https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-06/quo-130/dio-dice-cio-che-il-tuo-cuore-sa.html
La libertà non è nella doppiezza dell'ambiguità ma nella tensione e nell'inquietudine che aiuta a essere ritrovato
Scegliere la vita è cogliere una chiamata, una tensione, proprio nella spaccatura che è in me
«Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male» (Deuteronomio 30,15). Dio è semplice e pone la più complessa, la più drammatica di tutte le questioni — la questione — come un invito a misura d'uomo. «Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (Deuteronomio 30,19). Le cose di ogni giorno non si presentano così, ma tremendamente aggrovigliate. A Israele è però offerta una parola che scioglie i nodi e apre sentieri. Due sentieri. Perché due, come suggeriva un titolo di Erri De Luca, è Il Contrario di uno. Dio è semplice, non monotono. È libero e libera. Due vie, allora. Cioè mai una sola. Certo, molte sapienze umane sono giunte allo stesso bivio. In effetti, ogni volta che può — cioè sempre, tranne quando si tratta del suo Nome — Dio parla la lingua di Abramo, Isacco, Giacobbe e via via di ogni suo interlocutore. Vuole essere capito. «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: "Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?". Non è di là dal mare, perché tu dica: "Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?". Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Deuteronomio 30, 11-14). Dunque, Dio dice ciò che il tuo cuore sa. Quanto benedetta, allora, è la tua inquietudine! Lì sorge non "una", ma "la questione": non della cieca obbedienza, non di una fede senza ragioni, ma della fedeltà a te, al tuo desiderio di vita. «Scegli dunque la vita».
Non sorprende che, per annunciare il Regno di Dio, le parabole di Gesù abbiano spesso due protagonisti. Quanti racconti, quante fiabe di ogni epoca e da ogni latitudine oppongono due figure, due vie, due possibili esiti. Chi ascolta è così restituito a sé stesso, gli è riaperta la vita. I giochi sono tutt'altro che chiusi: ancora hai una scelta. San Luca spinge la questione sino all'estremo, sino all'ultimo istante, ricordando che anche i ladroni crocifissi accanto al Messia erano due. Non poteva andare diversamente. La libertà infatti non si inchioda. La salvezza, la grazia, il paradiso sono sempre, incrollabilmente vicini: «Oggi stesso» (Luca 23,43). C'è tuttavia qualcosa di più che i vangeli rivelano. Come la vita che ci ha donato, Dio infatti non è banale. Così, proprio le parabole generano terremoti nella sapienza umana, interrompendone gli scivolamenti verso false certezze e giudizi sommari. Quella parola che vuole sciogliere il groviglio della vita, dunque, non sopporta la sua riduzione a bianco o nero, buono o cattivo. C'è ad esempio un figlio che dice al padre «Sì, signore» e poi fa quel che gli pare e il fratello che dice «No, non ne ho voglia», ma si ravvede e sa sorprendere (Matteo 21, 28-32). Non è una storiella, ma la storia di tutti. Israele — il primo a dire sì — ne è colpito al cuore. Lo sono i fedeli di ogni tempo. C'è un altro in loro, non è come dicono: «Noi o voi, dentro o fuori». Gesù rompe la semplificazione del doppio anche nell'altra parabola che racconta di due fratelli: non si tratta semplicemente del cattivo che se ne va e del buono che rimane a casa; di uno che sceglie la morte e sperpera il patrimonio e dell'altro che sceglie la vita e fedelmente lavora a farlo crescere (Luca 15, 11-32). Dov'è la vita e dov'è la morte? Dove sei tu. Sempre. Lì dove tu sei la porta di casa è aperta, puoi scegliere la vita, puoi essere ritrovato.
La letteratura ha indagato con intramontabili capolavori il doppio che è in noi. Sarebbe troppo dire la nostra doppiezza, perché quest'ultima, sebbene sia sempre dietro l'angolo, rappresenta una resa. Che io sia me e il mio contrario non significa che possa adagiarmi nell'ambiguità: lì infatti è la morte. Scegliere la vita è piuttosto cogliere una chiamata, una tensione, proprio nella spaccatura che è in me: non senza dolorose sorprese, non senza fatiche, non senza cadute, rispondere di me sarà scegliere la vita. L'intera vicenda biblica si tinge di vangelo in questo: ognuno ha il suo esodo. Ogni singolo, ogni comunità. Le nostre vite sono intrecciate e provocate l'una dall'altra. Ecco la buona notizia. C'è spazio, c'è tempo, c'è un oggi per ciascuno: è il contrario della rigidità. La rigidità non sopporta quell'infinità di sfumature che genera inquietudine. Vede due sole vie, per mettere a tacere un cuore che vibra di mancanza e di desiderio, in ogni scelta. Fëdor Dostoevskij ha dipinto magistralmente il sospetto del grande Inquisitore, il cui veleno mortale è che la libertà sia troppo per gli umani. Insostenibile per loro? Il Dio biblico non è di questo avviso e qui sta la sfida da assumere in un mondo che chiede libertà e felicità. Cioè cura, fiducia, consolazione, respiro.
Mai senza l'altro. C'è quasi un imprinting trinitario in questa struttura della vita. Agostino ne è stato il cantore e con lui un'intera comunione di santi in cui l'inconciliabile si dissolve in bellezza. Si tratta di abitare la propria vicenda, di assumerla, amandone — non senza autoironia — l'incompletezza. Si può dire, infatti, ogni sera come nell'ultimo giorno «tutto è compiuto» solo riconoscendo di non essere tutto. Persino i nostri discorsi divengono banali — e spesso quelli ecclesiastici lo sono — nella pretesa di dire tutto: scegliere la vita è sempre tagliare, non il male allo stato puro, ma ciò che oggi non è chiesto a me. Tutto, infatti, può rivelarsi benedizione o maledizione, bene o male: il punto è il mio prossimo passo. Esso avviene davanti a Dio: per questo corrisponde al più personale e autentico desiderio. Destabilizzante libertà: «Ama e fa ciò che vuoi». Ama, però.
di SERGIO MASSIRONI
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