Thursday, September 15, 2005

Intelletuali prima fascisti e poi antifascisti

martedì, 13 settembre, 2005 Corsera


Il lungo oblio degli intellettuali prima fascisti e poi antifascisti
Solo durante la guerra si staccarono dal regime e poi tentarono di far dimenticare il loro passato

Paul Ricoeur ha scritto che contro l' odio distruttore c' è l' oblio che preserva. Ma l' oblio può placare le memorie individuali, non quella collettiva, che una società democratica deve conservare, se vuole mantenere e rafforzare la propria identità. La democrazia italiana non è più minacciata da nessun pericolo interno e possiamo scavare nel passato, pure in quello che abbiamo per lungo tempo rimosso, senza il timore di portare nuovo alimento alla pianta dei rancori e dell' odio. E fare luce così anche su tutti gli aspetti della pagina meno conosciuta della nostra storia: la transizione dal fascismo alla democrazia, attraverso una guerra che ci vide alleati della Germania nazista dal 1940 al 1943, prima del lungo e doloroso riscatto. Non sarebbe stato possibile assolvere a questo compito nei primi anni del dopoguerra: l' Italia doveva riacquistare credibilità sul piano internazionale, attenuando le proprie responsabilità. E far rimarginare rapidamente le sue ferite, per poter procedere alla ricostruzione. Queste esigenze politiche furono messe giustamente in primo piano. L' analisi storica poteva attendere. Ma ha atteso troppo. E questa è stata indubbiamente una grave colpa degli intellettuali, che, per la loro maggiore visibilità, si sono sentiti i più esposti all' accusa di avere accettato compromessi col regime, per viltà o conformismo. Attenzione però. Quello sugli intellettuali è un capitolo della storia del Paese Italia e riflettere sul loro ruolo significa ripensarla per intero, riappropriandosi anche di quella parte del passato che è stata rimossa o occultata. E non per trarne motivi d' irrisione o di scandalo, ma soltanto per capire. Non sarà facile. Gli storici dovranno riaprire album di famiglia, rimettere in discussione maestri, rinunciare a solidarietà di scuole. In parte, hanno già incominciato a farlo, ma in studi rigidamente specialistici e con troppe cautele. E anche così ne sono nate spesso furibonde polemiche. È facile prevedere che esse si accenderanno anche sull' ultima opera di Mirella Serri ( I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte. 1938-1948, Corbaccio, pagine 369, e 19,60). La Serri rileva che, per rendere possibile la redenzione degli intellettuali che erano stati fascisti, la sinistra adottò nel dopoguerra una chiave di lettura «prospettica», proiettata verso gli approdi del futuro: la collaborazione alla politica culturale del regime fu interpretata come «dissimulazione onesta», teorizzata su Primato, la rivista di Giuseppe Bottai, da Carlo Muscetta, che riprendeva l' omonimo trattato seicentesco di Torquato Accetto. Essa sarebbe stata resa possibile da una certa acquiescenza da parte del gerarca. Ma questa acquiescenza era strumentale. Bottai voleva servirsi di tutte le forze disponibili e perciò anche degli intellettuali che non erano fascisti, per realizzare un suo grandioso quanto velleitario disegno: «lavorare sul Nuovo ordine europeo - ricorda la Serri - e contrastare l' egemonia tedesca in questo campo», contrapponendo alla superiorità economica e militare tedesca il «primato» della cultura italiana. Il tema del Nuovo Ordine da costruire dopo la vittoria fu caro soprattutto a Carlo Morandi. La Serri riprende e svolge ampiamente, in maniera equilibrata e ben documentata, una tesi defeliciana: il passaggio dal fascismo all' antifascismo fu determinato nella maggioranza dei casi dall' esperienza della guerra. È una tesi valida sia per gli intellettuali che per il resto della popolazione. C' è un indubbio parallelismo tra l' evoluzione dell' opinione pubblica, studiata da Pietro Cavallo nel suo volume su Gli italiani in guerra (Il Mulino, 1997), e quella del ceto intellettuale ricostruita da Mirella Serri. Soltanto un pregiudizio ideologico può portare a negare che la nascita di un antifascismo di massa si verificò nella seconda metà del 1942 e fu dovuta alla guerra e alle sconfitte. Certo, si possono individuare differenti percorsi, individuali o di singoli gruppi. Ma vanno tutti studiati in stretto riferimento allo svolgimento delle vicende belliche. Sarebbe utile vedere se l' attacco di Hitler all' Unione Sovietica, cominciato il 22 giugno 1941, abbia segnato una svolta negli atteggiamenti degli intellettuali che scrivevano sulle riviste fasciste ed erano comunisti o lo sarebbero diventati. Se consideriamo alcune delle prese di posizione più sconcertanti, come la celebrazione dell' «estetica del carro armato» di Galvano Della Volpe nel momento in cui le truppe corazzate tedesche avanzavano su Calais, l' impegno pubblicistico e redazionale di Mario Alicata nelle riviste del regime e la pubblicazione su Primato, il primo maggio del 1941, di una copertina di Renato Guttuso celebrativa dei paracadutisti e della guerra, non possiamo fare a meno di rilevare che in quei mesi era ancora in vigore il patto di non aggressione tra l' Unione Sovietica e il Terzo Reich e sembrava perciò possibile una comune lotta «rivoluzionaria» contro il decadente Occidente borghese. Renato Guttuso pubblicò scritti e disegni su Primato anche dopo l' inizio della guerra contro l' Unione Sovietica. Nello stesso tempo s' iscriveva al Partito comunista e partecipava alla lotta clandestina. Negli anni Trenta il Pci aveva cercato di praticare l' «entrismo», ordinando ai suoi militanti di entrare nelle organizzazioni di massa, per sabotarle dall' interno. Ma il caso di Guttuso, e non è il solo, non è spiegabile con l' «entrismo». Forse capiremo di più soltanto quando avremo delle esaurienti biografie, documentate e non reticenti, di tutti i protagonisti delle vicende culturali di quegli anni. Fu Togliatti, nel 1944, subito dopo il suo ritorno in Italia, a dare vita a una politica di apertura verso gli intellettuali che erano stati fascisti. Non c' è dubbio che il partito comunista ne trasse molti vantaggi, soprattutto sul piano dell' immagine. Ma li pagò con la reticenza su quello che era realmente avvenuto negli anni dal 1938 al 1943: i militanti che erano stati in carcere o in esilio dovettero far mostra di avere combattuto la stessa battaglia di quelli che, volenti o nolenti, avevano collaborato al progetto di un Nuovo ordine europeo fascista. IL SAGGIO Mirella Serri rievoca gli anni dei Littoriali ] Nel saggio «I redenti» (Corbaccio), in libreria dopodomani, Mirella Serri ripercorre la parabola di numerosi intellettuali che collaborarono alla rivista «Primato» di Giuseppe Bottai, per passare poi dal fascismo all' antifascismo ] Tra i personaggi più famosi di cui si parla nel libro: Giulio Carlo Argan, Mario Alicata, Vitaliano Brancati, Renato Guttuso, Galvano Della Volpe, Carlo Morandi, Carlo Muscetta, Roberto Rossellini ] L' autrice insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all' Università di Roma Renato Guttuso nel maggio del 1941 disegnò, per la rivista «Primato» del gerarca Giuseppe Bottai, una copertina celebrativa dei paracadutisti
Lepre Aurelio

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