Alla presenza del Pontefice la seconda predica di Avvento La porta della speranza
Dopo la venuta di Gesù «per il credente la mor- te non è più un atterraggio, ma un decollo!». Il messaggio rivoluzionario di speranza portato da Cristo con la sua incarnazione è stato rilan- ciato stamane dal cardinale Raniero Cantala- messa durante la seconda predica di Avvento te- nuta nell'Aula Paolo VI alla presenza di Papa Francesco.
Il predicatore della Casa pontificia sta appro- fondendo quest'anno le virtù teologali, soffer- mandosi oggi sulla speranza. Per rendersi conto della novità assoluta recata da Cristo su questo tema — è stata la premessa del porporato cap- puccino — occorre «collocare la rivelazione evangelica sullo sfondo delle credenze antiche sull'aldilà», a proposito delle quali l'Antico Te- stamento non aveva risposte. Soltanto «verso la fine si ha qualche affermazione. Prima — ha chiarito — la credenza d'Israele non differiva da quella dei popoli vicini. La morte pone fine per sempre alla vita; si finisce tutti, buoni e cattivi, in una specie di "fossa comune"». Israele però si
«distingue» — ha aggiunto Cantalamessa — p er- ché «ha continuato a credere nella bontà e nel- l'amore del suo Dio» e verso la fine dell'Antico Testamento giunge a maturazione il convinci- mento che la «sopravvivenza consiste nella ri- surrezione — corpo e anima — dalla morte (Dan 12, 2-3; 2 Macc 7, 9)». Però è soprattutto con Ge- sù che questa certezza, «dopo averla annunciata in parabole e detti», si realizza nella sua perso- na. In proposito il cardinale cappuccino ha cita- to la regina d'Inghilterra Elisabetta II, che nel suo rito funebre ha voluto fosse proclamato il noto passo di Paolo ai Corinzi (1 Cor 15, 54-57), con la frase «Dov'è, o morte, il tuo pungiglio- ne?».
Il predicatore ha quindi osservato come man- chino «le categorie necessarie per rappresentar- ci in cosa consista» la vita eterna con Dio; men- tre ad «alcuni mistici è stato dato di sperimenta- re qualche goccia dell'oceano infinito di gioia che Dio tiene preparato per i suoi». Dopodiché, ha esortato alla riflessione sull'«oggi della no- stra vita». E in proposito ha individuato «una cosa comune a tutti»: ovvero «l'anelito a vivere "bene"». Per Cantalamessa, infatti, «vivere "sempre" non si oppone al vivere "bene". La
speranza della vita eterna è ciò che rende bella, o accettabile, anche» quella «presente. Tutti ab- biamo la nostra parte di croce. Ma una cosa è soffrire senza sapere a che scopo, e un'altra sof- frire sapendo che "le sofferenze del tempo pre- sente non sono paragonabili alla gloria futura" (Rom 8, 18)». Da qui l'esortazione a rendere ra- gione della speranza teologale, la quale ha an- che «un ruolo importante da svolgere nei con- fronti dell'evangelizzazione» e «nel cammino personale di santificazione» cristiana.
Riguardo al primo aspetto il cardinale ha pre- so spunto dalla constatazione che il «rapido dif- fondersi del cristianesimo» fu dovuto in origine all'annuncio «di una vita dopo la morte». Per tale motivo «oggi abbiamo bisogno di una rige- nerazione della speranza, se vogliamo intra- prendere una nuova evangelizzazione. Gli uo- mini vanno dove si respira aria di speranza e fuggono dove non» ne «avvertono la presen- za». Essa «dà il coraggio ai giovani di formarsi una famiglia o di seguire una vocazione religio-
sa e sacerdotale, li tiene lontani da cedi- menti alla disperazione». Con un van- taggio rispetto al passato: quello di non dover più difenderla «dagli attacchi esterni; possiamo quindi proclamarla, offrirla e irradiarla nel mondo», dopo che — ha detto a titolo di esempio — da oltre un secolo a questa parte essa è stata l'obiettivo della critica di gente come Feuerbach, Marx e Nietzsche. Ora, in- vece, «la situazione è cambiata» e la speranza non è più da giustificare «filo- soficamente e teologicamente», ma da annunciare, mostrare e donare «a un mondo che sprofonda in un pessimismo
e nichilismo che è il vero "buco nero" dell'uni- verso». Da qui l'invito a «riprendere il moto di speranza avviato dal concilio» Vaticano II, a «parlare di "gioia e speranza" (Gaudium et spes)» senza timore di sembrare ingenui.
In seconda battuta, inoltre, la speranza aiuta nel cammino personale di santificazione, ha detto ancora il predicatore, visto che «essa divie- ne il principio del progresso spirituale. Permette di scoprire nuove "possibilità di bene". Non la- scia che ci si adagi nella tiepidezza e nell'accidia. E anche quando la situazione dovesse diventare dura, tale da sembrare che non c'è nulla da fare, ecco che la speranza addita ancora un compito: sopportare non perdere la pazienza, unendoti a Cristo sulla croce». Di conseguenza, ha conclu- so, «il Natale può essere l'occasione per un sus- sulto di speranza» alla scuola di due grandi poe- ti delle virtù teologali: Charles Péguy, il quale ha descritto fede, speranza e carità come tre so- relle, due grandi e una piccina, di cui si pensa che sono le prime due a trascinare la terza, sba- gliando «perché se viene a mancare la speranza, tutto si ferma». E poi Dante Alighieri, il quale descrive Maria come «colei che quaggiù "intra i mortali", è "di speranza fontana vivace"».
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