Saturday, March 30, 2013

創文社 『神学大全』全巻を贈呈

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Wednesday, March 27, 2013

Le parole di Papa Francesco prima di essere eletto Pontefice

Le parole di Papa Francesco prima di essere eletto Pontefice

Lintervento del cardinale Bergoglio alle congregazioni generali, così come riportato da "Palabra Nuova", della diocesi di Cuba

ROMA, 26 Marzo 2013 (Zenit.org) - Durante l'omelia pronunciata nella prima messa celebrata a Cuba dopo diverse settimane passate a Roma per l'elezione del nuovo pontefice, il cardinale Jaime Ortega ha rivelato le parole che il cardinale Jorge Mario Bergoglio ha pronunciato nel corso della congregazione generale dei cardinali prima si entrare in conclave.

Sabato mattina 23 marzo, nel corso della celebrazione nella Cattedrale di L'Avana, alla presenza del Nunzio Apostolico a Cuba, monsignor Bruno Musarò; dei Vescovi Ausiliari Alfredo Petit Havana e Juan de Dios Hernández, e del clero che ha rinnovato le promesse sacerdotali,
l'Arcivescovo dell'Avana ha raccontato che nel corso delle Congregazioni generali, il Cardinale Jorge Mario Bergoglio ha fatto un discorso "magistrale, perspicace, coinvolgente e vero".

L'intervento del cardinale Bergoglio è articolato in quattro punti ed esprime la sua personale visione sulla Chiesa nel tempo presente.

Il primo di questi punti è centrato sull'evangelizzazione, e afferma che "la Chiesa deve lasciare tutto e andare nelle periferie", non solo quelle geografiche, ma anche quelle umane ed esistenziali. Deve raggiungere gli ultimi, avvicinare le persone dove si manifesta il
peccato, il dolore, l'ingiustizia e l'ignoranza.

Il secondo punto è una critica forte alla Chiesa "autoreferenziale", che guarda se stessa con una sorta di "narcisismo teologico" che la allontana dal mondo e che "pretende di tenere Gesù Cristo per se, senza farlo uscire fuori".

Al punto tre il cardinale Bergoglio ha spiegato le conseguenze di questa visione autoreferenziale e cioè una Chiesa che non evangelizza più e che svolge una vita mondana per sé.

Secondo l'arcivescovo di Buenos Aires bisogna tener conto di queste gravi conseguenze della Chiesa autoreferenziale per "far luce sui possibili cambiamenti e riforme di cui la Chiesa ha urgente bisogno". Nel suo ultimo punto il cardinale Bergoglio ha confessato ai cardinali
la speranza di un "uomo che, partendo dalla contemplazione di Gesù Cristo, possa aiutare la Chiesa a avvicinarsi alle periferie esistenziali dell'umanità".

Nell'indicare le caratteristiche del nuovo Pontefice, Il cardinale Bergoglio non immaginava neanche lontanamente che sarebbe toccato proprio a lui, riparare la barca di Pietro.

Il cardinale Ortega è rimasto così colpito da quanto aveva sentito che ha chiesto a Bergoglio, se poteva avere il testo. L'arcivescovo di Buenos Aires gli ha detto che aveva fissato alcuni
punti ma che non l'aveva scritto.

La mattina dopo Il cardinale Bergoglio "con estrema delicatezza" ha consegnato ad Ortega un foglio in cui aveva fissato i punti del suo intervento così come se lo ricordava. Il cardinale Ortega ha chiesto se poteva pubblicarlo una volta concluso il Conclave, e Bergoglio gli ha detto di sì. Una volta che l'arcivescovo di Buenos Aires è diventato Papa Francesco, il cardinale Ortega ha chiesto se poteva ancora pubblicare il testo del suo intervento alle Congregazioni Generali e il Pontefice gli ha confermato che poteva farlo.

Così la rivista dell'arcidiocesi dell'Avana Palabra Nueva, diretta da Orlando Marquez, ha pubblicato una trascrizione del manoscritto consegnato dal Cardinale Jorge Mario Bergoglio al Cardinale Jaime Ortega.

Il testo riporta l'intervento del futuro papa Francesco nella trascrizione da lui stesso compilata nel corso dell'intervento svolto nella congregazione generale prima del Conclave.

Orlando Marquez l'ha inviata a ZENIT per la pubblicazione e diffusione. Il testo è già stato pubblicato onell'edizione spagnola di ZENIT: http://www.zenit.org/es/articles/discurso-decisivo-del-cardenal-bergoglio-sobre-la-dulce-y-confortadora-alegria-de-evangelizar.

Ne riportiamo una traduzione in italiano:

La dolce e confortante gioia di evangelizzare

Si è fatto riferimento alla evangelizzazione. È la ragione per la Chiesa. "Conserviamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre [...] sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo» (Paolo VI). È lo stesso Gesù Cristo che, dal di
dentro, ci spinge.

1) Evangelizzare suppone zelo apostolico. Evangelizzare suppone nella Chiesa la parresia (testimonianza, ndr) di sé stessa. La Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e andare nelle periferie, non solo geografiche, ma anche nelle periferie esistenziali: dove alberga il
mistero del peccato, il dolore, l'ingiustizia, l'ignoranza, dove c'è il disprezzo dei religiosi, del pensiero, e dove vi sono tutte le miserie.

2) Quando la Chiesa non esce per evangelizzare, diventa auto-referenziale e si ammala (cfr. La donna curva ripiegata su se stessa di cui parla Luca nel Vangelo (13,10-17). I mali che, nel
tempo, colpiscono le istituzioni ecclesiastiche sono l'auto-referenzialità e una specie di narcisismo teologico. Nell'Apocalisse Gesù dice che Lui è alla porta e bussa. Ovviamente il testo si riferisce al fatto che lui colpisce la porta dal di fuori per entrare... Ma penso ai momenti in cui Gesù bussa dall'interno per lasciarlo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Cristo dentro di sé e non lo fa uscire.

3) Quando la Chiesa è auto-referenziale, crede involontariamente di avere una luce propria. Non è più la certezza di mirare il mysterium lunae, invece va verso un male tanto grave noto come mondanità spirituale (Secondo de Lubac, è il peggior male che possa capitare alla Chiesa). La Chiesa vive per dare gloria degli uni agli altri. In parole povere ci sono due immagini della Chiesa: la Chiesa evangelizzatrice che diffonde "Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans" e la Chiesa mondana che vive in sè e per sé stessa. Questa analisi dovrebbe far luce sui possibili cambiamenti e sulle riforme che devono essere fatte per la salvezza delle anime.

4) Pensando al prossimo Papa, c'è bisogno di un uomo che, che dalla contemplazione e dall'adorazione di Gesù Cristo aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso la periferia esistenziale dell'umanità, in modo da essere madre feconda della "dolce e confortante gioia di evangelizzare".



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Saturday, March 16, 2013

In Memoria Di Adolfo Bonconti 14 Marzo 2013

In Memoria Di Adolfo Bonconti 14 Marzo 2013

R. I. P.


Caro Lorenzo,

ricevo con dolore la triste notizia della precoce scomparsa di Adolfo.
L'ultima volta che l'ho visto a Vigoreto, dava l'impressione di essere in gran parte rassegnato al suo destino, ma si poteva notare, in fondo agli occhi, un barlume di speranza. Cerco di spiegarmi. Il Dolfo era un'anima semplice come quella dei contadini di una volta che malvolentieri sopportavano le piccole o grandi ipocrisie del vivere sociale. Però era anche un raffinato cultore delle cose belle e buone della vita. Specialmente da giovane era un amante della vita, e come tutti gli amanti della vita - ha scritto Papa Benedetto - portava in se anche una contraddizione.

"Ovviamente c'è una contraddizione nel nostro atteggiamento, che rimanda ad una contraddittorietà interiore della nostra stessa esistenza. Da una parte, non vogliamo morire; soprattutto chi ci ama non vuole che moriamo. Dall'altra, tuttavia, non desideriamo neppure di continuare ad esistere illimitatamente e anche la terra non è stata creata con questa prospettiva. Allora, che cosa vogliamo veramente? Questo paradosso del nostro stesso atteggiamento suscita una domanda più profonda: che cosa è, in realtà, la « vita »? "
"Ci sono dei momenti in cui percepiamo all'improvviso: sì, sarebbe propriamente questo – la « vita » vera – così essa dovrebbe essere. A confronto, ciò che nella quotidianità chiamiamo « vita », in verità non lo è."
In fondo vogliamo una sola cosa – « la vita beata », la vita che è semplicemente vita, semplicemente « felicità ». Non c'è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera. Verso nient'altro ci siamo incamminati – di questo solo si tratta. Ma poi Agostino dice anche: guardando meglio, non sappiamo affatto che cosa in fondo desideriamo, che cosa vorremmo propriamente. Non conosciamo per nulla questa realtà; anche in quei momenti in cui pensiamo di toccarla non la raggiungiamo veramente. « Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare », egli confessa con una parola di san Paolo (Rm 8,26). Ciò che sappiamo è solo che non è questo. Tuttavia, nel non sapere sappiamo che questa realtà deve esistere. « C'è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza » (docta ignorantia), egli scrive. Non sappiamo che cosa vorremmo veramente; non conosciamo questa « vera vita »; e tuttavia sappiamo, che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti [8].
(Spe salvi, n. 11)

Ecco io penso che il Dolfo abbia vissuto in modo acuto questa contraddizione. Da una parte sapeva che la vita e' bella, ma dall'altra sentiva anche che può essere un peso, a volte insopportabile. La vita di ogni giorno ci fa sentire che ci può essere qualcosa "di meglio", ma poi questo meglio ci sfugge sempre. Non è facile risolvere questo dilemma soprattutto di questi tempi.

In ogni caso, come ha scritto un poeta: "Il fiore non porta la radice. La radice porta il fiore. La rosa è semplicemente la prova della vitalità della radice ..." (W. Wilson). Le cose belle e buone della vita, che il Dolfo amava, hanno una radice. E lui, a modo suo, come ha potuto, ha reso testimonianza a questa radice, alla sua radice a cui ora è ritornato.
Forse ora il Dolfo ha bisogno delle nostre preghiere, ma io credo fermamente che ora lui ha trovato quel riposo (la requiem aeternam) che cercava magari senza saperlo. Ora può godere pienamente di quella luce (la luce perpetua) di cui durante l'esistenza ha visto solo un barlume. E noi preghiamo che possa riposare in pace. Amen.

Caro Lorenzo, a te i miei più cordiali saluti e auguri di buon proseguimento.

Andrea Bonazzi


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Wednesday, March 13, 2013

CONCLAVE

CONCLAVE
di Pietro De Marco
Gli storici e i canonisti – i periti del diritto interno della Chiesa che ci informano in queste settimane di imprevista rinuncia all'ufficio da parte di un papa e di sede vacante – assolvono anche involontariamente ad un compito prezioso: presentare la serietà e grandezza dell'istituzione cattolica.
Concentrati sul conclave vediamo oggi un collegio che si prepara ad una elezione. Dalla "electio" il designato ottiene carisma pieno e assoluto di governo, sotto la norma sostanziale della Verità.
Il conclave, istanza elettiva cruciale, fin dalle origini è stato regolato con scrupolo di dettagli. Deve costituire una procedura della massima oggettività, in cui la sostanza, il valore (l'elezione del papa sotto l'azione dello Spirito), sono salvaguardati, e come favoriti, dalla razionalità formale, che è anche prudenza e sorveglianza.
Mi sorprendevo di trovare in un cerimoniale del periodo avignonese (attorno al 1365) la disciplina degli ambienti destinati ai cardinali, il loro sorteggio (come oggi), le rigide regole di condotta per il giorno e per la notte in quegli spazi angusti e provvisori. Inoltre, le forme di elezione per acclamazione o per gesti eccezionali e ispirati di singoli, che rischiassero di coartare l'autonomo giudizio di una parte dei cardinali, sono state via via escluse.
Dunque, un compito altissimo cui corrisponde una forma costante nei secoli, con radi, seppure rilevanti, perfezionamenti. Il cardinale (un uomo scelto da un pontefice per uno stabile ed efficiente ausilio alla sede petrina e alla persona pubblica del papa) in conclave è, volente o nolente, solo di fronte al sé e a Dio. In realtà ha un unico Interlocutore. Questo impasto di assoluto e di dettagli, di prestigiosi destini e di porte ben chiuse e (oggi) di schermature elettroniche, indica che la responsabilità verso l'Alto è ciò che regola, anzitutto, la Chiesa. E non può essere sostituita da una responsabilità verso l'opinione pubblica.
Ricordiamoci di questo di fronte al tanto parlare, caotico e standardizzato (così è l'opinione pubblica ovunque), dei bisogni di "apertura" e di "svolta", di una Chiesa "più vicina alla gente", cui il conclave dovrebbe rispondere.
Il cosiddetto maggior ascolto dei cristiani da parte della Chiesa è, poi, una trappola insidiosa. I cristiani, gli uomini, hanno (abbiamo) specialmente bisogno di guida e di ammaestramento, non di pensare la Chiesa come un altro "forum" in cui scriteriatamente sfogarsi. La forma cattolica, quale appare dal regolato dramma di una nuova elezione, attinge anzitutto a sé, e con ciò al suo divino fondatore, come si sarebbe detto un tempo e resta vero: alla sua radice gloriosa.
Pensare che le grandi decisioni della Chiesa debbano adeguarsi al sentire diffuso, attinto alle fonti inquinate della chiacchiera universale, nevrotizzato dai tanti saltimbanchi, è pensare l'opposto di ciò che è necessario agli uomini. Un amico parroco, disturbato da un mio elogio dello stile sacerdotale dell'Istituto di Cristo Re di Gricigliano, mi scriveva: "Ma tu che Chiesa vuoi?". Rispondevo: "Non voglio nessuna Chiesa, nel senso che la Chiesa è prima e oltre noi. E l'idea stessa che io possa 'volere' la Chiesa in un certo modo, come si può volere un'associazione o una società della salute, è un errore".
Non vi è, se si guarda in profondità, alcun "nuovo modo di vivere la Chiesa", di far "parlare il Vangelo", da affermare a Roma con un nuovo papa, ma un unico modo e sempre dato, e in sé sempre "nuovo", per ogni persona e generazione. "Volere novità" è percepire debolmente la costituzione soprannaturale, la missione antica e inalterata, la stabilità sacramentale della Chiesa. È confondere i vissuti con la Verità e la Forma.
Mezzo secolo di tentazioni e di tentativi di instaurare modi "nuovi" e gratificanti, fuori di quella costituzione, in concorrenza imitativa con le successive egemonie culturali, forti o deboli, si è risolto in continui fallimenti. Un pubblicista "teologo" scrive che i cardinali debbono prendere tremendamente sul serio la "fenomenologia dello spirito contemporaneo". Certamente, ma per attraversarne criticamente da parte a parte la natura burrosa, inconsistente, largamente subìta dai contemporanei, non per farne un modello per la Chiesa del futuro.
I modi elettivi di attribuzione dell'autorità nella Chiesa sono in questo esemplari. Ddiversamente dalla società civile, gli elettori, che siano cardinali o religiose, non tornano dopo il voto ai propri affari, ma restano senza scappatoie sotto quell'autorità che si sono scelti.
Firenze, 12 marzo 2013
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NOTA BENE !
Il blog "Settimo cielo" fa da corredo al sito "www.chiesa", curato anch'esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.


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Saturday, March 09, 2013

http://www.facebook.com/losservatore.romano.3/posts/497635606959686

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Del libro de San Teófilo de Antioquia, Obispo, a Autólico
(PG 6, 1026-1027. 1035)

Si tú me dices: «Muéstrame a tu Dios», yo te diré a mi vez: «Muéstrame tú al hombre que hay en ti», y yo te mostraré a mi Dios. Muéstrame, por tanto, si los ojos de tu mente ven, y si oyen los oídos de tu corazón.

Pues de la misma manera que los que ven con ojos del cuerpo perciben con ellos las realidades de esta vida terrena y advierten las diferencias que se dan entre ellas –por ejemplo, entre la luz y las tinieblas, lo blanco y lo negro, lo deforme y lo bello, lo proporcionado y lo desproporcionado, lo que está bien formado y lo que no lo está, lo que es superfluo y lo que es deficiente en las cosas-, y lo mismo se diga de lo que cae bajo el dominio del oído –sonidos agudos, graves o agradables-, eso mismo hay que decir de los oídos del corazón y de los ojos de la mente, en cuanto a su poder para captar a Dios.

En efecto, ven a dios los que son capaces de mirarlo, porque tienen abiertos los ojos del espíritu. Porque todo el mundo tiene ojos, pero algunos los tienen oscurecidos y no ven la luz del sol. Y no porque los ciegos no vean ha de decirse que el sol ha dejado de lucir, sino que esto hay que atribuírselo a sí mismos y a sus propios ojos. De la misma manera, tienes tú los ojos de tu alma oscurecidos a causa de tus pecados y malas acciones.

El alma del hombre tiene que ser pura, como un espejo brillante. Cuando en el espejo se produce el orín, no se puede ver el rostro de una persona; de la misma manera, cuando el pecado está en el hombre, el hombre no puede ya contemplar a Dios.
Pero puedes sanar, si quieres. Ponte en manos del médico, y él punzará los ojos de tu alma y de tu corazón. ¿Qué médico es éste? Dios! Si entiendes todo esto y vives pura, santa y justamente, podrás ver a Dios.



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