Saturday, February 02, 2013

L’amore di Dio Inchiesta tra le immagini della tradizione cristiana

L'amore di Dio Inchiesta tra le immagini della tradizione cristiana

di SYLVIE BARNAY

La Bibbia è nata in una cultura di tipo patriarcale. Anche il suo di- scorso su Dio e il suo rapporto con l'uomo, la teologia, s'iscrivono su questo sfondo socio-culturale. Per questo motivo le immagini bibliche sono essenzialmente maschili. Il Dio dell'Antico Testamento è il re, il Dio degli eserciti, il cu- stode, il maestro, il giudice, il patriarca. Tut- tavia la sua designazione quale «padre degli uomini», «padre d'Israele» o «nostro padre» (Isaia, 64, 7) viene al secondo posto, dopo quella del suo nome: «Io sono colui che so- no» (Esodo, 3, 14). Egli esercita la sua pater- nità anche verso la stirpe del re-messia d'Israele: «Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio» (2 Samuele, 7, 14). Il Dio del Nuovo Testamento è il padre, Cristo è il figlio che insegna la preghiera del Padre Nostro. Que- sto sostrato fonda un intero registro metafori- co la cui nota più importante è essenzialmen- te androcentrica. Di fatto, nella dottrina clas- sica, il divino non appare sotto forma di donna o di madre. Non è ginecomorfa.
Questa dottrina classica concede tuttavia un posto importante a una tradizione biblica in cui l'azione di Dio è descritta con l'aiuto di immagini specificatamente materne. Nell'Antico Testamento, Dio è come l'aquila che vola sopra i sui nati e veglia su di loro (Deuteronomio, 32, 11) o li porta sulle sue ali (Esodo, 19, 4). È come l'orsa che attacca quando le vengono tolti i suoi piccoli (Osea, 13, 8), come la balia che porta il lattante (Numeri, 11, 12). Le immagine materne sono forti in Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?» (Isaia, 49, 15). Nel libro di Giobbe, l'azione creatrice di Dio è descritta come un parto: «Chi mette al mondo le gocce della rugiada? Dal seno di chi è uscito il ghiaccio e la brina del cielo chi l'ha generata?» (Giobbe, 38, 28-29). Il salmi- sta si riposa in Dio come un bambino dorme in braccio a sua madre (Salmi, 131, 2). Il Dio dell'Antico Testamento non è un Dio al fem- minile, cioè una dea, ma un Dio materno, messaggio implicito nei confronti dei culti re- si alle divinità pagane femminili. Nel Nuovo Testamento Gesù è paragonato a una madre che riunisce i pulcini sotto le sue ali (Matteo, 23, 37), e nelle lettere neotestamentarie ab- bondano le metafore femminili e materne (cfr. 1 Corinzi, 3, 1-2; 1 Tessalonicesi, 2, 7-8; 1 Pietro, 2, 2).
Sembra sia stato Clemente Alessandrino il primo padre della Chiesa a stabilire un paral- lelismo tra la paternità e la maternità di Dio. Nel Quis dives salvetur Clemente Alessandri- no sposta questa paternità e maternità di Dio sul terreno del rapporto tra l'inconoscibilità e l'incarnazione: «L'indicibilità lo fa Padre; la sua compassione per noi lo fa madre».
Così la maggior parte delle metafore fem- minili illustrate dai padri della Chiesa si ri- collegano alla natura umana del Verbo incar- nato. È per questo che, quando si riferiscono alle immagini femminili nella Bibbia, gli au- tori cristiani non indicavano Dio, ma soprat- tutto Cristo e la Chiesa. Secondo le interpre- tazioni, l'uso delle metafore femminili vale così classicamente per designare l'uno o l'al- tro. La figura della madre funziona quindi come figura di Cristo e della Chiesa in tutto un insieme di testi. È in funzione di una tale tipologia che Clemente Alessandrino parla, per esempio, della Chiesa. Citando Isaia («come una madre consola un figlio così io vi consolerò»; 66, 13), ne dà un'interpretazio- ne ecclesiologica: «La madre attira nelle sue braccia i suoi figli piccoli e noi cerchiamo nostra madre, la Chiesa». Inoltre, nei suoi scritti la maternità indica la conoscenza divi- na e la Saggezza.
Nella stessa prospettiva, un intero ramo della patristica vede nella donna la Chiesa e nel padre Dio. È così che viene tradizional- mente interpretata la parabola di Matteo: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti» (13, 33). Per Ambrogio di Milano o per Pietro Crisologo, per esempio, la donna è l'immagi- ne della Chiesa. Ma questo stesso riferimento scritturale serve anche a identificare la donna con Cristo. Romano il Melode opera tale identificazione: «La donna è, dice la Scrittu- ra, la virtù e la saggezza del Creatore, vale a dire Cristo, saggezza e potenza del Padre». Il parallelismo tra la donna, Cristo e la Sag- gezza è a sua volta stabilito.
Agostino lascia in eredità alla posterità medievale la figura di Cristo come «Madre- Saggezza». Allo stesso tempo, trasmette l'idea di un'umanità ginecomorfa perché vul- nerabile. È anche il primo a considerare Cri- sto come Padre e insieme come Madre. Riu- nendo una serie di citazioni scritturali, prese in particolare dal corpo paolino, insiste sul ruolo paterno della generazione e sul ruolo materno del parto dell'Apostolo: voi non avete «molti padri, perché sono io che vi ho

San Girolamo afferma
che i generi grammaticali non possono circoscrivere
l'incommensurabilità di Dio

generato in Cristo Gesù, mediante il vange- lo» (1 Corinzi, 4, 15). E, conclude, Cristo «ha un'autorità paterna, un sentimento materno: e come dice Paolo, Egli è padre ed è ma- dre».
Nell'XI secolo, Anselmo riprende questo brano, a sua volta vivaio di un'intera esplora- zione monastica, poi francescana, dell'imma- gine di Cristo come padre e come madre: «Ma tu Gesù, buon Signore, non sei anche una madre? Non è una madre Colui che, co- me la chioccia, riunisce i suoi piccoli sotto le sue ali?». Parallelamente, Girolamo aveva utilizzato un'altra rete esegetica di genitoria- lità, in particolare un versetto di Matteo: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me» (10, 37). Mostra allora che Cristo è allo stesso tempo padre, fratello,

sposo, amico, sorella e madre. La continuità medievale di questa rete metaforica è, anche in questo caso, degna di nota.
Alla fine del IV secolo, Gregorio Nazianze- no sottolinea però i limiti dell'uso metafori- co: «Da allora dobbiamo ritenere indispensa- bile applicare alla divinità (...) le parole di quaggiù, in particolare quelle che designano la parentalità. A tale proposito, tu forse im- maginerai che Dio è di sesso maschile perché viene chiamato Dio e Padre; e la divinità, di sesso femminile, secondo il genere delle pa- role; e lo Spirito, né l'uno né l'altro, poiché non genera». Pronunciate a Costantinopoli tra il 379 e il 381 in opposizione agli ariani, queste parole si riferiscono soprattutto alle concezioni gnostiche sul Dio maschile-fem- minile.
Girolamo, per la latinità contemporanea, ha delineato con un sol tratto la linea orto- dossa della dottrina: «Nella divinità, in effet- ti, non c'è sesso». Dio non è dunque né fem- minile né maschile. I generi grammaticali non possono circoscrivere l'incommensurabi- lità divina che si è fatta commensurabilità. Riferendosi alla Trinità, Girolamo ricorda vo- lutamente la diversità dei generi nelle varie lingue per indicare lo Spirito Santo: in ebrai- co femminile, in latino maschile e in greco neutro! Le fonti gnostiche, a differenza degli scritti cristiani, di fatto continuano a utilizza- re un simbolismo sessuale nella rappresenta- zione di Dio, in un principio fondamental- mente dualista.
Tre forme di rappresentazione di questa dualità prevalgono nei circoli gnostici dell'antichità cristiana. La prima rappresenta- zione — proveniente dagli ambienti vicini allo gnostico Valentino del II secolo — presenta l'idea di un Dio fondamentalmente ineffabile ma che, nello stesso tempo, si compone da una parte «della fonte ineffabile, della pro- fondità, del padre primordiale; dall'altra del- la grazia, del silenzio, delle viscere e della "madre del tutto"». In questa componente, maschile è il "padre", femminile è il "silen- zio". Come nella sessualità umana, il silenzio riceve il seme dalla fonte ineffabile. Il frutto di questa unione è l'emanazione dell'essere divino disposta in coppie di energie femmini- li e maschili. La seconda rappresentazione as- simila Dio a una forma trina padre-madre-fi- glio, come, per esempio, nel Libro dei segreti di Giovanni (fine II secolo). La "persona" femminile riunita al padre e al figlio viene chiamata "madre", e lo Spirito Santo è allora assimilato a una madre divina. Infine, una terza rappresentazione gnostica è propria- mente androgina. Nella Protennoia trimorfica scoperta nel 1945 a Nag Hammadi, un perso- naggio divino dice: «Io sono allo stesso tempo

Dio al maschile e la paternità divina non derivano
dal disprezzo per le donne
ma da un'umiltà divina

madre e padre (...). Io sono il Principio e la Fine». Dio qui è una diade.
Il XX secolo è parallelamente testimone della nascita di una teologia del femminile. A caratterizzarla, nella sua pluralità, è una nuo- va messa in discussione dei fondamenti della tradizione cristiana: «Dio Padre deve condi- videre il potere con Dio Madre». Nel loro scontro con la teologia classica, le teologie femministe cercano soprattutto di aggiungere una dimensione femminile al Dio uomo ere- ditato dai Padri e dalla tradizione al fine di rinnovare il modo di chiamarlo, e dunque di pensarlo. Queste teologie intendono così ap- portare un correttivo alla visione patriarcale di Dio, mostrando che la Bibbia stessa con- tiene tale correttivo sotto forma di metafore materne e femminili. Le formulazioni teolo- giche nuove che ne derivano, soprattutto ne- gli ambiti anglosassoni, sono dirompenti. Certo, la riflessione trinitaria presuppone un linguaggio analogico che reca necessariamen- te l'impronta del suo tempo. Ma l'intera que- stione consiste nel sapere se si può sostituire la formula trinitaria con altre, pratica comu- ne negli ambiti femministi, per esempio met- tendo al posto della formula «Padre, Figlio e Spirito Santo» la formula «La forza di crea- zione, di potenza di liberazione e di santifi- cazione».
Le esplorazioni più recenti della psicanalisi entrano in consonanza con la dottrina tradi- zionale. Come sottolinea la psicanalista Ma- rie Balmary, il Dio padre-madre, che occupa ogni luogo come una "madre fallica", non è lontano da un Dio onnipotente o da un falso Dio. Balmary mostra al contrario come la Bibbia «si opponga a identificare come ma- dre il Dio creatore». E, conclude, il «Dio al maschile e la paternità divina non derivano dal disprezzo per le donne, ma al contrario da un'umiltà divina».

Osservatore Noi Donne


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