Friday, December 22, 2006

Filosofia della musica

La musica parla dell'universo in una lingua che ancora non si conosce ma è compresa da chiunque.

Claude Lévi–Strauss, “fra tutti i linguaggi, solo la musica riunisce i caratteri contraddittori d’essere a un tempo intelligibile e intraducibile (…) il suo privilegio consiste nel saper dire quello che non può esser detto in nessun altro modo”.

Più di ogni altro, è Vladimir Jankélévitch a sostenere con appassionata eloquenza la funzione simbolica della musica, intesa da Paulus come la “capacità di rappresentare l’assente”.

Scrive Tieck:“La musica opera il miracolo di toccare in noi il nucleo più segreto, il punto di radicamento di tutti i ricordi (…) simili a semi stregati, i suoni prendono radici in noi con una rapidità magica (…) in un batter d’occhio percepiamo il mormorio di un boschetto di fiori meravigliosi”.

Anche se la musica ha perciò una struttura simile al linguaggio risulta che non ha nè denotazione nè lessico e di conseguenza la musica non è traducibile in altri linguaggi, in quanto un sistema simbolico essenzialmente non-verbale. Infine la musica non si assoggetta autonomamente alle regole dei modelli di comunicazione come trasmissione di messaggi perché non dispone della facoltà di riferirsi agli oggetti extramusicali.
Ma tale nozione ci potrebbe condurre a pensare che la musica non ha alcun significato, così come se ad un linguaggio mancasse la semantica.

La musica parla una lingua che non conosciamo nella vita quotidiana, che abbiamo imparato non sappiamo dove e come, e che si vorrebbe definire soltanto lingua degli angeli.Wackenroder/Tieck, Phantasien über die Kunst, II, 2

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