Friday, May 16, 2008

Aisthesis orientale

Nisbett, Richard E., Il Tao e Aristotele.
Trad. it. di N. Pomilio, Milano, Rizzoli, 2007,
pp. 237, € 17,00, ISBN 9788817019569.
[Ed. or.: The Geography of Thought, Free Press, New York 2004]
Recensione di Rodolfo Ciuffa - 30/11/2007
Psicologia cognitiva, Antropologia culturale, Metafisica (gnoseologia), Filosofia politica, sociologia

Il Tao e Aristotele è la traduzione italiana del ben più indicativo The Geography of Thought, titolo che compendia in modo piuttosto esatto i contenuti dell’ultimo libro di Richard Nisbett. Quest’ultimo, uno dei più importanti e stimati psicologi cognitivi e sociali statunitensi, si è occupato e si occupa di “etnologia”: non solo producendo un discorso su un dato popolo, ma anche sviluppandone uno sul logos stesso di quel popolo, ovvero sul suo universo logico, riflessivo e rappresentativo.

Nel libro si muove una radicale critica al logocentrismo occidentale, ovvero alla tendenza tutta nostrana a universalizzare il modo di pensare che mediamente ci caratterizza, che presumiamo generale e valido in ogni cantone del mondo e che invece, a detta di Nisbett, non è per nulla globale né globalizzabile: gli stili di pensiero, in altre parti del mondo, sono a tal punto diversi da quello occidentale che si potrebbe addirittura concluderne che il mondo che noi europei e nordamericani vediamo sia completamente diverso da quello che vede, ad esempio, un cinese. In tal modo, con le armi della psicologia cognitiva e comparata, Nisbett contribuisce alla distruzione di un etnocentrismo logico che l’occidente ha veicolato attraverso la sua filosofia e la sua storiografia, e che dal Novecento la stessa filosofia, il pensiero femminista, la linguistica e altri fenomeni culturali, sociali e scientifici hanno teso a decostruire.

L’obiettivo di Nisbett, a ogni modo, è positivo piuttosto che negativo. Avvalendosi di alcuni ingegnosi esperimenti condotti essenzialmente su americani, estremo-orientali ed estremo-orientali trapiantati in occidente (come gruppo culturalmente intermedio tra il primo e il secondo), l’autore ha provato a enucleare le differenze fondamentali che distinguono il modo occidentale di vedere il mondo da quello orientale e, dunque, le caratteristiche definitorie e precipue che caratterizzano l’uno e l’altro.

La visione orientale della realtà è mediamente molto più contestualizzante e meno classificatoria. Il cinese sarà più portato a vedere sostanze che non oggetti e a utilizzare un verbo piuttosto che un sostantivo. L’idea di poter isolare analiticamente una frazione di realtà, anche nella vita di tutti i giorni, potrebbe risultare non solo assurdo ma anche piuttosto difficile per un orientale, che è abituato a pensare qualsiasi individuo e se stesso sempre come parte, risultante di una complessa, irriducibile e olistica interazione fra le molte regioni di un tutto complesso. La stessa classificazione (e dunque i processi associativi che su di essa si basano) sarebbe regolata da principi di inclusione e connessione molto diversi, tanto che, mentre un americano riterrà assai più pertinente associare una mucca a una gallina piuttosto che a un ciuffo d’erba (in virtù della loro comune animalità), il giapponese sarà di tutt’altro avviso, poiché descrittivamente parlando è il nesso fra l’erbivoro e il suo pasto il più frequente. La differente impostazione si riflette anche nell’analisi dell’immagine e della forma, quanto pure nell’attenzione e sensibilità allo sfondo piuttosto che al primo piano.Le ricadute sul piano estetico, etico e filosofico di queste articolazioni parallele del mondo sono abbastanza ovvie. È per questo, conclude Nisbett, che bisogna sormontare il monolinguismo che ci affligge e provare a trarre il meglio anche dai mondi possibili che albergano nelle menti e nelle culture di persone e civiltà altre - mondi lontani, invero, ma non irraggiungibili.

Il messaggio che sostanzia queste pagine è dunque duplice: non illudiamoci che gli altri abbiano, meramente, delle rappresentazioni della realtà divergenti dalle nostre; potrebbero essere i principi stessi che presiedono alla loro costruzione a differire radicalmente. In più, anche i più piccoli frammenti cognitivi e la realtà di ogni giorno possono riprovare l’esistenza di queste metafisiche irrelate: prendiamone atto.

Richard E. Nisbett è Theodore M. Newcomb Distinguished Professor di psicologia sociale all’Università del Michigan, dove codirige il progetto di ricerca dedicato a Culture and Cognition. In italiano è altresì disponibile L'inferenza umana (Bologna, 1989).

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