Saturday, October 31, 2020

TENEREZZA PER GLI “ULTIMI UOMINI”


TENEREZZA PER GLI "ULTIMI UOMINI"

di Pietro De Marco
Le tenerezze di una Chiesa che oscura la divina rivelazione servono davvero all'uomo che le riceve?
Dopo che papa Jorge Mario Bergoglio ha invocato la "copertura legale" delle coppie dello stesso sesso, un amico mi mette sotto gli occhi un testo, poi molto citato: "A coloro che [...] vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall'approvazione o dalla legalizzazione del male. In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell'equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest'ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva".
È un passaggio delle "Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra le persone omosessuali" pubblicate dalla Congregazione per la dottrina della fede il 3 giugno 2003, giorno della memoria dei santi ugandesi Carlo Lwanga e compagni, martiri – mi dice il dotto amico – perché avevano resistito alle pretese sodomitiche del loro re. Ma oggi a chi e a che cosa dovremmo opporci se – come scrive un teologo con cui, nell'amicizia, sempre dissento – "col papa il campo non viene più diviso in due parti contrapposte, verità e libertà, dovere e diritto"? Crede davvero l'opinione colta cristiana, antiagostiniana e antipaolina, che l'uomo stia galleggiando in una tiepida piscina curativa, dove non sono più né dramma né rischio per la coscienza e per la decisione?
Verità e libertà, dovere e diritto sarebbero pacificati solo in un uomo alienato da sé, in un formicaio virtuoso quale Dio creatore non ha voluto fosse l'umanità. Non è questo sogno, in nessun modo, il cristianesimo, non quello della Chiesa cattolica o delle Chiese ortodosse. Libertà e verità saranno sempre in conflitto nella nostra finitezza, e a niente serve, di fronte al fatto, la tentata distruzione della metafisica. Anzi, soltanto una Chiesa "katéchon" (2 Tessalonicesi 2, 6-7) potrà impedire che questa caduta dell'umano nella a-patía avvenga.
Questo "katéchon", nonostante la speranza di p. Antonio Spadaro su "La Civiltà Cattolica" del 4 gennaio 2020, non può essere costituito dalla Chiesa della visione di papa Francesco se – come proclama il gesuita – questa visione fa coincidere la "conversione" spirituale e pastorale con quella "strutturale". La lotta contro la "fine della storia" ha meno a che fare con strutture economiche e sociali che con i mondi ideologici e morali che penetrano e alienano le esistenze.
In questa luce appare tanto più erroneo, dopo decenni, il lavoro teologico rivolto a dimostrare che la fede e la Chiesa devono, per "rinnovarsi" (una tesi che si autodistrugge, poiché non può esservi novità in senso proprio nella temporalità di una Tradizione) accogliere anch'esse quel non senso, ovvero divenire la debolezza dell'"oltre il credere", come si esprime qualche autore. Una linea che accelera la fine senza che vi siano rigenerazioni.
Discutendo un po' vivamente con un'amica postmoderna tutta femminismo, libertà e diritti individuali, tutta "qui e ora", finitezza del vivere e eutanasia per tutti, mi capitò di sentirle fare l'elogio di Bergoglio, "questo papa che tanto mi piace". Sappiamo che l'apparire pubblico e l'irrefrenabile discorrere del papa – di cui è buon esempio la recente sconnessa sortita su omosessuali e unioni civili – funzionano come un lenimento sul diffuso nichilismo contemporaneo, come una sorta di giustificazione, non bastando al "vivere per la morte" dell'uomo postcristiano la falsa coscienza di essersi emancipato dalla verità. Ricordo spesso, di fronte alle soggettività sicure e smarrite nell'autosufficienza postmoderna, la previsione dell'"ultimo uomo" riformulata nel dopoguerra da Alexandre Kojève: ci avviamo ad essere – scriveva il filosofo – uomini protetti e sani che così si lasciano vivere, pura animalità felice senza storia e senza anima. Certo, ci sarà difficile proteggere allora la vita se cominceremo a pesare sulla nostra cerchia sociale, ma a quel punto, ci dicono, avremo vissuto abbastanza; cani e gatti, così "umani", vivranno più di noi. Papa Bergoglio sembra accorgersi di questa deriva del mondo occidentale, diagnosticata di nuovo da Fukuyama oltre trent'anni fa, ma la risolve nella manierata deprecazione dell'individualismo liberale, che riconduce poi all'egoismo degli interessi economici. La realtà è tutt'altra e la mancata diagnosi antropologica colpisce al cuore la strategia pastorale e politica del papa.
I difensori ed apologeti di Francesco, anche i più lucidi, non riescono ad usare altro argomento che il "metodo della dolcezza" e la "lode della fraternità", come forme nuove della verità cattolica e della funzione petrina. "Il papa riporta l'amore alla dimensione evangelica", leggo, a proposito delle sue esternazioni sul dramma omosessuale. Chi lo crede non ha mai letto i Vangeli: la "dimensione evangelica" dell'amore – e quale? eros, philia, agape? – implica il mio assenso ora alle nozze tra divorziati, ora alla coppia omosessuale e figure annesse? E domani a cosa altro ancora? All'incesto, al sesso infantile? E se le leggi che depenalizzano, quindi incentivano, questa o quella condotta portano il sigillo, il profilo di Cesare, non vi è forse la somiglianza di ogni uomo con Dio da proclamare? L'uomo-creatura, l'uomo essenziale che la Chiesa dichiara e protegge, è in questa somiglianza. Il "mistero grande" della coppia uomo-donna è in questo ordine primo e ultimo, che è poi quello trinitario (Hans Urs von Balthasar).
Qualcuno sostiene ancora una diagnosi molto diffusa già nel post-concilio, ovvero che cresce "il numero di quanti, per poter dare forma alla propria fede, devono mettersi se non fuori almeno ai margini della Chiesa"; ovvero che la Chiesa non è ancora un posto per credenti veri, al massimo lo è "per affezionati alle pratiche religiose". Ma la realtà diffusa è tutt'altra: gli "affezionati alle pratiche" sono una minoranza maltrattata dal parroco medio, l'ideologia pastorale e le pratiche parrocchiali sono da anni alla rincorsa di coloro che vogliono "dare forma" personalizzata alla fede. Perciò il papa si occuperebbe giustamente, secondo Giuliano Zanchi teologo e saggista di fama, del "credere di tutti", perché, indipendentemente dalla forma che la fede assume in ciascuno, "tutti possano credere".
È una considerazione anche acuta, questa, e forse condivisa dal pontefice, ma smentita da una lunga serie di riduzioni "universalistiche" della fede, anzi delle fedi, ad un minimo comune destinato ad essere la fede di tutti: utopismi sociali cristiani, esperimenti di religiosità liberale alla maniera di Lamennais, congressi mondiali delle religioni in stagione pre-modernistica, il vero e proprio modernismo cattolico, la stessa "religione" dei proletariati rivoluzionari e, dopo una pausa, la ripresa di visioni ecumeniche delle religioni ovvero delle "etiche" alla Hans Küng, hanno tutti preceduto questo disegno – o questa istintiva prassi? – di papa Francesco. Ma dopo oltre due secoli di scenari illusori, nessuna "religione perché tutti possano credere" ha preso corpo, neppure sul polo delle mistiche o su quello opposto delle etiche civiche. Una "vera religione", infatti, è esigente, fortifica e vincola, vuole amore a Dio, formazione e oblazione, chiede tutta la vita; non è l'emozione per una parola d'ordine condivisa messa a sbandierare al balcone.
Il coro attuale sulla novità di Bergoglio, che si arma di ennesime accuse di inadeguatezza alla Chiesa – ancora una "Chiesa dei no" nonostante la produzione di "sì" del pontificato – finge d'ignorare quanto la tradizione cristiana abbia assimilato le Sacre Scritture per trovare risposte alla continua oscurità della storia umana: che è storia redenta o appunto priva di risposte, come attesta la tragedia antica. La cura delle anime ha sempre ricondotto l'amore al Vangelo, ma restando libera dall'incantamento dell'"amour passion" o "amor concupiscentiae" di cui ogni umano ha esperienza ma che non può essere analogato all'amore a Dio e al prossimo che i Vangeli vedono incarnato in Cristo. Tra l'altro vi è qualcosa di paradossale nel pretendere di legittimare cristianamente l'"amour passion", i "fatti d'amore" romanticamente assunti come assoluti e abitati da Dio. Si può difenderne la libertà di fronte alla legge, estendendo la categoria di "fratellanza" dell'ultima enciclica anche alla relazione sessuale, come vuole il teologo Andrea Grillo? Amore filadelfico, dunque, o (più probabilmente) metafora oratoria senza corrispondenza nelle cose?
Torniamo al papa. Chiunque sia minimamente consapevole, entro e fuori la cultura cattolica, capisce che lenire l'ultimo uomo, quello della verbosa esibizione della propria sufficienza – cosa mai avvenuta nelle culture umane ovunque aperte all'oltre, al sacro – è l'opposto del messaggio cristiano e del doveri di verità che vi corrispondono sempre. Di fronte alla mezza-cultura della finitezza senza trascendenza, alla predicazione della felice immoralità del sé, di un niente ridicolo quanto ipersensibile, l'invito alla fraternità e alla socialità non può da solo guidare le anime a un recupero di senso e di profondità. Sono esortazioni che non intaccano l'arroganza triste dell'ultimo uomo, non oltre un'emozione. Le grandi idealità dei poveri, della fraternità mondiale, del Dio amore, occuperanno, nell'io contemporaneo desiderante gratificazioni a propria modesta misura, il posto e l'orario che si dedica alle parole: ritagli di dopolavoro.
Valorizzare contemporaneamente la "fede di tutti" per ottenere dalla confusione uno slancio universale verso la fraternità sarà, svanita l'emozione, aver svalutato la fede di ogni forte credente. Una fede religiosa è altra cosa. Pensarla nei termini di un comune denominatore antropocentrico – di fatto umanistico – non ha mai prodotto né produrrà alcuna nuova plausibilità del credere in coloro che non credono. L'Occidente cristiano è stato immerso per lunghi secoli nel percorso (nel nuovo tempo) di Cristo risorto e glorioso, nella storia universale, nel senso pieno e soprannaturale dell'esistere. Mai in un Dio "intimo" e ad un tempo assente, se non in minoranze. Quest'ultimo sembra invece essere il Dio che il papa raccomanda in "Fratelli tutti" (nn. 277- 280): un'utile credenza umana in un inerte legislatore del tutto, come nella cultura deistica. A cosa servirà?
È vero: non possiamo certo consentire con l'"essere per la morte" di uomini polemogeni, sprezzanti dell'uomo comune o "borghese", o di altra razza, pronti ad eliminare gli scarti dell'umanità o a farne – con lo stesso esito – un altro essere o un popolo nuovo. Ma neppure possiamo autorizzare con la misericordia l'"essere per la morte" di uomini che, accanto a noi, coltivano il non senso per prepararsi la buona morte chimica. Credo che la predicazione di papa Francesco finirà col confermare i mondi postcristiani nel non senso cui essi si condannano. E lenire il non senso non è neppure allestire il troppo famoso "ospedale da campo", è consentire all'ideologia della fuga in massa dal fronte della vita dotata di senso, dalla verità e pena della lotta che occupa il quotidiano di ognuno.
Non è assolutamente casuale, è anzi strutturale, che nei mondi postcristiani la "fraternità" – apprezzata a parole – cessi di fronte alla maternità non gradita, al malato terminale, all'anziano fuori di testa, domani all'adolescente con handicap grave. Un costume "monstrum" in cui si combina, senza contraddizione, la fraternità dei sentimenti e la complementare azione omicidaria dei comportamenti e delle leggi, cui quelle stesse persone "fraterne" contribuiscono come elettori.
Ora, questa umanità che corre sul piano inclinato della "vita buona" come metro di dignità, ovvero di legittimità a vivere, è solo lenita praticando il "come se Cristo non esistesse" della "Fratelli tutti". Non vi è salvezza nel "samaritanus bonus" del papa, ma palliativi esistenziali, personali e politici, che non si addicono alla Chiesa: la "sponsa Christi" non deve accompagnare le anime verso la loro morte ma deve affermare la verità di Cristo perché vivano. Un'evidenza che mostra quanto sia erronea la comoda "laicità" della separazione tra verità "religiosa" e prospettiva giuridica e politica, accolta da decenni dal cattolicesimo democratico e liberale. La Chiesa ha da sempre responsabilità e competenza sui dati antropologici ultimi – nascita, maschile e femminile, matrimonio, morte – poiché di essi ha quell'integra visione che è l'antropologia biblica. Non vi è nulla dell'uomo – la realtà creata per eccellenza – che, con l'oblio di questi capisaldi della concezione cristiana, non tenda a pervertirsi.
Ci si metta bene in mente: quando i cattolici, e settori del mondo riformato, combattono contro le innovazioni normative prodotte dalla vittoria dell'io desiderante sui compiti ordinanti ed elevanti del "Nomos", essi combattono per l'uomo, non "per la religione". In Italia si è combattuto a suo tempo anche contro l'elevazione a diritto delle "unioni di fatto", poiché era il nostro dovere. E la diversa posizione di Jorge Mario Bergoglio non può valere più di una opinione. Di certo non servirà all'uomo che la Chiesa falsamente umanizzi la verità di Cristo.
Invece di occuparsi di "unioni civili", per di più disseminando opinioni incoerenti, papa Francesco dovrebbe occuparsi di elevare la sua voce, in maniera formale e argomentata, contro la rottura in corso di ogni freno etico e legislativo nella liquidazione eutanasica di esseri umani. Questa immonda deriva riguarda il futuro dell'uomo in radice, e non vi è timore di contrasto con le autorità civili, olandesi o no, che tenga. "Hic Rhodus!", è qui il punto decisivo, non in una mitica battaglia del "popolo" contro la modernità economica e i delicati equilibri internazionali. Il cristianesimo ha sempre accompagnato le anime nella storia alla luce delle virtù teologali, invece di illuderle su un "altro mondo possibile". L'altro mondo è nella visione di Dio, qui è nella vita soprannaturale. Una "tenerezza" che si affermi senza orizzonte di fini e senza il Dio della rivelazione in Cristo non farà dell'uomo contemporaneo un generatore di umanità fraterna, ma un patetico disertore della storia in cui il Dio creatore lo ha posto. Verso la "fine della storia".
Chi si lamenta delle molte riserve e critiche nei confronti del papa deve rendersi conto che Sua Santità è attualmente allo scoperto, in una forma inedita e sotto ogni aspetto controproducente per Roma e per la Chiesa, per una somma di responsabilità e debolezze: la continua confusione di privato e di pubblico, la forma improvvisata e confusa degli enunciati nell'eloquio quotidiano come nelle sedi magisteriali, la palese ignoranza dell'insegnamento cattolico di cui dovrebbe essere custode. E tutto ciò, secondo molti, per dare corpo ai suoi progetti e ad una visione dell'ufficio petrino che appare strumentale ad essi. Bisogna pur dirlo, perché la scala a un tempo individuale e mondiale sulla quale Bergoglio intende sperimentare un nuovo volto della Chiesa – come luogo universale per "nuovi credenti", qualcuno azzarda – rischia già l'alterazione inconsulta della verità della Chiesa e della fede.
Certo il papa non vede che gli intelligenti che lo lodano utilizzano la "storicità" della Chiesa e dei Vangeli come argomento per liquidificare ogni paradigma cattolico – persino quello cauto del promemoria del cardinale Gerhard L. Müller del 23 ottobre, che Andrea Grillo considera "fondamentalista" – e assumersi nei confronti della divina rivelazione quella libertà che nella storia cristiana ha sempre condotto all'errore.
So di non osservare affatto quella "condescendance" nei confronti dei superiori che il misericordioso san Francesco di Sales – anche grande strumento di Dio nella conversione degli ugonotti – raccomandava negli "Entretiens". Ma il disordine di questo pontificato e il consenso deforme, innaturale, che si leva attorno al pontefice, sono tali da gridare al cospetto di Dio.


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Wednesday, October 07, 2020

Lev Tolstoy

"In order to get power and retain it, it is necessary to love power; but love of power is not connected with goodness but with qualities that are the opposite of goodness, such as pride, cunning and cruelty."


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