Sunday, November 12, 2006

Cristianesimo e democrazia pluralista.

Cristianesimo e democrazia pluralista.Sulla imprescindibilità del cristianesimo nel mondo moderno

JOSEPH CARD. RATZINGER, Quaderni di Cristianità, anno I, n. 2, estate 1985
http://www.alleanzacattolica.org/quaderni_cristianita/quaderni_cristianita_2_1985_ratzingerj.htm
Il 24 aprile 1984, a Monaco di Baviera, S. E. Rev. ma il signor cardinale Joseph Ratzinger apriva un congresso sul tema L’eredità europea e il suo futuro cristiano — promosso dalla fondazione Hans Martin Schleyer e dal Pontificio Consiglio per la Cultura — con una conferenza il cui titolo originale suona Christliche Orientierung in der pluralistichen Demokratie? Uber die Unverzichtbarkeit des Christentums in der modernen Welt. Pronunciato davanti a un pubblico composto da qualche centinaio di uomini di cultura europei, il testo è stato poi raccolto come contributo in Pro Fide et Justitia. Festschrift fur Agostino Kardinal Casaroli zum 70. Geburtstag, a cura di Herbert Schambeck, Duncker & Humblot, Berlino 1984, pp. 747-761. Su questa edizione è stata condotta la traduzione italiana, gentilmente autorizzata dall’autore, fatta da don Pietro Cantoni.

(...)Oggi certamente nessuno vuole più rendere omaggio alla fede nel progresso dell’illuminismo, ma un certo messianismo profano è profondamente penetrato nella coscienza collettiva. La frase di Ernesto Cardenal "lo credo nella storia" esprime il credo nascosto di molti: in qualche modo l’idea di Hegel che la storia stessa, alla fine, ci porterà la grande sintesi si è installata nella coscienza collettiva. L’idea che tutta la storia precedente sia storia della schiavitù e che però ora finalmente può e deve essere presto edificata la società giusta, è oggi — in svariati slogan — diffusa sia fra atei che fra cristiani, e si è introdotta perfino nelle pastorali dei vescovi e ne i testi liturgici. In un modo curioso ritorna la mistica del Regno del periodo fra le guerre [mondiali], che ha poi avuto un esito così macabro. Di nuovo si preferisce parlare, anziché di "Regno di Dio", di "Regno" semplicemente. Realtà, questa, per la quale noi lavoriamo, che costruiamo, che si avvicina in modo tangibile grazie ai nostri sforzi. il "Regno", la "nuova società" si è trasformata in un moralismo che dispensa da ulteriori argomentazioni politiche ed economiche. Il fatto che noi lavoriamo per un nuovo e definitivo mondo migliore è da lungo tempo diventato qualcosa di ovvio. Il lato filosoficamente e politicamente sospetto di questa escatologia dell’imminente si può capire, a mio avviso, soffermandosi su tre aspetti fondamentali di tale concezione.

1. Nella società liberata il bene non riposa più sullo sforzo etico degli uomini che compongono questa società, ma è previamente dato, in modo semplice e irrevocabile, mediante le strutture. Il mito della società liberata riposa su questa rappresentazione perché l’ethos è sempre minacciato, non è mai perfetto e deve sempre essere raggiunto.
Per questo uno Stato che si appoggia sull’ethos — cioè sulla libertà — non è mai compiuto, mai totalmente giusto, mai assolutamente protetto. E’ imperfetto come l’uomo stesso.
Proprio per questo motivo la "società liberata" deve essere indipendente dall’ethos. La sua libertà e la sua giustizia devono, per così dire, essere fornite dalle strutture. Anzi, l’ethos viene in fondo trasferito dall’uomo alle strutture. Le strutture attuali sono peccaminose, quelle future saranno giuste: bisogna inventarle e costruirle come si costruisce una macchina — poi, però, vi sono. Per questo anche il peccato diventa peccato sociale, strutturale e deve essere di nuovo ridefinito come tale. Per questo la salvezza riposa sull’analisi delle strutture e dell’attività politico—economica che ne consegue. Non è l’ethos a sorreggere le strutture, piuttosto le strutture sorreggono l’ethos, e questo perché l’ethos rappresenta l’elemento fragile, mentre le strutture sono l’elemento solido e sicuro. In questo rovesciamento che soggiace al mito del mondo migliore io vedo l’autentica essenza del materialismo, che non consiste semplicemente nella negazione di un ambito della realtà, ma più profondamente è un programma antropologico che naturalmente si collega con una determinata idea di come i singoli ambiti nella realtà si relazionano tra di loro. La tesi che lo spirito è solo un prodotto di processi materiali e non il principio della materia, corrisponde all’idea che l’ethos è una produzione dell’economia, e non è l’economia a essere in definitiva determinata dalle scelte umane fondamentali. Però, se si guarda ai presupposti e alle conseguenze di questo così sorprendente esonero dell’uomo dalla sua responsabilità, si riconosce che questo esonero — "liberazione" — riposa sulla dimissione dell’ethos, cioè sulla dimissione della responsabilità e della libertà, sulla dimissione della coscienza. Perciò, questo tipo di "Regno" è una mistificazione con la quale l’Anticristo ci prende in giro: la società "liberata" presuppone la perfetta tirannide. Penso che oggi dobbiamo di nuovo chiarire con ogni decisione che né la ragione né la fede ci promettono che vi sarà, prima o poi  il mondo perfetto. Esso non esiste. La sua continua attesa, il giocare con la sua possibilità e vicinanza, è la più seria minaccia alla nostra politica e alla nostra società, perché da lì procede necessariamente il fanatismo anarchico. Per la sopravvivenza della democrazia pluralista, cioè per la sopravvivenza e lo sviluppo di una misura di giustizia proporzionata alle possibilità dell’uomo, è urgente imparare di nuovo il coraggio della imperfezione e il riconoscimento della costante minaccia a cui sono sottoposte le cose umane. Sono morali solo quei programmi che risvegliano questo coraggio. Viceversa è immorale quell’apparente moralismo che si ritiene soddisfatto solo con ciò che è perfetto Qui è necessario un esame di coscienza anche riguardo alla predicazione ecclesiastica o para — ecclesiastica, le cui eccessive esigenze e speranze favoriscono la fuga dal morale all’utopico.

(...)Possiamo cioè constatare che il rifiuto della morale a vantaggio della tecnica non è innanzitutto conseguenza della fuga dalla fatica della morale, ma del sospetto della sua irragionevolezza. La deduzione razionale e il funzionamento di un apparecchio non sono la stessa cosa. Però, una volta che il funzionamento di una macchina è stato eretto a modello della ragione, allora alla morale classica non resta altro spazio che quello dell’irrazionale. Nel frattempo si fanno strada i tentativi di presentare anche la morale come scienza esatta. Essa viene allora ricondotta nell’una o nell’altra forma al tipo della matematica, al calcolo dei rapporti tra effetti piacevoli e spiacevoli di una azione umana. In questo modo, però, viene liquidata la morale in quanto tale; perché il bene in sé e il male in sé non esistono più, ma resta soltanto una contabilità di vantaggi e di svantaggi, dove le cose non cambiano, anche se ci viene assicurato che, in generale, verranno mantenuti gli stessi criteri finora considerati come norme di azione.

(1) E. W. Böckenförde, Staat - Gesellschaft - Kirche, Friburgo in Brisgovia 1982 (vol. 15 di Böckle - Kaufmann e altri, Christlicher Glaube in moderner Gesellschaft), p. 67.

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