Friday, April 30, 2010

Laicita' e liberta' di religione

Forme e limiti della presenza pubblica della religione
Tra la libertà all'americana
e la laicità alla francese

È in libreria il volume Una alternativa alla laicità (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pagine 261, euro 14). L'autore ne ha sintetizzato i temi per il nostro giornale.

di Luca Diotallevi

In un momento come questo, nel quale per molte ragioni ci si interroga su forme e limiti della presenza pubblica della religione, rischi seri si nascondono dietro l'abitudine a ritenere "ovvio" che le risposte vadano cercate nello spazio della laicità. Magari a volte si tenta di ridefinire la laicità con qualche aggettivo, ma di essa quasi mai si mette in discussione il rango di modello, se non per dar spazio a nostalgie indifendibili.
Tuttavia il confronto in atto esige anzitutto una radicale relativizzazione della laicità.
Per corrispondere alla istanza di separare poteri politici e poteri religiosi, quello della laicità non è affatto l'unico paradigma a disposizione, né l'unico che la modernità ci offra, e neppure l'unico che la modernità europea abbia elaborato e sperimentato. Possiamo infatti non dirci laici senza con ciò necessariamente fuoriuscire dallo spazio culturale e civile della modernità, anche nella sua versione europea.
La relativizzazione della laicità, la sua riduzione a una tra le possibilità a disposizione, comincia con il riconoscimento della reciproca eterogeneità tra il suo paradigma e quello della libertà religiosa. Laïcité e religious freedom rimandano a modi di separare poteri politici e poteri religiosi reciprocamente irriducibili. L'una non è un grado dell'altra, sono semplicemente due cose del tutto diverse. Rispettivamente, nella legge del 1905 - ma già nelle politiche ecclesiastiche della Rivoluzione Francese a partire dalla Constitution civile du clergé - e nel Primo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d'America (definitivamente approvato nel 1791) è possibile osservare con chiarezza che tra laïcité e religious freedom si manifestano differenze radicali. Una tale differenza, di specie e non di grado, permarrà nelle tradizioni culturali e nelle esperienze storiche che procederanno da quegli eventi e non sarà attenuata dal semplice ricorso a qualche aggettivo.
Innanzitutto la laïcité persegue la privatizzazione della religione mentre la religious freedom riconosce dignità pubblica alle istituzioni religiose. Nella laïcité il "muro di separazione" tra politica e religione corre lungo la linea tra spazio pubblico e spazio privato, confinando la religione entro quest'ultimo. Nel modello della religious freedom lo stesso "muro" corre attraverso lo spazio pubblico.
Anche in questo modo la laïcité si rivela organica a una idea "monarchica" di ordine sociale, realizzata dallo "Stato" come dominio della sola politica sull'intero spazio pubblico. Al contrario, la religious freedom si rivela organica a un'idea "poliarchica" di ordine sociale. Nello spazio pubblico operano diverse istituzioni (politiche, economiche, familiari, scientifiche, religiose, e così via) che reciprocamente si limitano e anche in questo modo servono la libertà e la responsabilità personale. Il Primo emendamento fa della separazione tra poteri politici e poteri religiosi e del riconoscimento della espressione pubblica delle fedi in parole, riti e opere la pietra angolare di questa idea di ordine sociale. Nella laïcité la libertà religiosa finisce con l'essere un caso particolare di altre libertà e innanzitutto della libertà di coscienza, mentre nella religious freedom, la libertà religiosa fonda e garantisce le altre libertà.
Ancora, la laïcité nasce e vive in un regime di civil law, in un contesto nel quale lo "Stato" (superiorem non recognoscens) esercita la propria sovranità anche sul diritto, riducendone il fondamento alla propria legge; al contrario la religious freedom nasce e viene costantemente amministrata in un regime che ha ancora tratti peculiari della common law e della non pura e semplice riduzione del diritto alla legge positiva.
Infine, ma si potrebbe continuare, la religion civile francese è una vera alternativa a ogni religione di chiesa, e in particolare al cristianesimo, mentre la civil religion americana no, restando semplice e non autonomo tessuto di valori condivisi espressione della sinergia di istituzioni di vario genere. La religion civile di Rousseau esprime un tratto arcaico - in fondo contraddittorio - che dal giacobinismo transiterà a tutti i totalitarismi del xx secolo. Lo "Stato" produce la religione di cui abbisogna per tenere unita e soggetta la società che controlla. La religion civile è religione della politica in senso soggettivo e oggettivo. Lo "Stato" nella laïcité esprime dei confronti della religione quello stesso atteggiamento di negazione della libertà e della multiformità del sociale (Compendio della dottrina sociale, 151) che nei confronti dell'economia esprime negando il mercato.
Negare la eterogeneità che sussiste tra i paradigmi della laicità e della libertà religiosa espone a gravi rischi.
Espone al rischio della ideologia in quanto semplificazione della realtà in funzione del mantenimento di un certo assetto sociale. Si tratta dello stesso rischio che torna ogni volta che dell'illuminismo si parla al singolare. Alla radice non vi è tanto la negazione del contributo del cristianesimo alla modernità, quanto l'occultamento del fatto che dal permanere di una dialettica tra cristianesimo e modernità dipende il primato nella modernità e nell'illuminismo dello spirito critico e autocritico sulle istanze razionalistiche.
Negare la eterogeneità di laicità e libertà religiosa espone al rischio di una pericolosa deformazione della coscienza europea. Questa non si può infatti accontentare neppure del riconoscimento della differenza tra modello americano e modello francese, ma esige che si riconosca la fonte più importante del Primo emendamento nella "gloriosa rivoluzione" inglese di fine Seicento. Il modello della libertà religiosa è "europeo" né più né meno di quello della laicità, la quale dunque non può pretendere esclusiva sulla identità e sulla modernità europea, né primogenitura di sorta.
Come le lezioni di giuristi quali Augusto Barbera e, ancor più, Giuseppe Dalla Torre ci insegnano, se si resta sensibili a tali differenze si può sfuggire al rischio di una forzata interpretazione "francese" della Costituzione italiana, cui probabilmente non è scampata del tutto neppure la famosa sentenza della Corte Costituzionale del 1989, la quale indicava nella laicità un principio costituzionale anche se nel testo del 1948 di quel modello erano assenti molti tratti essenziali oltre che il termine stesso.
Una adeguata relativizzazione della laïcité sarebbe di non poco aiuto anche per la coscienza ecclesiale e la ricerca teologica, al fine di evitare che, magari inavvertitamente, sia quel paradigma a orientare la riflessione sui "laici" e sulla Chiesa come Popolo di Dio. D'altro canto, relativizzare la laicità aiuta a comprendere anche il valore e lo spessore dell'orientamento di fondo in materia di rapporti tra politica e religione assunto dal Vaticano ii - in particolare nella Dignitatis humanae - e seguito dai Pontefici successivi, un orientamento per il paradigma della libertà religiosa.
Relativizzare la laicità può risultare utile ancor più in generale mentre affrontiamo le sfide nuove da cui dipende il futuro di tutti. Il modello della libertà religiosa ci aiuta a guardare oltre la stagione dello "Stato" e della sua sovranità e a ricercare assetti di governance "poliarchici" (Caritas in veritate, 57); con la cultura della laicità sopravvivono invece nostalgie per una stagione ormai chiusa e uno spirito di mera opposizione alle "nuove cose nuove".


(©L'Osservatore Romano - 30 aprile 2010)

No comments: