Monday, August 20, 2012
Inculturazione o fedelta'?
C'e' un proverbio giapponese che dice 朱と交われば赤くなる "shu ni majiwareba akakunaru" (lett. chi tocca inchiostro (rosso) si sporchera' di rosso").
L'equivalente italiano piu' vicino potrebbe essere:"chi va con lo zoppo imparare a zoppicare", che ha i suoi corrispettivi nelle lingue romanze: "Quien con lobos anda, a aullar se enseña."; "Hantez les boiteux, vous clocherez."
In inglese si potrebbe pensare a: "Who keeps company with the wolf will learn to howl."; "If you lie down with dogs, you will get up with fleas."; "He that touches (or toucheth) pitch shall be defiled."
M a c'e' anche: "In compagnia prese moglie anche un frate.", detto popolare che la nonna usa per dire che una cosa che da solo non avresti fatto, in compagnia la fai eccome!
Tutto questo serve a capire il dilemma dei missionari odierni alle prese con l'inculturazione del Vangelo in culture non cristiane. Se da una parte non si puo' piu' trasmettere il Vangelo come una predica che cade dall'alto, dall'altra, il fatto di condividere la vita dei destinatari della missione puo' avere degli effetti collaterali insospettati.
Cosi' chi vive in una societa' politeista, se non sta piu' che attento, e' piu' che naturale che, anche inconsciamente, tenda ad adeguarsi.
La post-modernita' e il "politically correct", per esempio, che sono stati definiti anche come un "politeismo dei valori", potrebbe essere una forma facilmente assimilabile di "zoppicamento".
In termini biblici questo medesimo dilemma lo si puo' vedere nella lunga e fatidica lotta del popolo eletto per mantenere una propria specifica identita' nel mezzo della cultura cananea. Che senso ha oggi la severa vigilanza e disciplina che Dio stesso sembra chiedere al popolo di Israele nei confronti della cultura cananea? « I figli d'Israele abitarono in mezzo ai Cananei … e venerarono gli dei di costoro. » (Giudici, 3,5-6).« Soltanto nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perché essi non v'insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dei e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio. » (Deuteronomio, 20, 16-18).
Se partiamo dal punto di vista che "Dio ha avvolto tutti nel peccato per usare a tutti misericordia", non si puo' dire che i cananei fossero piu' peccatori dei, per dire, Corinti o dei Greci o dei Romani. Probabilmente la cultura cananea, benche' militarmenete e politicamente perdente, non era meno rispettabile di quella di altri popoli. Cosi' come la cultura giapponese non e' da considerarsi meno rispettabile di altre culture, comprese quelle di ascendenza cristiana. Non e' questo il punto. La colpa degli isrealiti non e' stata quella di non aver saputo discernere i "semina verbi", ne' quella di non essersi "inculturati", ma quella di non aver saputo mantenere una identita' sufficientemente distinta.
Forse che si puo' sostenere la tesi che nell'economia incarnazionale neotestamentaria questa problematica e' superata? Non sono mancate e non mancano posizioni teologiche di questo tipo. Ma allora, cosa rimarrebbe della "distinzione mosaica" (Ratzinger), dei profeti, dell'apocalittica, ecc. che leggiamo quotidianamente nella liturgia? Certo gli interlocutori di Paolo, i Corinti o i Romani, che vivevano nella cultura forse piu' raffinata del tempo, non potevano sentirsi esentati da problemi di questo tipo. Forse che lo siamo noi, perche' siamo cresciuti in regime di Cristianita'? Forse che possiamo ritenerci "vaccinati" contro ogni contaminazione? Non e' forse vero che la missione, la testimonianza di fede e' sempre anche un "pathos dell'individuo" (von Balthasar), una diuturna lotta contro false concezioni del divino?
Quello che si puo' dire con certezza e' che nei termini del racconto biblico, questo non e' senz'altro un tema secondario, ma un punto vitale su cui si gioca il possesso o meno della "terra promessa", cioe' di un corretto rapporto con Dio.
E allora perche' i missionari odierni nei loro incontri, non mettono mai a tema un problema cosi' importante? Se non e' perche ci sentiamo vaccinati, che non sia perche' ormai abbiamo gia' fatto molti passi sulla via del compromesso, al punto che non sappiamo piu' renderci conto dei pericoli? Quando in un convegno saveriano recente si discetta di missione (parafrasando Kant) "nei limiti del politically correct", da qui alla "cattivita' babilonese" ( la situazione in cui non si vede piu' la terra promessa) quanto ci passa? Ai posteri l'ardua sentenza!
"Sicchè oggi la chiesa è divenuta per molti l’ostacolo principale della fede.
Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini i quali, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo."
(J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p. 330 [originale tedesco 1968])
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