Tuesday, October 24, 2006

Ragione Ragion Pratica Desideri da Platone a Kant

Rémi Brague, Avvenire 22 ott. 2006

In quello che è forse il suo capolavoro, il breve L'abolizione dell'uomo (1943), Lewis riprende l'antropologia sviluppata da Platone nella Repubblica e ne mostra la potente attualità. Lo fa però in negativo mostrando che, senza quell'antropologia o per lo meno senza il suo contenuto, che resta valido anche se i dettagli un po' mitici possono scomparire, non è possibile pensare l'uomo e forse neppure rispettarlo. Platone distingue non due ma tre parti nell'animo umano. La più alta, che troneggia nella testa, è la capacità di calcolo; noi ne abbiamo fatto, a partire dal latino ratio, da reor, "calcolare", la "ragione". La più bassa, relegata nell'addome, è formata dai desideri: fame, sete, appetito sessuale. Tra le due, e perciò situata nel torace, Platone colloca una facoltà che chiama thymos.

Questo termine greco designa il ribollire della collera. E' la collera che ci permette di rifiutare il disonore di sottometterci, di affermare noi stessi nella nostra indipendenza. La facoltà intermedia è dunque il principio della nostra identità e della nostra libertà. E' il principio della nostra azione. La facoltà di calcolare e il desiderio hanno un punto in comune: ci lasciano passivi davanti al risultato dei nostri calcoli o davanti alla pulsione che ci trascina verso l'oggetto desiderato. La "ragione" l'abbiamo in comune con gli angeli, se esistono. E supponendo che sia solo calcolo, ce l'hanno anche i computer, e forse più di noi. I desideri li condividiamo con gli animali. La "collera", invece, esiste solo nell'uomo di cui è privilegio.La facoltà intermedia consente alla ragione di agire sui desideri, di reprimerli quando superano i limiti, di guidarli quando s'ingannano sull'oggetto che può davvero soddisfarli, e dunque di educarli, affinarli. Consente, d'altra parte, alla ragione di non accontentarsi di guardare passivamente quanto si offre al suo sguardo contemplativo, ma di impegnarsi nell'azione. E' per suo tramite che la ragione diventa "pratica" - un'espressione di Kant, ma da lui presa in prestito a una tradizione ben più antica che trova origine in Aristotele. Costui non parla del thymos nel senso di Platone, ma riconosce anch'egli il suo equivalente nell'animo umano. Preferisce vedervi una dimensione inferiore della ragione, che non è capace di parlare direttamente ma che riesce a capire cosa le consiglia la ragione propriamente detta. Poco importa il nome di quest'intermedio. Ma senza di esso non c'è più nulla che possa dirci come fare "bene": galateo a tavola, educazione, morale, tutto quello che si chiama "cultura" scompare.Per di più, è questa facoltà intermedia a unificarci. Senza di lei, saremmo una ragione posta su desideri. Saremmo tentati dal crederci nati da una caduta della ragione esiliata nella melma dei desideri. Tentati anche di vergognarci di questo corpo desideroso e impuro, e di tentare in ogni modo di fuggirlo al più presto. La presenza mediatrice del thymos consente all'uomo di vivere in pace con se stesso, lo riconcilia con il proprio destino di essere intermedio, né angelo né bestia.Ebbene, Lewis dice di temere l'avvento di quelli che chiama bizzarramente gli "uomini senza torace". Alludendo al modo in cui Platone colloca le facoltà dell'anima in diverse parti del corpo, con quell'espressione si riferisce a uomini privi di thymos. A rigore di termini non sarebbero neanche più uomini, ma come dirà bene un pensatore del Medioevo, Pierre de Jean Olivi, a proposito di creature alle quali mancasse la libertà: «Bestie dotate di intelletto». In tali esseri la ragione non potrebbe agire sui desideri. Le due fac oltà estreme sarebbero lasciate ciascuna a se stessa, passando di colpo alla forma più intensa e più esclusiva. La ragione impazzirebbe in un sogno di calcolabilità e di pianificazione universale. Da parte loro, i desideri si sottrarrebbero a tutto ciò che potesse nobilitarli.Quando i due si incontrassero, sarebbe per mettere la tecnica più perfezionata a servizio degli istinti più brutali: la fisica nucleare a servizio della guerra, la chimica a servizio della Shoà, Internet a servizio della pornografia. Il nostro compito attuale non è innanzitutto quello di limitare la "ragione superba", anche se così ci immaginiamo, per dirla con una formula di Kant, di far spazio alla fede. Al contrario, il nostro compito è quello di restituire alla ragione la sua dimensione piena, di renderla nuovamente capace di dirci non solo cosa è vero, ma anche cosa vale la pena d'essere fatto, di riconquistare tutto quello che rischiamo di abbandonare all'irrazionale.

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