Saturday, April 20, 2013

Un’Asia che ascolta

Un'Asia che ascolta
e che si farà ascoltare

Le religioni dell'immenso continente di fronte alle sfide della globalizzazione

di FERNANDO FILONI

La globalizzazione mondiale e i ra- pidi processi di trasformazione so- ciale, economica e culturale pongo- no domande di fondo alle fedi stori- che che si sono sviluppate in Asia. L'interrogativo fondamentale può es- sere così espresso: come far transita- re il proprio patrimonio di credenze, valori, espressioni di culto negli odierni specifici contesti, nei quali tradizioni secolari convivono di fatto con nuove forme culturali, determi- nate dalla diffusione della tecnologia a tutti i livelli, dalla crescente urba- nizzazione, dallo squilibrio dei pro- cessi di sviluppo economico all'inter- no dei diversi Stati, dall'interconnes- sione economico-politica fra Stati e blocchi socio-culturali? Questo in- terrogativo fondamentale, al quale il titolo del convegno rimanda in for- ma sintetica, ha guidato i lavori di questi tre giorni. Alcuni aspetti tra- sversali possono essere ripresi e rac- colti sotto la cifra della "sfida".
La parola "sfida" può essere ado- perata con un'accezione negativa o positiva. Una comprensione negativa della "sfida" determina chiusura, sta- ticità, negazione, atteggiamenti di- fensivi anche violenti (in senso fisico e non), mentre una valutazione posi- tiva implica per contro apertura non ingenua, dinamicità, riconoscimento, atteggiamenti di accoglienza e reci- procità. Precisare il senso secondo il quale intendiamo la parola "sfida" è preliminare a qualsiasi altra conside- razione. Da esso dipendono infatti la puntualizzazione degli scopi, l'in- dividuazione degli ambiti, la confi- gurazione delle modalità e l'assun- zione di specifici atteggiamenti. Le diverse voci ascoltate in questi giorni hanno variamente declinato tali as- sunti, assumendo il concetto di sfida in termini sostanzialmente positivi.
I relatori più volte hanno fatto ri- ferimento al contesto, assumendolo come punto di partenza delle loro ri- flessioni o mantenendolo comunque sullo sfondo delle loro considerazio-ni. La pluriformità di tale riferimen- to pone sul tappeto una questione comune, quella dell'interpretazione del contesto. Questa operazione teo- retica dalle molteplici implicazioni pratiche è complessa, perché richie- de di districare nodi ancora irrisolti, di operare discernimenti, evitando semplificazioni indebite o aprioristi- che valutazioni negative o positive. Richiede quindi sia l'assunzione di una criteriologia congrua, sia il coin- volgimento di soggetti differenti, perché tale operazione ermeneutica non è né può essere un'impresa soli- taria. Lo specifico contributo della Chiesa può essere segnalato in que- sta sede, richiamando il segmento iniziale di Gaudium et spes, 4, che af- ferma il dovere permanente della Chiesa «di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a cia- scuna generazione, [la Chiesa] possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita pre- sente e futura e sul loro reciproco rapporto». Gaudium et spes, 11 preci- sa inoltre che la Chiesa, condotta dallo Spirito del Signore «cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del dise- gno di Dio. La fede infatti tutto ri- schiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione in- tegrale dell'uomo, perciò guida l'in- telligenza verso soluzioni pienamen- te umane». La recezione di queste indicazioni da parte delle Chiese dell'Asia comporta una fedeltà crea- tiva agli assunti conciliari, che non esclude affatto — anzi lo implica co- me dato necessario — una particolare attenzione ai molteplici contesti nei quali esse sono radicate.
La necessità del dialogo come sfi- da per le tradizioni culturali e reli- giose dell'Asia ha un'indubbia corre- lazione con la sfida precedente. Tale necessità è determinata senza dubbio dalla secolare pluralità del continen- te asiatico, ma anche dal fatto che, come emerso da alcuni contributi, essa è talvolta sfigurata da episodi di intolleranza e fondamentalismo che, diversamente motivati, conseguono esiti negativi e non infrequentemente drammatici. In Redemptoris missio (1990), Giovanni Paolo II precisa che il dialogo, «metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco» (n. 55), «non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attivi- tà che ha proprie motivazioni, esi- genze, dignità: è richiesto dal pro- fondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole» (n. 56). Non sem- bra improprio estendere in modo analogo queste affermazioni, che il testo riferisce in senso proprio al dialogo interreligioso, anche ad altre possibili forme di dialogo. In ogni caso, così inteso il dialogo presuppo- ne una fondamentale attitudine di ascolto, per pervenire a una reale co- noscenza dell'identità dell'altro, una conoscenza che non si basa sull'im- maginario personale o collettivo, ma che si fonda nella consapevolezza che l'altro ha di sé e della propria identità. Il dialogo implica poi coe- renza con le proprie tradizioni e convinzioni e, nel contempo, apertu- ra per comprendere quelle dell'altro, «senza dissimulazioni o chiusure, ma con verità, umiltà, lealtà, sapendo che il dialogo può arricchire ognu- no» (Redemptoris missio, 56). Il dia- logo funge quindi da correttivo ai tanti pregiudizi, nei quali sintetica- mente si condensa e cristallizza una distorta o parziale interpretazione di fatti e parole pregressi. Il supera- mento di tali pregiudizi comporta il riconoscimento dell'altro come realtà dinamica, come essere in ricerca e capace di apertura e cambiamento, come del resto hanno messo bene in luce — non sempre tematizzandolo in modo esplicito — soprattutto alcu- ni interventi del convegno, a esem- pio quelli dedicati al complesso mondo delle religioni. Il dialogo at- traversa i tempi e gli spazi del vivere umano, favorendo relazioni fraterne e solidali, che assumono la reciproci- tà come logica dell'esistenza sia per- sonale, sia sociale, e smentendo l'idea di originaria consistenza solita- ria e autosufficiente dell'io, in quan- to nell'incontro con l'altro cresce e si rafforza anche l'identità personale.
Lo sviluppo anche economico del continente asiatico, considerato in sé e con riferimento alla globalizzazio- ne, ha comportato un aumento dei mezzi materiali fruibili. La loro in- giusta distribuzione ha determinato e determina la persistenza di forme disumane e scandalose di povertà ed esclusione. Inoltre, tale aumento non sempre ha trovato corrispondenza in quello della vita spirituale che, al contrario, sembrerebbe per certi aspetti essere stata messa in discus- sione o quantomeno problematizzata. Situazioni di immoralità, una non sufficiente attenzione alla vita e alla dignità dell'essere umano, episo- di di suicidio potrebbero essere indi- catori di tale crescita non adeguata- mente equilibrata. Non c'è dubbio che questa situazione costituisca una sfida vera e propria per le diverse re- ligioni, chiamate a un maggiore im- pegno per sostenere il cammino di maturazione spirituale di tutti e di ciascuno, superando conflitti e con- trasti, incoraggiando per contro una riflessione critica, promuovendo ri- cerca e comunicazione. A tale pro- posito, occorre rilevare che questo impegno, diversamente modulato a seconda dei peculiari contesti di rife- rimento, implica un apporto sia con- giunto delle diverse tradizioni reli- giose, sia specifico di ciascuna di es- se. Autenticità e testimonianza devo- no caratterizzare il contributo che le religioni possono offrire per sostene- re il cammino di maturazione di tut- ti e di ciascuno. Da una parte, l'au- tenticità presuppone sia un ritorno alle fonti originarie di ciascuna tra- dizione religiosa, mettendo in atto delicati processi ermeneutici, neces- sari per evitare derive fondamentali- ste, sia un mettere meglio a fuoco la nozione di "esperienza" e le sue im- plicazioni. Dall'altra, la testimonian- za rimanda piuttosto al fatto che una fede veramente autentica com- porta necessariamente una sua tra- duzione in parole e gesti coerenti, sia negli spazi propri di ciascuna tra- dizione religiosa, sia in quelli pub- blici. Autenticità e testimonianza in- terpellano anche le Chiese dell'Asia, in particolare a proposito della vita di fede. Un'autentica fede personale e comunitaria presuppone che essa sia fondata in un incontro profondo, personale, trasformante con la perso- na viva di Gesù Cristo. La fede non consiste in una percezione intellet- tuale o in un'adesione a una verità impersonale. In senso proprio, la fe- de è una scelta per quel Dio perso- nale che si è compiutamente rivelato in Cristo; è altresì un affidamento a Lui. Tale incontro, che si traduce in una conversione personale e che si esprime nel discepolato, è una con- dizione indispensabile anche per la missione, giacché la proclamazione — parte essenziale della missione — non può prescindere da un'esperien- za personale di Cristo (cfr. 1 Giovan- ni, 1, 1-3). Nella prospettiva della fe- de come incontro personale, la con- templazione e la meditazione assu- mono un rilievo particolare; esse non escludono la ricerca di linguaggi e di metodi più adeguati per la trasmis- sione della fede, anzi ne costituisco- no in un certo senso la premessa in- dispensabile. Per quanto riguarda la testimonianza, non è necessario spendere molte parole per dimostra- re la sua correlazione con l'esperien- za. Tale testimonianza trova una particolare forma di espressione nell'impegno per la comunione; nel contesto della ricerca asiatica per l'armonia in mezzo a crescenti ten- sioni e conflitti, tutti i membri della Chiesa — clero e laici, uomini e don- ne, giovani e bambini — sono chia- mati a essere evangelizzatori, araldi del Vangelo, promotori di pace e co- struttori di comunione. Un'espres- sione peculiare di tale comunione è data dall'attiva comunione di comu- nità, presenti nelle parrocchie e dio- cesi asiatiche. Situazioni di ingiusti- zia, discriminazione e violenza e lo stesso abuso del creato, spesso dovu- to alla ricerca di egoistici e miopi in- teressi economici, minacciano la di- gnità e la sicurezza dell'essere uma- no in Asia. Si pone quindi la do-
manda se una fede religiosa possa ri- manere confinata nei testi sacri, nei riti e nelle pratiche o nell'esperienza di un gruppo più o meno ampio di persone. L'interrogativo è retorico, qualora si consideri che ciascuna tra- dizione religiosa non propone sol- tanto una propria comprensione del sacro, ma anche una peculiare e con- seguente comprensione dell'essere umano. Per questo non sembra im- proprio ritenere legittima la presenza attiva delle diverse tradizioni religio- se anche negli spazi pubblici, nel ri- spetto reciproco e soprattutto nel ri- spetto dei compiti e dei doveri dello Stato per il conseguimento del bene comune. La complessità delle situa- zioni richiede una mutua collabora- zione delle diverse tradizioni religio- se. Il dialogo tra le religioni assume qui una connotazione sociale e poli- tica, in quanto è finalizzato a elabo- rare condizioni e strategie per il con- seguimento del bene comune, quali l'imparare a rispettare una gerarchia di valori al cui vertice sta il rispetto della vita comune, il promuovere una civiltà dell'empatia e della com- passione, il creare spazi per un agire responsabile, l'individuare modelli credibili verso cui orientarsi. La de- nuncia profetica, illuminata dallo Spirito Santo, di tutto ciò che dimi- nuisce, degrada o nega la dignità dell'essere umano, creato a immagi- ne e somiglianza di Dio e partecipe nello Spirito della figliolanza divina, la solidarietà con le vittime della globalizzazione, dell'ingiustizia, dei disastri naturali e non, degli attacchi dei fondamentalisti e terroristi, e la cura del creato sono già nell'agenda delle Chiese dell'Asia e richiedono ulteriore impegno, come ha richia- mato la Federation of Asian Bishops' Conferences nel messaggio finale della sua ultima assemblea plenaria, sottolineando altresì che, poiché la proclamazione di Gesù ha toccato ogni aspetto della vita e ogni strato della società, una fede vissuta non può essere di conseguenza disgiunta dal compito di trasformare la vita socio-economica e politica.
A questo punto, mi domando: questo convegno è riuscito a dare voce, in qualche modo, al complesso mondo asiatico? Se sì, questa voce è riuscita a farsi ascoltare? Nel mio sa- luto iniziale avevo detto che da sem- pre numerose vie hanno attraversato l'Asia. In passato il percorso era per lo più da Occidente ad Oriente, og- gi direi comincia ad affermarsi una nuova tendenza, quella che va da Oriente ad Occidente, e ciò non so- lo a motivo delle migrazioni, del tu- rismo o del commercio. Le società si sono aperte e molte barriere sono state superate, volenti o nolenti i corporativismi politico-religiosi. In verità, devo dire che la Grande Mu- raglia, come strumento di difesa po- litico-militare, non ha mai funziona- to granché, ma certamente lo è stata di più in termini simbolico-identita- ri. La tradizione culturale certo è madre di ogni sapere e spesso di identità, ma essa oggi è messa a du- ra prova dalla contemporaneità. Quale sintesi ne nascerà? Va detto che questa sintesi è già in atto, an- che se non sempre riusciamo a co- glierla nell'immediatezza. Dunque, quale società avremo? Come le reli- gioni sapranno rispondere? È certo che d'ora in poi non saremo solo in ascolto dell'Asia, che implica l'attitu- dine del non asiatico verso l'Asia (one way), ma di un'Asia che ascolta e si farà ascoltare (double way), e ci dirà anche quali vie vanno percorse per la fede.


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