A proposito del di battito sulla ideologia animalista, vorrei contribuire proponendo allo vostra riflessione alcuni pensieri di B. Pascal che mi sembrano
molto interessanti.
"Gli animali non si ammirano. Un cavallo non ammira il suo compagno. Non che durante la corsa non ci sia emulazione tra loro, ma ciò resta senza conseguenze. Nella stalla, il più pesante e mal fatto non cede la propria avena all'altro, come vogliono tra loro gli uomini. La loro virtù si accontenta di sé."(401, Brunschvicg)
"La più grande bassezza dell'uomo consiste nella ricerca della gloria, ma questo è anche il più grande segno della sua superiorità, perché per quanto possegga su questa terra, per quanto sia sano e per quanti vantaggi disponga, se gli uomini non lo stimano non è soddisfatto. A tal punto considera la ragione umana che qualunque posto occupi al mondo, se non occupa un buon posto anche nella ragione umana, non è contento. È il più bel posto del mondo, niente lo può distogliere da questo desiderio ed è la caratteristica meno cancellabile dal cuore umano.
E quelli che disprezzano maggiormente gli uomini e li paragonano alle bestie, vogliono anch'essi venire ammirati e creduti, contraddicendosi da soli a causa di questo sentimento. La loro natura, più forte di tutto, li convince della grandezza umana più di quanto la ragione non li convinca della loro bassezza."(404)
"La grandezza dell'uomo è così evidente che si ricava perfino dalla sua miseria, perché quello che per gli animali è la natura, nell'uomo lo chiamiamo miseria; da ciò riconosciamo che, se oggi la sua natura è simile a quella degli animali, egli è decaduto da una natura migliore che un tempo era la sua.
E in effetti chi può lamentarsi di non essere un re se non un re spodestato? Paolo Emilio era forse considerato infelice perché non era un console? Al contrario tutti ritenevano che egli fosse felice di esserlo stato, dal momento che la sua condizione non era di esserlo sempre. Ma Perseo era ritenuto così infelice di non essere più re, dal momento che la sua condizione comportava di esserlo sempre, che si trovava strano sopportasse ancora la vita. Chi si ritiene infelice di non avere che una bocca, e chi non si riterrebbe infelice di avere un occhio solo? A nessuno forse è mai venuto in mente di affliggersi per non avere tre occhi, ma chi non ne ha è inconsolabile."(409)
"Poiché la miseria si deduce dalla grandezza e la grandezza dalla miseria, alcuni hanno affermato la miseria quanto più hanno preso come prova la grandezza, altri hanno affermato la grandezza con tanta più forza in quanto l'hanno dedotta dalla miseria stessa. Tutto quello che gli uni hanno potuto dire per mostrare la grandezza è servito agli altri come argomento per dedurre la miseria, perché quanto più si cade dall'alto, tanto più si è miserabili, mentre per gli altri è il contrario. Si sono rincorsi l'un l'altro in un cerchio senza fine, essendo certo che nella misura in cui gli uomini posseggono la ragione, essi trovano nell'uomo miseria e grandezza. In una parola: l'uomo sa di essere miserabile. Egli è dunque miserabile, poiché lo è, ma dal momento in cui lo sa è davvero grande."(416)
Se gia' ai tempi di Pascal c'erano gli animalisti, e' proprio vero che "non c'e' niente di nuovo sotto il sole" !
Cordiali saluti
Friday, July 25, 2008
LEVI-STRAUSS
LÉVI- STRAUSS
Compirà cent’anni il prossimo 28 novembre. È considerato il padre moderno di una disciplina che guarda alle culture con una mentalità «relativistica». Dopo le ricerche in Brasile, elaborò una teoria che ha condizionato generazioni di studiosi
L’antropologia senza centro
DI LUCETTA SCARAFFIA
Claude Lévi-Strauss compirà cento anni il prossimo 28 novembre, e la Francia si prepara a festeggiare quello che è stato, senza dubbio, il più importante intellettuale francese del Novecento. Anche il fatto che stia per raggiungere una età così significativa e rara gli conferisce un’aura speciale, un’aura che si aggiunge a quella di monumento vivente alla cultura del secolo, di cui ha impersonato al meglio la pretesa di trovare una spiegazione 'scientifica' a tutto. Si tratta di uno status che il grande antropologo ha raggiunto già da mezzo secolo: si può considerare, infatti, che la sua consacrazione sia avvenuta il 5 gennaio 1960, giorno della lezione inaugurale al Collège de France, che non solo lo accoglieva fra i suoi membri, confermando ufficialmente il suo statuto di grande studioso, ma si apriva alla disciplina da lui – in un certo senso – inventata, l’Antropologia strutturale. Egli realizzava così, finalmente, la sua ambizione di estendere il dominio dell’antropologia fino a comprendere tutte le scienze umane, studiate con metodi scientifici analoghi a quelli delle scienze naturali. Lévi-Strauss, profeta della morte del soggetto e papa della modernità trionfante, si presenta quindi ai suoi contemporanei come colui che svelerà loro il senso di quello che sembrava solamente disordine. Il suo immenso successo non è solo di natura accademica: se oggi pensiamo che non esistono le razze, ma solo le differenze culturali, se crediamo che non si possono fare differenze di valore fra le culture, se pensiamo che un mito Hopi sia interessante e importante co- me un Vangelo, è solo grazie all’influenza esercitata dal suo pensiero. Un’influenza non solo positiva: come ha scritto un suo contemporaneo e critico, il filosofo ebreo Emmanuel Lévinas, «l’ateismo moderno, non è la negazione di Dio, ma l’indifferentismo assoluto di Tristi tropici. Penso che sia il libro più ateo che sia stato scritto al giorno d’oggi, il più disorientato e il più disorientante ». Nato nel 1908 da una famiglia ebraica ormai assimilata nella società francese, laureato in filosofia, trova la sua strada nella ricerca etnologica grazie alla possibilità di insegnare per un periodo all’università di San Paolo, in Brasile. La scelta dell’etnologia – racconta nelle sue interviste – è stata quasi casuale: per alcuni anni, infatti, si era impegnato soprattutto in politica, con il partito socialista e il sindacato e forse, se le occasioni fossero state altre, la sua vita avrebbe preso una direzione diversa. Gli anni trascorsi a San Paolo, e soprattutto i mesi di vacanza dall’università passati a fare ricerca fra le popolazioni indigene meno contaminate dalla civiltà occidentale – e questi saranno gli unici periodi di ricerca diretta sul campo della sua lunga vita di studioso – costituiranno invece il suo battesimo come etnologo e gli faranno scoprire l’intensa attrazione per l’esotico e il diverso. L’esilio obbligato a New York durante il regime di Vichy lo mette in contatto con l’antropologia anglosassone, allora all’avanguardia, e gli consentirà di tessere relazioni durature e importanti anche con la comunità degli intellettuali esiliati là durante la guerra. Particolarmente feconda la sua amicizia con il linguista russo Roman Jakobson, grazie a cui scoprirà la linguistica strutturale, che gli offre la possibilità di arrivare a un sapere oggettivo – come quello delle scienze naturali – in cui vedrà la chiave per ritrovare, sotto la superficie della storia e degli avvenimenti, la logica che porta il reale a essere quello che è. Egli si pone davanti al mondo come davanti a un testo, che bisogna imparare a leggere e comprendere direttamente. L’applicazione dell’analisi strutturale ai sistemi di parentela delle tribù amerindie da lui studiate costituì il primo banco di prova di queste teorie innovative. La famiglia, per Lévi-Strauss, non è un fatto naturale, e ogni spiegazione naturalista non può arrivare a spiegare il suo funzionamento; l’unica spiegazione è quella culturale, che egli trova nei simboli della parentela. Un sistema di parentela, egli scrive, «esiste solo nella coscienza degli uomini »: oggi sappiamo bene quali effetti questa affermazione ha determinato nelle nostre società.
Il ritorno in Francia nel dopoguerra non fu facile, anche se quelli furono gli anni di una feconda collaborazione con l’Unesco, per cui scrisse uno dei suoi saggi più famosi, Razza e storia, nel quale confutava l’esistenza delle razze, nonché quella di una gerarchia fra le culture. Intorno a questa tesi scoppiò un vivace dibattito: Roger Caillois, sociologo e scrittore, accusò Lévi-Strauss di relativismo, perché obbligava l’etnologo a essere coscienza critica dei valori della cultura da cui era emerso. Mentre, al contrario, per Caillois sarebbe proprio l’esistenza dell’etnologia a confermare la superiorità dell’Occidente sui 'primitivi'.
Un lungo viaggio in Estremo Oriente per l’Unesco lo metterà in contatto con le religioni orientali e con l’islam, verso cui proverà una manifesta antipatia; il suo agnosticismo radicale lo avvicina solo al buddhismo, che considera l’unica religione accettabile. Nel 1954 la sua fama cresce improvvisamente grazie a un libro non scientifico, una sorta di romanzo filosofico di viaggio, Tristi tropici,
che lo fa conoscere in tutto il mondo, anche al di fuori degli specialisti. L’ingresso nell’Ecole des Hautes Etudes non avviene, come lui voleva, fra le 'Scienze umane' della VI sezione, dominata dagli storici, ma nella V, delle 'Scienze religiose', composta, a detta dell’antropologo, di «poveri diavoli». In questo suo atteggiamento, è evidente non solo il disprezzo per le persone (uno dei colleghi era Dumezil!), ma per il tema stesso: egli non considererà mai la religione come tema autonomo di ricerca, ma solo come specchio dell’organizzazione sociale e culturale di un popolo. Per questo, il suo interesse si indirizzerà ai miti, alla cui decifrazione dedicherà la seconda parte della sua vita di ricerca, mentre come saggista si cimenterà con i grandi temi dell’umanità, come il progresso, il rapporto con la matematica, la musica e l’arte, talvolta sollecitato dalle conversazioni con amici come Benveniste, Lacan, Merleau-Ponty. Il testo mitico, per lui, non appartiene alla sfera religiosa, ma deve essere decifrato come un linguaggio. Ed è proprio sulla questione dell’analisi del mito che si concentra la critica di un altro antropologo francese, René Girard, che nella Francia ipnotizzata dal pensiero levistraussiano non trova spazio, ed è costretto ad emigrare negli Stati Uniti. Girard denuncia la tendenza, in Lévi-Strauss, a «mettere da parte la verità»; in particolare, per quanto riguarda il meccanismo della vittima espiatoria, lo strutturalismo «fa scomparire il sacro». Ma è soprattutto la magistrale analisi di Girard sui Vangeli come rovesciamento del meccanismo tradizionale del capro espiatorio a costituire la confutazione più chiara del relativismo culturale.
Oggi lo strutturalismo non è più di moda fra gli studiosi, ma gli effetti del pensiero di Lévi-Strauss sono evidenti e forti nell’opinione comune, nella costruzione di un 'politicamente corretto' agnostico e relativista che sembra ormai avere contaminato ogni forma di pensiero.
Avvenire, 24 luglio 2008
Compirà cent’anni il prossimo 28 novembre. È considerato il padre moderno di una disciplina che guarda alle culture con una mentalità «relativistica». Dopo le ricerche in Brasile, elaborò una teoria che ha condizionato generazioni di studiosi
L’antropologia senza centro
DI LUCETTA SCARAFFIA
Claude Lévi-Strauss compirà cento anni il prossimo 28 novembre, e la Francia si prepara a festeggiare quello che è stato, senza dubbio, il più importante intellettuale francese del Novecento. Anche il fatto che stia per raggiungere una età così significativa e rara gli conferisce un’aura speciale, un’aura che si aggiunge a quella di monumento vivente alla cultura del secolo, di cui ha impersonato al meglio la pretesa di trovare una spiegazione 'scientifica' a tutto. Si tratta di uno status che il grande antropologo ha raggiunto già da mezzo secolo: si può considerare, infatti, che la sua consacrazione sia avvenuta il 5 gennaio 1960, giorno della lezione inaugurale al Collège de France, che non solo lo accoglieva fra i suoi membri, confermando ufficialmente il suo statuto di grande studioso, ma si apriva alla disciplina da lui – in un certo senso – inventata, l’Antropologia strutturale. Egli realizzava così, finalmente, la sua ambizione di estendere il dominio dell’antropologia fino a comprendere tutte le scienze umane, studiate con metodi scientifici analoghi a quelli delle scienze naturali. Lévi-Strauss, profeta della morte del soggetto e papa della modernità trionfante, si presenta quindi ai suoi contemporanei come colui che svelerà loro il senso di quello che sembrava solamente disordine. Il suo immenso successo non è solo di natura accademica: se oggi pensiamo che non esistono le razze, ma solo le differenze culturali, se crediamo che non si possono fare differenze di valore fra le culture, se pensiamo che un mito Hopi sia interessante e importante co- me un Vangelo, è solo grazie all’influenza esercitata dal suo pensiero. Un’influenza non solo positiva: come ha scritto un suo contemporaneo e critico, il filosofo ebreo Emmanuel Lévinas, «l’ateismo moderno, non è la negazione di Dio, ma l’indifferentismo assoluto di Tristi tropici. Penso che sia il libro più ateo che sia stato scritto al giorno d’oggi, il più disorientato e il più disorientante ». Nato nel 1908 da una famiglia ebraica ormai assimilata nella società francese, laureato in filosofia, trova la sua strada nella ricerca etnologica grazie alla possibilità di insegnare per un periodo all’università di San Paolo, in Brasile. La scelta dell’etnologia – racconta nelle sue interviste – è stata quasi casuale: per alcuni anni, infatti, si era impegnato soprattutto in politica, con il partito socialista e il sindacato e forse, se le occasioni fossero state altre, la sua vita avrebbe preso una direzione diversa. Gli anni trascorsi a San Paolo, e soprattutto i mesi di vacanza dall’università passati a fare ricerca fra le popolazioni indigene meno contaminate dalla civiltà occidentale – e questi saranno gli unici periodi di ricerca diretta sul campo della sua lunga vita di studioso – costituiranno invece il suo battesimo come etnologo e gli faranno scoprire l’intensa attrazione per l’esotico e il diverso. L’esilio obbligato a New York durante il regime di Vichy lo mette in contatto con l’antropologia anglosassone, allora all’avanguardia, e gli consentirà di tessere relazioni durature e importanti anche con la comunità degli intellettuali esiliati là durante la guerra. Particolarmente feconda la sua amicizia con il linguista russo Roman Jakobson, grazie a cui scoprirà la linguistica strutturale, che gli offre la possibilità di arrivare a un sapere oggettivo – come quello delle scienze naturali – in cui vedrà la chiave per ritrovare, sotto la superficie della storia e degli avvenimenti, la logica che porta il reale a essere quello che è. Egli si pone davanti al mondo come davanti a un testo, che bisogna imparare a leggere e comprendere direttamente. L’applicazione dell’analisi strutturale ai sistemi di parentela delle tribù amerindie da lui studiate costituì il primo banco di prova di queste teorie innovative. La famiglia, per Lévi-Strauss, non è un fatto naturale, e ogni spiegazione naturalista non può arrivare a spiegare il suo funzionamento; l’unica spiegazione è quella culturale, che egli trova nei simboli della parentela. Un sistema di parentela, egli scrive, «esiste solo nella coscienza degli uomini »: oggi sappiamo bene quali effetti questa affermazione ha determinato nelle nostre società.
Il ritorno in Francia nel dopoguerra non fu facile, anche se quelli furono gli anni di una feconda collaborazione con l’Unesco, per cui scrisse uno dei suoi saggi più famosi, Razza e storia, nel quale confutava l’esistenza delle razze, nonché quella di una gerarchia fra le culture. Intorno a questa tesi scoppiò un vivace dibattito: Roger Caillois, sociologo e scrittore, accusò Lévi-Strauss di relativismo, perché obbligava l’etnologo a essere coscienza critica dei valori della cultura da cui era emerso. Mentre, al contrario, per Caillois sarebbe proprio l’esistenza dell’etnologia a confermare la superiorità dell’Occidente sui 'primitivi'.
Un lungo viaggio in Estremo Oriente per l’Unesco lo metterà in contatto con le religioni orientali e con l’islam, verso cui proverà una manifesta antipatia; il suo agnosticismo radicale lo avvicina solo al buddhismo, che considera l’unica religione accettabile. Nel 1954 la sua fama cresce improvvisamente grazie a un libro non scientifico, una sorta di romanzo filosofico di viaggio, Tristi tropici,
che lo fa conoscere in tutto il mondo, anche al di fuori degli specialisti. L’ingresso nell’Ecole des Hautes Etudes non avviene, come lui voleva, fra le 'Scienze umane' della VI sezione, dominata dagli storici, ma nella V, delle 'Scienze religiose', composta, a detta dell’antropologo, di «poveri diavoli». In questo suo atteggiamento, è evidente non solo il disprezzo per le persone (uno dei colleghi era Dumezil!), ma per il tema stesso: egli non considererà mai la religione come tema autonomo di ricerca, ma solo come specchio dell’organizzazione sociale e culturale di un popolo. Per questo, il suo interesse si indirizzerà ai miti, alla cui decifrazione dedicherà la seconda parte della sua vita di ricerca, mentre come saggista si cimenterà con i grandi temi dell’umanità, come il progresso, il rapporto con la matematica, la musica e l’arte, talvolta sollecitato dalle conversazioni con amici come Benveniste, Lacan, Merleau-Ponty. Il testo mitico, per lui, non appartiene alla sfera religiosa, ma deve essere decifrato come un linguaggio. Ed è proprio sulla questione dell’analisi del mito che si concentra la critica di un altro antropologo francese, René Girard, che nella Francia ipnotizzata dal pensiero levistraussiano non trova spazio, ed è costretto ad emigrare negli Stati Uniti. Girard denuncia la tendenza, in Lévi-Strauss, a «mettere da parte la verità»; in particolare, per quanto riguarda il meccanismo della vittima espiatoria, lo strutturalismo «fa scomparire il sacro». Ma è soprattutto la magistrale analisi di Girard sui Vangeli come rovesciamento del meccanismo tradizionale del capro espiatorio a costituire la confutazione più chiara del relativismo culturale.
Oggi lo strutturalismo non è più di moda fra gli studiosi, ma gli effetti del pensiero di Lévi-Strauss sono evidenti e forti nell’opinione comune, nella costruzione di un 'politicamente corretto' agnostico e relativista che sembra ormai avere contaminato ogni forma di pensiero.
Avvenire, 24 luglio 2008
Wednesday, July 23, 2008
In Africa quando muore un anziano è una biblioteca che brucia
Gli anziani sono la memoria storica dei nostri villaggi, ed è ciò che fatto dire quella famosa frase allo scrittore maliano Amadou Hampaté Bâ: “In Africa quando muore un anziano è una biblioteca che brucia.”
『ひとりの老人が死ぬことは、ひとつの図書館が燃えてなくなることと同じだ』
「老人が一人亡くなることは、図書館が一つなくなるようなものである。」
口伝文化のアフリカでは、長く生きた人の知恵と経験を大切にするということなんですね。
日本もそうだったはずですが。
マリのアマドゥ・ハンパテ・バーという人の言葉です。
フランス語の原文は以下の通りです。
En Afrique, quand un vieillard meurt, c’est une bibliothèque qui brûle.
『ひとりの老人が死ぬことは、ひとつの図書館が燃えてなくなることと同じだ』
「老人が一人亡くなることは、図書館が一つなくなるようなものである。」
口伝文化のアフリカでは、長く生きた人の知恵と経験を大切にするということなんですね。
日本もそうだったはずですが。
マリのアマドゥ・ハンパテ・バーという人の言葉です。
フランス語の原文は以下の通りです。
En Afrique, quand un vieillard meurt, c’est une bibliothèque qui brûle.
«nomina sunt consequentia rerum»
«nomina sunt consequentia rerum» (cfr. Giustiniano, Institutiones, libro II, 7, 3)
Saturday, July 19, 2008
Al-Fatiha la preghiera per eccellenza nell'islam
Sura Al-Fatiha (Arabic: سورة الفاتحة, Sūratu al-Fātihah, "The Opening") is the first chapter of the Muslim holy book, the Qur'an. Its seven verses are a prayer for God's guidance and stress the lordship and mercy of God. This chapter has a special role in daily prayers (Salat), being recited at the start of each unit of prayer, or rak'ah.
Al Fatiha
Bismillāhi r-rahmāni r-rahīm
Al-hamdu li-llāhi rabbi l- ālamīn
Ar-rahmāni r-rahīm
Māliki yawmi d-dīn
Iyyāka na budu wa iyyāka nasta īn
Ihdinās irā al-mustaqīm
Sirā al-ladīna an amta alayhim ġayril maġdūbi alayhim walā d-dāllīn.
English
In the name of God, the Most Gracious, the Most Merciful:
Praise be to God, the Lord of the Universe.
The Most Gracious, the Most Merciful.
Master of the Day of Judgement.
You alone we worship, and You alone we ask for help
Guide us to the straight way;
The way of those whom you have blessed, not of those who have deserved anger, nor of those who stray.
Japanese language
万有の主、アッラーにこそ凡ての称讃あれ、
慈悲あまねく慈愛深き御方、
最後の審きの日の主宰者に。
わたしたちはあなたにのみ崇め仕え、あなたにのみ御助けを請い願う。
わたしたちを正しい道に導きたまえ、
あなたが御恵みを下された人々の道に、
あなたの怒りを受けし者、また踏み迷える人々の道ではなく。
Al Fatiha
Bismillāhi r-rahmāni r-rahīm
Al-hamdu li-llāhi rabbi l- ālamīn
Ar-rahmāni r-rahīm
Māliki yawmi d-dīn
Iyyāka na budu wa iyyāka nasta īn
Ihdinās irā al-mustaqīm
Sirā al-ladīna an amta alayhim ġayril maġdūbi alayhim walā d-dāllīn.
English
In the name of God, the Most Gracious, the Most Merciful:
Praise be to God, the Lord of the Universe.
The Most Gracious, the Most Merciful.
Master of the Day of Judgement.
You alone we worship, and You alone we ask for help
Guide us to the straight way;
The way of those whom you have blessed, not of those who have deserved anger, nor of those who stray.
Japanese language
万有の主、アッラーにこそ凡ての称讃あれ、
慈悲あまねく慈愛深き御方、
最後の審きの日の主宰者に。
わたしたちはあなたにのみ崇め仕え、あなたにのみ御助けを請い願う。
わたしたちを正しい道に導きたまえ、
あなたが御恵みを下された人々の道に、
あなたの怒りを受けし者、また踏み迷える人々の道ではなく。
Wednesday, July 16, 2008
跪いた神学 Teologia in ginocchio
「跪いた神学」(„kniende Theologie“)
kneeling theology, theology on your knees
Cfr Hans Urs von Balthasar, Theologie und Heiligkeit, Aufsatz von 1948 in: Verbum Caro. Schriften zur Theologie I, Einsiedeln 1960, 195-224.
Balthasar described his theology as a "kneeling theology," deeply connected to contemplative prayer, and as a "sitting theology," intensely connected to faith seeking understanding guided by the heart and mind of the Catholic Church.
"Nell’ansia di ottenere il riconoscimento di rigorosa scientificità nel senso moderno, la teologia può perdere il respiro della fede. Ma come una liturgia che dimentica lo sguardo a Dio è, come tale, al lumicino, così anche una teologia che non respira più nello spazio della fede, cessa di essere teologia; finisce per ridursi ad una serie di discipline più o meno collegate tra di loro. Dove invece si pratica una “teologia in ginocchio”, come richiedeva Hans Urs von Balthasar, non mancherà la fecondità per la Chiesa in Austria ed anche oltre."
(Benedetto XVI VISITA ALL'ABBAZIA DI HEILIGENKREUZ )
Domenica, 9 settembre 2007
kneeling theology, theology on your knees
Cfr Hans Urs von Balthasar, Theologie und Heiligkeit, Aufsatz von 1948 in: Verbum Caro. Schriften zur Theologie I, Einsiedeln 1960, 195-224.
Balthasar described his theology as a "kneeling theology," deeply connected to contemplative prayer, and as a "sitting theology," intensely connected to faith seeking understanding guided by the heart and mind of the Catholic Church.
"Nell’ansia di ottenere il riconoscimento di rigorosa scientificità nel senso moderno, la teologia può perdere il respiro della fede. Ma come una liturgia che dimentica lo sguardo a Dio è, come tale, al lumicino, così anche una teologia che non respira più nello spazio della fede, cessa di essere teologia; finisce per ridursi ad una serie di discipline più o meno collegate tra di loro. Dove invece si pratica una “teologia in ginocchio”, come richiedeva Hans Urs von Balthasar, non mancherà la fecondità per la Chiesa in Austria ed anche oltre."
(Benedetto XVI VISITA ALL'ABBAZIA DI HEILIGENKREUZ )
Domenica, 9 settembre 2007
Turpiloquio e violenza
La violenza inconfessabile nascosta nel turpiloquio
di Francesco Alberoni
Concludendo, il turpiloquio indica sempre violenza, mancanza di controllo, sfrenatezza.
Corriere della sera, 07 luglio 2008
di Francesco Alberoni
Concludendo, il turpiloquio indica sempre violenza, mancanza di controllo, sfrenatezza.
Corriere della sera, 07 luglio 2008
Sunday, July 13, 2008
Cenare con Dio
Sul tema del primato della grazia, poiché mi pare
che oggi molti italiani vedano il cristianesimo
come una religione del fare, costituita
da soffocanti regole e precetti
cui occorre obbedire, in vista di un imprecisato
premio eterno; per proseguire
con la citata immagine dell’Apocalisse,
si direbbe che molti pensino che Gesù
sia venuto non per cenare con noi, ma
solo per imporci come preparare la cena
e pulire i piatti.
Ravasi, il foglio 13 luglio 2008
Apocalisse 3, 20
Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.
che oggi molti italiani vedano il cristianesimo
come una religione del fare, costituita
da soffocanti regole e precetti
cui occorre obbedire, in vista di un imprecisato
premio eterno; per proseguire
con la citata immagine dell’Apocalisse,
si direbbe che molti pensino che Gesù
sia venuto non per cenare con noi, ma
solo per imporci come preparare la cena
e pulire i piatti.
Ravasi, il foglio 13 luglio 2008
Apocalisse 3, 20
Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.
Nonviolenza, perdono nemici ecc.
Vittorio Strada
L’ETICA DEL TERRORE
Fondazione Liberal, 182 pp. euro 18
Vittorio Strada ricorda che anche la teoria di Lev Tolstoj sulla “non resistenza
al male con la forza”, in apparenza la risposta più estrema alle teorie terroriste,
finì di fatto per diventarne complementare. E nell’epilogo cita gli scritti del giurista e filosofo Ivan Il’in, studioso di Hegel, e attivo nell’opposizione in esilio. “Il Vangelo insegna non una compassione animale, ma un amore dell’uomo che sia amore di Dio: insegna un amore ispirato…
Insegnando ad amare i nemici, Cristo intendeva i nemici personali, non i nemici
di Dio e i sacrileghi corruttori, per i quali è detto che siano buttati in acqua con una macina al collo. Insegnando a perdonare le offese, Cristo intendeva le offese personali, non ogni possibile scelleratezza; nessuno ha il diritto di perdonare le offese altrui o di permettere agli scellerati di offendere
i deboli, corrompere i bambini, profanare i templi e rovinare la patria.
L’ETICA DEL TERRORE
Fondazione Liberal, 182 pp. euro 18
Vittorio Strada ricorda che anche la teoria di Lev Tolstoj sulla “non resistenza
al male con la forza”, in apparenza la risposta più estrema alle teorie terroriste,
finì di fatto per diventarne complementare. E nell’epilogo cita gli scritti del giurista e filosofo Ivan Il’in, studioso di Hegel, e attivo nell’opposizione in esilio. “Il Vangelo insegna non una compassione animale, ma un amore dell’uomo che sia amore di Dio: insegna un amore ispirato…
Insegnando ad amare i nemici, Cristo intendeva i nemici personali, non i nemici
di Dio e i sacrileghi corruttori, per i quali è detto che siano buttati in acqua con una macina al collo. Insegnando a perdonare le offese, Cristo intendeva le offese personali, non ogni possibile scelleratezza; nessuno ha il diritto di perdonare le offese altrui o di permettere agli scellerati di offendere
i deboli, corrompere i bambini, profanare i templi e rovinare la patria.
Friday, July 04, 2008
Verbi di Dante
"Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia",
diss'io, "beato spirto, si` che nulla
voglia di se' a te puot'esser fuia.
Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla
sempre col canto di quei fuochi pii
che di sei ali facen la coculla,
perche' non satisface a' miei disii?
Gia` non attendere' io tua dimanda,
s'io m'intuassi, come tu t'inmii".
Paradiso, canto IX
l’altro si “inmia”, cioè diventa me,
e l’io si “intua”, si assimila cioè al “tu”
che gli sta di fronte. E’ come se nell’amore
l’io si ponesse nelle mani del tu e
il tu in quelle dell’io.
L’“intuarsi” però, significando spossessarsi
"Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia",
diss'io, "beato spirto, si` che nulla
voglia di se' a te puot'esser fuia.
"God seeth all things, and in Him, blest spirit,
Thy sight is," said I, "so that never will
Of his can possibly from thee be hidden;
。「神にはすべてが見えています。あなたの姿も、神には見えています。ああ、聖なる魂よ、私のどんな考えも、あなたにはよく分かるでしょう。ですから、六つの翼をずきんとする、敬虔な焔達(神の愛を行使する天使達のセラフィム。イザヤ書6の2に、「上の方にはセラフィムがいて、それぞれ六つの翼を持ち、二つを持って顔を覆い、二つを持って足を覆い、二つを持って飛び交っていた」とある。この六枚の翼が堕落天使の場合どうなったかついては地獄第三十四曲参照)のハーモニーに調和して、永遠に天を喜ばすあなたの声は、どうして私の願いを満たしてくれないのですか? もし私の心の中を、あなたが知っているように、あなたの心の中を私が知っていれば、つまり、私がもしあなたならば、問われるのを待たないで答えるでしょう。」
diss'io, "beato spirto, si` che nulla
voglia di se' a te puot'esser fuia.
Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla
sempre col canto di quei fuochi pii
che di sei ali facen la coculla,
perche' non satisface a' miei disii?
Gia` non attendere' io tua dimanda,
s'io m'intuassi, come tu t'inmii".
Paradiso, canto IX
l’altro si “inmia”, cioè diventa me,
e l’io si “intua”, si assimila cioè al “tu”
che gli sta di fronte. E’ come se nell’amore
l’io si ponesse nelle mani del tu e
il tu in quelle dell’io.
L’“intuarsi” però, significando spossessarsi
"Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia",
diss'io, "beato spirto, si` che nulla
voglia di se' a te puot'esser fuia.
"God seeth all things, and in Him, blest spirit,
Thy sight is," said I, "so that never will
Of his can possibly from thee be hidden;
。「神にはすべてが見えています。あなたの姿も、神には見えています。ああ、聖なる魂よ、私のどんな考えも、あなたにはよく分かるでしょう。ですから、六つの翼をずきんとする、敬虔な焔達(神の愛を行使する天使達のセラフィム。イザヤ書6の2に、「上の方にはセラフィムがいて、それぞれ六つの翼を持ち、二つを持って顔を覆い、二つを持って足を覆い、二つを持って飛び交っていた」とある。この六枚の翼が堕落天使の場合どうなったかついては地獄第三十四曲参照)のハーモニーに調和して、永遠に天を喜ばすあなたの声は、どうして私の願いを満たしてくれないのですか? もし私の心の中を、あなたが知っているように、あなたの心の中を私が知っていれば、つまり、私がもしあなたならば、問われるのを待たないで答えるでしょう。」
ascendenze teologiche
padre Pasquale ha detto che “l'Ordine cappuccino intende estrapolare la quintessenza dalla teologia francescana, di fondazione platonica e neoplatonica, proseguita con Agostino, implementata da San Bonaventura e passata a noi dalla teologia di Von Balthasar, da cui proviene dichiaratamente Ratzinger”.
ROMA, mercoledì, 2 luglio 2008 (ZENIT.org).-
ROMA, mercoledì, 2 luglio 2008 (ZENIT.org).-
Wednesday, July 02, 2008
Paolo e il Gesu storico/risorto
Paolo non racconta nulla del Gesù terreno, ma solo del Crocifisso risorto. La cristologia di Paolo è tutta centrata sull’evento pasquale, sulla doppia faccia dell’evento pasquale, la croce e la risurrezione, dove lui ha percepito questa cosa dirompente, dicevo, che va al di là dei confini d’Israele. D’altronde, è diventata poi tradizionale anche degli scritti giudeo-cristiani non paolini la coscienza che Gesù è venuto ad abolire i sacrifici. Se è venuto ad abolire i sacrifici, vuol dire che la sua identità va al di là delle liturgie templari, è qualcosa che sta al di fuori della categoria del sacro, è aperta al profano – usiamo questa categoria –; e il profano si trova dappertutto, profano è soprattutto ciò che è fuori di Israele come popolo santo (quello che “gli altri” non sono). Ma è proprio per quegli “altri” che Paolo ha percepito la destinazione dell’evento pasquale.
Romano Penna, 30 giorni, maggio 2008
Romano Penna, 30 giorni, maggio 2008
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