Sunday, November 23, 2014

Intervista a Mons Takeo Okada

Visto dal Giappone
Incontro mons. Peter Takeo Okada, arcivescovo di Tokyo, a Casa
Santa Marta nel primo pomeriggio di lunedì 13 ottobre. Presento
a mons. Okada il numero de Il Regno che pubblica in italiano la risposta
dei vescovi giapponesi al questionario preparatorio al Sinodo.
E rimane positivamente sorpreso di trovare il testo in italiano,
anche perché – dice – «è quello che ho usato, in forma sintetica, per
il mio intervento al Sinodo».
– Quale è la sua impressione sul Sinodo visto con gli occhi del
Giappone?
«Anche se sono vescovo da 25 anni è la prima volta che partecipo
a un Sinodo. È un evento internazionale in cui si sommano
problematiche molto diverse. Da un lato un vescovo africano ha
detto oggi in aula che il suo paese è preoccupato per l’enorme aumento
della popolazione e la Chiesa trova quindi difficile comunicare
la propria idea sulla procreazione responsabile; o, ancora, che
una delle questioni principali dei matrimoni è data dalla diffusione
della poligamia come prassi corrente in Africa e anche in questo
caso comunicare l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia non è
semplice.
Dall’altro, si trovano problematiche simili tra l’Italia e il Giappone,
come il calo drastico della popolazione e delle nascite; l’aumento
dell’età in cui ci si sposa (che spesso provoca il ricorso a costose cure
contro la sterilità); il fatto che molti non si sposano; il costo che le
famiglie devono sopportare per allevare ed educare un figlio; il fatto
che molte coppie decidono di non avere figli; il rovesciamento della
piramide demografica dove un vertice molto ristretto di giovani deve
mantenere una base molto ampia di anziani… Il Governo giapponese
ha attuato politiche di sostegno alla natalità ma non basta».
– Quali sono le problematiche più urgenti per il Giappone e i
quali i punti forza della sua cultura?
«Dopo la Seconda guerra mondiale, il Giappone ha dovuto ricostruire
partendo da zero. Il Governo ha puntato innanzitutto allo
sviluppo economico e poi sulla scolarizzazione in modo da rifondare
il paese. Rispetto al passato, in questi due secoli il percorso educativo
si è allungato di circa 10 anni. Ora a 17 anni tutti s’iscrivono all’università.
E poi c’è il lavoro. Il popolo giapponese non ha tempo libero,
studia molto, lavora molto. Ma questa attività frenetica che mirava
alla ricostruzione ha raggiunto il suo culmine. E si continua a lavorare
e a studiare moltissimo ma senza ulteriori sbocchi. Ogni anno ci sono
ufficialmente più di 30.000 suicidi. Manca il senso del futuro e di
speranza.
Questa situazione generale è vissuta anche dai cattolici che in
più si sforzano di vivere secondo il Vangelo. Ma i cattolici sono pochissimi,
sono lo 0,3% della popolazione, una situazione simile a
quella dei primi cristiani. Praticare la fede è difficile perché devono
vivere in una società fatta così. Ma poiché sono pochi, un uomo che
lavora deve seguire le esigenze dell’industria, che non sempre segue
l’insegnamento del Vangelo».
Dalla diaspora alla rete
– Si celebrano matrimoni misti?
«Quando ci sono matrimoni, spesso sono di un cristiano che è
l’unico in tutta la famiglia. Come può andare a messa se tutta la famiglia
fa diverso? Se una ragazza si sposa con un non cristiano, come
spesso capita, deve promettere che educherà i figli alla fede. Ma
questa promessa spaventa molti, visto che vivono il cristianesimo in
minoranza anche in famiglia. Non costringiamo quindi all’educazione
alla fede dei figli, ma chiediamo di promettere di compiere tutti
gli sforzi necessari per educarli secondo il Vangelo. I bambini, poi,
devono studiare molto, anche la domenica e vivono immersi in questo
clima fortemente competitivo; non possono quindi frequentare
la domenica la parrocchia.
Però occorre dire che i giapponesi hanno anche molte caratteristiche
positive su cui possiamo contare per il nostro lavoro pastorale.
Siamo un popolo molto onesto, diligente e lavoratore. La società
giapponese è molto sicura, anche le donne possono uscire la sera in
tutta sicurezza. E il fatto che si eviti con molta cura di dire tutto ciò
che si pensa per timore di ferire gli altri può essere anche un punto di
forza per il dialogo».
– Potrebbe quindi essere la base per una discussione sulla famiglia
anche con le altre religioni?
«In Giappone tutte le religioni collaborano non tanto sul tema
specifico della famiglia ma ad esempio per la pace, contro le discriminazioni,
per l’ecologia, perché su questi temi sono d’accordo. Recentemente
la Conferenza episcopale del Giappone ha invitato
buddhisti, shintoisti, bonzi per discutere la questione degli anziani
nella società sia sotto l’aspetto della loro cura e del loro ruolo, sia su
come riflettere sul tema della morte».
– È opportuno a suo avviso celebrare un Sinodo regionale o locale
sul tema della famiglia?
«Ci sono le conferenze episcopali asiatiche. Giovanni Paolo II
aveva indetto anche un Sinodo per l’Asia: a mio parere sono state
spese tante energie per fare, con buone intenzioni. Tuttavia l’Asia
non ha lingua comune, è costituita da realtà molto diverse; e i problemi
organizzativi sono molteplici… In Giappone, già nel 1999 si è
celebrato un piccolo Sinodo sul tema di come trasmettere la fede
nelle comunità cristiane attraverso i cristiani laici. La conclusione è
stata la seguente: la situazione è paragonabile a una diaspora e per
darsi forza la diaspora deve diventare una rete. Questa è la direzione.
Ciascuno vive separatamente e per darsi forza conta sulla comunicazione
che passa attraverso questa rete».
– E i movimenti come i neocatecumenali? Che ne è della discussione
sulla loro presenza?
«Forse per voi è difficile comprendere. E spesso a Roma abbiamo
faticato a far comprendere come il loro ruolo sia reso difficile da
questa situazione di diaspora. Per esempio in una parrocchia formata
al massimo da un centinaio di persone, l’entrata di un movimento
che chiede un’adesione forte provoca divisioni nella comunità e anche
il parroco si trova in difficoltà.
In Europa su un migliaio di persone, un gruppo di 100-200 persone
non sposta gli equilibri della comunità. Le comunità giapponesi
sono ancora piccole e non tollerano divisioni che portino a non stare
nella pace, che è un tema molto caro ai giapponesi, proprio in virtù
dell’indole giapponese a non dire ciò che all’altro potrebbe far male.
Alcuni movimenti sono più disponibili a integrarsi con questa visione
della società, altri, sicuramente molto ferventi, rischiano però di diventare
esclusivisti e questo non piace all’animo giapponese che di
per sé sarebbe più sincretista. Per i giapponesi è intollerabile che
qualcuno rivendichi il diritto all’unica religione.
Ai neocatecumenali è stato chiesto di lasciare il Giappone perché
non si inseriscono nel tessuto giapponese ma impongono la
propria visione. Se ne potrà riparlare, diciamo, magari tra cento anni,
quando il cristianesimo giapponese sarà cresciuto. Ancora però
qualcuno in Vaticano insiste…».
a cura di M.E. G.
C h i e s e l o c a l i -

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