Sunday, June 15, 2014

La recezione del Concilio in Giappone

La recezione del Concilio in Giappone

Andrea Bonazzi

Qualche tempo fa un professore della Waseda University che ha studiato in Germania, mi diceva ad un seminario che in alcune facoltà teologiche tedesche hanno smesso di parlare di Trinità e di Incarnazione, perché così facendo trovavano che il dialogo con l'Ebraismo e l'Islam diventava più agevole. Anche voi cattolici dovreste avere più coraggio e tentare questa via, aggiungeva. Ecco, in estrema sintesi, la compressione che gli intellettuali giapponesi hanno del Concilio.
Facciamo alcuni passi indietro per vedere come si è arrivati a questo, guardando ai momenti salienti della recezione. Il primo momento importante è senz'altro la traduzione della liturgia in giapponese del 1972, che è a tutt'oggi in uso. Questa traduzione presenta parecchi punti problematici dal punto di vista liturgico e pastorale, ma quello più gravido di conseguenze e' la scelta di parole per esprimere "Dio". Messa da parte quella di ascendenza confuciana che aveva ricevuto una robusta caratura trascendente da Matteo Ricci, si è optato per una parola di carattere più Taoista, perché è quella più usata nella parlata corrente. Questa operazione si basava su una scommessa: l'uso nella liturgia avrebbe portato questa parola ad avere gradualmente una connotazione sempre più biblica e monoteista. Cosa dire dopo quasi mezzo secolo: la liturgia ha aiutato a cristianizzare la società oppure la liturgia e' stata taoisticizzata? Come ognuno sa le scommesse si possono anche perdere.
Le risposte dei vescovi giapponesi al questionario del sinodo sulla famiglia (pubblicate in parte in italiano anche su Il Regno-doc) registrano il cedimento dei cattolici al "pensiero unico" dominante.
Dalla descrizione che ne fanno i vescovi si ricava un profilo di Chiesa tutt'altro che da "minoranza creativa" in terra di missione. Una Chiesa molto ripiegata sulla gestione dell'esistente. Molto vicina al profilo medio di quel cattolicesimo residuale, fortemente secolarizzato, simile a quello dell'area centroeuropea.
È una sorta di confessione esplicita di resa, da parte di coloro che pur hanno in sorte di guidare questa piccola Chiesa tra i moderni "pagani".

Ecumenismo al ribasso

Un secondo momento delle recezione lo possiamo vedere senz'altro nella traduzione interconfessionale della Bibbia del 1986. Un avvenimento reso possibile solo dalla spinta ecumenica del Concilio. Anche questa traduzione presenta molti aspetti problematici, tra cui il fatto che la parte cattolica ha fatto troppe concessioni alla tradizione protestante, ma lo spazio non ci consente di scendere qui nei dettagli. Basti per tutti un solo esempio.
Il pastore protestante della chiesa di Kawanishi mi dice che nella sua comunità hanno decisivo di aumentare, in solidarietà con i cattolici, le volte in cui ricordano quello che loro chiamano la "Cena del Signore". Di riflesso alcuni parroci cattolici hanno deciso di introdurre le "Celebrazioni della Parola (in assenza di presbitero)" come alternativa alla messa domenicale. Questo tipo di ecumenismo al ribasso è molto apprezzato in Giappone in cui il sincretismo è considerato una virtù. Non importa se poi la fede e la devozione eucaristica comincia a scricchiolare. Senza decisioni dogmatiche o senza struttura sacramentale, la Bibbia può essere letta anche come una qualsiasi sutra buddista.
In questo senso, come ho argomentato più ampiamente altrove (Inculturazione e dottrina della fede nelle teologie asiatiche, Sacra Doctrina - Anno 56° - 2011/3), più che una ricezione del Vaticano II, qui c'è bisogno di una recezione del Concilio di Nicea. Visto che il Giappone ha le risorse per ospitare le Olimpiadi, perché non si candida anche per ospitare magari un Congresso Eucaristico internazionale? Almeno potrebbe essere l'occasione per cristiani e non di accorgersi che la fede e la devozione eucaristica possono andare d'accordo anche con i più alti livelli scientifici.

Apertura alla società

Il terzo avvenimento attinente alla recezione lo possiamo individuare nella Convenzione nazionale per l'incentivazione della Evangelizzazione (NICE, National incentive Convention for Evangeliazation) del 1981 e protrattosi per oltre un decennio. Nella mente degli organizzatori questa doveva essere l'applicazione del Concilio alla realtà giapponese.
Per capire il senso di questa operazione, conclusasi sostanzialmente con un niente di fatto, dobbiamo rifarci ad una distinzione operata da Benedetto xvi in uno dei suoi ultimi discorsi. Il Concilio svoltosi nell'aula conciliare e sfociato nei documenti conciliari e nel magistero postconciliare, avrebbe avuto un "concilio parallelo" svoltosi sopratutto sui mass-media, orchestrato da vari "foyer" ideologici, e sfociato in una sorta di "magistero parallelo" che ha provocato e continua a provocare parecchi problemi. Se per comodità chiamiamo il primo Concilio A e il secondo Concilio B, il concilio che la suddetta Convenzione ha inteso recepire e' stato soprattutto il Concilio B. Lo slogan prevalente parlava di una chiesa aperta alla società, intendendo con questo una chiesa che non si attarda in problematiche dottrinali, ma che è pronta a collaborare con tutti gli uomini di buona volontà sui temi di una società più giusta. In questo campo un aumento di attività lo si è potuto vedere. Si tratta di vedere quanto di pelagiano o semi-pelagiano ci sia in tante attività. Nel progetto di rinnovamento conciliare della diocesi di Osaka (Shinsei Keikaku) si invitano i laici a fare molte attività, ma non si parla mai della "universale vocazione alla santità" (il quinto degli otto capitoli della Lumen Gentium), quasi che i laici non abbiano bisogno di santificarsi. Papa Benedetto ha richiamato a più riprese l'attenzione su questo problema, anche Papa Francesco sembra essere molto guardingo su questo punto e ha più volte criticato la clericalizzazione dei laici.
Ma se è vero, come è stato detto, che la parte più innovativa del Concilio e' stato il rinnovamento del trattato "De Revelatione", su questo aspetto non si sono visti progressi di nessun tipo.
Se la chiesa per aprirsi alla società deve smettere di parlare di Trinità e di Incarnazione, vuol dire che la chiesa del Concilio ha finalmente accettato di essere una religione tra le tante, ed è questo quello che il professore della Waseda intendeva, e si meraviglia anche che ci sia voluto così tanto tempo per arrivare ad una conclusione a cui loro sono già arrivati da secoli.
Come Von Balthasar ha acutamente precisato, "visioni del mondo pre-cristiane e coscientemente post-cristiane possono essere strutturalmente simili, ma nella loro più profonda intenzionalità rimangono essenzialmente differenti, perché oggi il lievito del Cristianesimo è penetrato in tutta l'umanità. Per questa ragione, nel villaggio globale di oggi, è diventato molto difficile trovare qualcosa che sia semplicemente "pre-cristiano", perfino in visioni del mondo (in Asia per esempio) che apparentemente sono rimaste le stesse da tempi pre-cristiani. Molto spesso esse hanno assorbito elementi di Cristianesimo (o almeno biblici) per mostrare che non hanno bisogno del Cristianesimo per mantenere la loro pretesa di totalità" (H.U. Von Balthasar, Epilogue, Ignatius Press, San Francisco, 2004, p. 18, mia traduzione).
Se la chiesa postconciliare deve fare un servizio alla società, questo non può essere che quello di aiutare quella società ad essere aperta alla Rivelazione. Non si vede come possano esserci altri modi. E' stato così per i Greci, i Romani, i Galli, i Celti, gli Anglosassoni, gli Slavi, i Cinesi e i Coreani degli ultimi venti secoli, non si vede come possa esserci una eccezione solo per i giapponesi del ventunesimo secolo.



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