Wednesday, October 02, 2013

Intervista con il vescovo giapponese Dominic Ryōji Miyahara Porte aperte nel Sol levante

Intervista con il vescovo giapponese Dominic Ryōji Miyahara Porte aperte nel Sol levante

da Fukuoka
CRISTIAN MARTINI GRIMALDI

La porta della chiesa è aperta, così quella dell'ufficio della cancelleria ac- canto. Anche il portone della casa che ospita il vescovo è aperto. Chissà se è una pratica abituale o se, con grande zelo, hanno semplicemente seguito il consiglio che Papa Francesco ha dato ai parroci romani solo qualche settima- na fa, quando disse: lasciate aperte le porte della Chiese, allora la gente en- trerà! Noi entriamo.
Siamo all'interno dell'abitazione del vescovo Dominic Ryoji Miyahara. L'anno scorso, a ottobre, Miyahara si trovava a Roma per il sinodo dei ve- scovi, dove ha incontrato Benedetto XVI. Oggi, una bella foto di Papa Francesco che saluta la folla campeg- gia nella sala d'attesa.
Nato a Hiroshima nel 1955, Miyaha- ra è stato nominato vescovo di Oita nel 2000, e nel 2008 è divenuto vescovo di Fukuoka, la più grande prefettu ra del Kyushu. In tutto il Giappone ci sono tre arcidiocesi e tredici diocesi: per avere un termine di paragone, in Italia con meno della metà degli abi- tanti, tra diocesi e arcidiocesi, ce ne sono oltre duecento. In tutta la prefet- tura di Fukuoka i battezzati sono tren- tamila su cinque milioni di abitanti.
«È vero, in Giappone non ci sono molti cattolici, siamo circa lo 0,4 per cento, però abbiamo una grande in- fluenza sulla comunità» dice con con- vinzione il vescovo che mi siede di fronte mentre una segretaria ci serve del caffè freddo on the rocks. «Ad esempio abbiamo molte scuole, anche se la maggior parte dei nostri studenti non sono battezzati. Però apprendono gli insegnamenti del Vangelo, incontrano missionari, sono a contatto con suore, insomma familiarizzano con i pensieri e i valori del cristianesimo. Certo, la differenza con l'Italia è netta, in termini numerici. Ma noi qui diciamo che in Europa ci sono molti battezzati ma pochi fedeli. Al contrario in Giappone abbiamo pochi battezzati ma molti credenti. Quantomeno se li paragoniamo al numero dei battezzati. Una situazione un po' paradossale se vuole. Qui di fronte, ad esempio, c'è una scuola cattolica missionaria, con circa duemila studenti».
In Giappone il cristianesimo è stato per- seguitato per oltre duecento anni. Quale ripercussione ha avuto lo stigma di «reli- gione illegale» sulla professione di fede cattolica oggi?
La persecuzione ininterrotta e dura- tura dei cristiani per duecentocin- quant'anni è un caso unico nella sto- ria. Anche sotto l'impero romano i cri- stiani erano perseguitati, ma c'erano sempre degli intervalli in cui veniva adottata una politica di tolleranza, delle pause dove la pressione sui cri- stiani si allentava. Qui, invece, non c'è stata interruzione, e sebbene non ci fossero preti per officiare i battesimi, i cristiani sono sopravvissuti per tutto questo tempo in clandestinità. Le pre- ghiere e le liturgie sono passate da una generazione all'altra oralmente. Eppure, nonostante oggi i cristiani possano professare apertamente la pro- pria fede, resta ancora una certa men- talità diffusa che risente di quell'oscu- ro passato, magari anche solo a livello inconscio, per cui un cristiano di soli- to è guardato con sospetto.
Può fare un esempio?
Durante le elezioni politiche, se il candidato è cristiano, c'è come un'aura di scetticismo, impalpabile ma reale, che lo circonda. Non ci si fida, non per qualche motivo legato alla partico- lare personalità del candidato, ma per- ché esiste una certa atmosfera di nega- tività verso i cristiani, perché appunto per due secoli fu una religione bandi- ta, e questo retaggio culturale diventa un pregiudizio quasi involontario nella mentalità contemporanea. Un po', im- magino, come in America nei confron- ti delle persone di colore: anche dopo la conquista dei diritti civili, non signi- fica che queste minoranze etniche ve- nissero immediatamente liberate dai pregiudizi che gravavano su di loro. La memoria storica è un'eredità molto forte e purtroppo non si elimina con un tratto di penna. Un giapponese che magari conosce solo parzialmente la storia, è tentato a pensare che se per duecentocinquant'anni il cristiane- simo era illegale allora significa che c'era una buona ragione. E questa mentalità è difficile da sconfiggere.
Esistono altre peculiarità, nella mentalità giapponese contemporanea, secondo lei ri- conducibili ai secoli di persecuzione?
I giapponesi solitamente sono reti- centi nel parlare di religione nella vita quotidiana, anche tra amici, vogliono sempre nascondere la loro identità reli- giosità.
Quale misure pensa che la Chiesa giap- ponese debba adottare per sfatare questi pregiudizi?
Quando Giovanni Paolo II venne in Giappone, nel lontano 1981, mi sono immediatamente accorto che qualcosa stava cambiando nella mentalità lo- cale. Piano piano l'atmosfera di nega- tività di cui le par- lavo si andava rare- facendo perché moltissime persone vedevano nel Papa un santo vero, un profeta della sua epoca. E questo me lo sono sentito dire da molti, molte persone laiche in- tendo, quella visita fece molto bene ai giapponesi, non so- lo ai cristiani. Og- gi, in parte, quella ventata di positività si è un po' perduta con l'arrivo delle nuove generazioni. Ecco perché io in- viterei Papa France- sco. E lo inviterei proprio qui a Fu-
kuoka. Certo, Nagasaki ha il doppio dei cristiani di Fukuoka, ma molti me- no abitanti, in questa prefettura vivo- no cinque milioni di persone. Per usa- re le parole del Papa, qui le pecorelle smarrite sono molte di più. E, in fon- do, è proprio qui nel Kyushu che i missionari hanno cominciato la loro opera di evangelizzazione, poi estesa a tutto il Paese, e qui ci sono molti siti sacri per i cristiani. Sono i luoghi do- ve si custodisce la memoria dei martiri vittime delle persecuzioni. [Il vescovo si alza e mi indica dei fogli appesi alla pa- rete]
Questi sono dei documenti, scoperti solo nel 2004, appartenenti a due di- versi templi qui a Fukuoka. Sono stati scritti da monaci buddisti alla fine del Settecento, e contengono la denuncia, alle autorità di allora, della presenza di due coppie di cristiani che conti- nuavano a praticare la loro fede di na- scosto.
I monaci dovevano certificare che chi giungeva al tempio non fosse cri- stiano. Probabilmente a queste due coppie venne ordinato di calpestare delle immagini sacre, quelle di Gesù o della Madonna: un rifiuto corrispon- deva automaticamente a un'autode- nuncia. Non si sa nulla sul destino che toccò a queste due coppie. Ma a quel tempo i kakure kirishitan, cioè i "cri- stiani nascosti", venivano portati a Na- gasaki e lì venivano decapitati. [Il ve- scovo guarda di nuovo l'anno sui due fo- gli e fa una pausa di qualche secondo, poi riprende a parlare] Era la primavera del 1795 quando questi quattro venne- ro scoperti. Ci sarebbero voluti alme- no altri settant'anni prima che i mis- sionari giungessero di nuovo da queste parti e che i cristiani potessero final- mente tornare a recitare apertamente il Padre nostro.

Osservatore romano, 27 settembre


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