Thursday, December 10, 2009

Controversia dei riti cinesi

Settant'anni fa l'Istruzione della Sacra Congregazione di Propaganda Fide
La chiusura della controversia dei riti

L'8 dicembre 1939, una solenne Istruzione della Congregazione de Propaganda Fide, approvata espressamente da Papa Pio XII, ha definitivamente chiuso la secolare questione dei riti cinesi. Nel XVII secolo, com'è noto, si era aperta una lunga discussione sulla liceità, per i fedeli cattolici, di partecipare ai riti confuciani in onore di Confucio e in memoria degli antenati. Approvata dal Sant'Uffizio nel 1656, grazie alle spiegazioni dettagliate e persuasive del gesuita Martino Martini, tale partecipazione fu successivamente proibita, a seguito di una complicata vicenda su cui influirono anche interferenze provocate dalla politica delle potenze europee in Cina. Nel corso della lunga discussione che si sviluppò, una delle più appassionanti di tutta la storia moderna, vennero affrontate alcune delle più importanti questioni riguardanti il rapporto tra culture diverse, che sono ancora oggi al centro del dibattito internazionale. Vi presero parte gesuiti e domenicani, sovrani europei e imperatori cinesi, nonché noti filosofi come Gottfried Leibniz. Ancora oggi, di essa continuano a parlare studiosi come Olivier Roy, ma ormai, grazie all'Istruzione dell'8 dicembre 1939, tale discussione ha perso il suo carattere conflittuale e controversistico e appare soprattutto una straordinaria anticipazione di tanti tentativi odierni di mettere a fuoco il complesso rapporto tra la fede cristiana e le diverse culture mondiali.
Questa Istruzione di settant'anni fa ha, dunque, rappresentato un momento felice, dietro cui si nasconde un'altrettanto felice convergenza - di uomini, di culture e di fedi - maturata nei decenni precedenti. Non appare infatti casuale che questo documento sia stato approvato con grande convinzione da Pio XII, un Papa che ha pronunciato alcune delle parole più acute e più profonde sull'apprezzamento della Chiesa cattolica per tutte le diverse culture e civiltà. Ma altrettanto significativa appare l'opera dei suoi predecessori, che prepararono il terreno a questa Istruzione, in particolare Benedetto XV e Pio XI, il quale attribuì alla "maledetta questione dei riti" una grave responsabilità nel ritardo dell'evangelizzazione in Cina. E grande rilievo ha avuto l'opera di importanti collaboratori di questi Papi, come Celso Costantini, che fu prima delegato apostolico in Cina e poi segretario di Propaganda Fide, per diventare infine cardinale.
I fili del rapporto tra Santa Sede e Cina avevano iniziato a riannodarsi verso la fine dell'Ottocento, quando, nel declino dell'Impero di Mezzo, illuminati funzionari cinesi si misero alla ricerca di nuove prospettive per il loro Paese e sollecitarono Leone xiii ad aprire relazioni diplomatiche con la Cina. Il Papa fu molto favorevole a questa iniziativa, consapevole che in questo modo - come egli scrisse - l'annuncio del Vangelo avrebbe potuto svincolarsi dalla protezione interessata dei "cannoni" europei. Ma le pressioni francesi furono fortissime e l'allacciamento delle relazioni diplomatiche, sebbene già deciso, fu rinviato sine die. Nel 1904, l'allora monsignor Gasparri riaprì la questione sottolineando che agli occhi della Santa Sede le "nazioni cristiane" - e cioè, in pratica, le potenze coloniali europee - non potevano vantare alcun diritto specifico sui fedeli cattolici in terre extraeuropee e che la Santa Sede aveva la piena libertà di stabilire rapporti diretti con qualunque popolo. Con Benedetto XV, si decise nuovamente di stabilire relazioni diplomatiche dirette, ma per la seconda volta le pressioni francesi sulla Repubblica cinese, nata nel 1912, costrinsero a rinviarne l'attuazione.
In questo contesto, maturò a Roma la decisione di procedere ugualmente, per altre vie, ad avvicinare Chiesa cattolica e popolo cinese, anche sulla spinta delle sollecitazioni che venivano da grandi figure di missionari, come padre Lebbe e padre Cotta. Ne fu espressione anzitutto la lettera apostolica Maximum illud, cui lavorò intensamente il Prefetto di Propaganda, il cardinale Willem van Rossum, pensata specificamente per la Cina. Seguì, subito dopo, la nomina di un delegato apostolico, Celso Costantini, cui si deve una sorta di "rivoluzione" nei rapporti tra Chiesa cattolica e Cina contemporanea. Il delegato si fece subito notare perché scelse di abitare lontano dal quartiere delle ambasciate europee e rifiutò la "protezione" francese. Appena due anni dopo il suo arrivo, convocò il Concilio di Shanghai per affrontare i principali problemi della Chiesa in Cina e nel 1926 accompagnò a Roma sei sacerdoti che Pio XI in persona ordinò vescovi. Costantini, infatti, operò subito con decisione per favorire la formazione di clero e di episcopato locali, perché sostituissero i missionari europei il più rapidamente possibile.
La sua opera si estese anche nella direzione di un impegnativo sforzo di "cinesizzazione" della Chiesa, imperniato sul rispetto e l'apprezzamento della cultura cinese. Non a caso, il Concilio di Shanghai toccò indirettamente la questione, distinguendo tra l'insegnamento di Confucio e pratiche superstiziose legate al confucianesimo. Negli anni precedenti, infatti, era maturata una novità importante all'interno della società cinese: grazie ad un intenso dibattito culturale che aveva riguardato anche i temi religiosi, molti intellettuali affermarono chiaramente che il confucianesimo non aveva carattere religioso. Subito dopo il Concilio di Shanghai, che non aveva voluto affrontare esplicitamente la questione perché di competenza della Santa Sede, monsignor Costantini interpellò riservatamente i padri conciliari sui riti confuciani. Egli infatti avvertiva l'esigenza di risolvere al più presto la questione e i risultati di quell'indagine gli permisero di riproporla a Roma. Nel 1929, poi, compì un gesto clamoroso: trattato come un diplomatico, benché non ne avesse lo status formale, fu invitato ai funerali del fondatore della Repubblica, Sun Yat-sen, cui andò, partecipando così pubblicamente a un rito funebre confuciano, in teoria ancora proibito ai fedeli cattolici.
Tornato a Roma, già prima di diventare Segretario di Propaganda Fide, il 17 dicembre 1935, come consultore della Congregazione egli formulò un parere favorevole alla chiusura della controversia e, divenuto Segretario, ricordò spesso che occorreva risolverla ispirandosi alla nota Istruzione del 1659 rimasta troppo a lungo "lettera morta". È la famosa Istruzione del 1659, ai Vicari Apostolici in Cina e Indocina, definita anche la Magna Charta di Propaganda Fide, in cui si legge tra l'altro: "Che cosa c'è infatti di più assurdo che trapiantare in Cina la Francia, la Spagna, l'Italia o qualche altro paese d'Europa? Non è questo che voi dovete introdurre, ma la fede che non respinge e non lede i riti e le consuetudini di alcun popolo, purché non siano cattivi, ma vuole piuttosto salvaguardarli e consolidarli".
La questione dei riti venne ufficialmente sollevata, una prima volta, nel 1934 da monsignor Augustin Gaspais, vicario apostolico di Kirin, nella Cina Nord Orientale, allora occupata dai giapponesi (il Manzhouguo). Il Prefetto di Propaganda, cardinale Pietro Fumasoni Biondi, rispose con una lettera che incoraggiava a riesaminare la questione, nonostante il divieto del Sant'Uffizio, ormai vecchio di oltre due secoli ma mai ufficialmente abolito. Ottenuta in risposta una documentazione che motivava l'opportunità di permettere ai fedeli cattolici la partecipazione ai riti confuciani, Costantini sottopose a Pio XI la richiesta di concedere tale partecipazione: il Papa approvò in modo convinto, seppure con alcune cautele e restrizioni, e Fumasoni Biondi comunicò ufficialmente il permesso a coloro che lo avevano richiesto. Lo stesso Pio XI si augurò, inoltre, che "questa lettera del secolo" avesse la massima diffusione e il Prefetto di Propaganda diede ordine di pubblicarla sul bollettino ecclesiastico della Chiesa cattolica in Cina. In brevissimo tempo, Costantini fu raggiunto da moltissime richieste delle diocesi cinesi che sollecitavano l'estensione del permesso, ottenendo naturalmente una risposta positiva da parte del Segretario di Propaganda. In questo modo la questione dei riti fu de facto archiviata in tutta la Cina.
Ma a Roma si pensò che era bene anche sancirne in modo esplicito e solenne la definitiva chiusura. Fu così preparato il testo dell'Istruzione che sancisce esplicitamente: "è lecito ai cattolici intervenire agli atti di onore compiuti innanzi all'immagine o tabella di Confucio". Infatti, "nelle regioni dell'Oriente alcune cerimonie, sebbene nei tempi antichi possano essere state legate a riti pagani, hanno - con i cambiamenti dei costumi e della cultura nel corso dei secoli - conservato solamente un significato civile di pietà verso gli antenati o di amore verso la patria o di cortesia verso i vicini". In quel contesto, venne risolto positivamente anche il caso dei riti shintoisti in Giappone. Dopo la Cina, i riti in onore di Confucio e degli antenati vennero permessi anche ai fedeli cattolici in Vietnam, Thailandia, Laos e Cambogia. Una decisione analoga venne presa, contemporaneamente, per i riti malabarici in India. È però evidente che questa svolta complessiva ebbe il suo impatto maggiore in Cina: qui, infatti, è sorta la controversia dei riti e qui, per secoli, tale controversia ha ostacolato i tentativi di inculturazione del cattolicesimo.
A distanza di settant'anni, l'Istruzione del 1939 presenta ancora tratti di forte attualità. Com'è noto, infatti, in Cina si è tornati da tempo a studiare Confucio e le sue opere, nella convinzione che ogni società abbia bisogno di attingere a profonde risorse etiche e spirituali, non solo economiche e materiali, per la propria crescita. Negli ultimi anni, inoltre, il Governo cinese ha scelto il nome di Confucio per i centri culturali che sta aprendo in molti Paesi del mondo, dall'Europa all'Africa, dalle Americhe all'Asia, per diffondere la conoscenza della lingua e della cultura cinesi. Già da settant'anni, come si è visto, la Chiesa cattolica ha pienamente accettato la valenza civile del richiamo a Confucio e negli ultimi anni ha manifestato un apprezzamento crescente per la cultura cinese, come ha mostrato l'accoglienza riservata all'Orchestra sinfonica di Shanghai che, nel maggio 2008, ha suonato in Aula Nervi alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI.



(©L'Osservatore Romano - 9-10 dicembre 2009)

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