Tuesday, September 30, 2014

Osservatore romano

Osservatore romano

Qualsiasi traduzione dal giappone-
se in una lingua occidentale deve
avere l'onestà di riconoscere un'im-
perfezione allusiva: non si dice mai
esattamente la stessa cosa nell'una e
nell'altra lingua. Infatti mentre le let-
tere dell'alfabeto, prese separatamen-
te, non hanno senso e non creano né
immagini né emozioni, ogni ideo-
gramma cinese, necessario per preci-
sare il significato dei tanti omofoni
esistenti nella lingua giapponese, tra-
smette all'occhio e alla mente infor-
mazioni che pur non avendo nulla a
vedere con il senso del testo sono co-
munque là e interpellano il lettore.
L'ideogramma an, ad esempio, pa-
ce in cinese e in associazione con
shin/cuore, tranquillità in giappone-
se, raffigura una donna sotto un tet-
to. In effetti, quando una madre è in
casa e se ne prende cura, tutta la fa-
miglia sta tranquilla. Il termine giap-
ponese Kotoba in italiano diventa pa-
rola, termine riduttivo rispetto all'ori-
ginale che si scrive, a meno di non
optare per i segni kana sillabici e so-
lo fonetici impossibilitati di esplicita-
re un significato, con due ideogram-
mi: uno significa "dire", l'altro signi-
fica "foglia". Dunque i due ideo-
grammi che assieme vogliono dire
parola/parole, sul piano del signifi-
cante loro proprio accostano le paro-
le alle foglie. E così per magia della
ipotiposi sui generis suggerita dagli
ideogrammi, le parole volant. Ma
hanno anche un peso. «Noi e Lei,
Padre, siamo un cuore solo!», le pa-
role di quell'umile donna piena di fe-
de dal poetico nome Yuri (giglio),
contraddicono il detto verba volant
come lo intendiamo di solito e, per
la profondità del loro significato so-
stanziato dalla fede, di fatto manent
in ognuno di noi.
Oggi, nella cattedrale di Ooura,



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