Wednesday, August 12, 2009

da: Mauricio Y Marassi, Buddismo Mahayana

Il Buddismo nei confronti di altre religioni si comporta come un sistema operativo privo di programmi specifici pwer le varie funzioni. Quando si associa alle sfere religiose di una cultura e' in grado di farle girare - in un certo senso di ottimizzarle - fornendo loro un come, un verso nel realizzare una qualita' spirituale elevata. Al punto che, da molti, il "come", il verso proposto viene percepito vivificante la propria religione.

(Mauricio Y. Marassi, Il Buddismo Mahayana attraverso i luoghi, i tempi e le culture; La Cina, Marietti, 2009, p. 24)

Essendo tutto, o quasi tutto cio' di cui parleremo al di fuori delle caregorie della nostra cultura, usare questa per leggere quelle novita' porterebbe a un'omologazione che le distruggerebbe. (Marassi, 44)

In Cina quelle che noi occidentali consideriamo commistioni tra stato e chiesa non sono, come nei casi della nostra storia, indebite ingerenze dell'uno e dell'altra per dominarsi vicendevolomente, sono il retaggio di una situazione in cui sin dall'inizio non vi e' tra loro una chiara distinzione. (Marassi, p. 50)

["Religio instrumentum imperii" non e' qualcosa d cui scandalizzarsi, ma un dato di fatto.]


Nel caso della morfologia del pensare in cinese e' basilare la parte dovuta alla scrittura in cui questo pensare si rappresenta. In altre parole e' indispensabile dedicare uno spazio all'analisi di quel sistema grafico se vogliamo comprendere il pensante che ad esso e' correlato.[...] Fattore unificante non e' mai stata la lingua bensi la scruttura, e' quindi a questa che occorre fare riferimento nella tracciatura dei significati perche' in quest'ambito i suoni hanno un'importanza limitata: un numeri limitato di suoni ha il compito di rappresentare alcune migliaia di caratteri che sono i veri contenitori di senso.

Da una tale realta' disecende una considerazione essenziale per tutta la successiva
trattazione del discorso; nello nello sviluppo della cultura cinese il rapporto
fondamentale e' tra pensiero e scrittura, non tra pensiero e parola. Quello cinese e' un sistema di scrittura che si rapporta direttamente con il pensiero invece di instaurare 'prima' un rapporto con la parola, come avviene per le scritture alfabetiche nelle quali e' il suono/parola a a essere in contatto diretto son il pensiero, al punto che la parola "si fa" pensiero (in greco una sola parola, logos, indica contemporaneamente "pensiero" e "parola"). Nella cultura indiana, come pure in quella greca, il rapporto fondamentale nella produzione di cultura e' tra pensiero e parola, tra struttura mentale e struttura linguistica: il pensiero/parola ha anticipatodi molti secoli la scrittura, che e' stata importata piu' tardi e poi, volta per volta, adatatta a una lingua fonetica gia' compiuta.
In questo caso invece parliamo di una scrittura priva di suono, muta, che parla direttamente al pensiero, senza la mediazione della parola.
Il suono e la vista passano per canali di comunicazine diversi, come e' evidente dal fatto che una persona puo' essere non-vedente ma sentirci benissimo, e viceversa. Questo vuol anche dire che tra una lingua basata sul rapporto suono/pensiero e una lingua basta sul rapporto immagine/pensiero non ci puo' essere il tipo di comunicazione che siamo abituati a dare per scontato in quel processo che noi chiamiamo "traduzione".
Per noi - che scriviamo segni che rappresentano suoni - il dato nuovo e' che quello "scrivere" fatto di segni complessi, non sempre si puo' agevolmente trasformare in una lingua puramente fonetica, dove il portattore di senso e' il suono.
Il fatto e' che cio' che si vede in un ideogramma, nei segni che lo compongono e 'nella loro storia' - che e' una collezione di significati e di possibili associazioni con altri ideogrammi - e' una specie di scenario, non ha parole univoche che lo descrivano, come non e' dicibile interamente e con parole univoche quello che scorgiamo guardando da una finestra.
Parlare in una lingua a scrittura ideogrammatica e' anche, dire i nomi dei segni e
ascoltare/capire e', anche, tornare dal suono-nome al segno.
[...]Il segno e' "cosa tra le cose" per cui il pensiero, legato al segno invece che a un concetto fatto di parole e percio' astratto, non si allontana dalla realta', la esplora facendone parte. Il segno e' portatore autonomo e ridondante di senso. Bisogna aver chiaro che in questo contesto scompaiono i nostri piu' cari riferimenti linguistici, quelli che esprimono le differenze piu' sottili del nostro filosofare: niente piu' distinzione tra singolare e plurale, tra maschile e femminile e neutro, non piu' sfumature giocate sul filo di un diminutivo modificato da un condizionale, verso un suffisso che permetta di chiamare in gioco un'astrazione. Solo segni che parlano senza coniugazione e senza declinazione cosi' da poter fungere contemporaneamente di volta in volta da nomi, verbi, aggettivi.
(Marassi, 52-57)



"Per voi occidentali il peccato principe e' quello del sesso. Si, anoi sembra ridicolo aver drammatizzato un rapporto tanto naturale, ma il cristianesimo ha capito che il sesso svela gli ultimi segreti mentre noi non abbiamo mai pensato a questa sua profondita', a questa sua drammaticita'. Da noi il peccato principe e' invece distruggere l'armonia sociale. Se non si distrugge questa armonia, si puo' fare qualsisasi cosa, commettere qualsiasi peccato> Se gli altri non ci vedoni, non lo sanno, noi siamo senza peccato. il peccato non e' la "colpa", per noi il peccato e' la vergogna: la vergogna di venire scoperti> Da noi la coscienza individuale e' debole, mentre quella collettiva e' forte. per noi la punizione peggiore e' essere soli, essere isolati. Essere dei senza-uomini, un insulto terribile, come per voi essere dei senza-Dio. Siamo dei conformisti, questo e' il nostro peccato mentre il vostro e' essere degli individualisti. Ma qual e' il peccato piu' grave?" (Endo
Shuusaku, citato in R. PISU, Alle radici del sole, Sperling & Kupfer, Milano, 2000, 30s.)


"Io penso che oggi i giapponesi siano piu' inclini a recepire il cristienesimo perche' questa fede si e' trasformata, secondo me si sta avvicinando al buddismo. Mi sembra che tra i cristiani stia cambiando il modo di percepire Dio che viene colto come una grande vita dentro di noi, come nel buddismo, e se chiamiamo Cristo questa grande vita, anche i giapponesi lo capiscono. il cristianesimo privilegia il rapporto Io e Dio, il buddismo il rapporto Io e Vero Io. Ecco ho l'impressione che queste due concezioni stiano avvicinandosi, siano sul punto di fondersi" ((Endo Shuusaku, citato in R. PISU, Alle radici del sole, Sperling & Kupfer, Milano, 2000, 37s.)

Nel sentire religioso dell'Estremo Oriente il nodo profondo di queste religioni e' spesso sovrapposto perche' vengono lette a partire da un sentimento religioso che le precede e le omologa. (気 氣 米)


"Tutte le cose sorgono da e tornano a un Uno che tutto abbraccia" (Pruning the Bodhi Tree, 8)

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