Sunday, February 26, 2006

Spiritualita' missionaria 02

Anni fa, nel «giro» degli Istituti esclusivamente missionari s’incominciò a descrivere il rapporto con le Chiese locali emergenti con uno slogan: «Siamo le loro ruote di scorta». Un’espressione volutamente ambigua, perché la ruota di scorta, pur se indispensabile, è un oggetto che nessuno desidera usare, e a cui si chiede soltanto di occupare poco spazio. Ogni tanto l’espressione ritorna. Come valutarla?Per tanto tempo i missionari hanno detto che il loro unico obiettivo era la fondazione e la crescita delle Chiese locali, che lavoravano per rendersi inutili e poter andare altrove. Essere «ruote di scorta» potrebbe, dunque, essere il preludio al raggiungimento di questo obiettivo, invece è sentito spesso come una frustrazione. Sembra che la Chiesa locale voglia scrollarsi di dosso la presenza di persone che danno la vita per i poveri e per l’evangelizzazione, per restare tranquilla nel tran tran delle istituzioni consolidate e sicure, nella cura del piccolo - o piccolissimo - gregge, senza alcuna attenzione per i non cristiani. Ha voglia di autonomia, forse soprattutto di mettere le mani sulle risorse economiche. Nella Chiesa cattolica non manca lo spettacolo poco edificante di clero e religiosi/e che puntano su opere di prestigio, economicamente redditizie, o addirittura che utilizzano i poveri, lo sviluppo, le calamità come pretesto per ricevere aiuti che useranno a proprio vantaggio. Nelle Chiese protestanti, spesso sono i laici a dividersi e suddividersi in infinite lotte che hanno alla base la spartizione del denaro e delle proprietà. Quando nasce una nuova, minuscola setta, è saggio chiedersi se all’origine ci sia una controversia teologica o pastorale, o più banalmente un conflitto di interessi.Tutto questo è vero, e spiega in parte il fastidio con cui i missionari sono a volte guardati, l’implicito invito: «Lasciateci i soldi e partite».Non spiega, però, tutto, sia perché non sempre e non tutti nelle Chiese locali di recente origine hanno questi difetti, sia perché anche noi missionari abbiamo le nostre responsabilità.È difficile, ad esempio, accettare che un approccio all’evangelizzazione diverso dal nostro sia altrettanto valido. Lo spirito missionario vissuto da noi europei in questi ultimi secoli è esemplare, ma è forse l’unico accettabile? Non potrebbe esserci, in un atteggiamento che appare a noi più distaccato o addirittura freddo, semplicemente una diversa sensibilità culturale?

Inoltre, forse non ci rendiamo conto di quanto la nostra presenza possa essere ingombrante. Spesso gestiamo soldi liberamente, per i poveri certo, e con sacrificio, ma questo ci fa apparire «buoni» di fronte alla gente, mentre i locali che gradualmente ci sostituiscono sarebbero i «cattivi» o meno zelanti, semplicemente perché dispongono di minori risorse. Una situazione del genere crea disagio per forza, e probabilmente anche il desiderio che chi «fa ombra» in questo modo se ne vada alla svelta.D’altra parte, se anche c’è una certa ingiustizia, una mancanza di riconoscenza nel considerare i missionari «ruote di scorta», è forse per sentirci ringraziare che ci siamo messi in viaggio? Se il bisogno di gratificazione è umanamente comprensibile, il saperne fare a meno è un’esigenza del Vangelo, dura ma giusta.
Rubrica / Un tesoro in vasi di cretaNoi, ruote di scorta
di Franco Cagnasso, missionario del Pime in Bangladesh
02/01/2006 Gennaio 2006, n. 1©Mondo e Missione

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