Monday, April 19, 2010

Il pensiero sociale e politico di Benedetto XVI

Il pensiero sociale e politico di Benedetto XVI
Un libro esamina gli elementi fondamentali

di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 18 aprile 2010 (ZENIT.org).- Siamo abituati a considerare i Papi solo come guide spirituali e teologiche, ma un recente libro mette in evidenza l’attuale importanza e influenza del pensiero sociale e politico di Benedetto XVI.

Nel libro “The Social and Political Thought of Benedict XVI”, l’autore Thomas R. Rourke prende in esame il pensiero sociale e politico del Papa, sia prima, che dopo, la sua elezione alla Cattedra di Pietro. Rourke insegna presso il dipartimento di scienze politiche della Clarion University di Pennsylvania.

Secondo Rourke, sebbene sia noto più come teologo, Benedetto XVI è anche un profondo pensatore politico, e il suo pensiero sociale merita maggiore attenzione rispetto a quanto fatto finora.

L’autore considera anzitutto le fondamenta antropologiche del pensiero del Papa. Nel libro “In cammino verso Gesù Cristo”, l’allora cardinale Ratzinger esamina lo sviluppo del concetto di persona.

Rispetto all’impostazione della filosofia greca, i testi sacri e il pensiero cristiano hanno permesso di arricchirne notevolmente l’impostazione, soprattutto nell’aspetto della persona come essere relazionale. Da ciò deriva il concetto di spiritualità di comunione, che secondo Rourke è alla base della concezione di Benedetto XVI sulla dottrina sociale.

Nella comunità divina delle persone della Trinità, scopriamo infatti le radici spirituali della comunità degli uomini. Il pensiero antropologico del Papa quindi non considera le persone come individui che solo in un secondo momento entrano in relazione tra loro. Per il Pontefice l’elemento relazionale costituisce invece il cuore della natura stessa della persona.

Questo tipo di fratellanza tra le persone si fonda sulla comune paternità di Dio e si differenzia sostanzialmente dalla visione secolare della fratellanza, come quella sposata dalla Rivoluzione francese.

A ciò si aggiunge la dimensione della creazione. La vita umana, in quanto creata a immagine di Dio, possiede una dignità inviolabile, che secondo il Papa è inconciliabile con un’interpretazione utilitaristica della persona umana.

Politica

Sebbene questa antropologia possa sembrare troppo astratta, essa costituisce il fondamento necessario di ogni filosofia politica, spiega Rourke. La nostra visione politica di come debba svolgersi la vita comune, è necessariamente fondata sulla nostra concezione di cosa sia la persona e di cosa sia la comunità.

Secondo Rourke, Benedetto XVI considera la politica come un esercizio della ragione, ma di una ragione plasmata dalla fede. Di conseguenza, il Cristianesimo non considera l’apprendimento come la mera acquisizione di conoscenza, ma come un processo che deve essere guidato da valori fondamentali come la verità, la bellezza e la bontà.

Quando la ragione viene separata da un chiaro intendimento del fine della vita umana, stabilito dalla Creazione e affermato nei Dieci Comandamenti, allora essa perde il suo punto di riferimento necessario per esprimere un giudizio morale. Quando questo avviene, si apre la strada al consequenzialismo, che nega che una cosa possa essere in se stessa buona o cattiva.

Un altro interessante filone di pensiero, presente negli scritti del cardinale Ratzinger, è la separazione tra Chiesa e Stato, osserva Rourke. Con questa separazione, prefigurata nelle parole di Gesù: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, il Cristianesimo ha distrutto l’idea di uno Stato divino.

Prima del Cristianesimo, l’unione tra Chiesa e Stato era la pratica normale e così era anche nell’Antico Testamento. E questo fu anche il motivo della persecuzione dei cristiani da parte dell’Impero romano, poiché essi si rifiutavano di accettarne la religione di Stato.

La separazione introdotta da Gesù ha recato beneficio allo Stato, liberandolo dal dovere di rispondere all’aspettativa della perfezione divina, secondo il cardinale Ratzinger. Questa nuova prospettiva cristiana ha così aperto le porte ad una politica fondata sulla ragione.

Miti

D’altra parte, quando si vuole tornare ad una concezione precristiana della politica, si finisce per eliminarne i limiti morali, come è avvenuto nella Germania nazista e negli Stati comunisti, secondo il futuro Pontefice.

Nel mondo di oggi, le concezioni mitiche del progresso, della scienza e della libertà rappresentano un pericolo. Il loro elemento comune è quello di tendere allo sviluppo di una politica irrazionale che pone la ricerca del potere al di sopra della verità.

Una volta diventato Papa, egli riprende questo tema nella seconda enciclica sulla speranza, avvertendo che ciò che noi speriamo come cristiani non deve essere confuso con ciò che possiamo raggiungere attraverso l’azione politica.

Tornando a ciò che il cardinale Ratzinger scrive nel suo libro “Chiesa, ecumenismo e politica”, Rourke aggiunge che la separazione tra Chiesa e Stato è diventata più confusa negli ultimi tempi, essendo interpretata come cessione dell’intera dimensione pubblica allo Stato.

Quando questo viene accettato, la democrazia si riduce ad un insieme di procedure, priva di qualunque valore fondamentale. Il futuro Papa, invece, afferma la necessità della presenza di un sistema di valori che risalga ai principi originari, quali il divieto di sopprimere la vita umana innocente o l’unione permanente tra un uomo e una donna come fondamento della famiglia.

Coscienza

Tra i molti altri argomenti esaminati da Rourke vi è quello relativo alla coscienza. Se a prima vista potrebbe sembrare poco pertinente alle questioni politiche, la coscienza si rivela invece avere un ruolo fondamentale.

È infatti nel cuore della nostra coscienza che noi custodiamo le norme fondamentali su cui si fonda l’ordine sociale. La coscienza rappresenta anche una limitazione al potere dello Stato, in quanto lo Stato non ha una autorità che lo legittima a violare tali norme. È quindi la coscienza che è in grado di circoscrivere l’azione di governo.

La distruzione della coscienza è invece il prerequisito del governo totalitario, come spiegò l’allora arcivescovo Ratzinger in una lezione del 1972: “Dove prevale la coscienza, esiste un limite al dominio dell’autorità umana e della scelta umana, un qualcosa di sacro che deve rimanere inviolato e che nella sua sovranità, elude ogni controllo, sia quello altrui, sia quello proprio”.


Rourke chiarisce che con queste parole il futuro Papa non sminuisce il valore dei limiti costituzionali o istituzionali del potere. Il punto è più profondo: che nessuna istituzione o struttura può preservare le persone dall’ingiustizia, quando coloro che hanno l’autorità abusano del proprio potere. In questa situazione, è il potere della coscienza, brandito dalla gente, che può proteggere la società.

La coscienza, a sua volta, si collega alla fede, che ne è la principale formatrice. La fede diventa quindi una forza politica nello stesso modo in cui lo è stato Gesù diventando testimone della verità nella coscienza. “Il potere della coscienza si trova nella sofferenza; è il potere della Croce”, spiega Rourke sintetizzando la lezione del 1972.

“Il Cristianesimo inizia”, secondo l’arcivescovo Ratzinger, “non con un rivoluzionario, ma con un martire”.

Continuità

Lo studio di Rourke comprende anche un’appendice contenente un’analisi dell’ultima enciclica di Benedetto XVI sui temi sociali: “Caritas in veritate”, pubblicata quando egli aveva quasi finito di scrivere il suo libro. L’autore sottolinea al riguardo la piena continuità tra l’ultima enciclica e i precedenti scritti del Papa.

Secondo Rourke, questa continuità è evidente già nell’introduzione, in cui il Papa lega la verità all’amore e all’idea di una verità oggettiva, contrariamente alla tendenza relativistica.

L’enciclica conclude poi con la ricorrente idea del Pontefice che in Cristo troviamo ciò che è più autenticamente umano, che Egli ci porta a scoprire la pienezza della nostra umanità. Questo umanesimo cristiano è ciò che Benedetto XVI vede come il contributo più grande che possiamo dare allo sviluppo. Un obiettivo avvincente e incoraggiante, per cui vale la pena impegnarsi.

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