Wednesday, November 28, 2007

Miracoli

“Chi crede ai miracoli” scriveva Gilbert K. Chesterton “lo fa perché ha delle prove a loro favore. Chi li nega lo fa perché ha una teoria contraria ad essi”.

"The believers in miracles accept them (rightly or wrongly) because they have evidence for them. The disbelievers in miracles deny them (rightly or wrongly) because they have a doctrine against them. "
(G. K. Chesterton, Orthodoxy, Chap. IX)

Conventio ad excludendum

La tattica usata nella riunione della redazione di MO del 30 agosto 2003.
Con tanto di retorica sui "deboli" e gli "indifesi". Come siamo caduti in basso!!

Saturday, November 24, 2007

"Tutti gli uomini sarebbero tiranni, se potessero" (Daniel Defoe)

"Tutti gli uomini sarebbero tiranni, se potessero" (Daniel Defoe)

Nature has left this tincture in the blood, That all men would be tyrants if they could. Daniel Defoe



【訳】☆すべての人間は、もしできれば、暴君になれる。

Wednesday, November 21, 2007

Flash e altra stampa di regime

Ciò di cui si parla di più diventa reale; ciò di cui non si parla, è come se non esistesse. E’ una tecnica ben nota di manipolazione della storia.
Prof.ssa Marta Sordi, Milano

Problema del male


Medici, filosofi, teologi si domandano perché soffrono gli innocenti

“I malati talvolta sono sottoposti a cure sproporzionate per tenerli in vita, come se dovessero essere vivisezionati per uno studio di entomologia”. Per presentare la gran giornata del medici cattolici di Milano al Corriere della Sera, monsignor Gianfranco Ravasi aveva scelto, sabato, di prendere di petto il tema più scabroso della medicina odierna: il rifiuto dell’accanimento terapeuticoe il sottile ma necessario, e ben visibile, confine che lo separa dalle inaccettabili pratiche eutanasiche. Ma il dolore non è solo una “problematica di fine vita”, come si dice in brutto bioetichese. “Non esiste nessun interrogativo più incalzante per gli uomini”, ha scritto uno dei maggiori teologi del Novecento, Hans Urs von Balthasar, di quello che punta il dito (indagatoreo accusatore) sul senso del dolore. Di quello “innocente”, soprattutto. Di quello che appare senza motivo e destinazione. E’ la domanda che i medici – tornati a essere anche un po’ sciamani, un po’ depositari di senso,oltre che di cure – si sentono rivolgere quotidianamente dai pazienti. Così i medici s’interrogano a loro volta, e girano il quesito ai teologi e ai filosofi. Al convegno organizzato lo scorso sabato dall’Associazione dei medici cattolici di Milano, “A te grida il dolore innocente”, le tre categorie erano sontuosamente rappresentate: Alberto Cairo, responsabile della Croce rossa a Kabul, ormai noto come “il dottore che fa le gambe”, e le braccia,ai mutilati di una guerra infinita; Mario Melazzini, medico, malato e presidente dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica; il filosofo Massimo Cacciari; il biblista e presidente del pontificio consiglio della Cultura, Gianfranco Ravasi. Più il teologo Vito Mancuso e il saggista Armando Tornoad animare un dibattito complesso, tutt’altro che accademico. Anzi di lacerante attualità, oggi “che una medicina sempre più competitiva, tecnologica e disumana, dominata da interessi economici” sta sostituendo anche la stessa “curiosità della ricerca”, come ha detto il professor Giorgio Lambertenghi, presidente dei medici cattolici milanesi. Qualcuno sarà da mettere dunque sotto accusa, per il “grido” del dolore innocente. La mossa d’apertura è di Vito Mancuso: il dolore colpevole è stato un retaggio millenario di molte teologie e visioni del mondo, ha spiegato, ma oggi è idea inaccettabile, aberrante, per la nostra cultura; il dolore “necessario” è la sua grande alternativa, la via scelta dai filosofi, ma che trova lo scacco della critica senza apparente via d’uscita di Ivan Karamazov, evocata da Mancuso: “Se tutti devono soffrire per conquistare con la sofferenza l’eterna armonia, che c’entrano i bambini? Rifiuto assolutamente la suprema armonia; essa non vale una lacrima, anche una sola di quella bambina martoriata”. Non resta che interrogarsi sul dolore “che non nuocead alcuno”. Ma se il dolore innocente salva la bontà di Dio, non salva però la razionalità del mondo. Il dilemma è servito e ha a che vedere con la nostra percezione del mondo e con il nostro modo attuale di fare scienza, di praticare la medicina. “Dio non è causa del male”, secondo Platone; “Dio è causa del bene ma anche del male”, dice invece la Bibbia, e per san Tommaso addirittura “si malum est, Deus est”. Per Massimo Cacciari non è convincente la risposta di Platone, così come è solo un circolo vizioso la prospettiva di religioni quali il buddismo, in cui l’esistere stesso è soffrire, e dunque “liberarsi della sofferenza significa alla fine liberarsi dall’esistere”. Da Cacciari viene un solido contributo a sostegno di una razionalità che ha le sue origini nella cultura giudaico-cristiana: la consapevolezza che il male fa parte del mondo, nelmondo c’è l’“inequalitas”, il dolore, il caos, ma sono ricompresi in un “ordo”, in una coerenza, in un “bonum”. Il problema decisivo, per il filosofo, è un altro. Il vero “scandalo”, come lo individua Kant, non è l’esistenza delmale, ma l’uomo che “fa” il male. Il problema filosofico è che in questo “ordine” in cui è compresa anche la sofferenza naturale, la malattia, la quota di “inequalitas”, entra un “essere che fa il male. Che agisce ‘contra Deum’. Questo è lo scandalo”. Qualcuno che compie il male, che è “captivus”, nel sensodi prigioniero del male radicale. E ad esso si può contrapporre, argomenta Cacciari, non il bene in quanto etica, in quanto sistema di valori, morale, ma qualcuno che “fa” invece il bene. Cioè opera per estinguere il male. E’ questa, secondo Cacciari, la “parola sovrumana” di Gesù, la “figura incarnata che ha mostrato che ciò che è impossibile, il ‘non fare’ il male, è invece possibile, perché un uomo l’ha fatto”. Insomma nel “realismo giudaico-cristiano l’inequalitas c’è, ma il compito dell’uomo è ‘compatire’”. Della compassione fa parte anche la disponibilità a imparare dal dolore degli altri,come ha raccontato – con una sobrietà tanto priva di retorica da far trattenere il fiato al pubblico – Alberto Cairo. Ma fa parte della “compassione” anche con il riflettere sulle modalità o il limite della cura, soprattutto di fronte alla disabilità o nelle situazioni estreme. Lo ha fatto l’oncologo Mario Melazzini:“Il dolore e la sofferenza non sono né buoni né desiderabili, ma non sono senza significato”, ha detto. Per questo “l’impegno ad alleviare il dolore, evitando ogni forma di accanimento terapeutico è un compito che conferma il senso della professione medica”. Un senso, ha scandito, “che non è esaurito dallasola eliminazione del danno biologico”. Niente come il dolore sintetizza la domanda “chi è mai l’uomo”, ha esordito invece Ravasi. Tirando subito una bordata: “Le domande sul dolore innocente, sulla ‘responsabilità di Dio’, sono del tutto ipocrite. Sono un alibi teologico e ideologico”. Attraversando Giobbe, i Salmi, fino a Gesù, dove “la malattia da luogo del satanico diventa luogo epifanico”, Ravasi ha messo al centro la sfida di Giobbe: “E’ inutile questa teologia che vuole difendere Dio. Dio, dice Claudel, non è venuto a spiegare la sofferenza, ma a riempirla della sua presenza.
Maurizio Crippa Il Foglio 18 nov. 2007

Culto e cultura

« il culto è stato la prima cultura: arte, linguaggio, agricoltura, eccetera, ogni cosa procede dall’incontro dell’uomo con Dio; quel che chiamiamo cultura o civiltà è soltanto il culto secolarizzato » [Gerardus van der Leeuw, 1948, Phänomenologie der Religion; trad. It.: Fenomenologia della religione, Ed. Bollati-Boringhieri, Torino 1975, p. 270].

Monday, November 12, 2007

大阪教区

「この30年間の間に、教会の責任体制と指導体制は、主に「宣教機関」の支援を受けていた古い組織から、地方教会の教区中心の組織に移りました。これは必要で、歓迎されるべき、そして喜ぶべき移行でした。
しかし、この変化に伴う副作用もありました。「昔の宣教師たち」は、召命と養成によって、非キリスト者にキリストの良い知らせを伝えることに主に専心してきましたが、教区司祭たちはカトリック共同体の問題や組織、幸福に、より心を砕いています。ここで必要なのは、キリスト者共同体の内的生活と、世界にキリストを告げ知らせる宣教奉仕との間のより良いバランスです。」

「日本ではキリストとキリスト教について間違った情報がたくさん流れていて、正しい情報が少なすぎろ野です」

(F・ソットコルノラ、「カトリック新聞」、2007年11月10日、4面)

大阪教区

「NICEもアダ花、新生計画もアダ花、実態はバブル、と言ったら言い過ぎでしょうか。」

(カトリック時報、11月号、「らかし種」、捨葉乃(神林))

Tuesday, November 06, 2007

Sunday, November 04, 2007

don Milani (Civilta' Catt. 3775)

"Se dicessi che credo in Dio direi troppo poco perche' gli voglio bene. E capirai che voler bene a uno e' qualcosa di piu' che credere nella sua esistenza!"

(Lettere di don Lorenzo Milani, San Paolo, 2007, p. 158. A Giorgio Pecorini 10 ott. 1959)

"La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si e' svolta ma da altre cose. E neanche le possibilita' di fare del bene si misurano dal numero dei parrocchiani"

(alla madre 28 dic. 1954)