Wednesday, June 25, 2008

Ultimate concern Caffarra

Educazione e famiglia

ROMA, sabato, 21 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della conferenza sul tema “Educazione e famiglia”, tenuta dal Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, il 6 giugno scorso presso il ricreatorio “Don Isidoro Ghedini” della parrocchia di Sant’Agostino Ferrarese

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A conclusione credo opportuno da parte mia condurvi a considerare la missione educativa alla sua sorgente. Vorrei cioè fare una riflessione generale [non generica!] sull’educazione. Potrei spiegarmi colla seguente immagine: avete preso in esame i rami; questa sera vorrei invitarvi a guardare il tronco su cui i rami vivono.

Cercherò dunque di rispondere alle seguenti domande: che cosa significa «educare una persona»? A quali condizioni è possibile? Perché la famiglia è il luogo originario dell’educazione della persona?

1. Educare la persona

Vorrei chiedervi un piccolo sforzo di immaginazione. Immaginiamo di essere su un aereo in volo, immaginiamo che per un guasto si renda necessario un atterraggio di fortuna, e che ciò avvenga in un’isola sconosciuta a tutti i passeggeri. Quali domande ci faremmo? Almeno le seguenti tre: dove siamo arrivati? Questo territorio è abitato da altri ed è ospitale o invivibile? Per quanto tempo prevediamo di doverci rimanere?

Questo evento immaginario è una delle metafore più potenti di che cosa è l’arrivo nel mondo di una nuova persona umana, di un bambino.

Egli, nel modo e nella misura confacenti al suo sviluppo, non può non farsi quelle tre domande: dove sono arrivato? Il mondo in cui sono arrivato mi è amico od ostile? Questa è l’unica vita che mi è data di vivere? Colla prima domanda, la nuova persona chiede di essere guidata a capire la realtà che lo circonda: è la domanda di verità. Colla seconda domanda, chiede di essere guidato ad amare/odiare ciò che lo circonda: è la domanda di bene. Colla terza domanda, chiede di essere guidato a capire il senso di questa vita: è la domanda di speranza. Un grande filosofo ha scritto che le domande che ciascuno si porta dentro ed alle quali deve in un qualche modo rispondere, sono tre: che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? In che cosa ho il diritto di sperare?

Se uno straniero arriva in un paese non ha che un modo di sapere dove è arrivato: chiederlo a chi vi abita. La nuova persona lo chiede a chi già vi abita. Anzi in primo luogo, a chi ve lo ha condotto: a chi lo ha fatto nascere, ai suoi genitori.

Ho già sostanzialmente risposto alla prima domanda: che cosa significa «educare una persona». E la risposta è: introdurla nella realtà. Cioè: guidarla a capire, ad amare, a sperare. Vorrei ora specificare meglio il contenuto di questa risposta con due precisazioni.

La prima. L’uomo nella pericolosa traversata della vita ha due mezzi a disposizione per far navigare la nave: remare colla forza delle sue braccia oppure avere a disposizione un motore che sospinga la nave.

Nell’introdurre la neo-arrivata persona nella realtà, chi lo guida ha a disposizione due mezzi: la sua ragione e la divina Rivelazione. E quindi esiste una educazione umana [condotta alla luce della sola ragione]; ed esiste un’educazione cristiana [condotta alla luce e della ragione e della fede].

La seconda precisazione è di un’importanza fondamentale. Vi prego di prestare molta attenzione. Le persone che introducono nella realtà – diciamo: gli adulti; gli educatori – vivono già dentro alla realtà. Si trovano già dentro ad un modo di pensare, di valutare. In una parola: dentro ad una cultura. Non sono stati loro a crearla. L’hanno a loro volta ricevuta. Si trovano all’interno di una tradizione che si trasmette di generazione in generazione. Nessuno parte da zero. Il pensarlo è la più grave stoltezza educativa. Voi capite bene che la tradizione è una vita: è la vita di un popolo. È custodita dalla sua memoria; è resa viva dalla consapevolezza di ogni generazione; è arricchita dalle risposte alle nuove sfide che le vengono rivolte.

Educare significa dunque inserirsi dentro una tradizione vivente. E la nostra tradizione ha una sua propria identità; ha sue proprie radici.

2. Condizione dell’educazione

Vi sarete resi conto che l’attività educativa è qualcosa di grandioso: forse è l’atto più grande che una persona possa compiere. Ma perché possa verificarsi devono darsi alcune condizioni. Non le elenco tutte. Mi limito a quelle che nella situazione attuale mi sembrano le più importanti.

La prima: l’autorevolezza dell’educatore. Non è possibile nessuna educazione senza l’esercizio dell’autorità dell’educatore. Il rapporto educativo non è fra pari. Mi spiego.

Riprendete mentalmente tutto quanto ho detto nel primo punto. E proviamo ad immaginare una situazione del genere. La persona arrivata chiede: «che cosa è, che cosa significa, questo è bene o male…?»: e l’educatore risponde: «non lo so; non te lo dico, perché così quando sarai grande deciderai come ti sembra; non ti rispondo perché non c’è nessuna risposta alla tua domanda: ciascuno faccia come gli pare e piace». Domandiamoci: questo è un rapporto educativo? Non è abbandonare la persona al suo destino, alla tirannia dei suoi istinti, al deserto senza vie di uscite della sua solitudine?

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