Friday, November 06, 2009

Ex Parte Ex Toto

La «Caritas in veritate»
e l'«homo oeconomicus» del XXI secolo
La solitudine
dei numeri uno

Pubblichiamo "L'enciclica di Benedetto XVI provoca la teoria sociale", un contributo tratto dal numero in uscita della rivista "Vita e pensiero". L'autrice insegna Filosofia e teoria sociale presso l'università di Warwick ed è membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

di Margaret Archer


(...)Per sottolineare ancor più il concetto, si può dire che "relazionalità" significa prendere le distanze dall'individualismo dell'Illuminismo, ancora influente in due forme nell'ambito delle scienze sociali.
Da una parte l'homo oeconomicus, caro agli economisti neo-liberali, è un solitario sottosocializzato, una monade la cui unica preoccupazione è conseguire nella misura più ampia possibile le priorità che si è prefissato per diventare sempre più ricco.
L'"uomo economico" è - se mi si permette l'immagine - come John Wayne, che arriva in città da non si sa dove e fa ciò che pensa un uomo debba fare prima di allontanarsi galoppando nel tramonto, niente affatto influenzato dai nuovi rapporti e del tutto indifferente al modo in cui ha influenzato la città. A livello macro, le azioni di questi individui, proprio perché prive di qualunque relazionalità, non sono altro che aggregati.
D'altro canto l'homo sociologicus (più noto come l'"uomo dell'organizzazione") è sovrasocializzato; tutto ciò che ha gli viene dalla società. Che questo lo renda una creatura delle norme sociali o un giocoso post-modernista, egli è "flessibile" nei confronti delle circostanze.
Quale creatura delle circostanze è un relativista nato, che non condivide alcunché con l'universale famiglia del genere umano, ed è dunque incapace di solidarizzare con essa.
Poiché l'homo oeconomicus è antropocentrico e l'homo sociologicus sociocentrico, in entrambi non vi è spazio per la trascendenza. In nessun caso l'homo relatus mostra alcuna rassomiglianza con questi due modelli. La relazionalità è per noi qualcosa di fin troppo noto: cosicché, invece di prenderla sul serio, la diamo per scontata. Provate a fare questo esperimento con il pensiero. Siete al parco, state camminando dietro una coppia abbracciata, in tutta probabilità profondamente innamorata.
Non vi sentite attratti da quel particolare uomo o donna, ma ciò che riconoscete o addirittura desiderate è la loro relazione sentimentale, qualcosa che si è generato tra loro, insopprimibile per i due individui coinvolti. È questo ciò che la Caritas in veritate intende quando afferma che "una delle più gravi forme di povertà che l'individuo possa sperimentare è l'isolamento" (n. 53). E anche ciò che sant'Agostino intendeva quando diceva che i nostri cuori sono irrequieti finché non realizziamo le relazioni che la Rivelazione ci offre, quelle con il padre, la madre, il fratello e l'amico.
(...)

Nessuno può eliminare la propria parte dall'orchestra o la propria quota dalla squadra di calcio; una coppia che divorzia non può portarsi via la propria parte di matrimonio. Al massimo potrà dividere le proprietà, ivi inclusi i figli. Il matrimonio viene sciolto o annullato, e non genera più nulla, poiché la relazione ha smesso di esistere. In breve, il bene comune non può essere parcellizzato tra chi lo produce.
Ogni "bene relazionale" continua a esistere solamente perché coloro che sono coinvolti vi attribuiscono importanza e operano per sostenere le relazioni che lo generano. Le loro azioni sono orientate verso il bene comune e il loro atteggiamento verso i co-produttori è completamente opposto alle relazioni contrattuali di mercato. Piuttosto, ognuno è motivato dalla reciprocità, perché ciò che c'è in gioco è troppo importante per essere messo in pericolo dalla persistenza di un rigido scambio di equivalenti.(...)

(©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2009)

No comments: