Friday, September 23, 2005

Politicizzazione

(Corsera, venerdi 23 settembre 2005, p. 57)

Curioso . Dichiari che la triste malattia nazionale è la pervasività della politica e tutti si mettono a discutere quello che hai detto in termini politici! Sembra proprio che la politica sia l’unica cosa a cui i miei connazionali si appassionano o fingono di appassionarsi. E va bene. Restiamo per un momento sul terreno della politica. La nostra cultura ne è impregnata così tanto da avere una irresistibile tendenza a derealizzare qualsiasi argomento di discussione, trasformando le posizioni individuali in sintomi, effetti, riposizionamenti, segnali da decifrare. Il critico diventa un sottile politologo. Nell’intervista al Corriere del 14 settembre ho solo tentato di applicare in modo paradossale il bipolarismo alla nostra narrativa, ma al preciso scopo di liberarcene! Giocando con le categorie destra-sinistra volevo renderle inutilizzabili - al di fuori di un loro uso proprio - e scompaginare schieramenti letterari troppo convenzionali (probabilmente i romanzi italiani davvero inquieti, capaci di interrogare criticamente il presente, non vanno cercati là dove la collocazione politica dei loro autori ci spingerebbe a farlo). Qualcuno poi ha voluto proporre un teorema suggestivo ma dalle conseguenze devastanti: è legittimo esporre solo quelle idee che comportano gravi rischi personali. Applicato alla lettera ridurrebbe l’intera chiacchiera culturale nel nostro Paese a un imbarazzato silenzio. Non è tempo di rischi eroici né di scelte ineluttabili, e il coraggio fisico - salvo rare eccezioni - si ha occasione di provarlo solo negli sport estremi... La frase incriminata della mia intervista («sono anticomunista») va letta per intero («sono anticomunista e il capitalismo mi fa più orrore di prima»). Non l’ho pronunciata solo per l’ovvietà che ai comunisti il capitalismo non fa orrore per niente, e anzi ne condividono troppe cose. Né pensavo minimamente di compiere un gesto esemplare. Ma perché sono convinto che nel nostro Paese il comunismo rappresenti ancora una mitologia invadente, con la assurda pretesa di essere il pensiero unico della sinistra radicale. Mentre altri filoni di pensiero, anche limitandoci al ’900, nella critica dell’esistente ci appaiono assai più immaginativi e oltranzisti. Il fatto è che oggi il comunismo è vissuto perlopiù come fatto estetico, una elegante retorica capace, tra l’altro, di regalare una patina eccitante di estremismo. Ma il vero problema parafrasando Nicola Chiaromonte, è un altro: si esibiscono idee senza però le ragioni per averle. Ci si può impunemente dichiarare, che so, pacifisti, anche se i propri livelli di vita e di consumo spingono fatalmente verso guerre di conquista... E qui allora vorrei riaffermare il primato della letteratura sulla politica: non solo perché non aspira a controllare eventi e persone, ma perché ci mostra esattamente la relazione, in una esistenza concreta, tra le idee e le loro ragioni.
Filippo La Porta

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