Tuesday, May 22, 2007

Grandi linee della storia dell'incontro tra la teologia cristiana e le culture

Discorso di Ruini a Torino

(...)all’interno della teologia medievale, e in forma eminente con San Tommaso, la distinzione e nella distinzione il rapporto reciproco tra ragione e fede, filosofia e teologia, sono stati oggetto di approfondimento sistematico. Come ha mostrato magistralmente É. Gilson in uno studio pubblicato già nel 1927 sui motivi per i quali San Tommaso ha criticato Sant’Agostino ("Pourquoi saint Thomas a critiqué saint Augustin", in AHDLM*, 1, pp. 5-127), la base teoretica di questo approfondimento è da ritrovarsi nella gnoseologia ed ontologia di matrice aristotelica, che ha consentito appunto una distinzione più chiara e sistematica tra le capacità conoscitive intrinseche all’uomo e la luce che egli riceve dalla presenza divina in lui.

Una tesi storico-teologica largamente diffusa, e sviluppata soprattutto da un autore della portata di H. de Lubac, sulle orme di M. Blondel, ritiene che l’insistenza unilaterale su questa distinzione, affermatasi nella “seconda scolastica”, cioè appunto ai primi inizi dell’età moderna, abbia contribuito all’emarginazione del cristianesimo e della teologia dagli sviluppi della cultura, rappresentandone involontariamente una legittimazione teologica.
Personalmente posso concordare con questa valutazione, a patto di non esagerare il suo concreto peso storico. Mi preme sottolineare però che essa non deve portare a un giudizio negativo sulla validità intrinseca – e anche sulla necessità e fecondità storica – di quella distinzione sistematica.

5. Tentativi di risposta teologica

In una situazione di questo genere è assai grande lo spazio, anzi il bisogno dell’apporto della teologia. Per delineare la fisionomia che esso potrebbe assumere sembra utile richiamare anzitutto i limiti di alcuni tentativi già attuati e, almeno in parte, ancora in atto.
Uno di essi, ormai desueto a motivo dei limiti emersi nei processi di secolarizzazione, è quella che è stata chiamata “teologia della secolarizzazione”, di matrice soprattutto protestante ma penetrata anche in ambito cattolico. Essa ratificava, come il risultato della dinamica interna del cristianesimo, la separazione crescente tra fede e cultura e affidava la mediazione tra di esse soltanto alla rivendicazione dell’origine cristiana di tale processo. Così però rimane aperta la strada all’emarginazione progressiva del cristianesimo, man mano che i processi di secolarizzazione si sviluppano e si allontanano dalla propria origine, come normalmente avviene nella storia.

Un altro approccio teologico, oggi ancora abbastanza presente, sebbene colpito alla radice dagli eventi dell’anno 1989, che hanno messo in evidenza l’insostenibilità non solo politica ed economica ma antropologica ed etica dei modelli di vita associata che si richiamano al marxismo, è quello delle teologie della liberazione e anche delle teologie politiche. Alla loro base vi è l’intenzione, ampiamente condivisibile, di ricuperare, in vista del futuro, il ruolo storico del cristianesimo. Il loro limite sostanziale consiste però nell’affidare questo ruolo principalmente alla prassi politica, mettendo così a carico della politica il problema stesso della salvezza dell’uomo e del senso dell’esistenza, ciò che comporta fatalmente un’assolutizzazione falsa e distruttiva della politica stessa.


La profonda disillusione prodotta nell’ambito delle teologie della liberazione dai fatti del 1989 ha spinto vari loro esponenti verso posizioni improntate al relativismo. Essi sono confluiti così, insieme a non pochi altri teologi, in quell’orientamento, che prende vari nomi tra cui quello di teologia delle religioni, secondo il quale fondamentalmente non solo il cristianesimo ma anche le altre molteplici religioni del mondo, con i popoli e le culture che ad esse si riferiscono – e che spesso sarebbero stati oggetto da parte dei cristiani di un imperialismo e colonialismo non solo politico ma anche religioso –, costituirebbero in realtà, accanto al cristianesimo storico, autonome e legittime vie di salvezza.

Viene abbandonata così quella fondamentale e davvero originaria verità della fede, evidentissima nel Nuovo Testamento e fonte primaria del dinamismo missionario della Chiesa dei primi secoli, secondo la quale Gesù Cristo, nella sua concretezza di Figlio di Dio che si è fatto uomo ed ha vissuto nella storia, è l’unico Salvatore dell’intero genere umano, anzi di tutto l’universo.

La dichiarazione "Dominus Iesus" della congregazione per la dottrina della fede, riaffermando con forza questa verità, non ha fatto che dare voce alla missione essenziale della Chiesa. Il libro che ho già citato dell’allora cardinale Ratzinger mette in luce come in determinate forme di teologia delle religioni sia all’opera quel principio del "latet omne verum" che accomuna per certi aspetti il relativismo attualmente diffuso in Occidente con l’approccio al divino delle grandi religioni orientali, e anche del pensiero tardo-antico che proprio in questi termini si opponeva al cristianesimo. In vari teologi questa svolta relativistica si accompagna con la rivendicazione, non abbandonata, del primato della prassi: dove cioè la conoscenza non può arrivare potrebbe invece giungere la prassi; essa sola sarebbe decisiva per la salvezza e il dialogo, anzi l’unità tra le religioni dovrebbe risolversi in essa.

http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=142423

* Gilson, Étienne. Pourquoi saint Thomas a critiqué saint Augustin suivi de Avicenne et le point de départ de Duns Scot. Paris, Librairie philosophique J. Vrin, 1986. Réimpression de deux articles parus à l'origine dans les Archives d'histoire doctrinale et littéraire du moyen âge.

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