Tuesday, May 27, 2008

Global Warming

Global warming: tra minacce e speranze per i paesi poveri

Intervista a Riccardo Cascioli, Presidente del Cespas


ROMA, lunedì, 26 maggio 2008 (ZENIT.org).- Il già Vicepresidente degli Stati Uniti, Al Gore, è stato premiato con un Oscar e con il Premio Nobel per la Pace per aver indicato i pericoli del riscaldamento globale.
Le tesi di Al Gore sono state tuttavie aspramente criticate dalla comunità scientifica.

Il 12 maggio a Washington i responsabili dell’Oregon Institute of Science and Medicine hanno infatti presentato una petizione sottoscritta da oltre 31.000 docenti universitari e scienziati americani e non, in cui si chiede al governo USA di rifiutare gli accordi di Kyoto sul riscaldamento globale, perché dannosi all’ambiente, all’economia e allo sviluppo.

Della questione si stanno occupando anche organizzazioni evangeliche come il Family Research Council e il Focus on the Family, che contano di raccogliere un milione di firme per dire che “i cristiani d’America non credono ai catastrofismi sul clima”.

Per cercare di comprendere le ragioni e le implicazioni per lo sviluppo dei Paesi poveri, ZENIT ha intervistato Riccardo Cascioli, Presidente del Cespas (Centro Europeo di Studi su Popolazione, Ambiente e Sviluppo) nonché autore di un libro appena uscito dal titolo “Che tempo farà”, (Piemme, 224 pagine, 12,50 euro) che racconta degli allarmismi sui cambiamenti climatici.

Negli anni Settanta il Club di Roma parlava di bomba demografica per giustificare la richiesta di riduzione delle nascite. In un convegno che si è tenuto di recente a Torino il Club di Roma ha sostenuto che la minaccia è il cambiamento climatico, proponendo di nuovo come soluzione la riduzione delle nascite e una maggiore austerità economica. Qual è il suo commento in proposito?

Cascioli: Il ritorno in grande stile del Club di Roma sembra coincidere con l’affermazione di una mentalità ostile non solo alla procreazione, ma al genere umano nel suo insieme. In questo modo si svela anche uno dei veri obiettivi delle campagne ecologiste: anche la teoria del riscaldamento globale antropogenico, ovvero causato dall’uomo, è soltanto un pretesto per portare avanti la battaglia antinatalista di sempre. Non potendo più sostenere, davanti alla realtà contraria, che c’è un’esplosione demografica incontrollata, si è passati a sostenere che non importa quanti siamo: siamo comunque in troppi perché non ci sono abbastanza risorse per tutti. E’ fondamentale smascherare questa ideologia nichilista e i suoi veri obiettivi, che sono dannosi sia per l’uomo sia per l’ambiente. Ed è anche curioso che questa battaglia sia compiuta nel nome del diritto delle generazioni future di godere delle stesse risorse che abbiamo noi, quelle stesse generazioni che si cerca di non fare neanche nascere.

Lei ha recentemente pubblicato il libro dal titolo “Che tempo farà …”, in cui sostiene che il clima varia in base a circostanze naturali e che l’umanità non ha il potere di condizionare il tempo meteorologico? Ci spiega da dove derivano queste sue convinzioni?

Cascioli: La verità è che nessuno è in grado di spiegare esattamente il clima. E' un fenomeno complesso, determinato da innumerevoli variabili, di cui si conosce una minima parte. Oggi la gente è indotta a credere che sappiamo tutto sul clima passato e presente, e perciò siamo in grado di prevedere cosa accadrà fra 50-100 anni. Ma non è così: gli stessi modelli climatici di cui tanto si parla non sono in grado di riprodurre il clima attuale, figurarsi dunque cosa possono dirci del futuro. La verità è che negli ultimi anni si sono molto sviluppate le ricerche sul clima, ma quanto a una comprensione globale ci sono soltanto svariate ipotesi scientifiche, peraltro in contrasto tra loro. Peraltro un esame attento della serie storica delle temperature non induce a pensare che sia in atto un riscaldamento senza precedenti. Certo che anche l’uomo e le sue attività hanno un impatto sul clima, ma questo è un fattore che va messo in relazione ai tanti fattori naturali e non c’è alcuna evidenza che a livello globale possa essere determinante.


Nell’aprile del 2007 lei ha partecipato al seminario promosso dalla Santa Sede sul tema dei cambiamenti climatici in relazione allo sviluppo. Quale è stato il risultato della discussione?

Cascioli: Una prima conclusione importante è che la Santa Sede ha riconosciuto che il dibattito scientifico sui cambiamenti climatici non è affatto concluso, come alcuni vorrebbero far credere, perciò c’è stato un invito esplicito agli scienziati ad andare avanti nella ricerca. E’ una notazione importante perché la Chiesa costituisce da sempre un impulso alla ricerca scientifica, perché la natura è segno di Dio e conoscere i meccanismi della natura è scoprire ed apprezzare il dono di Dio. Il secondo punto fondamentale espresso con grande chiarezza dalla Santa Sede è che l’obiettivo di ogni azione deve essere lo sviluppo dell’uomo, di ogni uomo, che non può essere subordinato a qualsiasi preoccupazione per l’ambiente. Ovviamente per sviluppo non si intende semplicemente la crescita economica, ma lo sviluppo integrale della persona, di cui l’economia è comunque un fattore importante. C’è qui anche la consapevolezza che l’uomo non è per sé nemico della natura, lo diventa quando non rispetta il piano di Dio, ma ogni tentativo di negare il primato dell’uomo sulle altre creature inevitabilmente porta non solo alla distruzione dell’uomo, ma anche dell’ambiente.

Alcuni sostengono che il Protocollo di Kyoto farà bene anche ai Paesi in via di sviluppo, altri invece affermano il contrario. Lei cosa ne pensa?

Cascioli: Il Protocollo di Kyoto non può portare miglioramenti per i Paesi poveri, perché lo “spirito” – e anche la lettera – di Kyoto va nel senso di punire lo sviluppo. La verità è che nei Paesi sviluppati tutti gli indicatori ambientali sono migliorati in questi decenni, grazie alla tecnologia e a una maggiore sensibilità: basti pensare che in una decina d’anni le emissioni inquinanti di un’automobile sono diminuite di sette volte. La strada migliore sarebbe dunque che tutti i Paesi raggiungessero lo stesso livello di benessere. Invece il Protocollo di Kyoto va esattamente nella direzione opposta, imputando allo sviluppo la possibile distruzione del pianeta. E per questo tende a mantenere nella povertà i Paesi in vi di sviluppo, ad esempio favorendo dei vincoli intollerabili riguardo alle fonti energetiche.

No comments: