sua immagine, per cui «leggendo il cinese non stiamo ad agitare bussolotti mentali, ma osserviamo cose evolvere il proprio fato» (23). È interessante notare come una splendida raccolta di prose cinesi sul paesaggio tradotte in francese abbia come titolo Les formes du vent (24): è proprio il vento con la sua potente dinamicità o con il suo lieve tocco veloce a dare dimensione e forma al paesaggio, che mai dunque è statico e identico a se stesso.

Questa caratteristica della lingua cinese fa riflettere più in generale sulla natura della parola poetica. Essa infatti appare chiamata non a compiere il ritratto statico o astratto delle cose, ma a cogliere la loro intrinseca dinamicità. La poesia cinese aiuta il suo lettore a cogliere nella realtà le relazioni e i processi anche in ciò che appare statico a una prima veloce occhiata. È come se la poesia consistesse proprio in questo: cogliere il continuo divenire di ogni realtà, le sue tensioni vive, e farle vivere al suo lettore. La parola diventa guizzante, come scrive Lu Ji: riportiamo parole vive, / come pesci presi all’amo / che balzano dal profondo (25).

Una lingua non flessiva

Spesso, inoltre, i versi cinesi si giocano su contrapposizioni, che vengono normalmente rese nelle lingue come l’italiano da congiunzioni subordinanti avversative, temporali, consecutive (mentre, invece, intanto,…) che consentono di compiere molte operazioni con le frasi, di disporle gerarchicamente rispetto a un altro enunciato, di modellarle secondo le nostre intenzioni comunicative. Nella poesia cinese invece tutto diventa contemporaneo e immediato, tutto corrisponde a un colpo d’occhio. Sarà poi l’intuizione del lettore a scomporre e a «comprendere» le ricche connotazioni che l’accostamento delle immagini produce.

Lo scrittore Jack Kerouac nel suo romanzo autobiografico I Vagabondi del Dharma propone al personaggio Japhy di tradurre la poesia cinese volgendo il significato degli ideogrammi, ma elidendo quelle necessarie aggiunte che caratterizzano le versioni nelle lingue occidentali (26). La poesia Rivo montano, ad ovest di Ch’u-Chou del già citato Wei Ying-wu potrebbe essere tradotta così, nello stile occidentale:

Solitario, m’innamoro di erbe scure a ridosso del torrente;

e i rigogli dorati, lì nel profondo dei rami, fanno il verso.

La marea primaverile, accompagnata dalla pioggia, è arrivata al-

l’improvviso, questa sera;

mentre è priva d’equipaggio una barca di traverso, lì, all’attracco

dei traghetti.

Possiamo immedesimarci nel poeta che si trova a ridosso di un torrente, colpito dalla bellezza della vegetazione. La scena appare mossa dalla pioggia, che già cade da un certo tempo e si unisce alla marea. In questo paesaggio che pian piano si è composto appare una barca senza equipaggio e solitaria, che oscilla di traverso sull’acqua nel punto di attracco. Se però leggiamo una sorta di traslitterazione «alla Kerouac», per così dire, vediamo come gli elementi sono accostati come rilievi di una visione che prende significato dal suo insieme. Questo infatti potrebbe essere il risultato: Solo ad amare teneramente erbe nascoste che crescono in riva all’acqua / Al di sopra esserci rigogolo nel profondo degli alberi cantare / Marea primaverile accompagnata dalla pioggia verso sera precipitarsi / Imbarcadero senza nessuno barca da sola di traverso (27). Ma per chi ha letto la prima traduzione risulta difficile staccarsi da quella prima impressione e riformulare la scena secondo la propria immaginazione.

Un altro esempio, la poesia di Meng Hao-jan (689-740 d. C.) Alba di primavera (28). Alla lettera la «traduzione» potrebbe essere la seguente: Primavera sonno non sentire alba / Dovunque udire canto uccelli / Notte scorsa vento pioggia suono / Fiori cadere sapere quanti? Già qui il lettore si trova spiazzato e dovrà leggere più volte questi versi per orientarsi e comporre un proprio quadro. Ecco allora la versione di Benedikter, la quale comunque lascia grande spazio all’immaginazione:

Profondo sonno di primavera non vede l’alba.

Intorno intorno suona canto d’uccelli.

A notte scroscio di pioggia e vento:

i fiori caddero, quanti?

Il testo originale in ideogrammi, e dunque in immagini stilizzate, lascia al lettore il gusto della ricomposizione della scena, suggerisce una visione senza imporla nei suoi dettagli. Il Premio Nobel Gao Xingjian (29) ha compiuto interessanti riflessioni sulla sua lingua madre intesa come una vera e propria forma di percezione dell’esistenza. Egli considera che la coscienza umana non è lineare, ma spiccatamente vivace, discontinua, e ciò risalta davvero poco, nella rigida struttura di tempo, soggetto e predicato delle lingue occidentali. Mentre il cinese, grazie alla sua flessibilità, avrebbe proprio gli stessi caratteri distintivi che ha il movimento della coscienza (30). E, dunque, di questi stessi movimenti ha bisogno per essere compresa. Il coinvolgimento è la condizione affinché la lettura si faccia esperienza estetica, rendendoci consapevoli dei processi dell’esperienza stessa, mettendo in gioco le facoltà immaginative e percettive del lettore.

Il processo indefinito della traduzione

Tutto ciò ha una conseguenza immediata per la traduzione: non esistono traduzioni che possano vantare una fedeltà che non sia pienamente interpretativa. Il primo verso della poesia sopra citata, ad esempio, contiene una parola che è tradotta, nella versione di Benedikter, con il verbo «vedere», ma che significa anche conoscere e destarsi. Così altri hanno tradotto: Dopo il sonno, a primavera, insensibilmente ecco l’alba (Demiéville); altri ancora: Il sonno a primavera ignora l’alba (Mancuso); altri Me ne sto a dormire, ed ignoro l’alba primaverile (Arena).

Davanti a un testo cinese si ha dunque l’impressione di essere davanti a qualcosa di non compiuto in se stesso, di magmatico, capace di attivare la percezione, ma non di definirla e delimitarla in maniera precisa. Il lettore, e a maggior ragione il traduttore, non può adeguarsi a una visione data, ma deve necessariamente ricostruirla, divenirne partecipe, entrare nella scena che essa compone come un attore o uno spettatore. Lu Ji sembra descrivere così tale dinamicità del verso:

La rete delle immagini, lanciata, si allarga

sempre di più: il pensiero perlustra

sempre più a fondo:

Lo scrittore offre la fragranza dei fiori freschi,

un’abbondanza di germogli che sboccia.

Venti vivaci sollevano le metafore;

nuvole si alzano

da una foresta di pennelli.

Il mondo intero sembra in movimento. La poesia cinese dunque va letta con l’animo disposto a comporre visioni interiori, immagini che sono lasciate all’intuizione del lettore. E questo è anche il criterio della traduzione. Infatti ha ragione l’orientalista Ernest Fenollosa: solamente quando «siamo costretti a tradurre in una lingua assai differente, riusciamo per un momento a possedere il calore interno del pensiero che fonde le parti del discorso per rimodellarle a piacimento» (31). Se questo vale per chi è in grado di leggere il testo originale, vale anche per chi, consapevole del continuo intervento del traduttore dal cinese nel declinare sostantivi e aggettivi e nel coniugare i verbi, sa «liberare» il testo usando in maniera creativa la traduzione.

È ciò che ha fatto di recente il poeta Claudio Damiani. Lasciamogli il racconto diretto della sua esperienza di riformulazione di una traduzione classica: «Ci fu un tempo in cui avevo nella mente, e la masticavo e ruminavo senza fine, l’incredibile traduzione benedikteriana del Canto dell’eterno dolore di Po Chü-i (opera famosa in Cina com’è per noi, ad esempio, il canto di Paolo e Francesca di Dante). Ripetendola dentro di me, mi si veniva configurando però in metro di sequenza di settenari. In realtà la sua trascrizione completa in settenari […] è uno dei lavori più faticosi della mia carriera di scrittore […]. Non conoscevo, e non conosco, la lingua cinese, né l’antica scrittura letteraria, qualcosa m’ha tenuto lontano dal suo studio, qualcosa m’ha fatto aderire al testo di Benedikter in modo ossessivo, infantile, come preso da un sogno, come nell’impossibilità di staccarmene» (32). Da queste riformulazioni, in realtà, sono poi germogliate anche nuove poesie originali. E prima di lui anche la scrittrice Elena Bono, leggendo una poesia di Li Po, ne ha composto una sua nuova (33). Il grande poeta cinese, forse il più noto, aveva scritto:

Stavo seduto a bere e non mi accorsi del buio

finché cadenti petali m’empirono le pieghe dell’abito.

Ebbro, mi alzai, camminai verso il ruscello lunare;

gli uomini erano rari e gli uccelli non c’erano più.

E la Bono nella sua Leggendo una poesia di Li-Po così prosegue:

Vedo davanti agli occhi quel tuo ruscello lunare,

sento i tuoi incerti passi nel grande buio.

Non c’è nel mio animo nulla di ciò che è mio,

non un dolore, e neppure un ricordo.

Solo i tuoi incerti passi che vanno, Li Po,

che vanno ancora, incerti, nel grande buio.

Ma è anche ciò che ha fatto Ezra Pound che, come disse T. S. Eliot, ha inventato la poesia cinese in lingua inglese. Le antiche poesie cinesi riprese da un grande poeta diventano altre poesie. E proprio grazie alle «traduzioni» di Pound ha avuto inizio la presenza delle poesie classiche cinesi nella coscienza poetica del mondo occidentale, destando anche l’interesse per la poesia cinese contemporanea (34). «I sinologi dovrebbero ricordare che scopo della traduzione poetica è la poesia, non le definizioni verbali nei dizionari» (35): è questo il principio guida. In ogni caso ecco il consiglio migliore: «leggere un singolo verso, in modo da impregnarsi dell’immagine e dei pensieri ivi racchiusi, per sforzarsi di coglierne i tratti essenziali e conservarne la forza e il calore» (36). Del resto, basta ascoltare ancora una volta il maestro Lu Ji:

Quando si intaglia un manico d’ascia con un’ascia,

certo il modello è a portata di mano.

Ma ogni scrittore scopre una nuova via d’accesso al mistero,

ed è cosa difficile da spiegare.

1 Cfr A. MALRAUX, La tentazione dell’Occidente, Milano, Excelsior 1881, 2007, 101.

2 Cfr E. Pound, Confucio. L’antologia classica cinese, Milano, Scheiwiller, 1994, che è la versione italiana dell’originale a cura di Carlo Scarfoglio; e The New Directions Anthology of Classical Chinese Poetry, New York, New Directions, 2003.

3 Cfr Z. Qian, Orientalism and modernism: the legacy of China in Pound and Williams, Durham, Duke University Press, 1995, 43.

4 Si pone subito un problema tecnico riguardo alla trascrizione dei nomi cinesi in questo nostro saggio. Il sistema di romanizzazione della lingua cinese introdotto nel 1958 dalla Repubblica Popolare Cinese, e ora di uso comune in tutto il mondo, è il pinyin, standard adottato dall’Onu dal 1977. Tuttavia nell’ambito letterario, specialmente quello delle traduzioni ormai «classiche» nella nostra lingua, risponde al sistema Wade-Giles, pubblicato per la prima volta nel 1859 da Thomas Francis Wade, e modificato da Herbert Allen Giles nel 1912, che nel passato è stato massicciamente utilizzato nei Paesi di lingua inglese. Dunque qui di seguito per evitare confusioni al nostro lettore adottiamo quest’ultimo criterio. Tuttavia ecco tra parentesi la trascrizione dei nomi qui citati in pinyin: Wei Ying-wu (Wei Yingwu), Su Tung-p’o (Su Dongpo), Po Chü-i (Bo Juyi oppure Bai Juyi), T’ang (Tang), Li Po (Li Bo oppure Li Bai), Tu Fu (Du Fu), Liu Fang-p’ing (Liu Fangping), Meng Hao-jan (Meng Haoran). Sia nelle note sia nel testo i nomi degli autori classici sono sempre indicati per esteso.

5 Citiamo la traduzione di A. Bujatti nella plaquette SU DONGPO, Andar per acqua. Tre liriche, Milano, Scheiwiller, 2004.

6 Rispettivamente: Le trecento poesie T’ang, Torino, Einaudi, 1961 e Liriche cinesi (1753 a.C.-1278 d.C.), ivi, 1943.

7 Agli inizi del XVIII secolo fu raccolta la produzione poetica di questi tre secoli aurei, e furono compilati 900 volumi che raccolgono 48.900 composizioni di oltre 2.200 autori. Qualche decennio dopo fu compilata un’antologia di 300 composizioni maggiori, che è poi quella tradotta in italiano da Benedikter e qui già citata.

8 C. Damiani, Sognando Li Po, Genova, Marietti, 2008, 7.

9 Per la prosa raccomandiamo l’antologia: M. Vallette-Hémery (ed.), Le forme del vento. Paesaggi cinesi in prosa, Genova, il Melangolo, 2008.

10 Così riassume Leonardo Vittorio Arena nella sua «Introduzione» al volume da lui curato Poesia cinese dell’epoca T’ang, Milano, Rizzoli, 1998, 16.

11 E. Fenollosa, L’ideogramma cinese come mezzo di poesia. Una ars poetica, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1960, 12.

12 P. DEMIÉVILLE, «Letteratura cinese», in Le civiltà dell’Oriente, vol. II, Roma, Casini, 1957, 927.

13 Cfr LU JI, L’arte della scrittura, Parma, Guanda, 2002. Cfr l’interessante parallelo con Orazio in A. Bujatti, «Orazio, Lu Ji e la nobiltà della parola scritta», in Oss. Rom., 12-13 marzo 2007. Desideriamo ringraziare la sinologa Anna Bujatti per la generosa consulenza fornitaci nella stesura di questo articolo.

14 Risulta di grande efficacia sfogliare, ad esempio, i volumi E. Fazzioli - E. Chan Mei Ling, Caratteri cinesi. Dal disegno all’idea, 214 caratteri per comprendere la Cina, Milano, Mondadori, 2003 e Y. Huaqing, La scrittura cinese. La simbologia degli ideogrammi dall’oggetto alla sua astrazione grafica, Milano, Vallardi, 2003, dove tutti i caratteri fondamentali sono analizzati nel processo di trasformazione dalla primitiva rappresentazione dell’oggetto alla grafia attuale.

15 Ricaviamo gli esempi da F. Cheng, La poesia T’ang, Napoli, Guida, 1987, 240 s.

16 Cfr The New Directions Anthology of Classical Chinese Poetry, cit., XXVI.

17 Ivi, XXI.

18 A. MALRAUX, La tentazione…, cit., 91-93.

19 Cfr E. FENOLLOSA, L’ideograma cinese, cit., 15.

20 Ivi, 17.

21 Fenollosa ricorda che in inglese il verbo «è (is)» deriva dalla radice ariana as, cioè respirare, ed «essere (to be)» deriva da bhu, cioè crescere. Cfr ivi, 24.

22 Come nella poesia cinese due segni in fila non vengono letti come la loro addizione ma come il loro prodotto, così anche due fotogrammi successivi. Per cui far vedere un cane e una bocca significa «abbaiare», ma una bocca e un uccello «cantare» ecc. Cfr il saggio «Il principio cinematografico e l’ideogramma», in S. Ejzenštejn, La forma cinematografica, Torino, Einaudi, 1986.

23 Cfr E. FENOLLOSA, L’ideograma cinese, cit., 16.

24 Les formes du vent. Paysages chinois en prose, Paris, Albin Michel, 2007. Abbiamo già citato l’edizione italiana.

25 Il guizzo di cui parla Lu Ji ha una sonorità propria: non bisogna dimenticare che la poesia veniva non solamente letta ma anche recitata, quasi cantata. Questo sfugge totalmente al lettore che legge in traduzione, e sfugge ormai, in parte, persino al lettore cinese moderno, ma è un aspetto che non può essere ignorato, anche perché determina la scelta dei vocaboli in funzione della loro musicalità.

26 Scrive Kerouac commentando una traduzione di Japhy: «“Perché non lo traduci così com’è, cinque segni, cinque parole? Cosa sono quei primi cinque segni?”. “Segno per salire, segno per su, segno per freddo, segno per montagna, segno per sentiero”. “Be’, allora traduci ‘Salendo su sentiero Montagna Fredda’». «“Già, ma allora come fai col segno di lungo, il segno di gola, il segno di ingombro, il segno di valanga, il segno di grandi rocce?”. “Dove sono?”. “Nel terzo verso, che infatti si dovrebbe leggere come ‘Lunga gola ingombra valanga grandi rocce’”. “Be’, così va ancora meglio!”»: J. Kerouac, I Vagabondi del Dharma, in Romanzi, Milano, Mondadori, 2006, 549.

27 Riprendiamo le differenti traduzioni rispettivamente dai volumi curati da L. V. Arena e da F. Cheng, già entrambi citati.

28 La seconda traduzione è di Benedikter nel volume da lui curato, la prima è di Girolamo Mancuso nell’introduzione alla sua antologia Poesie cinesi d’amore e di nostalgia, Roma, Newton Compton, 1995.

29 Cfr A. SPADARO, «“… nel linguaggio la nostra coscienza”. La narrativa di Gao Xingjian», in Civ. Catt. 2002 II 150-157.

30 Cfr G. Xingjian - Y. Lian, Il pane dell’esilio. La letteratura cinese prima e dopo Tienammen, Milano, Medusa, 2001, 52.

31 E. FENOLLOSA, L’ideogramma cinese, cit., 26.

32 C. DAMIANI, Sognando Li Po, cit., 7 s.

33 E. BONO, I galli notturni, Milano, Garzanti, 1952, 151.

34 Qui ci limitiamo a segnalare al pubblico italiano Nuovi poeti cinesi, Torino, Einaudi, 1996 e due splendidi testi di Ai Qing: La mangiatoia, Novara, Interlinea, 1999 e Id., Morte di un nazareno, ivi, ambedue a cura di A. Bujatti.

35 E. FENOLLOSA, L’ideogramma cinese, cit., 11.

36 L. V. ARENA, «Introduzione», in Poesia cinese dell’epoca T’ang, cit., 22.

© La Civiltà Cattolica 2008 III 127-139 quaderno 3794

Friday, August 22, 2008

Charles Taylor e Tommaso

UMBERTO GALEAZZI, Tommaso d'Aquino nel pensiero contemporaneo, Roma, Aracne, 206, 210, euro 13,00.

"Altro autore che Galeazzi confronta con Tommaso e' Charles Taylor. Sebbene non si riscontrino sue citazioni dirette di testi tommasiani, il fiolosofo canadese presenta una evidente prossimita' teorica nei confronti del pensiero di Tommaso in alcuni temi base della sua ricerca. Il riferimento e' soprattutto a due argomenti: la tensione al bene come caratteristica dell'indentita' umana, e la liberta', che Taylor difende contro i vari determinismi psico-fisici e storico sociali."

recensione di G. Esposito su La Civilta' Cattolica, 5 luglio 2008.

Wednesday, August 20, 2008

Erotica e mistica

E’ significativo che la prima enciclica di Benedetto XVI abbia per tema la concupiscenza e la mistica, l’eros e l’agape. L’amore come passione umana, l’amore come passione divina. Non è mai accaduto che una enciclica parlasse un linguaggio della erotica e della mistica come un linguaggio unitario. Se dovessimo tradurre nel linguaggio della tradizione teologica i termini usati dal Papa, dovremmo dire che eros corrisponde alla natura e l’agape alla grazia. Ma il Papa ha preferito usare un linguaggio diverso che mette in relazione appunto l’erotica e la mistica, la passione dell’uomo per l’altro e per il dominio dell’altro la passione di Dio per donare l’uomo sé stesso. Il Papa ha così voluto segnare l’uscita della chiesa dal tempo della secolarizzazione. E questo avviene quando un laicismo totale tende a fare della scelta umana la realtà della natura e il contenuto della libertà.

Il tema dell’omosessualità è divenuto emblematico perché esso viene interpretato come una scelta culturale, una determinazione del contenuto dell’esistenza. Non è l’omosessualità in sé che fa il problema, ma il fatto che essa divenga l’emblema della scelta umana come criterio della moralità e quindi, ancora una volta, il diritto pubblico prende il posto della libertà e della morale. In un tempo in cui la tradizione cristiana non passa di padre in figlio e la scienza divenuta tecnica sembra la forma di un mondo fatto dall’uomo senza misura neanche di sé stesso, la fermezza nel difendere l’essenza del cattolicesimo da parte del Papa è il vero segno del tempo: drammatico eppure consolante.


Gianni Baget Bozzo

http://www.ilfoglio.it/soloqui/816

Sunday, August 17, 2008

Charles Taylor (2)

中野剛充著『テイラーのコミュニタリアニズム 自己・共同体・近代』

勁草書房、2007年1月刊行



まえがき





チャールズ・テイラー(Charles Taylor)とは誰なのだろうか?この答えを知っている方はこの「まえがき」をとばして、序論から読んでいただきたい。しかし多くの人は、たとえば「コミュニタリアンの一人」といった観点からのみ、彼のことを知っているのではないだろうか。「コミュニタリアン」は彼を理解する一つのキーワードであることを認めざるをえないし、本著のタイトルを、「テイラーのコミュニタリアニズム」としたのも、そこが一番の理由になっている。しかしその他にも、例えば「多文化主義者」や「(分析)哲学者」、「ヘーゲル研究者」あるいは「カソリック社会主義者」としてのみ彼を理解している人が大勢いるのだ。

 これは日本語圏だけの話ではない。英語圏でも学者がそれぞれ、ある分野の研究者として、その分野の視点から、彼のことを「多文化主義者」や「ヘーゲル研究者」として理解しているケースがほとんどである。しかしいったい「チャールズ・テイラーとは誰なのか」と問うならば、彼はきわめて多面的で、領域横断的な思想家であることがみえてくる。その証拠に、これまでに発表された彼の思想に関する研究書は私が知るかぎり全部で4冊あるが、いずれもメインタイトルは彼の名前そのままの『Charles Taylor』となっている。これはつまり、彼の思想と経歴が、一言で言い表すことができないほど多様であることを意味しているのではないだろうか。

その中の一冊のサブタイトルには「深い多様性を思考しながら生きる(thinking and living deep diversity)」と記されているものがある。「深い多様性を思考しながら生きる」テイラーとは、どういうことであろうか?これはたんに彼が、プロテスタント・英語系が圧倒的な北米大陸で、カソリックの(フランス語圏である)ケベック人(事実彼は、イギリス系の父とフランス系の母の元に生まれている)として生きているということにとどまらないであろう。また、彼が世界においてもまれに見るほど多文化化が進んでいるカナダに生まれ、思想伝統において「大陸哲学」と「英米(分析)哲学」のあいだで思考している、ということだけでもないだろう。「深い多様性を思考しながら生きる」ことの意味を、テイラーの半生を簡単に追いながら、少し読み解いてみよう。

1931年カナダ・ケベック州生まれのテイラーは、ケベック州モントリオールにあるマギル大学を卒業した後(1952)、イギリス・オックスフォード大学に学び、マルクス主義と実存主義に関する博士論文を書いて博士号を取得した(1961)。オックスフォード在学中から、イギリス「ニュー・レフト」運動の創始者の一人として活動し、彼はそこで、ソ連型社会主義とは別の形の「ヒューマニスティック」な社会主義のあり方を模索していた。後にいわゆる「カルチュラル・スタデーズ」のリーダーとなるスチュアート・ホールらとともに、雑誌『ユニヴァーシティーズ・アンド・レフト・レビュー』を立ち上げたりもしている。この雑誌はその後、E.P.トムソンやA・マッキンタイアらの雑誌『ニュー・リーズナー』と合併して、『ニュー・レフト・レビュー』となり、テイラーはその初代編集者の一人となっている。またテイラーは、イギリスのニュー・レフトにはじめてマルクスの『経済学・哲学草稿』を持ち込んで、「ヒューマニスティックな社会主義」の可能性を一歩進めた人物としても知られる(ちなみにこのころ、テイラーはハンガリーの非合法地下大学の援助なども行っていた)。

他方でテイラーは、オックスフォード大学でアイザイア・バーリンと出会い、生涯にわたる交友関係を築いていった。テイラーはバーリンの下で学び、その後は、バーリンの思想の最も正当な継承者にして最大の批判者の一人となったのである(第三章第二節)。

カナダに帰国したテイラーは、カナダのマギル大学で教鞭をとりつつ、カナダ・ケベックの「政治家」としても活動を始めている。テイラーは、1960年代以降、カナダの民主主義的社会主義政党であるNDP(新民主党)から4度にわたって立候補し、一度は自由党から長く(1968-84の間に16年間にわたって)首相を務めた現代カナダを最も象徴する政治家といわれたピエール・トルドーと同じstar candidateとして議席を争ったこともある。4度とも落選したものの、NDPの副党首まで務めた。

その後、次第にアカデミックな活動に重点を置くようになったテイラーは、最初の著作『行動の説明』(1964)以来、徹底した自然主義(naturalism)批判者として、多くの著作と論文を著していった。1960年代から1980年代にかけて、テイラーは、人文・社会科学を自然科学に還元しようとする当時の潮流――彼が自然主義と呼ぶもの――を批判して、「自己解釈(self-interpretation)」的存在としての「人間行為者(human agency)」を考察の対象とすべきことを訴えている(第一章、第二章)。

1980年代以前のテイラーの業績で最も定評があるのは、いわゆる大陸哲学と英米(分析)哲学を架橋する仕事であろう。彼は、ヘーゲル、ハイデガー、ガダマー、メルロ・ポンティといったヨーロッパ哲学の伝統を背景に、狭義には分析哲学、広義には人文・社会科学全体を対象としつつ、そこに解釈学的な方法論を導入し、また独自のヘルダー解釈やウィトゲンシュタイン解釈に基づいて、人間と言語の(決して「道具的」ではありえない)本質的な関係性を解明していった。こうしたテイラーの研究は、『科学革命の構造』のトーマス・クーン、『文化の解釈学』のクリフォード・ギアーツ、『哲学と自然の鏡』のリチャード・ローティ、『コンピューターには何ができないか』のヒューバート・ドレイファスといった英語圏を代表する哲学者たちに、少なからず影響を与えたといわれている。

またテイラーは、英語圏では最高のヘーゲル研究者の一人としても知られている(第四章第一節)。1975年の大著『ヘーゲル』、および1979年にその一部を要約した『ヘーゲルと近代社会』の刊行は、それまでのカール・ポパーやシドニー・フックらによる偏狭なヘーゲル理解を、英語圏から一掃したといっても過言ではないだろう。テイラーは、ポスト・マルクス時代における哲学の可能性を提示する人物としてのヘーゲル、あるいは、西欧近代の最大の倫理的課題である「啓蒙主義とロマン主義のコンフリクト」を止揚した人物としてのヘーゲルという、新しいヘーゲル像を提示したのであった。

1980年代になると、テイラーはいわゆる「西欧近代」の問題にとりかかりはじめる。この時期には、他にも例えば、ハーバーマスやフーコーやマッキンタイアなどの思想家が同じ問題に取り組んでいるが、テイラーの立場は、「西欧近代」を全否定するのでも全肯定するのでもなく、そこに隠されたいくつかの善を「分節化(articulation)」することによって、主としてポスト・ロマン主義的な道徳性に、西欧近代の「救済」の道を見出そうとするものであった(第五章)。大著『自己の諸源泉』(1989年刊、現在までの主著と見なされている)や、その一部を発展させた小著『真正さの倫理』(1991年)は、この時期の代表作である。

また同じく1980年代から、テイラーはいわゆる「コミュニタリアニズム」の代表的論客の一人として、大きな注目を集めるようになる(第四章)。70年代から80年代にかけて、英語圏においてはジョン・ロールズの『正義論』(1971年)が脚光を浴び、政治学・経済学・哲学・倫理学といった領域に「ロールズ産業」が構築されたとまで言われていた。これに対してテイラーは、ロールズの『正義論』に代表される現代リベラリズムの偏狭な自己概念や政府の中立性の概念を批判し、「トクヴィル主義者」として、民主主義的コミュニタリアニズムの理念を対置したのであった。テイラーの思想は、アミタイ・エッツィオーニらに継承され、アメリカ合衆国では「応答するコミュニタリアン運動」として大きな勢力を形成していく。そして彼らのコミュニタリアニズムは、ビル・クリントン前大統領やアル・ゴア前副大統領といった「ニュー・デモクラッツ」たちに、少なからず政治的影響を与えたといわれている。

1990年代になると、テイラーは『多文化主義と「承認の政治」』(1992=1995)を発表して、「多文化主義」論争の中心的な人物として注目を浴びる(第四章)。この論文その他によって、テイラーは、現代における人間のアイデンティティと「承認(recognition)」の本質的な関係性を明らかにし、1990年代のケベック危機(1995年の州民投票においては、50.5%対49.4%の僅差で、カナダからのケベック分離・独立が否決されている)に対して真摯な政治的・文化的な提言をおこなった。テイラーはこのとき、一方では偏狭なケベック・ナショナリズムを批判しつつ、他方では個人の権利を絶対視する連邦(憲章)主義を否定して、多様なアイデンティティを生き、かつ承認するという、「深い多様性(deep diversity)」の理念を訴えたのであった。

近年のテイラーは、宗教、とくにキリスト教とカソリックの問題を正面から取り扱うようになっている。批判者たちは、テイラーの思想のカソリック的な側面(例えば目的論的な性格など)を批判するが、個人の信仰としてのカソリシズムはともかく(彼は前ローマ法王ヨハネ・パウロ二世とも深い親交があった)、彼の思想全体を「カソリック」の観点から理解することはやはり難しいであろう。ただし近年、テイラーにとって、カソリックや宗教そのものの現代世界における意味や役割が大きなテーマになりつつあり、現在(2006年9月)執筆中と言われる大著も、その方向性で議論が展開されるものと思われる。

このようにテイラーは、まさに自身の生と思考において、深い多様性を生きてきた人物であった。その多様性の内実については、本論で詳しく検討していきたい。最後に、ナンシー・フレイザーが「9.11は『承認の政治』である」と述べているように、テイラーが提起した「アイデンティティと承認」の問題や、現代世界と宗教の関係、そして彼が近代の本質的な問題とする「諸々の善の和解(reconciliation)」の問題は、今後も21世紀全体を覆う大きな問題となることは予想するに難くない。こういった意味においても、テイラーの思想は、これからも注意深く読みこむ価値があるように思われる。

http://www.econ.hokudai.ac.jp/~hasimoto/Nakano%20Takamitsu%20Taylors%20Communitarianism%20Preface.htm

Charles Margrave Taylor

http://www.tku.ac.jp/~juwat/blog/book_blog/2008/05/post_68.html

1992. The Malaise of Modernity, being the published version of Taylor's Massey Lectures. Reprinted in the U.S. as The Ethics of Authenticity. Harvard University Press ★



チャールズ・テイラー『<ほんもの>という倫理』産業図書
・「ほんもの」は英語では「オーセンティシティ」という。「リアリティ」とはまた違う意味で、アカデミックな世界ではよくつかわれることばだ。たとえば、「オーセンティック」なロック音楽、「ほんもの」のミュージシャンといった言い方がされる。それが、じぶんでも気にいったものなら、ほとんど疑問ももたずに、すぐに同調したくなる。ここで「オーセンティック」や「ほんもの」という評価の根拠となるのは、多分、音楽性や芸術性、あるいは文学性といったものだ。優れているからそう評価されるのだから、そこには当然、「名誉」や「称賛」の気持がともなうことになる。

・一方で、「ほんもの」にはかならず、その対比として、そうでないものが含意されていて、そこには、いんちき、偽物、屑といったことばがつかわれる。何かを高く評価するためには、低い評価のものとの比較が必要で、そうした方がぜったいわかりやすいし、説得力もあるからだ。
・だから、このことばを使うことにはある種の抵抗やためらいもある。たとえばポピュラー音楽でいえば、そもそもその価値はクラシック音楽との比較の上で、たえず偽物やがらくたとして蔑まれてきたという歴史をもっている。ロックは、その価値を転倒させた音楽だが、今度は、それをほんものとして、別の音楽を屑だと批判するようになった。その気持はわかるし、ぼくも、そう言いたくなることがしょっちゅうある。けれども、そこには何かすっきりしない、わだかまりものこってしまう。

・テイラーは、その点を「名誉」と「尊厳」の違いとして説明する。つまり、「名誉」は社会階層を基礎にして感じられるものだが、「尊厳」は、普遍主義的で平等主義的な前提にたつというのである。現在の社会通念では、階級や階層は差別意識の土台として非難され、「人間の尊厳」はすべての人に平等に分けもたれたものとして受けとめられている。だから、何かを指して「ほんもの」だとか「オーセンティック」だということに感じるわだかまりは、そうではないものの「尊厳」を否定するニュアンスを自覚するからだ、ということになる。
・テイラーは、「人間の尊厳」を否定せずに、なおかつ何かを、誰かを「オーセンティック」だとするやり方はあるという。彼によれば、「オーセンティシティ」は、じぶんよりも大きな社会、世界、宇宙といったところに立ったときに考えられる「重要な問いの地平」、あるいは「道徳的理想」を基準にして判断されるものである。すべての人の権利や尊厳を認める「平等」という原則は、基本的には相対主義的なものだが、現代のそれは「重要な問いの地平」や「道徳的理想」をきれいに捨象してしまっているから、人それぞれの多様性や雑多なものごとを横並びで共存させて、尊重しているふうを装っているだけだ、ということになる。

・だとすると、ロック音楽における「オーセンティシティ」は、まず第一に、この社会に対する批判精神の有無によって判断されるということになるだろう。それがなければ、どれほどの人気に支えられようと、音楽性が高かろうと、それは「ほんものではない」と言えるはずである。

・テイラーは「[自己の]外部からやってくる道徳的な要請や、他者との真剣な関わり合い」を軽視、あるいは認めずに「自己達成を人生の主要な価値とする」傾向を「ナルシシズムの文化」と呼ぶ。彼によれば、これこそが、ほんものという倫理を陳腐なものにした元凶である。「ナルシシズム的な自己達成」は何より自由を主張して、関心を自分にのみ向けがちになる。それは平等を基盤にした「人間的尊厳」に支えられる生き方だが、同時に、自分を他者より優った者、つまり、自己の「ほんもの性」をたえず確認したがる存在でもある。
・現在の消費社会、とりわけ「ブランド」イメージは、このような欲望に訴える。自己の「アイデンティティ」は「重要な他者がわたしのうちに承認しようとするアイデンティティとの対話のなかで、またときには闘争のなかで、自分のアイデンティティを定義」してはじめて、自他の間で了解されるものになるが、「イメージ」を消費してまとう限りは、そのような面倒なやりとりは必要ない。



人生の意味を追求し、じぶん自身を有意義な仕方で定義しようとする行為者は、重要な問いの地平に生きねばなりません。そしてそれこそは、自己達成にひたすら邁進して社会や自然の要求と対立する現代文化の流儀、歴史を隠蔽し、連帯の絆を見えなくさせる現代文化の流儀では、やろうにも自滅するほかないことなのです。


・何か、誰かの「ほんもの性」を問うことは、当然、自分に跳ね返って、自分の「アイデンティティ」を見つめなおせと問い詰めてくる。その自覚がないところでは、「ほんもの論議」はまた、無益に消費されるものでしかない。この意識は、世界中のどこより、現在の日本人に欠けているもののように思う。

------------------------------

日本語での紹介文献としては

中野剛充『テイラーのコミュニタリアニズム』勁草書房 2007
田中智彦「両義性の政治学――チャールズ・テイラーの政治思想」 『早稲田政治公法研究』、第53号、1996年12月、293-323頁、 第55号、1997年8月、213-244頁

------------------------------------------------------

チャールズ・テイラー博士、京都賞を受賞

京都賞は稲盛財団が創設した「科学や文明の発展、また人類の精神的深化・高揚に著しく貢献した方々の功績を讃える国際賞」である。
1985年に始まり、今年が24回目。
チャールズ・テイラー博士の受賞理由は「多様な文化の共存を目指す社会哲学」の構築に貢献したというもの。
「全体論的個人主義」の立場から「共同体主義」と「多文化主義」を唱え、歴史・伝統・文化を異にする人間同士が、複合的アイデンティティを保持しつつ幸福に共存しうる社会哲学を構築し、人類社会の進むべき方向を自らの人生を通して示してきたという説明が付されている。



http://www.inamori-f.or.jp/laureates/k24_c_charles/ctn.html

第24回(2008年)受賞者 / 思想・芸術部門 / 思想・倫理
チャールズ・マーグレイヴ・テイラー (Charles Margrave Taylor)
カナダ / 1931年11月5日
哲学者
マギル大学 名誉教授

「多様な文化の共存をめざす社会哲学の構築」
「全体論的個人主義」の立場から「共同体主義」と「多文化主義」を唱え、歴史・伝統・文化を異にする人間同士が、複合的アイデンティティを保持しつつ幸福に共存しうる社会哲学を構築し、人類社会の進むべき方向を自らの人生を通して示してきた。

|プロフィール|業績|プレス資料|
業績
多様な文化の共存をめざす社会哲学の構築
チャールズ M.テイラー博士は、「全体論的個人主義」の立場から、「共同体主義」と「多文化主義」を唱え、歴史・伝統・文化を異にする人間同士が、複合的アイデンティティを保持しつつ、幸福に共存しうる社会哲学を構築し、その実現に向けて努力してきた傑出した哲学者である。

博士は、原子論的な人間観、方法論的個人主義・行動主義に基づく人間理解や自然主義的な人間科学を批判し、現象学・解釈学や言語ゲーム論を基盤に「哲学的人間学」を立て、人間は価値と目的とをもって行動する「自己解釈する動物」—日常的感情や道徳的直観を言語に分節化し、目的や価値の重要度を主体的に評価して行動する存在—と定義する。博士は、近代の功利主義哲学が価値選択を個人の感情や主観にゆだねている点を批判し、人間は共同体のなかで他者との会話を通じてアイデンティティを確立し、善なること、価値あること、為すべきこと、賛同・反対することを自己決定する枠組みを獲得していく存在であり、社会関係に埋め込まれた自己だとする。

博士は、当代最高と評されるヘーゲル研究を成し遂げ、ルソーやヘルダーの思想を掘り起こし、またガダマーの「地平の融合」や「影響作用史」の思想を導入することにより歴史的文脈のなかに自己の思想を位置づけ、説得力のある社会理論を構築した。重要なのは「承認」の概念であり、それをもとに、「独白的自己」に「対話的自己」を対置し、「絶対的自由」に代えて「状況内の自由」を提示する。そして、人間は他者からアイデンティティを承認されることによってのみ善く生きられること、個人の自律を重視するリベラリズムを実現する条件として、共同体の絆が重要であり、共同体意識が不可欠であることを主張するのである。

テイラー博士の「多文化主義」の基礎にも「承認」概念がある。近代社会におけるアイデンティティは、ときに歪められた承認に依拠するために、抑圧になりやすく、他者から押し付けられた「自己表象」の変更をめざす闘争ともなる。博士は「多様な性格や気質をもつ多数の人間に長く意味の地平を与えてきた諸文化は、たとえわれわれが嫌悪したり拒否すべきものを多くふくむ場合ですら、賞賛と尊重に値するものを確実に含むと想定するのが理にかなう」という原則を提示し、深い多様性を生きる人間の尊厳と、その承認の要求に正当な根拠を与えた。

博士はまた、活動する知識人、市民として、出身国カナダでは少数者の文化的同一性保持の集団的権利の承認を求める政治活動をする一方、グローバルな価値を非西洋社会の具体的条件を考慮しながら追求し、欧米中心主義からの脱却も試みている。博士が一貫して志向してきたのは相互承認に基づく社会であり、人間の物語全体に占める自己の位置が限られ、文化の優劣を決める絶対的尺度からは遠くにいるという自覚のもとに、各人が対話を通じて限定された理解の枠組みを替える相互努力をすることで、よりよき理解をめざす社会である。テイラー博士は、多様な異質の文化の承認に基づく共存に未来を託し、人類社会の進むべき方向を、自らの人生を通して示してきた、卓越した思想家である。

Sunday, August 10, 2008

Olympics




http://www.time.com/time/cartoonsoftheweek/0,29489,1826599_1741786,00.html

Thursday, August 07, 2008

Notre besoin de consolation est impossible à rassasier

Notre besoin de consolation est impossible à rassasier (1952)
Stig DAGERMAN (1923-1954)
Traduit du suédois par Philippe Bouquet


Je suis dépourvu de foi et ne puis donc être heureux, car un homme qui risque de craindre que sa vie soit une errance absurde vers une mort certaine ne peut être heureux. Je n’ai reçu en héritage ni dieu, ni point fixe sur la terre d’où je puisse attirer l’attention d’un dieu : on ne m’a pas non plus légué la fureur bien déguisée du sceptique, les ruses de Sioux du rationaliste ou la candeur ardente de l’athée. Je n’ose donc jeter la pierre ni à celle qui croit en des choses qui ne m’inspirent que le doute, ni à celui qui cultive son doute comme si celui-ci n’était pas, lui aussi, entouré de ténèbres. Cette pierre m’atteindrait moi-même car je suis bien certain d’une chose : le besoin de consolation que connaît l’être humain est impossible à rassasier.


En ce qui me concerne, je traque la consolation comme le chasseur traque le gibier. Partout où je crois l’apercevoir dans la forêt, je tire. Souvent je n’atteins que le vide mais, une fois de temps en temps, une proie tombe à mes pieds. Et, comme je sais que la consolation ne dure que le temps d’un souffle de vent dans la cime d’un arbre, je me dépêche de m’emparer de ma victime.

Qu’ai-je alors entre mes bras ?


Puisque je suis solitaire : une femme aimée ou un compagnon de voyage malheureux. Puisque je suis poète : un arc de mots que je ressens de la joie et de l’effroi à bander. Puisque je suis prisonnier : un aperçu soudain de la liberté. Puisque je suis menacé par la mort : un animal vivant et bien chaud, un cœur qui bat de façon sarcastique. Puisque je suis menacé par la mer : un récif de granit bien dur.


Mais il y a aussi des consolations qui viennent à moi sans y être conviées et qui remplissent ma chambre de chuchotements odieux : Je suis ton plaisir – aime-les tous ! Je suis ton talent – fais-en aussi mauvais usage que de toi-même ! Je suis ton désir de jouissance – seuls vivent les gourmets ! Je suis ta solitude – méprise les hommes ! Je suis ton aspiration à la mort – alors tranche !


Le fil du rasoir est bien étroit. Je vois ma vie menacée par deux périls : par les bouches avides de la gourmandise, de l’autre par l’amertume de l’avarice qui se nourrit d’elle-même. Mais je tiens à refuser de choisir entre l’orgie et l’ascèse, même si je dois pour cela subir le supplice du gril de mes désirs. Pour moi, il ne suffit pas de savoir que, puisque nous ne sommes pas libres de nos actes, tout est excusable. Ce que je cherche, ce n’est pas une excuse à ma vie mais exactement le contraire d’une excuse : le pardon. L’idée me vient finalement que toute consolation ne prenant pas en compte ma liberté est trompeuse, qu’elle n’est que l’image réfléchie de mon désespoir. En effet, lorsque mon désespoir me dit : Perds confiance, car chaque jour n’est qu’une trêve entre deux nuits, la fausse consolation me crie : Espère, car chaque nuit n’est qu’une trêve entre deux jours.


Mais l’humanité n’a que faire d’une consolation en forme de mot d’esprit : elle a besoin d’une consolation qui illumine. Et celui qui souhaite devenir mauvais, c’est-à-dire devenir un homme qui agisse comme si toutes les actions étaient défendables, doit au moins avoir la bonté de le remarquer lorsqu’il y parvient.


Personne ne peut énumérer tous les cas où la consolation est une nécessité. Personne ne sait quand tombera le crépuscule et la vie n’est pas un problème qui puisse être résolu en divisant la lumière par l’obscurité et les jours par les nuits, c’est un voyage imprévisible entre des lieux qui n’existent pas. Je peux, par exemple, marcher sur le rivage et ressentir tout à coup le défi effroyable que l’éternité lance à mon existence dans le mouvement perpétuel de la mer et dans la fuite perpétuelle du vent. Que devient alors le temps, si ce n’est une consolation pour le fait que rien de ce qui est humain ne dure – et quelle misérable consolation, qui n’enrichit que les Suisses !


Je peux rester assis devant un feu dans la pièce la moins exposée de toutes au danger et sentir soudain la mort me cerner. Elle se trouve dans le feu, dans tous les objets pointus qui m’entourent, dans le poids du toit et dans la masse des murs, elle se trouve dans l’eau, dans la neige, dans la chaleur et dans mon sang. Que devient alors le sentiment humain de sécurité si ce n’est une consolation pour le fait que la mort est ce qu’il y a de plus proche de la vie – et quelle misérable consolation, qui ne fait que nous rappeler ce qu’elle veut nous faire oublier !


Je peux remplir toutes mes pages blanches avec les plus belles combinaisons de mots que puisse imaginer mon cerveau. Etant donné que je cherche à m’assurer que ma vie n’est pas absurde et que je ne suis pas seul sur la terre, je rassemble tous ces mots en un livre et je l’offre au monde. En retour, celui-ci me donne la richesse, la gloire et le silence. Mais que puis-je bien faire de cet argent et quel plaisir puis-je prendre à contribuer au progrès de la littérature – je ne désire que ce que je n’aurai pas : confirmation de ce que mes mots ont touché le cœur du monde. Que devient alors mon talent si ce n’est une consolation pour le fait que je suis seul – mais quelle épouvantable consolation, qui me fait simplement ressentir ma solitude cinq fois plus fort !


Je peux voir la liberté incarnée dans un animal qui traverse rapidement une clairière et entendre une voix qui chuchote : Vis simplement, prends ce que tu désires et n’aie pas peur des lois ! Mais qu’est-ce que ce bon conseil si ce n’est une consolation pour le fait que la liberté n’existe pas – et quelle impitoyable consolation pour celui qui s’avise que l’être humain doit mettre des millions d’années à devenir un lézard !


Pour finir, je peux m’apercevoir que cette terre est une fosse commune dans laquelle le roi Salomon, Ophélie et Himmler reposent côte à côte. Je peux en conclure que le bourreau et la malheureuse jouissent de la même mort que le sage, et que la mort peut nous faire l’effet d’une consolation pour une vie manquée. Mais quelle atroce consolation pour celui qui voudrait voir dans la vie une consolation pour la mort !


Je ne possède pas de philosophie dans laquelle je puisse me mouvoir comme le poisson dans l’eau ou l’oiseau dans le ciel. Tout ce que je possède est un duel, et ce duel se livre à chaque minute de ma vie entre les fausses consolations, qui ne font qu’accroître mon impuissance et rendre plus profond mon désespoir, et les vraies, qui me mènent vers une libération temporaire. Je devrais peut-être dire : la vraie car, à la vérité, il n’existe pour moi qu’une seule consolation qui soit réelle, celle qui me dit que je suis un homme libre, un individu inviolable, un être souverain à l’intérieur de ses limites.


Mais la liberté commence par l’esclavage et la souveraineté par la dépendance. Le signe le plus certain de ma servitude est ma peur de vivre. Le signe définitif de ma liberté est le fait que ma peur laisse la place à la joie tranquille de l’indépendance. On dirait que j’ai besoin de la dépendance pour pouvoir finalement connaître la consolation d’être un homme libre, et c’est certainement vrai. A la lumière de mes actes, je m’aperçois que toute ma vie semble n’avoir eu pour but que de faire mon propre malheur. Ce qui devrait m’apporter la liberté m’apporte l’esclavage et les pierres en guise de pain.


Les autres hommes ont d’autres maîtres. En ce qui me concerne, mon talent me rend esclave au point de pas oser l’employer, de peur de l’avoir perdu. De plus, je suis tellement esclave de mon nom que j’ose à peine écrire une ligne, de peur de lui nuire. Et, lorsque la dépression arrive finalement, je suis aussi son esclave. Mon plus grand désir est de la retenir, mon plus grand plaisir est de sentir que tout ce que je valais résidait dans ce que je crois avoir perdu : la capacité de créer de la beauté à partir de mon désespoir, de mon dégoût et de mes faiblesses. Avec une joie amère, je désire voir mes maisons tomber en ruine et me voir moi-même enseveli sous la neige de l’oubli. Mais la dépression est une poupée russe et, dans la dernière poupée, se trouvent un couteau, une lame de rasoir, un poison, une eau profonde et un saut dans un grand trou. Je finis par devenir l’esclave de tous ces instruments de mort. Ils me suivent comme des chiens, à moins que le chien, ce ne soit moi. Et il me semble comprendre que le suicide est la seule preuve de la liberté humaine.


Mais, venant d’une direction que je ne soupçonne pas encore, voici que s’approche le miracle de la libération. Cela peut se produire sur le rivage, et la même éternité qui, tout à l’heure, suscitait mon effroi est maintenant le témoin de mon accession à la liberté. En quoi consiste donc ce miracle ? Tout simplement dans la découverte soudaine que personne, aucune puissance, aucun être humain, n’a le droit d’énoncer envers moi des exigences telles que mon désir de vivre vienne à s’étioler. Car si ce désir n’existe pas, qu’est-ce qui peut alors exister ?


Puisque je suis au bord de la mer, je peux apprendre de la mer. Personne n’a le droit d’exiger de la mer qu’elle porte tous les bateaux, ou du vent qu’il gonfle perpétuellement toutes les voiles. De même, personne n’a le droit d’exiger de moi que ma vie consiste à être prisonnier de certaines fonctions. Pour moi, ce n’est pas le devoir avant tout mais : la vie avant tout. Tout comme les autres hommes, je dois avoir droit à des moments où je puisse faire un pas de côté et sentir que je ne suis pas seulement une partie de cette masse que l’on appelle la population du globe, mais aussi une unité autonome.


Ce n’est qu’en un tel instant que je peux être libre vis-à-vis de tous les faits de la vie qui, auparavant, ont causé mon désespoir. Je peux reconnaître que la mer et le vent ne manqueront pas de me survivre et que l’éternité se soucie peu de moi. Mais qui me demande de me soucier de l’éternité ? Ma vie n’est courte que si je la place sur le billot du temps. Les possibilités de ma vie ne sont limitées que si je compte le nombre de mots ou le nombre de livres auxquels j’aurai le temps de donner le jour avant de mourir. Mais qui me demande de compter ? Le temps n’est pas l’étalon qui convient à la vie. Au fond, le temps est un instrument de mesure sans valeur car il n’atteint que les ouvrages avancés de ma vie.


Mais tout ce qui m’arrive d’important et tout ce qui donne à ma vie son merveilleux contenu : la rencontre avec un être aimé, une caresse sur la peau, une aide au moment critique, le spectacle du clair de lune, une promenade en mer à la voile, la joie que l’on donne à un enfant, le frisson devant la beauté, tout cela se déroule totalement en dehors du temps. Car peu importe que je rencontre la beauté l’espace d’une seconde ou l’espace de cent ans. Non seulement la félicité se situe en marge du temps mais elle nie toute relation entre celui-ci et la vie.


Je soulève donc de mes épaules le fardeau du temps et, par la même occasion, celui des performances que l’on exige de moi. Ma vie n’est pas quelque chose que l’on doive mesurer. Ni le saut du cabri ni le lever du soleil ne sont des performances. Une vie humaine n’est pas non plus une performance, mais quelque chose qui grandit et cherche à atteindre la perfection. Et ce qui est parfait n’accomplit pas de performance : ce qui est parfait œuvre en état de repos. Il est absurde de prétendre que la mer soit faite pour porter des armadas et des dauphins. Certes, elle le fait – mais en conservant sa liberté. Il est également absurde de prétendre que l’homme soit fait pour autre chose que pour vivre. Certes, il approvisionne des machines et il écrit des livres, mais il pourrait tout aussi bien faire autre chose. L’important est qu’il fasse ce qu’il fait en toute liberté et en pleine conscience de ce que, comme tout autre détail de la création, il est une fin en soi. Il repose en lui-même comme une pierre sur le sable.


Je peux même m’affranchir du pouvoir de la mort. Il est vrai que je ne peux me libérer de l’idée que la mort marche sur mes talons et encore moins nier sa réalité. Mais je peux réduire à néant la menace qu’elle constitue en me dispensant d’accrocher ma vie à des points d’appui aussi précaires que le temps et la gloire.


Par contre, il n’est pas en mon pouvoir de rester perpétuellement tourné vers la mer et de comparer sa liberté avec la mienne. Le moment arrivera où je devrai me retourner vers la terre et faire face aux organisateurs de l’oppression dont je suis victime. Ce que je serai alors contraint de reconnaître, c’est que l’homme a donné à sa vie des formes qui, au moins en apparence, sont plus fortes que lui. Même avec ma liberté toute récente je ne puis les briser, je ne puis que soupirer sous leur poids. Par contre, parmi les exigences qui pèsent sur l’homme, je peux voir lesquelles sont absurdes et lesquelles sont inéluctables. Selon moi, une sorte de liberté est perdue pour toujours ou pour longtemps. C’est la liberté qui vient de la capacité de posséder son propre élément. Le poisson possède le sien, de même que l’oiseau et que l’animal terrestre. Thoreau avait encore la forêt de Walden – mais où est maintenant la forêt où l’être humain puisse prouver qu’il est possible de vivre en liberté en dehors des formes figées de la société ?


Je suis obligé de répondre : nulle part. Si je veux vivre libre, il faut pour l’instant que je le fasse à l’intérieur de ces formes. Le monde est donc plus fort que moi. A son pouvoir je n’ai rien à opposer que moi-même – mais, d’un autre côté, c’est considérable. Car, tant que je ne me laisse pas écraser par le nombre, je suis moi aussi une puissance. Et mon pouvoir est redoutable tant que je puis opposer la force de mes mots à celle du monde, car celui qui construit des prisons s’exprime moins bien que celui qui bâtit la liberté. Mais ma puissance ne connaîtra plus de bornes le jour où je n’aurai plus que le silence pour défendre mon inviolabilité, car aucune hache ne peut avoir de prise sur le silence vivant.


Telle est ma seule consolation. Je sais que les rechutes dans le désespoir seront nombreuses et profondes, mais le souvenir du miracle de la libération me porte comme une aile vers un but qui me donne le vertige : une consolation qui soit plus qu’une consolation et plus grande qu’une philosophie, c’est-à-dire une raison de vivre.

EUROCENTRISM?

ヨーロッパの伝統は日本の伝統ではないが、しかし、明治維新以来日本はヨーロッパとアメリカから科学技術だけでなくその文化や思想をも(換骨奪胎したり浅薄に理解したりしながら)受容してきたのであり、近代以降の日本文化はそうして受容された西欧文明なしには理解できない。ヨーロッパの伝統はもう以前から日本の伝統の一部と言っていいのである。プラトンやシェイクスピアはわれわれ日本人にとっても古典となった。麻生建自身が当の論文でガダマーの解釈学やヤウス〔Jauss〕の受容美学をある仕方で理解して日本に紹介したという活動も、そのような文明史的過程を構成するひとつの出来事なのである(そしてもちろん、この訳者も、そしてこの「訳者あとがき」も)。(巻田悦郎、「訳者あとがき」、ガダマー著『真理と方法II』、法政大学出版局、2008年、(22)頁)

Wednesday, August 06, 2008

Eco-ethica

Eco-Ethics and Contemporary Philosophical Reflection
The Technical Conjuncture and Modern Rationality
McCormick, Peter
2008, 192 S, Kt, (Winter)
Bestell-Nr. 146349 26,00 EUR


This is the first of two volumes dedicated to a sympathetic yet critical articulation of eco-ethics, the project of the distinguished contemporary Japanese philosopher, Tomonobu Imamichi. The basic idea of an eco-ethics is that the now global technological transformation of the human milieu requires radical ethical innovation. In the first of two books published simultaneously, Peter McCormick sets out the major lines of the eco-ethical project in comparison and contrast with outstanding work in contemporary philosophical reflection. He elucidates eco-ethics sympathetically but critically under four headings - moral and ethical realisms, correspondence and coherence accounts of truth, rationalities and aesthetics, interpretation theories and relativisms.


Eco-Ethics and an Ethics of Suffering
Ethical Innovation and the Situation of the Destitute
McCormick, Peter
2008, 192 S, Kt, (Winter)
Bestell-Nr. 146350 26,00 EUR


After situating the eco-ethical project in the contexts of four major themes in contemporary philosophical reflection in the companion volume published simultaneously, Eco-Ethics and Contemporary Philosophical Reflection, Peter McCormick now suggests a re-articulation and critical appraisal of ecoethics in terms of its two cardinal concepts, the technological conjuncture and ethical innovation. In the second part he then articulates one direction only that further work on the ecoethical project might follow, namely sustained philosophical inquiry into what he has discussed elsewhere in terms of a 'negative sublime” and the deep pathos of famine, the global necessity today for an ethics of suffering. When taken together, both books open perspectives on how contemporary Western philosophical reflection can benefit from broadening its present scope to more active engagements with contemporary East Asian reflection.