Saturday, January 02, 2010

Dignità della persona e vita consacrata

Dignità della persona e vita consacrata
Testimoni, Numero 21 del 2009 pag. 13 a cura di Aldo Basso

Note: La presente riflessione si propone di richiamare l'attenzione su ciò che in concreto può significare la promozione della dignità della persona nell'ambito della vita religiosa. Occorre cominciare dal periodo della formazione iniziale e fare poi in modo che questa attenzione sia presente in tutto il dinamismo della vita comunitaria.

Nell'Istruzione Il servizio dell'autorità e l'obbedienza vengono richiamate "alcune priorità nel servizio dell'autorità" e, tra queste, si indica espressamente la seguente: "L'autorità è chiamata a promuovere la dignità della persona" . Si tratta certamente di un obiettivo molto importante, se si pensa al valore continuamente dichiarato nell'insegnamento della Chiesa circa la centralità della persona nell'azione formativa e in ogni ambito della vita sociale.

Promuoverla nel periodo di formazione

Il periodo di formazione ha lo scopo di creare le condizioni affinché una persona arrivi a maturare una scelta consapevole e responsabile circa il suo futuro. Il rispetto e la promozione della sua dignità di persona possono, in questo caso, tradursi concretamente in alcune 'attenzioni' particolari. Ad esempio:
- fornire informazioni corrette circa le esigenze della vita consacrata e il carisma della Congregazione (negli incontri vocazionali, nelle riviste e nei dépliants, nei colloqui personali);
- rispettare i tempi che sono ragionevolmente da prevedere perché la persona maturi una decisione personale;
- evitare atteggiamenti sottilmente manipolativi o ricattatori, facendo leva ad esempio sui sensi di colpa o su forti bisogni di dipendenza e protezione o desideri di fuga da realtà famigliari particolarmente difficili. Tutto ciò suppone, da parte del responsabile della formazione, buona conoscenza di sé, libertà interiore, capacità di discernimento, retta intenzione;
- superare, da parte del formatore, la tentazione di legare a sé le persone sotto la spinta di carenze affettive o dell'ansia per il futuro della propria congregazione o nel tentativo più o meno inconscio di soddisfare bisogni di stima, di riconoscimento, di prestigio;
- parlare con sincerità e rispetto ad una persona che "insiste" per essere accolta nella comunità religiosa, facendole presenti le "'vere" motivazioni che come responsabile della formazione lo lasciano perplesso o non disponibile ad accogliere la sua richiesta.
Il periodo della formazione è un periodo educativo assai importante e delicato. Fare un cammino educativo con chi sta cercando la sua strada nella vita significa - rifacendoci alle parole di Guardini - che io «do a quest'uomo coraggio verso se stesso. Che gli indico i suoi compiti, ed interpreto il suo cammino - non i miei. Che lo aiuto a conquistare la libertà sua propria. Devo dunque mettere in moto una storia umana e personale… Come credenti diciamo: educare significa aiutare l'altra persona a trovare la sua strada verso Dio» .

Promuoverla nella comunità religiosa

Volendo esprimermi in modo molto sintetico, posso affermare che un superiore, nell'esercizio della sua autorità, promuove la dignità delle persone che gli sono affidate nella misura in cui vive la carità in modo autentico, come insegna la parola di Dio. Di per sé, quindi, non sarebbe necessario perdersi in lunghe considerazioni. Gli spunti che seguono allora hanno semplicemente lo scopo di fare riferimento ad alcune situazioni più significative o problematiche nelle quali si può più facilmente disattendere questa esigenza fondamentale o è più difficile sapere come concretamente realizzarla. Riprendo quanto è indicato nel testo dell'Istruzione, che esplicita la promozione della persona in quattro modalità: «L'autorità è chiamata a promuovere la dignità della persona, prestando attenzione ad ogni membro della comunità e al suo cammino di crescita, facendo dono ad ognuno della propria stima e della propria considerazione positiva, nutrendo verso tutti sincero affetto, custodendo con riservatezza le confidenze ricevute» .

Prestare attenzione ad ogni membro della comunità e al suo cammino di crescita". Gesù incontra le folle, ma è capace anche di riservare un'attenzione particolare e unica a singole persone, ascoltandole e dialogando con loro. L'attenzione per l'altro è, per usare le parole di Simone Weil "la forma più rara e più pura di generosità" (ella aggiunge anche, con una punta di pessimismo, che "a pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono"). È sempre un'esperienza gratificante e incoraggiante quando la persona sente che per l'altro "esiste" ed è riconosciuta nella sua unicità. Al contrario, è un'esperienza molto frustrante quando, ad esempio, un religioso sente di essere semplicemente "un numero" o quando si sente interpellato soltanto nel momento in cui il superiore deve procedere a "spostamenti" e a colmare un vuoto che si è venuto a creare in qualche comunità.
L'attenzione alla persona può trovare applicazione in diversi modi. Ad esempio:
- coltivare una conoscenza personale dei singoli membri. Sono significative le parole che sant'Angela Merici ha lasciato nel suo Testamento spirituale: «Vi supplico ancora di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore tutte le vostre figliuole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma anche la loro condizione e indole e stato e ogni cosa loro. Il che non vi sarà cosa difficile, se le abbraccerete con vera carità»;
- avere qualche forma di riguardo personale: una telefonata in occasione di qualche ricorrenza particolare, la risposta ad un biglietto di auguri o ad una cartolina, la visita e l'incontro personale;
- far sentire la propria vicinanza alla persona quando questa vive un momento difficile o attraversa un momento di crisi o è segnata da qualche dura prova;
- organizzare la vita quotidiana della comunità in modo tale da favorire nel contempo sia un clima di impegno che un ambiente rilassato e non segnato da frenesia e ritmi incalzanti di lavoro, così da evitare ai membri la sottile sensazione di essere "sfruttati";
- essere capaci di ascolto autentico. È una delle possibilità più quotidiane, anche se di fatto piuttosto rare, di esprimere attenzione alla persona. Il bisogno di sentirsi ascoltati e capiti è molto più forte del bisogno di sentire consigli e ammonizioni.
Non si tratta certamente di incoraggiare la risposta a bisogni infantili da parte di persone che ricercano qualche forma di dipendenza o favorire atteggiamenti di tipo narcisistico. Si tratta, invece, di creare nell'Istituto un clima ricco di umanità, dove si percepisce che la persona "conta" e viene prima delle preoccupazioni istituzionali, organizzative, economiche; dove la comunicazione è aperta e familiare e dove, in definitiva, ci si sforza di essere l'uno per l'altro segno della bontà mite e umile con cui il Signore Gesù incontrava le persone.

Fare dono ad ognuno della propria stima e della propria considerazione positiva. C'è una stima dichiarata ("io ho fiducia in te… sono convinto che il Signore ti abbia dato tanti doni…"), che normalmente conta poco o niente, e una stima espressa e manifestata in modo diretto. Ciò avviene, ad esempio, quando alle persone si affidano responsabilità concrete e significative; quando si dà effettiva e concreta possibilità ai singoli di sviluppare i propri talenti , pur tenendo presenti naturalmente le esigenze più generali di una comunità o di un Istituto (mortificare una persona in qualche sua attitudine o competenza particolare allo scopo di mantenerla… umile può essere espressione di animo gretto e visione assai ristretta del bene delle persone e dell'Istituto stesso); quando le persone hanno libero accesso alle informazioni riguardanti la vita dello Istituto; quando si realizza una forma di "leadership distribuita" .

Nutrire verso tutti sincero affetto. L'affetto per una persona può prendere nomi diversi: benevolenza, vicinanza, interessamento, sostegno morale, comprensione, conforto. Sincerità, a sua volta, significa corrispondenza tra ciò che si sente o pensa e ciò che si manifesta e si dice. È sinonimo di autenticità e trasparenza. Tutti la desiderano e se l'aspettano dalle persone con cui trattano; non tutti (pochi?) sono capaci di offrirla.
L'affetto per una persona è sincero quando le manifestazioni esteriori - parole, gesti, comportamenti - si accompagnano realmente al sentimento interiore corrispondente. Si può mentire per calcolo - e ciò è spregevole -, ma anche per paura e addirittura 'per educazione' (non si vuole recare dispiacere o urtare la sensibilità di una persona e così… non si dice ciò che realmente si sente o si pensa). Si può fingere negli affetti in diversi modi. Ad esempio:
- si chiede a una persona: "come stai?", per mostrare che siamo interessati al suo stato di salute e subito dopo, già mentre quella risponde, si cambia discorso e non si ascolta più;
- per consolare una persona che vive un momento di particolare sofferenza si promette vicinanza e ricordo e poi… non ci si fa più vivi;
- si promette a una persona interessamento per una pratica che le sta particolarmente a cuore o una risposta a una sua richiesta e poi… non ci si fa più sentire;
- non si parla apertamente a una persona circa un suo comportamento non corretto o che è motivo di scandalo, tergiversando e rimanendo nel vago, oppure non le si riferiscono con chiarezza fatti che la riguardano e di cui si è venuti a conoscenza per non apparire poco gentili o mancanti di riguardo o per non ferire la sua suscettibilità;
- si ostenta comprensione e riguardo verso una persona a cui si chiede, ad esempio, un trasferimento che le costa sacrificio, senza però portarla a conoscenza dei veri motivi che stanno alla base della decisione che la riguardano.
Non si può negare che ci si possa trovare di fronte a situazioni obiettivamente difficili o imbarazzanti per chi voglia servire la verità, ma d'altra parte occorre chiedersi in tutta onestà come si possa combinare il dire una cosa per un'altra con la raccomandazione biblica di non mentire: «Ecco ciò che voi dovrete fare: parlare con sincerità ciascuno con il suo prossimo» . È da augurare a tutti di avere un amico sicuro e sincero che ci voglia bene anche così: informandoci in modo disinteressato su come gli altri ci percepiscono e sull'effetto che il nostro agire ha su di loro, fuori delle vie comuni ed ufficiali che spesso sono menzognere e che non di rado tacciono sull'essenziale.

Custodire con riservatezza le confidenze ricevute. Un superiore può essere depositario di confidenze o di informazioni riservate. Rispetto della persona, da questo punto di vista, può significare:
- mantenere strettamente riservate le informazioni che si sono avute come tali e tenere soltanto per sé le confidenze ricevute - cosa che sembra ovvia, ma non è affatto scontata (Manzoni insegna …);- garantire ad ogni membro della comunità il pieno accesso alle informazioni che lo riguardano (anche quelle messe per iscritto e lasciate dai superiori precedenti);
- chiedere espressamente il consenso della persona interessata quando si ritenesse necessario passare ad altri una informazione riservata che la riguarda (ad esempio, in occasione di un trasferimento);-avvisare immediatamente chi viene ad offrire informazioni riservate circa una terza persona che poi queste stesse informazioni saranno passate alla persona interessata. Se "l'informatore" non fosse disponibile a questo passaggio di informazioni, gli si chieda di assumersi la responsabilità di quanto riferisce e di rispondere a una precisa domanda: "perché mi vieni ad offrire queste informazioni?".

Promuoverla quando un membro lascia l'Istituto

Può capitare in qualsiasi congregazione o istituto religioso che qualche membro arrivi a decidere di lasciare la vita religiosa. Le modalità con cui ciò può realizzarsi sono assai diverse, ma è opportuno che ci si interroghi e ci si chieda che cosa significa in concreto 'promuovere la dignità della persona' quando ci si trova di fronte a queste situazioni. Infatti, fino a che una persona non ha formalmente perfezionato la sua uscita dalla congregazione, ella ne è ancora membro e i superiori devono sentirsi moralmente impegnati ad assumere quegli atteggiamenti di rispetto di cui si è fatto cenno fin qui. In concreto, tutto ciò potrebbe significare che si tengono presenti alcune considerazioni:
- la persona in crisi e che eventualmente decide di lasciare non diventa una persona "pericolosa", da cui prendere le distanze, in quanto potrebbe mettere in crisi altri membri dell'Istituto. Può semmai diventare l'occasione, per l'istituto stesso, di interrogarsi sul proprio operato e imparare a correggere eventuali modalità formative. Il difendersi e prendere le distanze, moraleggiando o commiserando, è normalmente frutto della paura e comunque non è rispetto per la persona;
- con la persona che sta ripensando la scelta della sua vita è necessario, da parte dei superiori, continuare un confronto e un dialogo condotti nella verità e nel rispetto reciproci, per portarla ad assumersi responsabilmente le conseguenze delle proprie scelte. Ciò è possibile, tra l'altro, se essa non cerca facili giustificazioni, ricorrendo ad atteggiamenti superficialmente recriminatori nei confronti della formazione avuta, quasi fosse l'unica causa dei suoi problemi, dimenticando che un soggetto rimane sempre il primo responsabile della propria formazione. Da parte del superiore, inoltre, si devono evitare atteggiamenti sottilmente ricattatori ("la congregazione ti ha dato un'istruzione, una laurea…");
- è importante essere disponibili a fornire tutte quelle facilitazioni (incontri di persone, forme di esclaustrazione, esperienze particolari) che nel rispetto dei diritti della comunità e delle norme comuni possono aiutare una persona ad arrivare con più sicurezza ad una scelta;
- sarebbe, quindi, molto limitante e non favorirebbe la promozione della dignità della persona se un superiore, dopo che la persona ha manifestato il suo ripensamento e sembra orientata a 'lasciare', si preoccupasse soltanto di provvedere alla sua sistemazione materiale e stabilire come risolvere sul piano economico il rapporto con lei, trascurando un dialogo e un confronto serio e responsabile.

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